9
Holden
«Le navi in avvicinamento continuano a non rispondere» disse Naomi, inserendo una chiave di comando sul pannello di comunicazione.
«Non mi aspettavo che lo facessero. Ma voglio mostrare alla Donnager che siamo preoccupati di essere inseguiti. A questo punto si tratta solo di pararci il culo» disse Holden.
Naomi si scrocchiò la schiena, stiracchiandosi. Holden tirò fuori una barretta proteica dalla scatola che aveva in grembo e gliela tirò.
«Mangia.»
Naomi aprì la confezione mentre Amos risaliva la scala e si buttava sul sedile accanto a lei. La sua tuta da lavoro era talmente sporca da sembrare lucida. Proprio come per gli altri, tre giorni passati nello spazio ristretto dello shuttle non avevano certo migliorato le sue condizioni di igiene. Holden alzò una mano e si grattò i capelli unti con disgusto. Il Knight era troppo piccolo per avere docce, e i lavandini a gravità zero erano troppo piccoli per poterci infilare la testa dentro. Amos aveva risolto il problema radendosi completamente. Ora gli rimaneva soltanto un’aureola di peluria ispida attorno alla pelata. In qualche modo, i capelli di Naomi erano rimasti luminosi e quasi per niente unti. Holden si chiese come facesse.
«Tirami un po’ di crocchette, vicecomandante» disse Amos.
«Capitano» lo corresse Naomi.
Holden tirò anche a lui una barretta proteica. Amos la prese al volo, poi osservò la lunga confezione con disgusto.
«Porca puttana, capo, darei la mia palla sinistra per del cibo che non avesse l’aspetto di un cazzo di gomma» disse Amos, poi picchiettò scherzosamente su Naomi con la barretta, come a fare un brindisi.
«A che punto siamo con l’acqua?» chiese Holden.
«Be’, ho passato la giornata a strisciare tra le paratie dello scafo. Ho stretto tutto quello che si poteva stringere e ho spalmato resina epossidica su tutto ciò su cui non si poteva, per cui direi che non abbiamo alcuna perdita.»
«Io continuerei comunque a razionare al massimo, Jim» disse Naomi. «I sistemi di riciclaggio del Knight sono scadenti. Lo shuttle non è mai stato progettato per riprocessare gli escrementi di cinque persone per due intere settimane.»
«Posso sopportare di stare a stecchetto. Dovremo solo imparare a convivere con la puzza gli uni degli altri. Ero preoccupato di sentirmi dire che non sarebbe minimamente bastata.»
«A tal proposito, me ne vado al mio armadietto a spruzzarmi un altro po’ di deodorante» disse Amos. «Dopo una giornata intera passata a strisciare nelle budella della nave, ho paura di non riuscir nemmeno a dormire, per quanto puzzo.»
Amos buttò giù l’ultimo boccone di cibo e schioccò le labbra con finta soddisfazione, poi si alzò dal sedile e tornò giù per la scala dell’equipaggio. Holden diede un morso alla sua barretta. Sapeva di cartone oliato.
«Che sta combinando Shed?» chiese. «È stato piuttosto silenzioso, in questi giorni.»
Naomi posò quel che restava della sua barretta sul pannello di comunicazione, accigliandosi.
«Te ne volevo parlare. Non se la sta cavando bene, Jim. Di tutti noi, è quello che ha più problemi ad accettare... ciò che è successo. Tu e Alex siete entrambi uomini della marina militare. Siete stati addestrati in caso di perdita di compagni di volo. Amos è nel ramo da talmente tanto tempo che, incredibile a dirsi, questa è la terza nave che va a farsi benedire mentre è in servizio.»
«E tu sei fatta interamente di ghisa e titanio» aggiunse Holden, facendo finta di scherzare.
«Non del tutto. All’ottanta, novanta percento massimo» replicò Naomi con un mezzo sorriso. «Dico sul serio. Credo che dovresti andarci a parlare.»
«Per dirgli cosa? Non sono uno psicologo. La versione militare di questo tipo di discorsi tira in ballo il dovere, il sacrificio per l’onore e la vendetta per i compagni caduti. Non funziona per niente bene quando i tuoi amici sono stati ammazzati senza alcun motivo apparente e non c’è sostanzialmente la minima possibilità di poterci far nulla.»
«Non ho detto che dovevi farlo star meglio. Ho detto che devi andarci a parlare.»
Holden si alzò dal sedile facendo il saluto militare.
«Sì, signora» rispose. Fece una pausa prima di scendere la scala. «Grazie ancora, Naomi. Sarei davvero...»
«Lo so. Ora va’ a fare il capitano» disse lei, tornando a occuparsi del suo pannello e richiamando la schermata operativa dello shuttle. «Io continuerò a fare ciao con la manina ai nostri vicini.»
Holden trovò Shed nella piccola infermeria del Knight. Più che altro una sorta di ripostiglio. A parte una brandina rinforzata, i pensili con i rifornimenti medici e una mezza dozzina di strumenti a parete, c’era spazio appena per uno sgabello attaccato al pavimento con dei piedini magnetici. Shed era seduto su di esso.
«Ehi, amico, ti spiace se entro?» chiese Holden. Ho davvero detto ‘Ehi amico’?
Paul si strinse nelle spalle e attivò una schermata d’inventario sul pannello a parete, aprendo vari cassetti e fissandone il contenuto. Facendo finta di essere impegnato in qualcosa.
«Senti, Shed. Questa faccenda della Canterbury è stata dura per tutti, e tu hai...» cominciò a dire Holden. Shed si voltò, tenendo tra le mani un tubetto bianco.
«Una soluzione di acido acetico al tre percento: mi ero scordato che ne avessimo, qui. Sulla Cant siamo a corto, e a bordo ho tre persone affette da condilomi a cui farebbe davvero comodo. Mi chiedo perché l’abbiano messa sul Knight, davvero» rispose Shed.
«Condilomi?» fu tutto quello che riuscì a replicare Holden.
«Verruche genitali. La soluzione di acido acetico è un trattamento per qualunque tipo di verruca. Le brucia. Fa un male cane, ma funziona bene. Non c’è motivo di tenerla qui sullo shuttle. L’inventario medico è sempre così incasinato...»
Holden aprì la bocca per intervenire, non trovò niente da dire e la richiuse.
«Abbiamo crema di acido acetico,» continuò Shed, con voce un po’ più stridula «ma niente elemcet per il dolore. Che cosa sarebbe più sensato avere, su uno shuttle? Se avessimo trovato qualcuno con un brutto caso di condilomi su quel relitto, saremmo stati a posto. E se invece avesse avuto qualche osso rotto? Peccato, sei stato sfortunato. Ti attacchi e tiri forte.»
«Senti, Shed» disse Holden, cercando di inserirsi.
«Ah, e senti questa: nessun acceleratore di coagulazione. Ma come diavolo è possibile? Ehi, non c’è mica il rischio che durante una missione di soccorso qualcuno possa, chissà, mettersi a sanguinare... Farsi venire le bolle sull’attrezzo, sicuro, ma sanguinare? Certo che no! Voglio dire, abbiamo quattro casi di sifilide sulla Cant. Una delle infezioni più vecchie che esistano, e ancora non riusciamo a liberarcene. Io lo dico sempre ai ragazzi: ‘Le prostitute della Stazione di Saturno si fanno sbattere da tutti gli spaccaghiaccio del circuito, quindi vedete di mettervelo, il guanto.’ Ma ti pare che mi diano retta? Certo che no. E allora eccoci qui, con la sifilide e mai abbastanza ciprofloxacina.»
Holden sentì la sua mascella scivolare in avanti. Afferrò il telaio della porta e si chinò nella saletta.
«Quelli sulla Cant sono tutti morti» disse Holden, pronunciando ogni parola con forza e brutale chiarezza. «Sono tutti morti. Quegli antibiotici non servono più a nessuno. E neppure la crema per le verruche.»
Shed smise di parlare, e si svuotò di tutta l’aria come se avesse incassato un pugno alla bocca dello stomaco. Richiuse i cassetti del pensile e spense la schermata di inventario con piccoli movimenti precisi.
«Lo so» disse piano. «Non sono stupido. Ho solo bisogno di un po’ di tempo.»
«Servirebbe a tutti. Ma siamo incastrati in questa lattina, e ci siamo insieme. Sarò onesto: sono sceso quaggiù perché Naomi era preoccupata per te ma, ora che sono qui, mi stai facendo davvero spaventare. Ma va bene, perché ora il capitano sono io, e fa parte delle mie mansioni. Però non posso permetterti di far stranire Alex o Amos. Siamo a dieci giorni dall’essere recuperati da una nave da guerra marziana, e la cosa mi spaventa già abbastanza senza che il dottore cominci a dar di matto.»
«Non sono un dottore, sono soltanto un tecnico» rispose Shed, con voce fioca.
«Sei il nostro dottore, va bene? Per i quattro che sono su questo shuttle, sei il nostro dottore. Se Alex comincia ad accusare episodi di stress post-traumatico e ha bisogno di medicine per darsi una calmata, è da te che verrà. E se ti troverà quaggiù a farneticare di verruche, si volterà, tornerà su nel cockpit e piloterà come capita. Hai voglia di piangere? Fallo insieme a noi. Ci sederemo nella cambusa a ubriacarci e frignare come bambini, ma lo faremo insieme, al sicuro. Non nasconderti più quaggiù.»
Shed annuì.
«Possiamo farlo?» disse.
«Fare cosa?» chiese Holden.
«Ubriacarci e frignare come bambini.»
«Diavolo, sì. È sul programma ufficiale di stasera. A rapporto in cambusa alle venti in punto, signor Garvey. E porti una tazza.»
Shed fece per replicare quando si attivò la linea di comunicazione generale e Naomi disse: «Jim, vieni sul ponte operativo.»
Holden afferrò la spalla di Shed per un istante, poi tornò su.
Una volta in plancia, vide che Naomi aveva di nuovo attivato la schermata di comunicazione e stava confabulando con Alex. Il pilota scuoteva la testa e aggrottava la fronte. Sullo schermo brillava una mappa.
«Che succede?» chiese Holden.
«Stiamo ricevendo un segnale laser diretto, Jim. Ci ha puntato e ha cominciato a trasmettere appena un paio di minuti fa» rispose Naomi.
«Dalla Donnager?» La nave da guerra marziana era l’unico oggetto che poteva pensare fosse all’interno di un perimetro adatto alla comunicazione laser.
«No. Dalla Fascia» disse Naomi. «E non si tratta di Ceres, né di Eros, e nemmeno di Pallas. Non proviene da nessuna delle stazioni più importanti.»
Indicò un puntino sul display.
«Proviene da qui.»
«Ma lì non c’è niente» osservò Holden.
«E invece no. Alex ha già controllato. Si tratta del sito di un grosso progetto di costruzione su cui sta lavorando la Tycho. Non abbiamo molti dettagli, ma i ritorni del radar sono piuttosto consistenti.»
«C’è qualcosa là fuori che ha un sistema di comunicazione in grado di puntarci addosso un puntino laser delle dimensioni del tuo ano da più di tre UA di distanza» disse Alex.
«Chiaro. Wow, impressionante. E che cosa dice il nostro puntino a forma di ano?» chiese Holden.
«Non ci crederai mai» rispose Naomi, e attivò il playback.
Un uomo dalla pelle scura e con le ossa del viso pronunciate, da terrestre, apparve sullo schermo. Aveva i capelli ingrigiti e il collo nodoso di vecchi muscoli. Sorrise e disse: «Salve, James Holden. Il mio nome è Fred Johnson.»
Holden premette il tasto pausa.
«Questo tizio ha una faccia conosciuta. Fa’ una ricerca nella banca dati dello shuttle su quel nome» disse.
Naomi non si mosse; si limitò a fissarlo con uno sguardo incredulo stampato in viso.
«Che c’è?» chiese lui.
«Quello è Frederick Johnson» rispose lei.
«E...?»
«Il colonnello Frederick Lucius Johnson.»
La pausa che seguì poteva essere durata un secondo o un’ora.
«Cristo» fu tutto ciò che Holden riuscì a replicare.
L’uomo sullo schermo era stato tra gli ufficiali più decorati dell’esercito delle Nazioni Unite, e aveva finito con l’essere uno dei suoi fallimenti più imbarazzanti. Per i cinturiani, Johnson era lo sceriffo di Nottingham terrestre che si era trasformato in Robin Hood. Per i terrestri, era l’eroe caduto in disgrazia.
Fred Johnson aveva cominciato la sua scalata al successo con una serie di catture di alto profilo di pirati cinturiani, durante uno di quei periodi di tensione tra la Terra e Marte che sembravano riattizzarsi ogni qualche decina d’anni per poi svanire in una nube di fumo. Ogni volta che le due superpotenze incrociavano le lame, il crimine all’interno della Fascia aumentava. Il colonnello Johnson, all’epoca capitano, e la sua piccola squadriglia di tre fregate missilistiche distrussero una dozzina di navi pirata e due delle loro basi principali nell’arco di due anni. Per quando la Coalizione aveva smesso di bisticciare, la pirateria era stata praticamente sgominata nella Fascia, e il nome di Fred Johnson era sulle labbra di tutti. Fu promosso e gli venne attribuito il comando della divisione della Marina della Coalizione incaricata del controllo della Fascia, dove continuò a distinguersi.
Fino alla Stazione di Anderson.
Si trattava di un piccolo deposito merci dalla parte opposta della Fascia rispetto al grande porto di Ceres; la maggior parte della gente, inclusi i cinturiani, non sarebbe stata in grado di situare la Stazione di Anderson su una mappa. Il suo unico attributo di una qualche importanza era il fatto di essere uno snodo minore di distribuzione di acqua e aria in uno dei punti più desolati della Fascia. Poco meno di un milione di cinturiani ricevevano il loro ossigeno da Anderson.
Gustav Marconi, un burocrate in carriera della Coalizione, di stanza su quella stazione, decise di implementare una sovrattassa di gestione del tre percento sulle merci di passaggio attraverso il suo scalo, nella speranza di riuscire a incrementare i profitti. Meno del cinque percento dei cinturiani che si rifornivano d’aria da Anderson vivevano attaccati a una bombola, per cui sarebbero stati poco meno di cinquantamila a dover rinunciare all’aria per un totale di un giorno al mese. E soltanto a una minima percentuale di questi cinquantamila mancava il margine necessario affinché i loro sistemi di riciclo riuscissero a sopperire a questo trascurabile inconveniente. Di questa minima percentuale, soltanto una piccola porzione decise che il ricorso alle armi sarebbe stata la scelta migliore.
Fu per questo che, del milione di cinturiani coinvolti dalla sovrattassa, furono soltanto in centosettanta a prendere d’assalto la stazione e a gettare Marconi fuori da un portellone pressurizzato. Dopodiché, pretesero che il governo estendesse loro la garanzia che non sarebbero più state applicate sovrattasse di gestione sul prezzo dell’aria e dell’acqua che passavano per quello scalo.
La Coalizione inviò il colonnello Johnson.
Durante il Massacro di Anderson, i cinturiani mantennero in funzione le telecamere, continuando a trasmettere quel che accadeva lì all’intero sistema solare. Tutti videro i marine della Coalizione combattere una lunga e sanguinosa battaglia, corridoio per corridoio, contro uomini che non avevano niente da perdere e nessun motivo di arrendersi. La Coalizione vinse, com’era scontato, ma ci vollero tre giorni di massacro in diretta. L’immagine emblematica di quel video non fu una scena di combattimento, ma l’ultimo fotogramma ripreso dalle telecamere di circuito prima che il segnale venisse interrotto: il colonnello Johnson nella sala operativa della stazione, circondato dai cadaveri straziati dei cinturiani che in quel punto avevano opposto un’ultima, strenua resistenza, con gli occhi fissi e inespressivi sulla carneficina e le mani inerti lungo i fianchi.
Le Nazioni Unite cercarono di far passare sotto silenzio le dimissioni del colonnello Johnson, ma la sua era una figura di spicco nel dibattito pubblico. Il video della battaglia aveva dominato la rete per settimane, scalzato soltanto quando l’ormai ex colonnello aveva rilasciato una dichiarazione pubblica in cui si scusava per quel massacro e annunciava che le relazioni tra la Fascia e i pianeti interni erano insostenibili ed erano destinate a generare tragedie ancor più gravi.
Dopo quell’episodio, Johnson scomparve. Il suo nome fu quasi dimenticato, come una nota a margine nella storia dei massacri umani, fino alla rivolta della colonia di Pallas, quattro anni più tardi. In questo caso furono i metalmeccanici della raffineria a sbattere fuori dal portello il governatore della Coalizione. E, invece di una piccola stazione con centosettanta ribelli, si trattava di un asteroide maggiore della Fascia, con centocinquantamila occupanti. Quando la coalizione inviò l’esercito, tutti si aspettavano un bagno di sangue.
Il colonnello Johnson apparve dal nulla e convinse i metalmeccanici a placarsi; trattò con i comandanti della coalizione e li persuase a trattenere i soldati finché la stazione non fosse stata riconsegnata pacificamente. Passò più di un anno a negoziare con il nuovo governatore della Coalizione per migliorare le condizioni di lavoro all’interno delle raffinerie. E, di colpo, il Macellaio di Anderson era diventato di nuovo un eroe e un’icona.
Un’icona che inviava messaggi privati al Knight.
Holden pigiò il tasto di riproduzione, e quel Fred Johnson disse: «Signor Holden, credo che la stiano incastrando. Mi lasci dire fin d’ora che la sto contattando in veste di rappresentante ufficiale dell’Alleanza dei Pianeti Esterni. Non so che cos’abbia sentito in giro, ma le assicuro che non siamo tutti un branco di cowboy impazienti di potersi conquistare la libertà a pistolettate. Ho trascorso gli ultimi dieci anni della mia esistenza a lavorare affinché la vita dei cinturiani potesse migliorare senza che nessuno si facesse sparare addosso. Credo a tal punto in questa idea da aver rinunciato alla mia cittadinanza terrestre nel momento in cui sono giunto qui.
«Le dico questo per farle capire quanto io mi senta coinvolto. Potrei essere l’uomo meno propenso alla guerra dell’intero sistema solare, e la mia voce ha un peso significativo in seno al consiglio dell’APE.
«Avrà forse sentito alcuni comunicati che sembrano già sul piede di guerra, intenti a reclamar vendetta contro Marte per quel che è successo alla vostra nave. Ho parlato con ogni capocellula APE di mia conoscenza, e nessuno di loro ha rivendicato quegli annunci.
«Qualcuno si sta dando molto da fare per dare inizio a una guerra. Qualora dovesse trattarsi di Marte, a partire dal momento in cui lei metterà piede sulla loro nave, non avrà più facoltà di dire una sola parola in pubblico che non le sia stata messa in bocca da strateghi marziani. Ma non voglio pensare che si tratti effettivamente di Marte. Non vedo che cosa avrebbero da guadagnare da una guerra. Nutro quindi una ragionevole speranza che, anche dopo essere stato raccolto dalla Donnager, lei possa avere una parte in quel che seguirà.
«Le invio una parola chiave: la prossima volta che trasmetterà un messaggio pubblico, usi il termine ‘ubiquo’ nella sua prima frase per indicare di non essere sotto costrizione. Se non la userà, capirò che invece lo è. Comunque vada, voglio che lei sappia che ha degli alleati nella Fascia.
«Non so chi o cosa fosse, prima, ma ora la sua voce è importante. Se vorrà usare questa voce per migliorare le cose, farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarla a ottenere questo risultato. Se tornasse in libertà, mi contatti all’indirizzo che seguirà. Credo che lei e io possiamo avere molto di cui parlare.
«Johnson, passo e chiudo.»
L’equipaggio si era accomodato nella cambusa per scolarsi una bottiglia di surrogato di tequila che Amos aveva trovato chissà dove. Shed beveva educatamente da una tazzina, cercando di nascondere una smorfia a ogni sorso. Alex e Amos trincavano come marinai: un dito abbondante sul fondo della tazza, e giù d’un fiato. Alex aveva l’abitudine di esclamare «Yeeeha!» dopo ogni shot. Amos invece usava una parolaccia diversa per ogni sorso. Erano arrivati all’undicesimo giro, e fino a quel momento era riuscito a non ripetersi.
Holden fissò Naomi. Lei fece girare la tequila nella sua tazza e gli restituì lo sguardo. Holden si trovò a chiedersi che sorta di incrocio genetico avesse generato i suoi lineamenti. C’era di sicuro un po’ d’Africa e di Sudamerica in lei. Il suo cognome suggeriva ascendenze giapponesi, appena distinguibili, come la linea allungata degli occhi. Non sarebbe mai stata considerata carina, convenzionalmente parlando, ma, vista dall’angolazione giusta, era davvero affascinante.
Cazzo, sono più ubriaco di quel che pensassi.
Per correre ai ripari, disse: «Allora...»
«Allora, il colonnello Johnson ti ha inviato un messaggio. È diventato un uomo importante, signore» intervenne Naomi.
Amos posò la tazza con esagerata cautela.
«Avevo giusto intenzione di chiedertelo, capitano. Non è che potremmo accettare la sua offerta di aiuto e dirigerci direttamente verso la Fascia?» disse. «Non so voi, ma con l’ammiraglia marziana a prua e quella mezza dozzina di navi ombra a poppa, ho l’impressione che l’ambiente si stia facendo un tantino sovraffollato.»
Alex sbuffò. «Stai scherzando? Se invertissimo la propulsione ora, arriveremmo a fermarci praticamente nel momento stesso in cui la Donnager ci sarebbe addosso. Stanno bruciando pure i mobili per raggiungerci prima che lo facciano le navi cinturiane. Se cominciamo a dirigerci verso di loro, la Donnie potrebbe interpretarlo come un segno che abbiamo cambiato squadra e polverizzarci tutti in un batter d’occhio.»
«Concordo con il signor Kamal» disse Holden. «Ormai abbiamo impostato la rotta e andremo fino in fondo. Non ho comunque intenzione di perdere le informazioni di contatto di Fred. A proposito, hai già cancellato il suo messaggio, Naomi?»
«Sì, signore. L’ho cancellato dalla memoria dello shuttle con la spugna d’acciaio. I marziani non sapranno mai che ci ha contattato.»
Holden annuì e aprì un po’ la zip della sua tuta. Con cinque persone nella cambusa cominciava a far troppo caldo. Naomi inarcò un sopracciglio alla vista della sua maglietta vecchia di giorni. Imbarazzato, Holden ritirò su la zip.
«Quelle navi per me non hanno senso, capo» disse Alex. «Mezza dozzina di veicoli in missione suicida con delle testate nucleari incollate agli scafi potrebbe scalfire appena un mostro da battaglia come la Donnie, ma non molto altro. Se attiva il suo sistema di puntamento difensivo in rete e i cannoni, l’ammiraglia è in grado di creare una zona di interdizione di mille chilometri tutto intorno a sé. Potrebbero aver già eliminato quelle sei navi con dei missili, ma credo che siano confusi quanto noi riguardo alla loro identità.»
«Avranno compreso che non possono raggiungerci prima della Donnager» rispose Holden. «E non possono competere sul piano bellico. Non riesco a capire che cos’abbiano in mente.»
Amos divise l’ultimo goccio di tequila tra le tazze di ciascuno di loro e alzò la sua per un brindisi.
«E allora immagino che lo scopriremo, cazzo.»