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Miller

Miller sedeva da solo, fissando le grandi finestre panoramiche senza vedere quello che c’era dietro. Il whisky di muffe sul basso tavolo nero accanto a lui era rimasto nel bicchiere allo stesso livello di quando l’aveva comprato. Non era veramente un drink. Era un permesso di sedersi. C’era sempre stata una manciata di vagabondi, anche su Ceres. Uomini e donne che avevano esaurito la loro fortuna. Senza un posto in cui andare, senza nessuno a cui chiedere favori. Nessuna connessione con la vasta rete dell’umanità. Aveva sempre provato una sorta di simpatia per quegli individui, una comunanza di spirito.

Ora faceva davvero parte di quella tribù disconnessa.

Qualcosa di luminoso apparve sulla pelle della grande nave generazionale; forse una matrice di saldatura che posizionava un’intricata rete di sottili connessioni. Oltre la Nauvoo, annidata nella continua attività della Stazione di Tycho, simile a un alveare, c’era quella sorta di mezza arca che era la Rocinante, come una casa che un tempo era stata anche sua. Conosceva la storia di Mosè, che vedeva una terra promessa in cui non sarebbe mai entrato. Miller si chiese come si sarebbe sentito il vecchio profeta se fosse stato fatto entrare per un istante – un giorno, una settimana, un anno – e poi ricacciato nel deserto. Sarebbe stato più dolce non lasciare mai quelle lande desolate. Più sicuro.

Accanto a lui, Juliette Mao lo guardava dall’angolino della sua mente, che Miller aveva ricavato apposta per lei.

Avrei dovuto salvarti, pensò. Avrei dovuto ritrovarti. Trovare la verità.

E non l’hai fatto?

Lui le sorrise e lei gli restituì il sorriso, stanca del mondo tanto quanto lo era lui. Certo che l’aveva fatto. L’aveva trovata, aveva scoperto chi fosse stato a ucciderla, e Holden aveva ragione. Si era vendicato. Aveva compiuto tutto ciò che si era ripromesso di fare. Solo che tutto questo non l’aveva salvato.

«Posso portarle qualcosa?»

Per mezzo secondo, Miller pensò che fosse stata Julie a parlare. La cameriera aveva già aperto la bocca per chiederglielo una seconda volta quando Miller scosse la testa. No, lei non poteva. E, se anche fosse stata in grado di farlo, lui non poteva permetterselo.

Sapevi che non sarebbe durata, disse Julie. Holden, il suo equipaggio. Lo sapevi che non era il tuo posto, quello. Il tuo posto è qui con me.

Una botta improvvisa di adrenalina risvegliò il suo cuore stanco. Miller si guardò intorno, cercandola, ma Julie era sparita. Il suo riflesso autoindotto di attacco o fuga non gli lasciava spazio per quelle allucinazioni a occhi aperti. Eppure... Il tuo posto è qui con me.

Si chiese quante persone conoscesse che avessero finito per imboccare quella strada. I poliziotti avevano una lunga tradizione di suicidi, che affondava le sue radici in tempi ben precedenti all’epoca in cui l’umanità era uscita dal pozzo di gravità. Eccolo lì, senza una casa, senza un amico, con più sangue sulle mani in quell’ultimo mese di quanto non ne avesse accumulato in tutta la sua passata carriera. Lo strizzacervelli della centrale su Ceres la chiamava ‘ideazione suicida’ nella sua presentazione annuale alle squadre di sicurezza. Qualcosa a cui prestare attenzione, come i parassiti genitali o il colesterolo alto. Non era un grosso problema, se si stava attenti.

Per cui sarebbe stato attento. Per un po’. Per vedere dove andava a finire.

Si alzò in piedi, esitò per tre battiti, poi afferrò il suo bicchiere di bourbon e lo scolò d’un fiato. Coraggio liquido, lo chiamavano, e sembrò funzionare. Tirò fuori il terminale, inserì una richiesta di connessione e cercò di ricomporsi. Non era ancora al capolinea. E, se doveva vivere, aveva bisogno di un lavoro.

«Sabez nichts, Pampaw» disse Diogo. Il ragazzino indossava una maglietta a rete e pantaloni tanto giovanili quanto orribili; nella sua vita precedente, Miller l’avrebbe probabilmente catalogato come troppo giovane per conoscere qualche informazione utile. Ora Miller era in attesa. Se c’era qualcosa che poteva estorcere una promessa a Diogo, era la prospettiva di far ottenere a Miller un buco tutto suo. Il silenzio si protrasse. Miller si costrinse a non parlare per paura di dover supplicare.

«Be’...» disse Diogo cautamente. «Be’. C’è un hombre che potrebbe potere. Solo braccio e occhio.»

«Il lavoro di guardia di sicurezza mi sta bene» rispose Miller. «Qualsiasi cosa che possa aiutarmi a pagare le bollette.»

«Il conversa á do. Sento cosa è detto.»

«Ti sarò grato per quello che potrai fare» rispose Miller, poi fece un gesto verso il letto. «Ti spiace se...?»

«Mi cama es tu cama» disse Diogo. Miller si sdraiò.

Diogo entrò nella piccola doccia, e il rumore dell’acqua sulla pelle affogò quello del riciclatore d’aria. Miller non aveva vissuto in circostanze fisiche tanto intime dal suo matrimonio, nemmeno su una nave. Eppure, non si sarebbe spinto tanto in là da definire Diogo un amico.

Su Tycho c’erano meno opportunità di quanto avesse sperato, e non aveva molte referenze. Le poche persone che lo conoscevano non erano propense a parlare in suo favore. Ma doveva pur esserci qualcosa. Tutto ciò che gli serviva era un modo per ricostruirsi, per ricominciare da capo e diventare qualcuno di diverso da chi era stato fino ad allora.

Dando per scontato, naturalmente, che la Terra o Marte – chiunque fosse uscito vincitore dalla guerra – non decidesse di cancellare dal cielo l’APE e tutte le stazioni a essa leali. E che la protomolecola non uscisse fuori da Eros, portando sterminio su un altro pianeta. O su una stazione. O uccidendo lui. Ebbe un brivido passeggero al ricordo del campione di quella cosa che era ancora a bordo della Roci. Se fosse successo qualcosa, Holden e Naomi, Alex e Amos rischiavano di raggiungere Julie molto prima di lui.

Si disse che non era più un suo problema. Però sperava che sarebbero stati bene. Voleva che stessero bene, anche se lui non stava bene affatto.

«Ehi, Pampaw» disse Diogo mentre apriva la porta sul corridoio pubblico. «Hai sentito che Eros ha cominciato a parlare?»

Miller si tirò su appoggiandosi su un gomito.

«Sì» proseguì Diogo. «Qualunque cosa sia quella merda, ha cominciato a trasmettere. Ci sono pure parole e altre merdate. Ho un video. Vuoi ascoltare?»

No, pensò Miller. No, quei corridoi li ho visti con i miei occhi. Quel che è successo a quelle persone, per poco non accadeva anche a me. Non voglio avere niente a che fare con quell’abominio.

«Sicuro» disse.

Diogo tirò fuori il suo terminale palmare e digitò qualcosa. Il terminale di Miller trillò, segnalando di aver ricevuto un nuovo collegamento.

«Chicá perdída in plancia ne ha mischiato un po’ con del bhangra» disse Diogo, facendo un passo di danza con le anche. «Tosta, eh?»

Diogo e gli altri irregolari dell’APE avevano fatto breccia in una stazione di ricerca di altissimo valore, avevano affrontato una delle società più potenti e malvagie nella storia del potere e della malvagità. E ora facevano musica con le grida dei moribondi. O dei morti. Ci ballavano sopra nei loro club di quart’ordine. Come dev’essere, pensò Miller; giovani e senz’anima.

Ma no. Non era giusto. Diogo era un bravo ragazzo. Era solo un po’ ingenuo. L’universo se ne sarebbe occupato, con un po’ di tempo a disposizione.

«Tosta» disse Miller. Diogo sorrise.

Il video era rimasto in coda, in attesa. L’ex poliziotto spense le luci, lasciando che la brandina sopportasse il suo peso nella pressione della rotazione. Non voleva sentire. Non voleva sapere. Ma doveva farlo.

All’inizio, il rumore non era niente; ronzii elettrici e fruscio elettrostatico incontrollato. Poi ci fu forse qualcosa in sottofondo, una musica. Un coro di viole che rimestavano insieme in un lungo, distante crescendo. Poi, con la stessa chiarezza di qualcuno che stava parlando in un microfono, giunse una voce.

«Conigli e hamster. Ecologicamente squilibranti, rotondi e blu come raggi lunari. Agosto.»

Quasi sicuramente non si trattava di una persona in carne e ossa. I sistemi computerizzati su Eros potevano generare un numero qualunque di dialetti e voci perfettamente convincenti. Di uomini, donne e bambini. E quanti milioni di ore di dati potevano esserci sui computer e nei depositi di memoria di tutta la stazione?

Un altro ronzio elettronico, come di fringuelli che volteggiavano in cerchio. Una nuova voce, stavolta femminile e dolce, con un battito insistente in sottofondo.

«Il paziente lamenta un battito accelerato e sudori notturni. L’emergere della sintomatologia risale a tre mesi fa, ma con una storia...»

La voce s’infiacchì e il battito aumentò. Come un vecchio con dei fori da groviera svizzera nel cervello, il complesso sistema che era stato Eros stava morendo, cambiando, perdendo la testa. E, poiché la Protogen l’aveva cablato tutto, ora Miller poteva starsene ad ascoltare mentre la stazione andava in rovina.

«Non gliel’ho detto. Non gliel’ho detto. Non gliel’ho detto. L’alba. Non ho mai visto l’alba.»

Miller chiuse gli occhi e sprofondò verso il sonno, cullato dalla serenata di Eros. Mentre la sua coscienza si diluiva, s’immaginò un corpo nel letto accanto a sé, caldo e vivo, che respirava lentamente a tempo con il crescere e il diminuire del fruscio elettrostatico.

Il manager era un uomo magro, allampanato, con i capelli pettinati all’indietro sulla fronte come un’onda che non si infrangeva mai. L’ufficio si stringeva intorno a loro, ronzando di tanto in tanto quando l’infrastruttura – acqua, aria, energia – di Tycho incideva sulle sue risorse. Un giro d’affari costruito tra i condotti, improvvisato ed economico. Il fondo del fondo.

«Mi dispiace» disse l’uomo. Miller sentì il suo stomaco indurirsi e sprofondare. Tra tutte le umiliazioni che l’universo aveva in serbo per lui, questa non l’aveva prevista. Lo rese furioso.

«Pensa che non possa cavarmela?» chiese, tenendo sotto controllo la voce.

«Non è questo il punto» rispose l’uomo rinsecchito. «Il fatto è che... senta, detto tra noi, stiamo cercando un galoppino, ha presente? Il fratellino idiota di qualcuno che possa sorvegliare questo magazzino. Lei ha troppa esperienza... che ce ne facciamo dei protocolli di controllo antisommossa? O delle procedure investigative? Voglio dire... andiamo! Questo lavoro non prevede nemmeno un’arma di ordinanza.»

«Non m’importa» replicò Miller. «Ho bisogno di qualcosa.»

L’uomo allampanato sospirò e si strinse nelle spalle alla maniera esagerata dei cinturiani.

«Ha bisogno di qualcos’altro» disse.

Miller cercò di non scoppiare a ridere, temendo che potesse suonare come un gesto di disperazione. Fissò la parete di plastica da due soldi alle spalle del manager finché il tipo non cominciò a sentirsi a disagio. Era una trappola. Era troppo esperto per ricominciare tutto da capo. Sapeva troppe cose, per cui non poteva tornare indietro per ricominciare tutto dall’inizio.

«E va bene» disse alla fine, e il manager dall’altra parte della scrivania emise un sospiro, poi ebbe la grazia di apparire in imbarazzo.

«Posso chiederle» disse l’uomo allampanato «perché ha lasciato il suo vecchio incarico?»

«Ceres è passata di mano» spiegò Miller, rimettendosi il cappello. «Io non facevo parte della nuova squadra. Tutto qui.»

«Ceres?»

Il manager sembrò confuso, il che a sua volta confuse Miller. Diede un’occhiata al suo terminale palmare. Lì sopra c’era il suo curriculum lavorativo, proprio come l’aveva appena presentato. Il manager non poteva non averlo visto.

«È lì che ero» disse Miller.

«Per il lavoro di polizia. Ma io intendo l’ultimo incarico. Voglio dire, conosco il mondo, e capisco il non voler inserire l’attività svolta per l’APE nel suo curriculum, ma deve rendersi conto che sappiamo tutti che ha fatto parte di questa cosa... ha presente, no, con la stazione? E tutto il resto.»

«Lei pensa che lavorassi per l’APE» disse Miller.

L’uomo allampanato sbatté le palpebre.

«Sì, è così» ammise.

Il che, dopotutto, era vero.

Niente era cambiato nell’ufficio di Fred Johnson, e al contempo tutto. I mobili, l’odore nell’aria, la sensazione di un’esistenza a metà tra una sala di consiglio e un centro di comando e controllo. La nave generazionale fuori dalla finestra poteva essere di poco più vicina al completamento, ma non era quello il punto. Era cambiata la posta in gioco, e quella che era stata una guerra adesso era qualcosa di diverso. Qualcosa di più grande. Si vedeva negli occhi di Fred, nelle sue spalle più strette.

«Un uomo con le sue qualità potrebbe farci comodo» disse Fred. «Sono sempre le piccole cose che ci fanno inciampare. Come perquisire un uomo... questo genere di cose. Il reparto di sicurezza di Tycho se la cava bene ma, una volta fuori dalla stazione e in uno scontro a fuoco con un nemico determinato, non è più così abile.»

«Ha forse intenzione di farlo più spesso?» chiese Miller, cercando di assumere un tono scherzoso. Fred non rispose. Per un istante, Julie fu al fianco del generale. Miller li vide entrambi riflessi negli schermi; l’uomo pensieroso, il fantasma divertito. Forse Miller aveva frainteso tutto fin dall’inizio, e il divario tra la Fascia e i pianeti interni era qualcosa che andava ben oltre la politica e la gestione delle risorse. Sapeva bene quanto chiunque che la Fascia costringeva a una vita più dura e pericolosa rispetto a Marte o alla Terra. Eppure c’era un richiamo che spingeva quegli uomini – gli uomini migliori – a uscire da quei pozzi di gravità per proiettarsi verso l’oscurità.

L’impulso di esplorare, di ampliare gli orizzonti, di lasciare la propria casa. Di andare il più lontano possibile, fuori, nell’universo. E ora che la Protogen ed Eros offrivano l’opportunità di diventare degli dèi, di ricreare l’intera umanità in esseri che si sarebbero potuti spingere oltre ogni speranza e sogno meramente umani, Miller si rese conto di quanto sarebbe stato difficile per un uomo come Fred ignorare quella tentazione.

«Ha ucciso Dresden» disse Fred. «Questo è un problema.»

«Doveva essere fatto.»

«Non ne sono sicuro» replicò Fred, ma il suo tono si fece cauto. Sondava il terreno. Miller sorrise, un po’ mestamente.

«È per questo che doveva essere fatto.»

Una piccola risata tossicchiante disse a Miller che Fred capiva quel che intendeva. Quando il generale si voltò per esaminarlo di nuovo, il suo sguardo era deciso.

«Quando si arriverà al tavolo dei negoziati, qualcuno dovrà rispondere di quest’atto. Lei ha ucciso un uomo indifeso.»

«È così» riconobbe Miller.

«Quando arriverà quel momento, la consegnerò ai lupi come prima offerta negoziale. Non la proteggerò.»

«Non le chiederei di proteggermi» replicò Miller.

«Anche se significasse essere un ex sbirro cinturiano in una prigione terrestre?»

Era un eufemismo, e lo sapevano entrambi. Il tuo posto è qui con me, aveva detto Julie. E allora che importava, in fondo, come ci sarebbe arrivato?

«Non ho rimpianti» disse, e mezzo respiro dopo fu sorpreso di scoprire che era quasi vero. «Se ci sarà un giudice, là fuori, che vorrà chiedermi qualcosa, io risponderò. Sto cercando un lavoro, non protezione.»

Fred si sedette sulla sua poltrona, con gli occhi socchiusi e pensosi. Miller si chinò in avanti.

«Mi mette in una posizione difficile» disse Fred. «Sta dicendo tutte le cose giuste. Ma ho difficoltà a credere che si comporterà di conseguenza. Tenerla sui miei libri contabili sarebbe rischioso. Potrebbe inficiare la mia posizione durante le negoziazioni di pace.»

«È un rischio» ammise Miller. «Ma sono stato sulle Stazioni di Eros e Thoth. Ho volato sulla Rocinante con Holden e il suo equipaggio. Quando si tratterà di analizzare la protomolecola e come abbiamo fatto a ficcarci in questo casino, nessun altro sarà in una posizione migliore per fornirvi informazioni. Potrà sempre dire che sapevo troppo. Che ero troppo importante per lasciarmi andare.»

«O troppo pericoloso.»

«O quello. Certo.»

Rimasero in silenzio per un istante. Sulla Nauvoo, una fila di luci brillò d’oro e verde in un test di funzionamento, poi si spense.

«Consulente per la sicurezza» disse Fred. «Indipendente. Non le conferirò alcun rango.»

Sono troppo sporco per l’APE, pensò Miller divertito.

«Se è compreso anche l’alloggio, ci sto» rispose. Solo finché non fosse finita la guerra. Dopo, sarebbe stato carne per la macchina. Andava bene così. Fred si appoggiò allo schienale. La sua poltrona sibilò piano adattandosi alla nuova posizione.

«E va bene» disse Fred. «Ecco il suo primo incarico: mi fornisca la sua analisi. Qual è il mio problema maggiore?»

«Contenimento» rispose Miller.

«Lei crede che io non riesca a tenere sotto silenzio le informazioni sulla Stazione di Thoth e sulla protomolecola?»

«Certo che non può riuscirci» disse Miller. «Tanto per cominciare, sono in troppi a sapere. Inoltre, uno di questi è Holden e, se non ha già trasmesso la notizia su tutte le frequenze, lo farà presto. Aggiunga che non può stringere un accordo di pace senza spiegare che diavolo stia succedendo. Presto o tardi, verrà fuori.»

«E che cosa consiglia?»

Per un secondo, Miller fu di nuovo nell’oscurità, con i gemiti della stazione morente che gli riempivano le orecchie. Le voci dei morti lo chiamavano attraverso il vuoto.

«Difendere Eros» rispose. «Tutte le parti vorranno un campione della protomolecola. Controllare l’accesso sarà l’unico modo di ottenere un posto a quel tavolo.»

Fred ridacchiò.

«Bella pensata» disse. «Ma come crede che possiamo difendere un oggetto della taglia della Stazione di Eros quando la Terra e Marte metteranno in campo le loro marine militari?»

Era una buona osservazione. Miller sentì una fitta di rimpianto. Anche se Julie Mao, la sua Julie, era morta e sepolta, sembrava sleale doverlo dire.

«E allora dovrà sbarazzarsene» disse.

«E come potrei farlo?» replicò Fred. «Anche se tempestassimo la stazione di testate nucleari, come faremmo a essere sicuri che nemmeno un frammento di quell’affare non riesca a filtrare e a farsi strada verso una colonia o giù per un pozzo di gravità? Far esplodere quella cosa sarebbe come soffiare via la lanugine di un dente di leone nel vento.»

Miller non aveva mai visto un dente di leone, ma capiva il problema. Anche una minima porzione di quella fanghiglia che riempiva Eros sarebbe potuta bastare a far ripartire da capo l’intero malefico esperimento. E la fanghiglia si nutriva di radiazioni; far brillare la stazione avrebbe potuto affrettare i progressi della protomolecola verso il suo obiettivo occulto invece che bloccarli. Per essere sicuri che quella mostruosità non si diffondesse mai, avrebbero dovuto distruggere tutto ciò che era presente sulla stazione disgregandolo fino alle minime componenti atomiche.

«Ah» disse Miller.

«Ah?»

«Sì. Non le piacerà.»

«Mi metta alla prova.»

«E va bene. L’ha chiesto lei. Bisogna spingere Eros verso il sole.»

«Verso il sole» disse Fred. «Ha idea della massa di cui stiamo parlando?»

Miller annuì in direzione dell’ampia, chiara estensione della finestra, verso il cantiere a pochi metri da lì. Verso la Nauvoo.

«Avete dei motori belli grossi, su quell’affare» osservò Miller. «Mandi qualche nave veloce intorno alla stazione, si assicuri che nessuno possa entrare finché non arrivate lì. Faccia schiantare la Nauvoo addosso alla Stazione di Eros, e la spinga verso il Sole.»

Lo sguardo di Fred si fece assorto mentre pianificava, calcolava.

«Bisognerebbe assicurarsi che nessuno vi acceda prima del contatto con la corona. Sarà difficile, ma la Terra e Marte sono entrambi interessati a impedire all’altro di mettere le mani sulla protomolecola tanto quanto a ottenerla per sé stessi.»

Mi dispiace di non aver potuto fare di meglio, Julie, pensò Miller. Ma sarà un funerale spettacolare.

Il respiro di Fred si fece lento e profondo; lo sguardo brillava come se stesse leggendo qualcosa nell’aria, che soltanto lui poteva vedere. Miller non interruppe i suoi pensieri, nemmeno quando il silenzio si fece pesante. Passò quasi un minuto prima che Fred emettesse un secco respiro percussivo.

«I mormoni non la prenderanno bene» disse.