28
Miller
La prima volta che Miller aveva ucciso una persona era stato durante il suo terzo anno nelle forze dell’ordine. Aveva ventidue anni, si era appena sposato e parlava di avere dei figli. In quanto ultimo arrivato, gli assegnavano sempre i lavori più schifosi: pattugliare livelli così alti che il Coriolis gli faceva venire il mal di mare, intervenire nei casi di violenza domestica in buchi non più grandi di un cassonetto, montare la guardia alla cella per ubriachi per evitare che alcuni stuprassero altri che erano privi di sensi. Il solito nonnismo. Sapeva che doveva aspettarselo. Aveva pensato di poterlo sopportare.
La chiamata era arrivata da un ristorante illegale situato quasi sulla massa centrale. A meno di un decimo di g, la gravità era poco più che un’impressione, e il suo orecchio interno era confuso e angariato dal cambiamento di rotazione. Quando ci ripensava, riusciva ancora a ricordare il suono delle voci alte, troppo rapide e sbiascicate per distinguerne le parole. Quella puzza di formaggio fatto in casa. La timida foschia di fumo della piastra elettrica da due soldi.
Era successo tutto in fretta. Il sospettato era uscito dal buco con la pistola in mano, trascinandosi dietro una donna per i capelli con l’altra mano. Il partner di Miller, un veterano con dieci anni di esperienza di nome Carson, aveva gridato l’avvertimento di rito. Il sospettato si era voltato, girando la pistola con il braccio teso come uno stuntman in un video.
Durante tutto l’addestramento, gli istruttori avevano detto che non potevi sapere cosa avresti fatto finché non fosse giunto il momento. Uccidere un altro essere umano era dura. Alcuni non ci riuscivano. La pistola del sospettato era arrivata a puntare verso di loro; l’uomo aveva lasciato andare la donna e aveva gridato. Alla fine era saltato fuori che, perlomeno per Miller, non era poi così difficile.
Dopo, l’avevano sottoposto a delle sedute obbligatorie di consulenza psicologica. Aveva pianto. Aveva sofferto d’incubi, di tremori e di tutte quelle cose che i poliziotti sopportavano in silenzio, senza parlarne con nessuno. Anche allora, però, gli era sembrato che avvenisse in un mondo distante da lui, come se si fosse ubriacato al punto da vedersi dall’esterno mentre vomitava in un cesso. Era solo una reazione fisica. Sarebbe passata.
La cosa più importante era che conosceva la risposta alla domanda. Sì. Se ne avesse avuto bisogno, era in grado di togliere la vita.
Ma soltanto ora, avanzando lungo i corridoi di Eros, aveva gioito nel farlo. Perfino abbattere quel povero bastardo durante la prima sparatoria gli era sembrata una triste incombenza di lavoro. Il piacere di uccidere era giunto soltanto dopo il fatto di Julie; e non era vero e proprio piacere, quanto piuttosto un breve istante in cui aveva smesso di soffrire.
Teneva la pistola bassa. Holden riprese a scendere per la rampa e Miller lo seguì, lasciando che il terrestre prendesse l’iniziativa. Holden camminava più rapidamente di lui e con l’atletismo innato di qualcuno che aveva l’abitudine di vivere in una moltitudine di gravità diverse. Miller aveva la sensazione di aver innervosito Holden, e un po’ se ne pentiva. Non era stata sua intenzione, e aveva davvero bisogno di salire a bordo della nave di Holden se voleva scoprire i segreti di Julie.
O, se non altro, per non morire di esposizione alle radiazioni nelle ore successive. Quello sembrava uno scopo più sottile di quanto non fosse.
«Okay» disse Holden una volta arrivato in fondo alla rampa. «Dobbiamo tornare giù, e ci sono un sacco di guardie tra noi e Naomi che saranno piuttosto confuse nel vedere due tizi che procedono nella direzione sbagliata.»
«Questo è un problema» concordò Miller.
«Hai qualche idea?»
Miller si accigliò e studiò il pavimento. I pavimenti di Eros erano diversi da quelli di Ceres: in laminato, con paillettes dorate.
«La metropolitana non dovrebbe essere in funzione» disse. «Se lo fosse, sarà comunque in procedura di evacuazione, e si fermerà soltanto al capolinea, giù ai casinò. Per cui direi che non è un’opzione.»
«Di nuovo i corridoi di servizio?»
«Se riusciamo a trovare quello che attraversa i livelli» disse Miller. «Potrebbe essere un po’ complicato, ma mi pare meglio che farci strada sparando a due dozzine di pezzi di merda in armatura. Quanto tempo abbiamo prima che i tuoi amici se la diano a gambe?»
Holden guardò il suo palmare. L’allarme radiazioni era ancora di un rosso acceso. Miller si chiese quanto tempo gli ci volesse per ripristinarsi.
«Poco più di due ore» disse Holden. «Non dovrebbe essere un problema.»
«Vediamo cosa riusciamo a trovare» disse Miller.
I corridoi più vicini ai rifugi antiradiazioni – le trappole mortali, gli incubatori – erano stati svuotati. Gli ampi passaggi costruiti per accomodare le antiche attrezzature da costruzione che avevano scavato Eros fino a farne un luogo abitabile per gli umani erano inquietanti, con la sola presenza di Holden e Miller e del ronzio basso dei riciclatori d’aria. Miller non aveva fatto caso al momento in cui gli altoparlanti avevano cessato di trasmettere il comunicato, ma il loro silenzio ora gli parve essere di cattivo auspicio.
Se fossero stati su Ceres, avrebbe saputo dove andare, dove portava ogni vicolo, come muoversi agilmente tra un livello e l’altro. Su Eros, però, non poteva far altro che tirare più o meno a indovinare. Non era poi così male.
Ma poteva comunque capire che ci stavano mettendo troppo e, quel che era peggio, non ne stavano parlando. Nessuno dei due parlava; camminavano più lentamente del normale. Il dolore non era ancora arrivato alla soglia della coscienza, ma Miller sapeva che entrambi i loro corpi stavano cominciando a risentire del danno radioattivo. E la situazione non sarebbe andata migliorando.
«Okay» disse Holden. «Da queste parti dovrebbe esserci un cunicolo di servizio.»
«Potremmo anche provare la stazione della metropolitana» propose Miller. «I vagoni viaggiano nel vuoto ma potrebbero anche esserci dei tunnel di servizio paralleli al tubo.»
«Non credi che potrebbero averli chiusi durante il rastrellamento?»
«Probabile» disse Miller.
«Ehi! Voi due! Che cazzo credete di fare, qui fuori?»
Miller si guardò alle spalle. Due uomini in tenuta antisommossa stavano rivolgendo loro dei gesti minacciosi. Holden imprecò sottovoce. Miller strizzò gli occhi.
Il fatto era che quegli uomini erano dei dilettanti. L’embrione di un’idea si agitò in un angolino della mente di Miller mentre guardava i due che si avvicinavano. Ucciderli e prendere il loro equipaggiamento non avrebbe funzionato. Non c’era niente di meglio che chiazze di sangue e bruciature per dare a intendere che c’era qualcosa di losco. Però...
«Miller» disse Holden, con un tono di avvertimento nella voce.
«Sì» rispose Miller. «Lo so.»
«Che cazzo pensate di fare voi due, ho detto!» ripeté uno degli uomini della sicurezza. «La stazione è in procedura di blocco. Tutti i cittadini devono dirigersi giù verso il livello dei casinò o verso i rifugi antiradiazioni.»
«Stavamo giusto cercando un modo per... ehm... scendere al livello dei casinò» spiegò Holden, sorridendo e assumendo un atteggiamento completamente innocuo. «Non siamo del posto, e...»
La guardia più vicina lo colpì seccamente sulla gamba con il calcio del fucile. Il terrestre incespicò e Miller sparò allo sgherro appena sotto la visiera, poi si voltò di scatto verso l’altro sbirro, rimasto a bocca aperta.
«Tu sei Mikey Ko, giusto?» domandò Miller.
Il viso dell’uomo si fece ancor più pallido, ma annuì. Holden gemette e si rialzò in piedi.
«Sono l’ispettore Miller» disse l’ex poliziotto. «Ti ho messo dentro su Ceres più o meno quattro anni fa. Ti eri un po’ lasciato prendere la mano in un bar. Il Tappan’s, se non sbaglio... Picchiasti una ragazza con una stecca da biliardo, dico bene?»
«Oh... Ehi!» disse l’uomo con un sorriso spaventato. «Sì, mi ricordo di te. Come te la passi?»
«Alti e bassi» rispose Miller. «Sai com’è. Consegna la tua pistola al terrestre.»
Lo sguardo di Ko passò da Miller a Holden, poi tornò sull’ex poliziotto. Lo scagnozzo si leccò le labbra, soppesando le sue possibilità. Miller scosse la testa.
«Andiamo» disse. «Dagli la pistola.»
«Certo, sì. Non c’è problema.»
Quello era il genere di uomo che aveva ucciso Julie, pensò Miller. Stupido. Avventato. Un uomo che al posto dell’anima aveva solo un violento appetito opportunista. La Julie mentale di Miller scosse la testa disgustata e affranta, e Miller si ritrovò a chiedersi se quel gesto avesse di mira lo sgherro che stava consegnando il fucile a Holden o lui. Forse entrambi.
«Che sta succedendo, qui, Mikey?» chiese Miller.
«Che vuoi dire?» domandò quello, facendo il finto tonto, come se si fossero trovati in una stanza per gli interrogatori. Cercando di prendere tempo. Recitando il vecchio copione tra sbirro e criminale, come se avesse ancora un senso. Come se non fosse cambiato niente. Miller fu sorpreso di sentirsi un nodo in gola. Non sapeva che cosa significasse.
«Il lavoro» riprese. «Che lavoro è?»
«Non lo so...»
«Ehi» disse Miller con gentilezza. «Ho appena ammazzato il tuo compare.»
«È il terzo, oggi» aggiunse Holden. «L’ho visto coi miei occhi.»
Miller riusciva a leggere la furbizia maligna nello sguardo di quell’uomo, la mutevolezza, lo spostarsi da una strategia all’altra. Era una roba vecchia, familiare e prevedibile come un rivolo d’acqua che scende verso il basso.
«Be’» disse Ko. «È solo un lavoretto. Un anno fa ci hanno detto che ci sarebbe stato un grosso cambiamento, chiaro? Ma nessuno sa che cos’è. E qualche mese fa hanno cominciato a far spostare i ragazzi. A addestrarci come se fossimo degli sbirri, capito come?»
«Chi vi ha addestrati?» chiese Miller.
«Quelli che erano qui prima di noi, con l’appalto per la sicurezza della stazione» rispose Ko.
«Protogen?»
«Una roba del genere, sì» disse quello. «Poi se ne sono andati e noi abbiamo preso il loro posto. Solo lavori pesanti, hai presente... Un po’ di contrabbando.»
«Contrabbando di cosa?»
«Un po’ di tutto» disse Ko. Stava cominciando a sentirsi più sicuro, e si vedeva nel suo atteggiamento e nel modo in cui parlava. «Equipaggiamento di polizia, sistemi di comunicazione, server cazzutissimi con software gelatinosi già preinstallati... e strumentazione scientifica. Roba per monitorare l’aria, l’acqua e cazzate del genere. E anche vecchi robot per l’accesso remoto, come quelli che si usavano per scavare nel vuoto. Un po’ di tutto.»
«Dove portavate tutta questa roba?» chiese Holden.
«Qui» rispose Ko, indicando intorno a sé, con riferimento all’asteroide e alla stazione. «È tutto qui. Ci hanno messo tipo mesi, a installare quella merda. E poi, per settimane, più niente.»
«In che senso, niente?» chiese Miller.
«Niente di niente. Tutto quel lavoro preparatorio, e poi ce ne siamo rimasti con le mani in mano, a girarci i pollici.»
Qualcosa era andato storto. Il morbo di Phoebe non era arrivato al momento previsto; poi però era venuta Julie, pensò Miller, e i giochi erano ripresi. La rivide ancora, come gli era apparsa nella stanza. Quei lunghi tentacoli di chissà cosa, le schegge d’ossa che le premevano sulla pelle per lacerarla dall’interno, la schiuma nera e filamentosa che le colava dagli occhi.
«La paga è buona, però» disse filosoficamente Ko. «Ed è stato bello godersi un po’ di tempo libero.»
Miller annuì, gli si fece più vicino, infilò la canna della pistola tra gli strati di corazza sul ventre di Ko e gli sparò.
«Ma che cazzo!» disse Holden mentre Miller si rimetteva la pistola nella tasca della giacca.
«Che cosa credevi che sarebbe successo?» chiese Miller, accovacciandosi accanto all’uomo con il proiettile in pancia. «Non ci avrebbe mica lasciati andare.»
«Be’, okay» riconobbe Holden. «Però...»
«Aiutami a rialzarlo» disse Miller, passando un braccio sotto la spalla di Ko. Quando lo sollevò da terra, l’uomo lanciò un grido di dolore.
«Cosa?»
«Sorreggilo dall’altra parte» disse Miller. «Ha bisogno di cure mediche, dico bene?»
«Uhm... sì» rispose Holden.
«E allora sorreggilo dall’altra parte.»
I rifugi antiradioattivi non erano poi così lontani come si era aspettato Miller, il che aveva i suoi pro e i suoi contro. Di buono c’era che Ko era ancora vivo e urlante. Era probabile che fosse anche lucido, il che non era quello Miller aveva sperato. Ma, quando raggiunsero il primo gruppo di guardie, il balbettio incoerente di Ko era abbastanza incomprensibile da fare il suo gioco.
«Ehi!» gridò Miller. «Qualcuno ci aiuti!»
In cima alla rampa, le quattro guardie si guardarono incerte e cominciarono a venir loro incontro, lasciando che la curiosità avesse la meglio sulle procedure operative più elementari. Holden respirava a fatica. Anche Miller. Ko non era poi così pesante. Era un brutto segno.
«Che diavolo è successo?» chiese una delle guardie.
«C’è una manciata di bastardi trincerata laggiù» rispose Miller. «Una resistenza. Credevo che aveste rastrellato l’intero livello.»
«Non era compito nostro» disse lo sgherro. «Noi dovevamo soltanto assicurarci di portare la gente dai casinò ai rifugi.»
«Be’, qualcuno ha fatto qualche cazzata» scattò Miller. «Avete un mezzo di trasporto?»
Le guardie si scambiarono un’altra occhiata incerta.
«Possiamo farne venire uno» disse un tipo da dietro il primo.
«Lascia perdere» rispose Miller. «Andate a cercare quei bastardi.»
«Aspetta un momento» disse il primo sgherro. «E voi chi diavolo sareste, esattamente?»
«Installatori della Protogen» spiegò Holden. «Stiamo sostituendo i sensori difettosi. Questo tipo ci stava dando una mano.»
«Non ho sentito di niente del genere» obiettò il capo dei quattro.
Miller infilò un dito sotto l’armatura di Ko e l’affondò nella ferita. Ko gridò e cercò di divincolarsi.
«Parlatene col vostro capo quando avrete un po’ di tempo libero» disse Miller. «Andiamo. Portiamo questo sacco di patate da un medico.»
«Fermo!» esclamò la prima guardia, e Miller sospirò. Erano in quattro. Se avesse lasciato cadere Ko e si fosse messo in copertura... Ma non c’erano ripari a portata di mano. E chissà che cosa avrebbe fatto Holden.
«Dove sono gli assalitori?» chiese la guardia. Miller si impedì di sorridere.
«C’è un buco, giù, a un quarto di chilometro in senso inverso alla rotazione» disse Miller. «Il corpo di quell’altro è ancora lì. Non potete sbagliarvi.»
Miller oltrepassò la rampa. Alle sue spalle, le guardie stavano dibattendo sul da farsi, su chi chiamare, su chi mandare.
«Tu sei completamente fuori di testa» disse Holden al di sopra del piagnisteo semincosciente di Ko.
Forse aveva ragione.
Quand’è, si chiese Miller, che smetti di essere umano? Doveva esserci un momento, una decisione che prendevi e, prima di essa eri una persona e dopo diventavi qualcun altro. Mentre attraversavano i livelli di Eros con il corpo sanguinante di Ko tra lui e Holden, Miller rifletteva. Probabilmente stava morendo per l’esposizione alle radiazioni. Si era fatto largo a furia di menzogne oltre una mezza dozzina di individui che l’avevano lasciato passare soltanto perché erano abituati a trattare con gente che aveva paura di loro, mentre lui non ne aveva. Aveva ucciso tre persone nelle ultime due ore. Quattro, se contava anche Ko. Probabilmente quattro era il numero più esatto.
La parte analitica della sua mente, quella vocina tranquilla che aveva coltivato per anni, lo guardava mentre si muoveva e ripassava tutte le proprie decisioni. Tutto ciò che aveva fatto aveva avuto perfettamente senso, sul momento. Sparare a Ko. Sparare agli altri tre. Lasciare la sicurezza del nascondiglio dell’equipaggio per investigare sulla situazione. Emotivamente, ogni cosa era stata ovvia sul momento. Era soltanto quando esaminava le sue azioni vedendole dall’esterno che gli sembravano pericolose. Se avesse visto qualcun altro fare cose del genere – Muss, Havelock, Sematimba – non ci avrebbe messo più di un minuto a capire che erano usciti di senno. Ma, visto che si trattava di lui, ci aveva impiegato più tempo a rendersene conto. Holden aveva ragione. A un certo punto, aveva perso la testa.
Voleva convincersi che era stato per via di come aveva ritrovato Julie, per aver visto quel che era successo al suo corpo, per il fatto di sapere che non era stato capace di salvarla, ma quello era soltanto stato il momento più emotivo. La verità era che, delle sue decisioni prima di quell’evento – lasciare Ceres per andare in giro a caccia di Julie, bersi la carriera di una vita, restare in polizia anche soltanto per un giorno in più dopo aver ucciso la sua prima vittima tutti quegli anni addietro – nessuna sembrava avere un senso, ripensandoci con un po’ di obiettività. Aveva buttato alle ortiche un matrimonio con una donna che aveva amato. Aveva vissuto immerso fino al collo nel peggio di ciò che l’umanità aveva da offrire. Aveva sperimentato in prima persona che era capace di uccidere un altro essere umano. E mai, durante tutto quel percorso, c’era stato un momento di cui poteva dire: ecco, qui ero un uomo sano di mente, e dopo non lo sono stato più.
Forse era un processo cumulativo, come fumare sigarette. Una non faceva poi un gran danno. Cinque nemmeno. Ogni emozione che si era negato, ogni contatto umano che aveva rifiutato, ogni amore, amicizia e momento di compassione da cui era rifuggito, l’avevano allontanato sempre un po’ di più da sé stesso. Fino a quel momento, era stato in grado di uccidere un uomo impunemente. Di guardare in faccia la morte con un diniego della realtà che gli aveva permesso di pianificare e agire.
Nella propria mente, Julie Mao inclinò la testa, intenta ad ascoltare i suoi pensieri. Lo abbracciò, tenendolo stretto con il corpo contro il suo, in un modo più confortante che erotico. Consolatorio. Un atto di perdono.
Era per questo che l’aveva cercata. Julie era diventata la parte di lui che era capace di provare sentimenti umani. Il simbolo di ciò che sarebbe stato se non fosse stato ciò che era. Non aveva motivo di pensare che la sua Julie immaginaria avesse qualcosa in comune con la donna reale. Se l’avesse incontrata, sarebbe stata una delusione per entrambi.
Doveva crederci, proprio come aveva dovuto credere in tutto ciò che fino ad allora l’aveva tagliato fuori dall’amore.
Holden si fermò, con il corpo ormai senza vita di Ko che strattonò indietro Miller e lo fece tornare alla realtà.
«Che c’è?» disse Miller.
Holden indicò con il mento il pannello di accesso che avevano di fronte. Miller lo guardò senza capire, e poi lo riconobbe. Ce l’avevano fatta. Erano tornati al nascondiglio.
«Stai bene?» chiese Holden.
«Sì» rispose Miller. «Avevo la testa tra le nuvole. Scusa.»
Lasciò cadere Ko e lo scagnozzo scivolò a terra con un tonfo sordo. Il braccio di Miller si era addormentato. Lo scosse, ma il formicolio rimase. Fu attraversato da un’ondata di nausea e vertigini. I sintomi, pensò.
«Come siamo messi, a tempo?» chiese Miller.
«Appena cinque minuti di ritardo. Non sarà un problema» rispose Holden, mentre apriva il portello facendolo scivolare di lato.
Il corridoio dove si erano nascosti Naomi, Alex e Amos era vuoto.
«Cazzo» disse Holden.