11
Holden
La Donnager era brutta.
Holden aveva visto fotografie e video delle antiche flotte militari terrestri che solcavano gli oceani: perfino nell’età dell’acciaio, c’era qualcosa di bello in quei vascelli. Lunghi e affusolati, avevano l’apparenza di oggetti appoggiati nel vento, di creature tenute a stento alla lenza. La Donnager non possedeva quella grazia. Come tutte le navi di lungo corso, era costruita secondo la configurazione ‘a torre di uffici’: ogni ponte corrispondeva a un piano della nave, con scale o elevatori che correvano lungo tutto l’asse, e l’accelerazione costante a sostituire la forza di gravità.
Ma la Donnager sembrava davvero un palazzo di uffici, vista di profilo. Squadrata e tozza, con piccole protuberanze bulbose in punti apparentemente casuali. Lunga quasi cinquecento metri, aveva le dimensioni di un edificio di centotrenta piani. Alex aveva detto che pesava duecentocinquantamila tonnellate a secco, ma sembrava ancor più pesante. Holden si trovò a riflettere, non per la prima volta, su quanta parte del senso estetico degli esseri umani si fosse formata in un periodo in cui oggetti dalla sagoma slanciata dovevano muoversi e scivolare attraverso l’aria. La Donnager non si sarebbe mai dovuta spostare attraverso qualcosa di più denso di un gas interstellare, per cui curve e angoli smussati sarebbero stati soltanto uno spreco di spazio. Il risultato era, in una parola, brutto.
Era anche intimidatorio. Mentre Holden la osservava dal suo sedile accanto ad Alex, nella cabina di pilotaggio del Knight, la gigantesca nave da guerra impostò la loro stessa rotta, incombendo sempre più da vicino e arrivando a dar l’impressione di essersi fermata proprio sopra lo shuttle. Si aprì una baia d’attracco, squarciando la pancia piatta e nera della Donnager con un quadrato di tenue luce rossa. Il Knight mandò un insistente segnale acustico, ricordandogli dei laser di puntamento che inquadravano il loro scafo. Holden cercò con lo sguardo i cannoni di difesa ravvicinata puntati contro di lui, ma non riuscì a individuarli.
Quando Alex parlò, Holden sussultò.
«Ricevuto, Donnager» disse il pilota. «Siamo in blocco d’attracco. Spengo i motori.»
L’ultima illusione di peso svanì. Entrambe le navi si muovevano ora a centinaia di chilometri al minuto, ma le loro traiettorie identiche davano un’impressione di assoluta immobilità.
«Abbiamo il permesso di attraccare, capitano. Lo porto dentro?»
«Mi sembra un po’ tardi per darsela a gambe, signor Kamal» disse Holden. S’immaginò Alex che faceva un qualche errore che la Donnager potesse interpretare come una minaccia, e i cannoni di difesa ravvicinata che gli rovesciavano addosso qualcosa come duecentomila proiettili di acciaio ricoperti di Teflon.
«Fa’ piano, Alex» gli raccomandò.
«Dicono che una di queste sia in grado di distruggere un pianeta intero» disse Naomi, in linea. Era in plancia, un ponte più sotto.
«Chiunque potrebbe distruggere un pianeta dall’orbita» replicò Holden. «Non servono nemmeno le bombe. Basta buttare incudini giù dal portellone. Ma quest’affare qui sopra potrebbe distruggere... qualunque cosa, cazzo.»
Si spostarono con piccoli tocchi, azionando cautamente i razzi di manovra. Holden sapeva che era Alex a guidare lo shuttle verso l’ammiraglia, ma non riuscì a scrollarsi di dosso l’impressione che fosse la Donnager a inghiottirli.
Le operazioni di attracco richiesero quasi un’ora. Una volta all’interno della Donnager, un enorme braccio meccanico afferrò il Knight e lo posizionò in una zona vuota della piattaforma. Dei ganci stabilizzarono lo shuttle, e lo scafo del Knight risuonò con un clangore metallico che fece venire in mente a Holden lo scatto delle serrature magnetiche di una cella di detenzione.
I marziani azionarono un tubo di sbarco da una parete e lo collegarono al portellone pressurizzato del Knight.
«Niente pistole, niente coltelli, niente che possa assomigliare anche lontanamente a un’arma» disse Holden. «Non dovrebbero esserci problemi per i terminali palmari, ma teneteli spenti lo stesso. Non si sa mai. Se vi chiedono di consegnarglieli, fatelo senza protestare. La nostra sopravvivenza potrebbe dipendere dal fatto che pensano che stiamo collaborando.»
«Già» mugugnò Amos. «Questi stronzi hanno ammazzato McDowell, ma siamo noi a dover fare i bravi...»
Alex fece per replicare, ma Holden lo interruppe.
«Alex, hai fatto venti missioni in volo con la MRCM. C’è altro che dovremmo sapere?»
«Quello che hai già detto, capo» rispose Alex. «Sì, signore, no, signore, e ottemperare all’istante quando viene dato un ordine. I soldati semplici non daranno problemi, ma gli ufficiali sono addestrati a non avere nessun senso dell’umorismo.»
Holden squadrò il suo piccolo equipaggio, sperando di non averli condannati tutti a morte decidendo di portarli lì. Aprì il portellone e fluttuarono nel breve condotto di attracco a gravità zero. Quando raggiunsero il portellone pressurizzato in fondo – un composto grigio liscio e immacolato – si spinsero tutti verso il pavimento. Gli stivali magnetici si agganciarono alla piattaforma. Il portello si richiuse alle loro spalle e sibilò per diversi secondi prima di aprirsi su un’ampia sala con una dozzina di persone ad aspettarli. Holden riconobbe il capitano Theresa Yao. C’erano diversi altri militari in uniforme da ufficiale della marina, membri del suo staff; un uomo con indosso una divisa da recluta che aveva in volto un’espressione di velata impazienza; e sei marine in assetto da combattimento pesante, tutti armati con fucili d’assalto. Erano puntati su di lui, per cui Holden alzò le mani.
«Non siamo armati» disse con un sorriso, cercando di sembrare il più innocuo possibile.
I fucili non si mossero di un millimetro, ma il capitano Yao fece un passo avanti.
«Benvenuti a bordo della Donnager» disse. «Primo ufficiale, li perquisisca.»
L’uomo con l’uniforme da soldato semplice avanzò verso di loro e li perquisì con fare rapido e professionale. Alzò un pollice verso uno dei marine. I fucili si abbassarono, e Holden fece del suo meglio per non tirare un sospiro di sollievo.
«Che succede adesso, capitano?» chiese Holden, mantenendo un tono leggero.
Yao squadrò criticamente Holden per diversi secondi prima di rispondergli. Aveva i capelli raccolti in una stretta coda di cavallo, e le poche ciocche grigie disegnavano linee dritte lungo le sue tempie. Di persona, Holden vide l’effetto dell’età sulla linea appena ammorbidita della mascella e agli angoli degli occhi. La sua espressione rocciosa aveva la stessa tranquilla arroganza che mostravano tutti i capitani navali che aveva conosciuto. Holden si chiese che cosa vedesse, guardandolo. Resistette all’urgenza di sistemarsi i capelli unti.
«Il primo ufficiale Gunderson vi scorterà nelle vostre stanze e vi farà accomodare» rispose finalmente. «Vi manderò presto qualcuno a interrogarvi.»
Gunderson cominciò a guidarli verso l’uscita della sala quando Yao parlò di nuovo, con voce improvvisamente dura.
«Signor Holden, se sa qualcosa sulle sei navi che vi stavano seguendo, parli adesso» disse. «Un’ora fa abbiamo dato loro un termine di due ore per cambiare rotta. Finora non l’hanno fatto. Tra un’ora ordinerò di sganciare i missili. Se sono vostri amici, potrebbe risparmiar loro una brutta fine.»
Holden scosse la testa con decisione.
«Tutto quello che so è che sono emersi dalla Fascia quando vi siete messi in marcia per raggiungerci, capitano» disse Holden. «Non hanno comunicato con noi. L’ipotesi più plausibile è che si tratti di cittadini preoccupati della Fascia, venuti a vedere che cosa stia accadendo.»
Yao annuì. Se trovava sconcertante l’idea di avere dei possibili testimoni, non lo diede a vedere.
«Li porti di sotto, primo ufficiale» disse. Poi si allontanò.
Gunderson emise un fischio basso e si diresse verso una delle due porte. L’equipaggio di Holden lo seguì fuori, scortato dai marine in retroguardia. Mentre avanzavano attraverso la Donnager, Holden diede la sua prima occhiata ravvicinata a una nave ammiraglia marziana. Non aveva mai prestato servizio su una nave da guerra della Marina delle Nazioni Unite, e ci aveva messo piede forse tre volte in sette anni, sempre quand’era all’àncora, e solitamente in occasione di qualche festa. Ogni centimetro quadrato della Donnager era appena un filo più perfetto di qualunque veicolo delle Nazioni Unite su cui aveva prestato servizio. Allora è vero che Marte sa costruirle meglio di noi.
«Porca puttana, vicecomandante, certo che qui sanno come lucidare l’argenteria, eh» disse Amos alle sue spalle.
«Quando il tragitto è lungo, la maggior parte dell’equipaggio non ha molto da fare, Amos» rispose Alex. «Per cui, quando non sei impegnato a fare altro, ti fanno pulire.»
«Lo vedi? Ecco perché io preferisco lavorare sui mercantili» replicò Amos. «Pulire i ponti o ubriacarsi e scopare: io so cosa preferisco.»
Mentre si addentravano in un labirinto di corridoi, la nave fu attraversata da un fremito e la gravità riapparve a poco a poco. Erano in accelerazione. Holden usò i talloni per toccare i comandi laterali dei suoi stivali, disattivando i magneti.
Non videro praticamente nessuno, e i pochi che vedevano si muovevano velocemente e parlavano poco, riservando loro a malapena un’occhiata di sfuggita. Con sei navi in avvicinamento, l’intero equipaggio doveva essere alle proprie postazioni. Quando il capitano Yao aveva detto che avrebbe fatto fuoco di lì a un’ora, nella sua voce non c’era nemmeno l’ombra di una minaccia. Era un semplice dato di fatto. Per la maggior parte dei marinai più giovani della nave doveva trattarsi della prima volta che si trovavano in uno scenario di combattimento reale – se mai ci si fosse arrivati. Holden non credeva che ci si sarebbe giunti.
Si chiese che cosa dovesse pensare del fatto che Yao fosse pronta a spazzar via una manciata di navi della Fascia soltanto perché viaggiavano in silenzio e a distanza ravvicinata. Certo, non lasciava pensare che avrebbero esitato a distruggere un cargo frigorifero, come la Cant, qualora avessero pensato di avere una buona ragione per farlo.
Gunderson li fece fermare di fronte a un portello con la scritta OQ117 stampata sopra. Strisciò una carta nella serratura e fece loro cenno di entrare.
«Meglio di quel che mi aspettavo» disse Shed, sembrando favorevolmente impressionato.
Il compartimento era ampio, per gli standard di una nave. Aveva sei sedili ad alta accelerazione di gravità e un tavolino con quattro sedie attaccate al ponte tramite magneti. Una porta aperta in una delle paratie mostrava uno scomparto più piccolo con un lavandino e un bagno. Gunderson e il tenente dei marine seguirono l’equipaggio all’interno.
«Questi saranno i vostri alloggi fintantoché resterete a bordo» disse il primo ufficiale. «Sulla parete c’è un pannello di comunicazione. Due uomini del tenente Kelly resteranno di guardia qui fuori. Fategli sapere se vi serve qualcosa, e ve la faranno avere.»
«Che ne dice di un po’ di pappa?» disse Amos.
«Vi faremo mandare del cibo. Dovrete rimanere qui fino a nuovo ordine» rispose Gunderson. «Tenente Kelly, ha qualcosa da aggiungere?»
Il tenente dei marine li squadrò attentamente.
«I miei uomini resteranno qui fuori a protezione delle vostre persone, ma reagiranno in maniera spiacevole se doveste causare qualunque disturbo» disse. «Ricevuto?»
«Forte e chiaro, tenente» rispose Holden. «Non si preoccupi. I miei sottoposti saranno gli ospiti più accomodanti che abbiate mai avuto.»
Kelly fece un cenno del capo a Holden esprimendo quella che pareva essere sincera gratitudine. Era un professionista obbligato a fare un lavoro spiacevole. Holden lo compatì. E poi, conosceva abbastanza i marine per sapere quanto potessero essere spiacevoli allorché venivano sfidati.
Gunderson disse: «Può scortare il signor Holden al suo appuntamento mentre torna indietro, tenente? Vorrei finire di sistemare queste persone.»
Kelly annuì e prese Holden per un braccio.
«Venga con me, signore» disse.
«Dove mi sta portando, tenente?»
«Il tenente Lopez ha chiesto di incontrarla non appena fosse salito a bordo. La sto scortando da lui.»
Shed spostò uno sguardo nervoso dal marine a Holden. Naomi annuì. Si sarebbero rivisti presto, si disse Holden. Pensò perfino che fosse realmente possibile.
Kelly accompagnò Holden a passo veloce attraverso la nave. Non teneva più il fucile in resta, ma appeso a tracolla. Doveva aver deciso che Holden non avrebbe causato problemi, o che avrebbe potuto abbatterlo facilmente in caso contrario.
«Posso chiedere chi sia questo tenente Lopez?»
«La persona che ha chiesto di vederla» rispose Kelly.
Kelly si fermò di fronte a una semplice porta grigia, bussò una volta, poi fece entrare Holden all’interno di un piccolo scomparto con un tavolo e due sedie dall’aria piuttosto scomoda. Un uomo con i capelli scuri stava impostando un registratore. Fece un gesto vago della mano in direzione della sedia. Holden si sedette. La sedia era ancor meno comoda di quanto già non sembrasse.
«Può andare, signor Kelly» disse l’uomo che Holden pensò essere Lopez. Kelly uscì e richiuse la porta alle sue spalle.
Quando Lopez ebbe finito di sistemare l’aggeggio, si accomodò di fronte a Holden, dall’altra parte del tavolo, e gli porse la mano. Holden la strinse.
«Sono il tenente Lopez. Kelly glielo avrà già detto. Lavoro per i servizi segreti della marina, cosa che quasi certamente non le ha riferito. Il mio incarico è tutt’altro che segreto, ma addestrano quelle teste vuote a parlare il meno possibile.»
Lopez si infilò una mano in tasca, tirò fuori un piccolo pacchetto di pastiglie bianche e se ne mise una in bocca. Non ne offrì a Holden. Le pupille del tenente si contrassero in due piccoli puntini mentre succhiava la pastiglia. Droghe di concentrazione. Avrebbe tenuto d’occhio ogni minimo movimento sul viso di Holden durante l’interrogatorio. Difficile mentire.
«Primo luogotenente James R. Holden, del Montana» disse. Non era una domanda.
«Sì, signore» confermò comunque Holden.
«Sette anni di servizio nella Marina delle Nazioni Unite, ultima assegnazione sul cacciatorpediniere Zhang Fei.»
«Sono io.»
«Il suo fascicolo dice che è stato arrestato per aggressione a un ufficiale superiore» continuò Lopez. «Piuttosto banale, Holden. Ha preso a pugni il capitano? Davvero?»
«No. L’ho mancato. Mi sono rotto la mano su una paratia.»
«Com’è successo?»
«Era più rapido di quanto non mi aspettassi» rispose Holden.
«Perché ci ha provato?»
«Proiettavo il mio disprezzo per me stesso su di lui. È stato solo un caso che alla fine abbia ferito la persona giusta» rispose Holden.
«Sembrerebbe aver riflettuto sull’accaduto, da allora» osservò Lopez, con le pupille a capocchia di spillo che non si staccavano per un istante dal volto di Holden. «Terapia?»
«Ho avuto molto tempo per riflettere sulla Canterbury» replicò Holden.
Lopez ignorò l’ovvio riferimento e disse: «E che cosa ha concluso, durante tutto questo tempo passato a riflettere?»
«La Coalizione ha calpestato la gente delle zone esterne per più di un secolo. Non mi piaceva fare lo stivale.»
«Un simpatizzante dell’APE, quindi?» chiese Lopez, senza il minimo mutamento di espressione.
«No. Non ho cambiato bandiera. Ho soltanto smesso di giocare. Non ho rinunciato alla mia cittadinanza. Mi piace il Montana. Sono quassù perché amo volare, e soltanto una vecchia trappola arrugginita dei cinturiani come la Canterbury è stata disposta ad assumermi.»
Lopez sorrise per la prima volta. «Lei è un uomo eccessivamente onesto, signor Holden.»
«Già.»
«Perché ha dichiarato che è stata una nave militare marziana a distruggere il vostro mercantile?»
«Non l’ho fatto. Ho già spiegato tutto nella trasmissione dati. Gli aggressori disponevano di una tecnologia ad appannaggio esclusivo delle flotte dei pianeti interni, e ho personalmente rinvenuto un elemento appartenente alla MRCM nel trasmettitore che ci ha tratto in inganno, facendoci fermare.»
«Vorremmo vederlo.»
«Fate con comodo.»
«Il suo fascicolo dice che è l’unico figlio di una famiglia cooperativa» disse Lopez, comportandosi come se non avessero mai smesso di parlare del passato di Holden.
«Sì. Cinque padri, tre madri.»
«Tutti questi genitori per un figlio soltanto» osservò Lopez, scartando lentamente un’altra pastiglia. I marziani dedicavano un sacco di spazio alle famiglie tradizionali.
«L’agevolazione fiscale per otto adulti con un solo bambino consentiva loro di possedere ventidue acri di terreno coltivabile. Ci sono più di trenta miliardi di persone sulla Terra. Ventidue acri sono come un parco nazionale» disse Holden. «E poi, il miscuglio genetico è regolare. Sono genitori di nome e di fatto.»
«Come hanno deciso chi l’avrebbe portata in grembo?»
«Madre Elise aveva i fianchi più larghi.»
Lopez si mise la seconda pastiglia in bocca e la succhiò per qualche istante. Prima che potesse parlare di nuovo, il ponte fu scosso da un fremito. Il registratore sussultò sul suo braccetto meccanico.
«Missili?» disse Holden. «Immagino che quelle navi della Fascia non abbiano cambiato rotta.»
«Lei che ne pensa, signor Holden?»
«Solo che mi sembrate piuttosto propensi a distruggere navi cinturiane.»
«Lei ci ha messo in una posizione tale per cui non possiamo permetterci di apparire deboli. Dopo le sue accuse, c’è un sacco di gente che non ci vede di buon occhio.»
Holden si strinse nelle spalle. Se quell’uomo sperava di suscitare un senso di colpa o un rimorso in lui, gli avrebbe detto male. Quelle navi dalla Fascia sapevano a cosa andavano incontro. E non avevano invertito la rotta. Però c’era comunque qualcosa che non gli tornava.
«Può darsi che vi odino più della morte» riconobbe Holden. «Ma è piuttosto difficile trovare aspiranti suicidi a sufficienza per equipaggiare sei navi. Magari pensano di poter sfuggire ai missili.»
Lopez non si mosse; il suo corpo era innaturalmente immobile, con le droghe di concentrazione che gli scorrevano nel sangue.
«Noi...» fece per dire Lopez, ma fu interrotto dall’allarme generale. In quel piccolo scomparto metallico il suono era assordante.
«Cazzo, hanno risposto al fuoco?» chiese Holden.
Lopez si riscosse, come un uomo che si stesse svegliando da un sogno a occhi aperti. Si alzò e pigiò un tasto sul pannello di comunicazione accanto alla porta. Un marine arrivò pochi secondi dopo.
«Scorti il signor Holden nei suoi alloggi» disse Lopez, poi lasciò di corsa la stanza.
Il marine fece un gesto verso il corridoio con la canna del fucile. Aveva un’espressione dura in viso.
È sempre tutto rose e fiori finché qualcuno non ti spara addosso, pensò Holden.
Naomi diede due pacche sul sedile vuoto accanto al suo e sorrise.
«Ti hanno messo delle schegge sotto le unghie?» chiese.
«No. A dire il vero, è stato sorprendentemente umano per essere uno sgobbone dei servizi navali» rispose Holden. «Ovviamente, si stava solo scaldando. Voi avete sentito niente delle altre navi?»
Alex disse: «No. Ma quell’allarme significa che all’improvviso hanno deciso di prenderle sul serio.»
«È una follia» commentò piano Shed. «Andarsene in giro in queste bolle di metallo a cercare di riempirsi di buchi a vicenda. Avete mai visto gli effetti di un’esposizione a lungo termine alla decompressione e al freddo? Ti si spaccano tutti i capillari negli occhi e nella pelle. I danni al tessuto polmonare possono provocare una polmonite fulminante seguita da lacerazioni simili a un enfisema. Sempre che non muori prima, chiaro.»
«Be’, è un pensiero fottutamente incoraggiante, doc. Grazie davvero» disse Amos.
La nave vibrò all’improvviso con un ritmo irregolare ma ultraveloce. Alex fissò Holden con gli occhi sgranati.
«Questa è una raffica della difesa ravvicinata. Significa che ci sono dei razzi in avvicinamento» disse. «Sarà meglio mettersi le cinture, ragazzi. La nave potrebbe cominciare a fare qualche manovra brusca.»
Erano già tutti assicurati ai sedili tranne lui. Holden si mise la cintura.
«Così è uno schifo. L’azione vera sta accadendo a migliaia di chilometri da qui, e non abbiamo nessuno strumento per dare un’occhiata» disse Alex. «Non sapremo se qualcosa è riuscito a intrufolarsi attraverso lo scudo antiaereo finché non aprirà uno squarcio nel nostro scafo.»
«Cazzo, siete diventati tutti un vero spasso, eh?» disse Amos ad alta voce.
Shed aveva gli occhi sgranati e il viso troppo pallido. Holden scosse la testa.
«Non succederà» replicò. «Questo affare è indistruttibile. Qualunque cosa siano quelle navi, potranno fare un po’ di scena, ma niente di più.»
«Con tutto il rispetto, capitano,» ribatté Naomi «ma qualunque cosa siano quelle navi, a quest’ora dovrebbero essere già state distrutte, e non è così.»
Lontani rumori di combattimento a distanza continuarono a risuonare nella camera. Il sussulto occasionale di un missile che veniva sparato. La vibrazione continua dei cannoni di difesa ravvicinata ad alta intensità. Holden non si rese conto di essersi addormentato finché non fu risvegliato di soprassalto da un boato assordante. Amos e Alex si misero a gridare. Shed urlava più forte.
«Che cos’è successo?» gridò Holden al di sopra della confusione.
«Ci hanno colpito, cap!» rispose Alex. «Quello era l’impatto di un missile!»
All’improvviso, la gravità si dissolse. La Donnager aveva fermato i motori. O erano stati distrutti.
Amos continuava a gridare «Merda, merda, merda», coprendo tutti gli altri. Ma almeno Shed aveva smesso di berciare. Fissava con gli occhi spalancati nel vuoto oltre il sedile, bianco in viso. Holden si slacciò le cinture e si spinse verso il pannello di comunicazione.
«Jim!» lo chiamò Naomi. «Che cosa stai facendo?»
«Dobbiamo scoprire che cosa stia succedendo» rispose Holden da sopra la spalla.
Quando raggiunse la paratia accanto al portello, picchiettò sul pannello di comunicazione. Non ci fu risposta. Premette di nuovo il tasto di chiamata, poi cominciò a picchiare con il pugno sul portello. Non venne nessuno.
«Dove sono i nostri maledetti marine?» chiese.
Le luci si affievolirono, poi tornarono normali. Poi di nuovo, e ancora, in modo cadenzato.
«Queste sono le torrette gauss. Cazzo. È un combattimento a distanza ravvicinata» esclamò Alex attonito.
In tutta la storia della Coalizione, nessuna ammiraglia aveva mai ingaggiato un combattimento ravvicinato. E invece eccoli lì, costretti a impiegare i cannoni grossi, il che significava che la distanza era sufficientemente ridotta da consentire l’uso di armi non guidate. Si parlava di centinaia, forse perfino decine di chilometri, e non più di migliaia. In qualche modo, le navi della Fascia erano riuscite a sopravvivere al fuoco di sbarramento della Donnager.
«C’è qualcun altro qui che pensa che siamo fottutamente, disperatamente nella merda?» chiese Amos, con una nota di panico nella voce.
La Donnager cominciò a risuonare come un gong colpito più e più volte da un gigantesco martello. Fuoco di risposta.
Il proiettile di gauss che uccise Shed non fece nemmeno un rumore. Come un trucco di magia, due fori perfettamente circolari apparvero sulle pareti opposte della stanza, tracciando una linea che intersecava il sedile di Shed. Un momento prima, il medico era lì con loro; l’istante successivo, la sua testa era sparita dal pomo di Adamo in su. La pressione arteriosa pompò il sangue in una nube rossa che si divise in due fiotti sottili che vorticarono verso i fori nelle pareti della stanza mentre l’aria veniva risucchiata via.