23

Holden

Il livello dei casinò di Eros era un vero e proprio assalto sensoriale. Holden lo detestava.

«Adoro questo posto» disse Amos con un ghigno estatico.

Holden si fece largo attraverso un capannello di scommettitori ubriachi di mezz’età che sghignazzavano e schiamazzavano, dirigendosi verso un piccolo spazio libero accanto a una fila di terminali a parete a pagamento.

«Amos» disse. «Stiamo per dirigerci verso un livello molto meno turistico, per cui occhi aperti e guardaci le spalle. La stamberga che stiamo cercando è in un brutto quartiere.»

Amos annuì. «Ricevuto, cap.»

Mentre Naomi, Alex e Amos gli facevano da schermo, Holden allungò le mani dietro la schiena e sistemò la pistola che gli premeva fastidiosamente contro la cintura. Gli sbirri su Eros erano piuttosto severi con la gente che se ne andava in giro armata, ma lui non aveva alcuna intenzione di incontrare questo ‘Lionel Polanski’ senza prendere qualche precauzione. Anche Amos e Alex erano armati; Amos teneva l’arma nella tasca destra della giacca, e la sua mano non la lasciava mai. Soltanto Naomi si era rifiutata ostinatamente di portare una pistola.

Holden condusse il gruppo verso l’ascensore più vicino, con Amos in retroguardia che di tanto in tanto si guardava alle spalle. I casinò di Eros sembravano proseguire all’infinito su ogni livello e, anche se cercarono di muoversi il più rapidamente possibile, impiegarono mezz’ora per sottrarsi alla confusione della folla. Il primo livello superiore era un quartiere residenziale; dopo il caos dei casinò, tutta quella quiete e pulizia sembrò disorientante. Holden si sedette sul bordo di un vaso, in cui avevano piantato una bella siepe di felci, e riprese fiato.

«La penso come te, capitano. Mi sono bastati cinque minuti là dentro per farmi venire un’emicrania» disse Naomi, sedendoglisi accanto.

«State scherzando?» replicò Amos. «Vorrei solo avere più tempo per stare qui. Io e Alex abbiamo sfilato quasi un millino a quei polli, giù ai tavoli da gioco su Tycho. Potremmo uscire da qui come dei cazzo di milionari.»

«L’hai detto» confermò Alex, dando un pugno amichevole sulla spalla del grosso meccanico.

«Be’, se questa faccenda di Polanski si rivela un buco nell’acqua, avete il mio permesso di andarci a far guadagnare un milione di dollari ai tavoli da gioco. Vi aspetterò sulla nave» disse Holden.

Il servizio di metropolitana finiva al primo livello dei casinò e non riprendeva fino al livello su cui si trovavano ora. Potevi anche scegliere di non spendere soldi ai loro tavoli, ma l’amministrazione si era assicurata di fartela pagare. Una volta saliti su un vagone, diretti verso l’albergo di Lionel, Amos si sedette accanto a Holden.

«Qualcuno ci sta seguendo, cap» disse con noncuranza. «Non ne ero sicuro finché non l’ho visto salire, due vagoni più giù. Ci è stato dietro anche nei casinò.»

Holden sospirò e si prese il viso tra le mani.

«Okay. Che aspetto ha?» chiese.

«Cinturiano. Sulla cinquantina, o forse una quarantina con molti chilometri sul contagiri. Camicia bianca e pantaloni neri. Cappello da scemo.»

«Sbirro?»

«Oh, sì. Ma non ho visto la fondina» disse Amos.

«E va bene. Tienilo d’occhio, ma non te ne preoccupare troppo. Non stiamo facendo niente di illegale» disse Holden.

«A parte arrivare qui con la nostra nave marziana rubata, dici?» chiese Naomi.

«Ti riferisci alla nostra nave cisterna perfettamente in regola che tutti i documenti e i registri di carico dicono essere perfettamente in regola?» rispose Holden con un sorriso tirato. «Già, be’... se ci avessero sgamato, ci avrebbero fermato al molo, senza prendersi il disturbo di tampinarci.»

Uno schermo pubblicitario sulla paratia mostrò uno sbalorditivo panorama di nuvole multicolori attraversate da lampi, incoraggiando Holden a farsi una vacanza negli incredibili villaggi turistici delle cupole di Titano. Non ci era mai stato. All’improvviso gli venne voglia di andarci per davvero. Qualche settimana passata a dormire fino a tardi, a mangiare in ristoranti di lusso, stravaccato su un’amaca ad ammirare le colorate tempeste atmosferiche di Titano sopra di lui... Sembrava il paradiso. Diavolo, visto che stava fantasticando, tanto valeva buttarci dentro anche Naomi, che veniva verso la sua amaca con un paio di cocktail alla frutta tra le mani.

Lei però gli rovinò la scena.

«Siamo arrivati» disse.

«Amos, tieni d’occhio il nostro amico. Vedi se scende anche lui» ordinò Holden mentre si alzava e andava verso la porta.

Dopo essere scesi ed essersi allontanati di una dozzina di passi lungo il corridoio, Amos sussurrò «Sì» alle sue spalle. Merda. Be’, sembrava proprio essere un pedinamento, ma non c’era alcun motivo per non continuare per la loro strada e andare a vedere dove si trovasse questo Lionel. Fred non gli aveva chiesto di fare alcunché a chiunque si stesse fingendo il proprietario della Scopuli. Non potevano certo arrestarli per aver bussato a una porta. Holden si mise a fischiettare una canzonetta allegra mentre camminavano, per far sapere al suo equipaggio, e a chiunque li stesse pedinando, che non era minimamente preoccupato.

Smise di fischiettare non appena vide la stamberga.

Era cupa e losca, esattamente il genere di posto in cui potevi aspettarti di essere rapinato, o peggio. Dei lampioni rotti creavano angoli bui, e non c’era un singolo turista nei paraggi. Holden si voltò per scoccare un’occhiata ad Alex e Amos, e quest’ultimo spostò la mano che teneva in tasca. Alex mise la sua sotto la giacca.

L’atrio era uno spazio perlopiù vuoto, con un paio di divani in fondo accanto a un tavolino basso coperto di riviste, dove sedeva una donna attempata dall’aspetto assonnato, intenta a leggere un giornale. Gli ascensori erano infossati nelle pareti dalla parte opposta, accanto a una porta contrassegnata dalla scritta ‘scale’. Nel mezzo c’era il bancone del check-in, dove un terminale con il suo schermo fungeva da ufficio di concierge, incassando il pagamento degli ospiti.

Holden si fermò accanto al bancone e si voltò per osservare la donna seduta sul divano. I suoi capelli cominciavano a ingrigire, ma era di bell’aspetto e aveva una corporatura atletica. In una topaia come quella, probabilmente doveva trattarsi di una prostituta che era prossima alla fine della carriera. Lei ignorò deliberatamente il suo sguardo.

«Abbiamo ancora la coda?» chiese Holden sottovoce.

«Si è fermato fuori, da qualche parte. Probabilmente starà tenendo d’occhio l’uscita» rispose Amos.

Holden annuì e sfiorò il tasto di ricerca sullo schermo del check-in. Un’interfaccia scarna gli avrebbe permesso di inviare un messaggio alla stanza di Lionel Polanski, ma lui uscì dal menu. Ora sapevano che Lionel era ancora lì, e Fred aveva dato loro il numero della stanza. Se si trattava di qualcuno che voleva fare il furbo, non c’era motivo di allertarlo prima di andare a bussare alla sua porta.

«Okay, è ancora qui. Vediamo di...» disse Holden, interrompendosi quando vide la donna del divano in piedi alle spalle di Alex. Non l’aveva né vista né sentita arrivare.

«Venite con me» esordì lei con voce dura. «Dirigetevi lentamente verso le scale, e restate almeno tre metri avanti a me per tutto il tragitto. Ora.»

«È per caso una poliziotta?» chiese Holden, senza muoversi.

«Sono quella che ha la pistola» rispose lei, mentre una piccola arma le compariva come per magia nella mano destra. La puntò alla testa di Alex. «Per cui fate come vi dico.»

La sua pistola era piccola, di plastica, e aveva una sorta di batteria collegata. Amos estrasse la propria sparapiombo e gliela puntò in faccia.

«La mia è più grossa» rispose.

«Amos, non...» fu tutto ciò che Naomi ebbe il tempo di dire prima che la porta delle scale si spalancasse di colpo e una dozzina di uomini e donne armati con fucili compatti automatici si riversassero nella sala, gridando loro di gettare le armi.

Holden fece per alzare le mani, quando uno degli assalitori aprì il fuoco; l’arma sputava proiettili tanto rapidamente da produrre un rumore simile a quello di un cartone che si strappa. Era impossibile distinguere i singoli colpi. Amos si gettò a terra. Una linea di fori si aprì sul petto della donna con il taser, che cadde riversa con un tonfo sordo, definitivo.

Holden prese Naomi per mano e la tirò dietro il bancone del check-in. Qualcuno nell’altro gruppo stava gridando «Cessate il fuoco! Cessate il fuoco!», ma Amos stava già rispondendo dalla sua posizione, prono a terra. Un gemito di dolore e un’imprecazione fece capire a Holden che doveva aver colpito qualcuno. Amos rotolò di lato verso il bancone, appena in tempo per evitare una raffica di proiettili che dilaniò il pavimento e la parete, facendo tremare il bancone.

Holden fece per estrarre la sua pistola, ma il mirino della canna gli s’incastrò nella cintura. La tirò fuori a forza, strappandosi gli indumenti, poi avanzò carponi fino al bordo del bancone e guardò fuori. Alex era sdraiato a terra, dietro uno dei divani, con la pistola in pugno e il volto pallido. Mentre Holden lo fissava, una raffica di colpi investì il divano, facendo volare per aria pezzi d’imbottitura e scavando una fila di fori sullo schienale a non più di venti centimetri sopra la testa di Alex. Il pilota fece sporgere la pistola dietro l’angolo del divano e sparò alla cieca mezza dozzina di colpi, gridando selvaggiamente.

«Fottuti pezzi di merda!» urlò Amos, poi rotolò allo scoperto, sparò altri due colpi e rotolò di nuovo al riparo prima che rispondessero al fuoco.

«Dove sono?» gli gridò Holden.

«Due sono a terra, il resto è sulle scale!» gli urlò di rimando Amos, cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono degli spari.

All’improvviso, una raffica di proiettili schizzò sul pavimento oltre il ginocchio di Holden. «Cazzo, qualcuno ci sta attaccando ai fianchi!» gridò Amos, poi si spostò ancor più dietro il bancone, al riparo dagli spari.

Holden strisciò dall’altra parte del bancone e sbirciò oltre il bordo. Qualcuno si stava avvicinando, chino e rapido, all’ingresso dell’albergo. Holden si sporse e sparò un paio di colpi nella sua direzione, ma tre mitragliatori aprirono il fuoco dalla porta delle scale e lo costrinsero a mettersi di nuovo al riparo.

«Alex, qualcuno si sta muovendo all’ingresso!» gridò Holden con tutto il fiato che aveva in corpo, sperando che il pilota sarebbe riuscito a sparare prima che li facessero tutti a pezzi con un fuoco incrociato.

Una pistola abbaiò tre volte dall’ingresso. Holden arrischiò un’occhiata. Accovacciato accanto alla porta c’era il loro pedinatore con il cappello da scemo; il loro aggressore con il fucile automatico giaceva a terra ai suoi piedi. Invece d’impallinarli, l’uomo puntò la sua pistola verso le scale.

«Non sparate all’uomo con il cappello!» gridò Holden, poi tornò verso il bordo del bancone.

Amos si appoggiò a esso con la schiena ed estrasse il caricatore dalla sua arma. Mentre ne tirava fuori un altro dalla tasca, disse: «Quel tipo dev’essere proprio uno sbirro.»

«E allora non sparate a nessuno sbirro, specialmente ora» ordinò Holden, poi indirizzò qualche colpo verso la porta delle scale.

Naomi, che fino a quel momento aveva assistito all’intera sparatoria con le mani sopra la testa, disse: «Potrebbero essere tutti sbirri.»

Holden sparò ancora qualche colpo e scosse il capo.

«I poliziotti non portano piccole armi automatiche facilmente occultabili per tendere imboscate alla gente dalle scale di un albergo. Queste si chiamano squadre di esecuzione» disse, ma le sue parole furono sopraffatte da un inferno di raffiche dalle scale. Dopo, ci fu qualche secondo di silenzio.

Holden si sporse appena in tempo per vedere la porta delle scale che si richiudeva.

«Mi sa che se la stanno filando» disse, continuando a puntare la pistola in quella direzione per prudenza. «Dev’esserci un’altra uscita, da qualche parte. Amos, tieni d’occhio la porta. Se si apre, spara.» Diede una pacca sulla spalla di Naomi. «Sta’ giù.»

Holden si alzò in piedi dietro il bancone ormai devastato. La parte frontale era saltata e attraverso gli squarci si vedeva la pietra sottostante. Holden alzò la pistola con la canna puntata verso il soffitto, aprendo le mani. L’uomo con il cappello non si mosse; diede un’occhiata al cadavere ai suoi piedi, poi alzò lo sguardo mentre Holden gli si avvicinava.

«Ti ringrazio. Mi chiamo James Holden. Tu sei...?»

L’uomo non disse niente per un istante. Quando lo fece, la sua voce era calma. Quasi stanca. «La polizia sarà qui tra poco. Devo fare una chiamata, o finiremo tutti dietro le sbarre.»

«Non sei tu la polizia?» chiese Holden.

L’altro uomo sghignazzò; era una risata amara, breve, ma nel profondo si percepiva dell’umorismo. A quanto pareva, Holden doveva aver detto qualcosa di buffo.

«No. Mi chiamo Miller.»