37
Holden
Alex fece viaggiare la Rocinante a tre quarti di g per due ore mentre l’equipaggio preparava e consumava la cena. Aveva intenzione di tornare a tre g una volta finita la pausa, ma, nel frattempo, Holden si godeva quel momento in cui poteva starsene in piedi sulle proprie gambe in qualcosa di non troppo dissimile dalla gravità terrestre. Era un po’ pesante per Naomi e Miller, ma nessuno dei due se ne lamentava. Capivano entrambi quanto quella fretta fosse necessaria.
Una volta che la gravità era diminuita, allentando la pressione dovuta all’elevata accelerazione, l’intero equipaggio si radunò rapidamente in cambusa e cominciò a preparare la cena. Naomi frullò assieme uova finte e formaggio finto. Amos cucinò un po’ di pasta al pomodoro e i loro ultimi funghi freschi, riuscendo a produrre qualcosa che si avvicinasse al profumo di un sugo vero. Alex, incaricato delle operazioni di volo, aveva trasferito il pannello operativo su uno schermo della cambusa e sedeva a un tavolo accanto, intento a spalmare la crema di formaggio finto e la salsa rossa sulla pasta, nella speranza che il risultato finale potesse avvicinarsi a una lasagna. Holden era di turno al forno e, mentre la lasagna era in preparazione, si era impegnato a trasformare dei pezzi di lievito in pane. L’odore che aleggiava nella cambusa non era del tutto dissimile dal cibo vero e proprio.
Miller aveva seguito l’equipaggio nella cambusa ma sembrò a disagio nel chiedere se potesse fare qualcosa. Si limitò ad apparecchiare, poi si sedette a tavola e rimase a osservare gli altri. Non stava esattamente evitando lo sguardo di Holden, ma non si stava dando certo da fare per attirare la sua attenzione. Per un accordo silenzioso tra loro, nessuno aveva acceso un canale di notiziari. Holden era sicuro che si sarebbero precipitati a controllare la situazione della guerra non appena fosse finita la cena ma, per il momento, lavoravano tutti in silenzio, tenendosi compagnia l’un l’altro.
Quando ebbero finito di preparare, Holden passò dal pane alla lasagna, occupandosi di infornarla e sfornarla. Naomi sedeva accanto ad Alex, con cui intavolò una conversazione sottovoce su qualcosa che aveva visto sul pannello operativo. Holden passò metà del suo tempo a guardare lei e l’altra metà con gli occhi sulla lasagna. Naomi rise per qualcosa che aveva detto Alex e si arricciò i capelli con un dito, di riflesso. Holden sentì lo stomaco stringerglisi un po’.
Con la coda dell’occhio, ebbe l’impressione che Miller lo stesse fissando. Quando alzò lo sguardo, il detective si era girato, con l’ombra di un sorriso sul volto. Naomi rise di nuovo. Aveva posato una mano sul braccio di Alex, e il pilota stava arrossendo, parlando più veloce che poteva in quella sua stupida cadenza marziana. Sembravano amici. Quella vista riempiva di gioia Holden, e al tempo stesso di gelosia. Si chiese se lui e Naomi sarebbero più stati amici.
Lei colse il suo sguardo e gli indirizzò un occhiolino complice che avrebbe probabilmente avuto senso se fosse riuscito a udire quello che stava dicendo Alex. Holden sorrise e restituì l’occhiolino, grato di essere stato perlomeno incluso in quel momento. Uno sfrigolio del forno richiamò la sua attenzione. La lasagna stava cominciando a colare oltre i bordi dei piatti.
S’infilò le presine e aprì il forno.
«È pronta la zuppa» disse, tirando fuori il primo dei piatti e mettendolo sul tavolo.
«Questa sì che è una zuppa dall’aspetto orrendo» esclamò Amos.
«Uhm, già» disse Holden. «È solo un modo di dire di madre Tamara, quando finiva di cucinare. Non so bene da dove provenga.»
«Una delle tue tre madri si occupava di cucinare? Molto tradizionale» disse Naomi con un sorrisetto.
«Be’, si divideva quel compito con Caesar, uno dei miei padri.»
Naomi gli sorrise; un sorriso genuino, stavolta.
«Sembra davvero bello» disse. «Avere una famiglia tanto grande.»
«Sì, era bello» rispose lui, mentre nella testa gli si formava l’immagine di un’esplosione nucleare che distruggeva la fattoria del Montana in cui era cresciuto e riduceva in polvere la sua intera famiglia. Se fosse successo, era sicuro che Miller sarebbe stato pronto a ricordargli che la colpa era soltanto sua. Non era certo che avrebbe potuto controbattere, allora.
Mentre mangiavano, Holden sentì che la tensione a poco a poco scemava nella sala. Amos ruttò sonoramente, poi reagì al coro di proteste che si levò dal tavolo con un altro rutto, ancora più squassante. Alex raccontò di nuovo la barzelletta che aveva fatto ridere Naomi. Perfino Miller si fece prendere dal buonumore e narrò una lunga e improbabile storia sulla caccia a un’operazione di contrabbando di formaggio che terminava con una sparatoria con nove australiani nudi in un bordello illegale. Alla fine della storia, Naomi stava ridendo tanto da sbavare sulla propria maglietta, e Amos continuava a ripetere ‘Cazzo, ma dài!’ come un mantra.
La storia era abbastanza divertente ed era abilmente propinata dalla narrazione asciutta del detective, ma Holden l’ascoltò soltanto a mezzo orecchio. Osservò il suo equipaggio, vedendo la tensione fuggire via dai loro volti e dalle loro spalle. Lui e Amos erano entrambi nati sulla Terra anche se, a colpo d’occhio, avrebbe detto che Amos aveva dimenticato tutto del suo mondo nativo nell’istante stesso in cui si era imbarcato. Alex veniva da Marte, e chiaramente la cosa gli piaceva. Bastava un errore da una delle due parti, e di entrambi i pianeti sarebbero rimasti soltanto due mucchietti radioattivi prima dell’ora di cena. In quel momento, però, erano tutti soltanto amici che condividevano un pasto. Era giusto così. Era ciò per cui Holden doveva continuare a combattere.
«Io me lo ricordo, quel periodo in cui cominciò a scarseggiare il formaggio» disse Naomi dopo che Miller ebbe finito di parlare. «Colpì l’intera Fascia. Era colpa tua?»
«Già. Be’, se si fossero limitati a far passare illegalmente il formaggio sotto il naso delle autorità governative, non ci sarebbero stati problemi» spiegò Miller. «Però questi tizi avevano l’abitudine di sparacchiare agli altri contrabbandieri di formaggio. E questo attira l’attenzione degli sbirri. Mossa sbagliata.»
«Per del cazzo di formaggio?» domandò Amos, gettando la forchetta sul piatto con un suono secco. «Dici sul serio? Voglio dire, passi per la droga, il gioco d’azzardo o roba del genere... Ma per del formaggio?»
«Il gioco d’azzardo è legale nella maggior parte dei posti» rispose Miller. «E chiunque abbia appena un’infarinatura di chimica potrebbe prepararti praticamente qualsiasi droga tu voglia nel suo bagno. Non c’è modo di controllare i fornitori.»
«Il formaggio vero viene dalla Terra, o da Marte» aggiunse Naomi. «E, una volta applicati i costi di spedizione e il cinquanta per cento di tasse imposte dalla Coalizione, costa più del carburante.»
«Siamo finiti con centotrenta chili di cheddar del Vermont nel deposito prove» riprese Miller. «Un valore di mercato pari al costo di una nave privata. Era già sparito a fine giornata. Lo inscrivemmo nel registro come perdita dovuta a scadenza. Nessuno disse una parola, fintantoché tutti poterono tornarsene a casa con un pezzo in tasca.»
Il detective si appoggiò allo schienale della sedia con uno sguardo distante negli occhi.
«Dio, quant’era buono quel formaggio» disse con un sorriso.
«Già. Be’, questa roba invece sa di merda» osservò Amos, aggiungendo poi precipitosamente: «Senza offesa, capo, hai fatto davvero un ottimo lavoro con il frullatore... Ad ogni modo, mi sembra comunque sempre molto strano, farsi la guerra per del formaggio.»
«È il motivo per cui hanno distrutto Eros» disse Naomi.
Miller annuì ma non aggiunse niente.
«Come fai a dirlo?» disse Amos.
«Da quanto tempo è che voli?» chiese Naomi.
«Non saprei» rispose Amos, stringendo le labbra mentre faceva qualche calcolo a mente. «Venticinque anni, a occhio e croce?»
«Hai volato con un sacco di cinturiani, giusto?»
«Già» disse Amos. Non c’è niente di meglio di un cinturiano, come compagno di volo. Tranne me, ovviamente.»
«Hai volato con noi per venticinque anni, hai un debole per noi, hai imparato il nostro gergo... scommetto che saresti in grado di ordinare una birra e una prostituta su qualunque stazione della Fascia. Diavolo, se fossi un po’ più alto e molto più magro, ormai potresti farti passare per uno di noi.»
Amos sorrise, prendendolo come un complimento.
«Eppure ancora non ci hai capiti» disse Naomi. «Non completamente. Nessuno che sia cresciuto con l’aria gratis potrà mai farlo. Ed è per questo che possono ammazzare un milione e mezzo dei nostri per comprendere che cos’è che fa esattamente il loro morbo.»
«Oh, andiamo» intervenne Alex. «Dici sul serio? Credi davvero che gli interni e gli esterni si vedano tanto diversi gli uni dagli altri?»
«Ovvio che sì» rispose Miller. «Siamo troppo alti, troppo magri, le nostre teste sembrano troppo grosse e le articolazioni troppo nodose.»
Holden notò che Naomi gli scoccava un’occhiata dall’altra parte del tavolo, con sguardo interrogativo. A me la tua testa piace, pensò Holden, rivolgendosi a lei; le radiazioni però non dovevano avergli fatto dono nemmeno di un po’ di telepatia, perché l’espressione di Naomi non cambiò di una virgola.
«Ormai abbiamo praticamente una lingua tutta nostra» aggiunse Miller. «Hai mai visto un terrestre che cerca di farsi dare indicazioni in fondo al pozzo?»
«Tu ru spin, pow, Schlauch tu way acima and ido» disse Naomi calcando il suo accento cinturiano.
«Vai nel senso della rotazione fino alla stazione del tubo, che ti riporterà ai moli» tradusse Amos. «Che cazzo c’è di tanto complicato?»
«Una volta avevo un partner che non l’avrebbe capito, anche dopo due anni passati su Ceres» disse Miller. «E Havelock non era certo stupido. Solo non era... originario del posto.»
Holden li ascoltò parlare e giochicchiò con la pasta fredda nel suo piatto con un pezzo di pane.
«Okay, abbiamo capito» disse. «Siete strani. Ma sterminare un milione e mezzo di persone per via di differenze ossee e linguistiche...»
«La gente è stata gettata nei forni per molto meno fin da quando li hanno inventati, i forni» disse Miller. «Se può farti stare meglio, la maggior parte di noi pensa che siete tracagnotti e microcefali.»
Alex scosse la testa.
«Per me non ha il minimo senso liberare quel morbo, anche se dovessi odiare personalmente ogni singolo essere umano su Eros. Chissà che cosa farà quella roba?»
Naomi andò al lavandino della cambusa e si lavò le mani; l’acqua corrente attirò l’attenzione di tutti.
«Ci ho riflettuto su» disse. Poi si voltò mentre si asciugava le mani su un tovagliolo. «Sul senso di tutto questo, intendo.»
Miller fece per parlare, ma Holden lo zittì con un gesto sbrigativo e attese che Naomi continuasse.
«Allora» disse lei. «Ci ho riflettuto come se fosse un problema informatico. Se questo virus, nanomacchina o qualunque cosa sia, è stato progettato, deve avere uno scopo. Dico bene?»
«Assolutamente» concordò Holden.
«E sembra che stia facendo qualcosa. Qualcosa di complesso. Non ha senso darsi tanta pena soltanto per ammazzare della gente. Quei cambiamenti che produce sembrano intenzionali, ma... incompleti, a mio parere.»
«Capisco cosa intendi» disse Holden. Alex e Amos annuirono con lui ma rimasero in silenzio.
«Quindi, magari il problema è che questa protomolecola non è ancora abbastanza intelligente. È sempre possibile comprimere dei dati a livello infinitesimale ma, a meno che non si stia parlando di un computer quantico, l’elaborazione richiede spazio. Il miglior modo di ottenere tale elaborazione in dimensioni ridotte è quello di distribuirla a macchine più piccole. Magari la protomolecola non sta portando a termine il suo compito perché non è abbastanza intelligente. Non ancora.»
«Non ce n’è ancora abbastanza» disse Alex.
«Esatto» confermò Naomi, gettando il tovagliolo in un cestino sotto il lavandino. «Per cui gli fornisci un sacco di biomassa su cui lavorare, e stai a guardare che cosa è progettata a fare.»
«Secondo quel tipo del video, le protomolecole erano state create per modificare la vita sulla Terra e spazzarci via dal quadro generale» disse Miller.
«E questo» aggiunse Holden «è il motivo per cui Eros si prestava alla perfezione. Un sacco di biomassa in una provetta sigillata dal vuoto. E, se la cosa dovesse sfuggire di mano, c’è già una guerra in corso. Un sacco di navi e di missili pronti a congelare Eros se la minaccia dovesse sembrare reale. Non c’è niente di meglio che un nuovo nemico per farci dimenticare tutte le nostre differenze.»
«Wow» esclamò Amos. «Questa faccenda è davvero una merda.»
«Già. Eppure, probabilmente è proprio quello che è successo» disse Holden. «Ancora non riesco a credere che possa esserci tanta gente abbastanza malvagia da fare tutto questo. Qui non si tratta dell’opera di un singolo, ma delle azioni di decine, forse di centinaia di persone estremamente intelligenti. Che la Protogen se ne vada in giro ad assoldare ogni potenziale Stalin e Jack lo Squartatore che incontra?»
«Mi assicurerò di chiederlo al signor Dresden» disse Miller, con volto impassibile «quando saremo finalmente faccia a faccia.»
Gli anelli abitativi di Tycho ruotavano serenamente attorno al globo industriale centrale. I massicci waldo che spuntavano dalla cima manovravano un’enorme lamina di chiglia sulla fiancata della Nauvoo. Osservando la stazione sullo schermo del ponte operativo mentre Alex completava le procedure di attracco, Holden sentì qualcosa di simile al sollievo. Fino a quel momento, Tycho era l’unico posto in cui nessuno aveva provato a sparargli, o a farli saltare in aria, o a vomitargli addosso fanghiglia, il che ne faceva praticamente una casa.
Holden fissò la cassaforte di ricerca assicurata al ponte e sperò che non avesse ucciso tutti gli occupanti della stazione per il semplice fatto di averla portata lì.
Come se stesso seguendo il suo pensiero, Miller si tirò su spingendosi contro il portello del ponte e fluttuò verso la cassaforte. Scoccò a Holden uno sguardo estremamente eloquente.
«Non dirlo. Ci sto già pensando per conto mio» lo assicurò Holden.
Miller si strinse nelle spalle e fluttuò verso la postazione operativa.
«Grossa» commentò, con un cenno del capo verso la Nauvoo, sullo schermo di Holden.
«Nave generazionale» disse Holden. «Una cosa del genere un giorno ci consegnerà le stelle.»
«O una solitaria morte durante un lungo viaggio verso il nulla» rispose Miller.
«Sai,» disse Holden «c’è in giro una specie per cui la variante della grande avventura galattica consiste nello sparare proiettili carichi di virus ai propri vicini. Credo che la nostra versione sia decisamente più nobile, a confronto.»
Miller sembrò rifletterci su, annuì e osservò la Stazione di Tycho ingrandirsi sullo schermo mentre Alex li faceva avvicinare. Il detective tenne una mano sulla console, facendo i minimi aggiustamenti necessari a rimanere sul posto anche se le manovre del pilota continuavano a bombardarli di scatti di gravità inattesi da ogni direzione. Holden era assicurato al suo sedile. Anche concentrandosi, non riusciva a gestire gravità zero e accelerazioni intermittenti bene quanto Miller. Il suo cervello non poteva disabituarsi a quei venti e passa anni che aveva trascorso in presenza di gravità costante.
Naomi aveva ragione. Sarebbe stato facile vedere i cinturiani come degli alieni. Diavolo, se gli si dava il tempo di sviluppare degli impianti di immagazzinamento e riciclo di ossigeno realmente efficienti e si fosse continuato a ridurre le strutture delle tute ambientali al minimo indispensabile per il riscaldamento corporeo, si sarebbe finito con il vederli trascorrere più tempo all’esterno delle proprie navi e stazioni che all’interno.
Forse era per questo che erano tassati fino a ridurli al livello di sussistenza. L’uccello era uscito dalla gabbia, ma non si poteva lasciare che dispiegasse troppo le ali per paura che dimenticasse a chi apparteneva.
«Tu ti fidi di questo Fred?» chiese Miller.
«Più o meno» rispose Holden. «L’ultima volta ci ha trattato bene, quando tutti gli altri avrebbero voluto vederci morti o incarcerati.»
Miller grugnì, come se la cosa non dimostrasse niente.
«Fa parte dell’APE, giusto?»
«Già» rispose Holden. «Ma credo che si tratti dell’APE originale. Non di quei cowboy che vogliono fare a pistolettate con gli interni. Né di quegli scriteriati che inneggiano alla guerra alla radio. Fred è un politico.»
«E che mi dici di coloro che fanno rigare dritto Ceres?»
«Non lo so» ammise Holden. «Non so nulla di loro. Ma Fred è la nostra migliore opportunità. La meno sbagliata.»
«Okay» disse Miller. «Non troveremo una soluzione politica a questa faccenda della Protogen, sai...»
«Già» rispose Holden, poi cominciò a slacciarsi le cinture mentre la Roci attraccava al suo molo con una serie di tonfi metallici. «Ma Fred non è soltanto un politico.»
Fred sedeva dietro la sua grossa scrivania, intento a leggere il rapporto di Holden su Eros, sulla ricerca di Julie e sulla scoperta della nave mimetica. Miller gli sedeva di fronte, osservando Fred come avrebbe fatto un entomologo con una nuova specie d’insetto, pensando che avrebbe potuto pungere. Holden era un po’ in disparte, alla destra di Fred, cercando di non guardare in continuazione l’orologio sul suo terminale. Sul grosso schermo alle spalle della scrivania, la Nauvoo fluttuava come lo scheletro metallico di un qualche antico leviatano scarnificato. Holden vedeva piccoli puntini di luce blu brillare dove gli operai erano al lavoro con le saldatrici sulla chiglia e il fasciame. Per tenersi occupato, cominciò a contarli.
Aveva raggiunto quota quarantatré quando un piccolo shuttle apparve nel suo campo visivo, ghermendo un fascio di assi d’acciaio con un paio di grossi bracci di manovra, e volò verso la nave generazionale in fase di costruzione. Lo shuttle si rimpicciolì fino a diventare un puntino non più grande della punta di una penna prima di fermarsi. Nella mente di Holden, la Nauvoo passò improvvisamente dall’essere una grossa nave nelle vicinanze all’essere una mastodontica nave molto più lontana. Quel cambiamento di percezione gli provocò un piccolo attacco di vertigini.
Il suo terminale palmare trillò quasi nello stesso istante di quello di Miller. Non lo guardò nemmeno; accarezzò lo schermo con le dita per spegnerlo. Ormai conosceva questa routine. Tirò fuori una boccetta da cui prese due pillole che ingoiò a secco. Sentì che anche Miller versava le pillole fuori dalla sua. Il sistema medico della nave gliele forniva ogni settimana, accompagnandole con l’avvertimento che, se non avesse assunto i medicinali negli orari prestabiliti, sarebbe andato incontro a una morte orribile. E lui li assumeva. L’avrebbe fatto per il resto della sua vita. Saltarne qualche dose significava semplicemente che non sarebbe stato un resto molto lungo.
Fred finì di leggere e gettò il suo terminale sulla scrivania, poi si strofinò gli occhi con i palmi delle mani per diversi secondi. A Holden pareva più vecchio rispetto all’ultima volta che si erano visti.
«Devo dirglielo, Jim: non so davvero che cosa pensare di tutto questo» dichiarò alla fine.
Miller guardò Holden e scandì senza parlare il suo nome, ‘Jim’, con una domanda in viso. Holden lo ignorò.
«Ha letto l’aggiunta finale di Naomi?» chiese Holden.
«La parte in cui il morbo crea una rete di processori per aumentare la sua capacità di sviluppo?»
«Sì, quella» rispose Holden. «Ha senso, Fred.»
Fred rise senza allegria, poi puntò un dito verso il suo terminale.
«Quella roba» disse. «Quella roba avrebbe senso soltanto per uno psicopatico. Nessuno sano di mente potrebbe farlo. Poco importa che cosa si pensi di poter ottenere.»
Miller si schiarì la gola.
«Ha qualcosa da aggiungere, signor Muller?» chiese Fred.
«Miller» lo corresse il detective. «Sì. Per prima cosa, con tutto il rispetto, non si faccia illusioni. Il genocidio è roba vecchia. In secondo luogo, i fatti non sono in discussione. La Protogen ha infettato Eros con un morbo letale alieno, e sta registrando i risultati. Il perché non conta. Dobbiamo fermarli.»
«E» aggiunse Holden «pensiamo di poter rintracciare la posizione della loro stazione di osservazione.»
Fred si appoggiò allo schienale, con la pelle sintetica e la struttura di metallo che scricchiolavano sotto il suo peso perfino a un terzo di g.
«Fermarli come?» chiese. Fred lo sapeva bene. Voleva soltanto sentirselo dire chiaramente. Miller lo accontentò.
«Io dico: andiamo lì e distruggiamo la loro stazione.»
«‘Andiamo’ chi?»
«Ci sono un sacco di teste calde dell’APE che non vedono l’ora di sparare alla Terra e a Marte» disse Holden. «Basterà dar loro dei veri cattivi da colpire.»
Fred annuì in un modo che non intendeva manifestare il suo accordo per alcunché.
«E il vostro campione? La cassaforte del capitano?» domandò Fred.
«Quella è mia» rispose Holden. «Su questo non si negozia.»
Fred rise di nuovo, stavolta con un po’ di divertimento. Miller sbatté le palpebre per la sorpresa e poi mise su un sorriso tirato.
«Perché mai dovrei acconsentire?» chiese Fred.
Holden sporse il mento e sorrise.
«E se le dicessi che ho nascosto la cassaforte su un planetesimo infarcito di plutonio sufficiente a ridurre in atomi scomposti chiunque ci metta le mani, quand’anche riuscisse a trovarla?» disse.
Fred lo fissò per un momento, poi replicò: «Ma non l’ha fatto.»
«Be’, no» disse Holden. «Però potrei dirle che l’ho fatto.»
«Lei è troppo onesto» disse Fred.
«E non ci si può fidare di nessuno, se c’è di mezzo qualcosa di così enorme. Lei sa già cosa ho intenzione di farci. Ed è per questo, fintantoché non riusciamo a trovare un accordo migliore, che lascerà che sia io a tenerla.»
Fred annuì.
«Sì» disse. «Immagino che farò così.»