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Miller

Il cart procedeva a tutta velocità attraverso il tunnel, con la sirena che mascherava il gemito dei motori. Si lasciavano alle spalle civili curiosi e il profumo di una situazione surriscaldata. Miller si sporse in avanti sul sedile; avrebbe voluto che quel cart potesse andare ancor più veloce. Erano a tre livelli, più o meno quattro chilometri, dalla centrale.

«E va bene» disse Havelock. «Mi dispiace, ma c’è qualcosa che non mi è chiaro in tutto questo.»

«Cosa?» disse Miller. Quel che intendeva dire era: ‘Cosa diavolo stai dicendo?’ Havelock lo prese per un: ‘Cosa non ti è chiaro?’

«Qualcuno polverizza un cargo frigorifero a milioni di chilometri da qui. Perché siamo in massima allerta? Le nostre cisterne dureranno ancora per mesi senza nemmeno il bisogno di razionare l’acqua. E ci sono un sacco di altri cargo là fuori. Perché mai dovrebbe essere considerata una crisi?»

Miller si voltò e squadrò per bene il suo partner. La sua corporatura bassa e tarchiata. Le ossa spesse per via di un’infanzia trascorsa a piena gravità. Proprio come quello stronzo del comunicato. Loro non capivano. Se al posto di questo James Holden ci fosse stato Havelock, probabilmente avrebbe fatto la stessa stupida, irresponsabile, immane stronzata. Per un battito di ciglia, non furono più due agenti della sicurezza. Non furono più partner. Erano soltanto un cinturiano e un terrestre. Miller distolse lo sguardo prima che Havelock potesse leggere quel cambiamento nei suoi occhi.

«Hai presente quel coglione di Holden? Quello del comunicato?» disse Miller. «Ecco. Ha appena dichiarato guerra a Marte da parte nostra.»

Il cart scartava e ondeggiava bruscamente, mentre il computer interno ricalcolava la rotta per via di un qualche ingorgo nel flusso stradale mezzo chilometro più avanti. Havelock si spostò e afferrò la manopola di sostegno. Imboccarono una rampa verso il livello successivo e i pedoni civili si spostarono per lasciar loro il passo.

«Tu sei cresciuto in un posto in cui l’acqua sarà pure sporca, ma viene giù dal cielo» disse Miller. «L’aria sarà inquinata, laggiù, ma non rischia di disperdersi se i meccanismi dei portelloni sigillati hanno un guasto. Quassù non è così.»

«Però non eravamo sul cargo. Non abbiamo bisogno del ghiaccio. E non siamo minacciati» replicò Havelock.

Miller sospirò, strofinandosi gli occhi con i pollici e le nocche finché un velo di colori alterati non sbocciò nel suo campo visivo.

«Quando ero alla omicidi,» disse Miller «c’era questo tizio, uno specialista della gestione immobiliare che aveva un contratto su Luna. Qualcuno l’ha mezzo carbonizzato e l’ha buttato fuori da un portellone pressurizzato. Uscì fuori che era responsabile della manutenzione di sessanta buchi su al livello trenta. Brutto quartiere. E aveva cominciato ad arrotondare un po’ i profitti. Non aveva fatto sostituire i filtri dell’aria per tre mesi. In tre di quelle unità fu trovata della muffa. E lo sai che cosa trovammo, dopo aver scoperto questo?»

«Che cosa?» chiese Havelock.

«Un cazzo di niente, perché smettemmo di investigare. Ci sono persone che meritano di morire, e quel tipo era una di queste. Il tizio che rilevò il suo incarico fece pulire tutte le condutture e non mancò più di cambiare i filtri secondo norma. Ecco come vanno le cose nella Fascia. Chiunque sia venuto qui e non abbia dato la massima importanza al sistema ambientale, è morto giovane. Noi, tutti quelli che sono ancora qui, siamo coloro che hanno fatto attenzione a queste cose.»

«Efficacia selettiva?» disse Havelock. «Stai davvero difendendo le teorie dell’efficacia selettiva? Non avrei mai pensato di sentire questo genere di merdate da uno come te.»

«E cioè?»

«Stronzate da propaganda razzista» rispose Havelock. «La teoria per cui la differenza ambientale avrebbe cambiato i cinturiani a tal punto che, invece di essere semplicemente una massa di anoressici con disturbi ossessivo-compulsivi, non sarebbero più veramente umani.»

«Non dico questo» replicò Miller, sospettando che fosse esattamente quello che stava dicendo. «È solo che i cinturiani non vanno molto per il sottile quando fai lo stronzo con delle risorse basilari. Quell’acqua era futuro ossigeno, propellente e beni potabili, per noi. Quando si parla di questa roba, ci manca il senso dell’umorismo.»

Il cart salì su una rampa di grate metalliche. Il livello inferiore si staccò sotto di loro. Havelock rimase in silenzio per un po’.

«Questo Holden non ha accusato Marte, ma ha solo detto che hanno trovato una batteria marziana. Credi davvero che la gente si metterà a... dichiarare guerra?» disse Havelock. «Solo sulla base delle foto di una batteria mandate da quel tizio?»

«Il nostro problema non sono quelli che aspetteranno di avere il quadro completo della situazione.»

Perlomeno non stanotte, pensò. Una volta che tutta la faccenda sarà pubblica, vedremo con cosa abbiamo a che fare.

La centrale era piena per più di metà, quasi per tre quarti. Gli uomini della sicurezza se ne stavano in piedi a gruppetti, salutandosi con un cenno del capo, con gli occhi stretti e la mascella serrata. Uno della squadra omicidi scoppiò a ridere per qualcosa, in maniera esagerata, forzata, che sapeva di paura. Miller notò il cambiamento di Havelock non appena attraversarono l’area comune per andare alle loro scrivanie. Havelock era stato capace di derubricare la reazione di Miller a un problema di ipersensibilità del singolo. Quella era una sala intera, però. Una centrale intera. Quando furono giunti alle loro postazioni, Havelock aveva gli occhi sgranati.

Il capitano Shaddid fece il suo ingresso nella sala. La faccia assonnata era sparita. Aveva i capelli tirati all’indietro, l’uniforme impeccabile e professionale, la voce calma come quella di un chirurgo in un ospedale di trincea. Salì sulla prima scrivania che trovò, improvvisando un pulpito.

«Signore e signori» disse. «Avete visto il comunicato. Ci sono domande?»

«Chi ha lasciato avvicinare quel fottuto terrestre a una stazione radio?» gridò qualcuno. Miller vide Havelock ridere insieme agli altri, ma l’ilarità non raggiungeva i suoi occhi. Shaddid fulminò la folla con lo sguardo e tutti si zittirono.

«La situazione è la seguente» disse. «Sarà impossibile riuscire a controllare questa informazione. È stata trasmessa ovunque. Abbiamo già cinque siti della rete interna che l’hanno rilanciata, e dobbiamo presumere che sia diventata di pubblico dominio a partire da dieci minuti fa. Il nostro compito, al momento, è quello di contenere possibili atti di rivolta e di assicurare l’integrità delle stazioni nella zona del porto. Le stazioni cinquanta e duecentotredici ci daranno una mano. L’autorità portuale ha rilasciato tutte le navi sul registro dei pianeti interni. Il che non significa che se ne siano andate tutte. Devono ancora radunare i propri equipaggi. Ma significa che se ne andranno tutte.»

«E gli uffici governativi?» chiese Miller, a voce alta per farsi sentire.

«Non è un nostro problema, grazie a dio» rispose Shaddid. «Hanno la loro infrastruttura. I portelloni antiesplosione sono già stati chiusi e sigillati. Si sono isolati dal sistema ambientale principale, per cui non stiamo nemmeno respirando la loro aria in questo momento.»

«Be’, questo sì che è un sollievo» disse Yevgeny dal gruppo di investigatori della omicidi.

«E ora le cattive notizie» disse Shaddid. Miller percepì il silenzio palpabile di centocinquanta sbirri che trattenevano il fiato. «Abbiamo ottanta agenti schedati dell’APE su questa stazione. Sono tutti impiegati e regolari, e sapete bene che questo è proprio il genere di occasione che aspettano. Abbiamo ricevuto ordine dal governatorato di non procedere ad alcuna cattura preventiva. Nessuno verrà arrestato finché non sarà imputabile di qualcosa di concreto.»

Un coro di voci adirate si levò in protesta.

«Chi si crede di essere?» gridò qualcuno dal fondo della sala. Shaddid scattò come uno squalo a quel commento.

«Il governatore è quello che ci ingaggia per mantenere questa stazione in buon ordine di funzionamento» rispose Shaddid. «Seguiremo le sue direttive.»

Con la coda dell’occhio, Miller vide Havelock annuire. Si chiese che cosa ne pensasse, il governatore, della questione dell’indipendenza della Fascia. Poteva darsi che l’APE non fosse l’unica ad aspettare un’occasione del genere. Shaddid continuò il suo discorso, delineando le azioni di sicurezza che erano loro consentite. Miller l’ascoltò distrattamente, talmente perso nella riflessione sulle manovre politiche all’opera dietro quella situazione che per poco non si lasciò sfuggire il momento in cui Shaddid chiamò il suo nome.

«Miller guiderà la seconda squadra al livello del porto e coprirà i settori dal tredici al ventiquattro. Kasagawa: squadra tre, dal venticinque al trentasei, e così via. Sono venti uomini per squadra, tranne per Miller.»

«Posso cavarmela con diciannove» disse Miller. Poi aggiunse sottovoce, per Havelock: «A questo giro passi la mano, collega. Far vedere un terrestre con la pistola là fuori non faciliterebbe le cose.»

«Già» riconobbe Havelock. «Me lo immaginavo.»

«Bene» disse Shaddid. «Sapete tutti cosa fare. Muoversi.»

Miller radunò la sua squadra antisommossa. Erano tutti volti familiari, uomini e donne con cui aveva lavorato durante i lunghi anni trascorsi nel servizio d’ordine. Li organizzò mentalmente con un’efficienza quasi automatica. Brown e Gelbfish avevano entrambi esperienza nei reparti speciali, per cui avrebbero comandato le ali se si fosse resa necessaria un’azione di controllo della folla. Aberforth si era beccata tre richiami per uso eccessivo della forza da quando sua figlia era stata arrestata per spaccio su Ganimede, per cui sarebbe stata in seconda linea. Poteva risolvere i suoi problemi di controllo della rabbia un’altra volta. In tutta la centrale, Miller sentì gli altri capisquadra impostare le formazioni come stava facendo lui.

«Okay» disse Miller. «Tute.»

Si allontanarono in gruppo, diretti alle piattaforme di equipaggiamento. Miller restò indietro. Havelock era rimasto appoggiato alla sua scrivania, a braccia conserte, con gli occhi fissi nel vuoto. Miller si sentì diviso tra la compassione e l’impazienza. Era dura far parte della squadra ma non esserne parte allo stesso tempo. Del resto, che diavolo si aspettava quando aveva accettato un contratto nella Fascia? Havelock alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Miller. Si rivolsero un cenno del capo. Miller fu il primo a voltarsi.

La piattaforma di equipaggiamento era in parte magazzino, in parte camera blindata, progettata da qualcuno che si era preoccupato più di risparmiare lo spazio che di rendere l’ambiente funzionale. Le luci, faretti a LED bianchi incassati nel soffitto, conferivano alle pareti grigie un aspetto sterile. La nuda pietra riecheggiava a ogni voce e passo. File di munizioni e armi da fuoco, sacchetti di raccolta prove e reagenti per esami tossicologici, pezzi e uniformi di ricambio coprivano le pareti e riempivano la maggior parte dello spazio interno. L’equipaggiamento antisommossa era in una sala laterale, chiuso in armadietti d’acciaio grigio con lucchetti elettronici ad alta sicurezza. Quello standard consisteva invece in uno scudo di plastica ad alto impatto, manganello elettrico, schinieri, giubbotto e gambali antiproiettile e un casco con visiera rinforzata; il tutto era progettato per rendere una manciata di uomini e donne del servizio d’ordine della centrale una forza intimidatoria, disumana.

Miller inserì il suo codice di accesso. I chiavistelli interni si sganciarono e gli armadietti si aprirono.

«Be’» disse Miller con tono gioviale. «Che io sia dannato.»

Gli armadietti erano vuoti, come bare grigie i cui cadaveri fossero scomparsi nel nulla. Sentì una delle altre squadre gridare oltraggiata. Miller aprì sistematicamente ogni armadietto antisommossa che riuscì a trovare. Erano tutti vuoti. Shaddid apparve al suo fianco, con il viso sbiancato per la rabbia.

«Qual è il piano B?» chiese Miller.

Shaddid sputò a terra, poi chiuse gli occhi. Miller vide il movimento della pupilla sotto la palpebra, come se stesse sognando. Due lunghi respiri dopo, lei riaprì gli occhi.

«Controllate gli armadietti dei reparti speciali. Lì dovrebbero esserci abbastanza elementi per equipaggiare due agenti per ogni squadra.»

«Equipaggiamenti da cecchino?»

«Ha un’idea migliore, ispettore?» disse Shaddid, sottolineando l’ultima parola.

Miller alzò le mani in segno di resa. L’equipaggiamento antisommossa era progettato per intimidire e controllare. Quello dei reparti speciali era pensato invece per uccidere con la maggior efficienza possibile. Sembrava che il loro mandato fosse appena cambiato.

In un giorno qualunque, sulla Stazione di Ceres potevano essere attraccate un migliaio di navi. L’attività, in quel porto, era frenetica: rallentava raramente e non si fermava mai. Ogni settore poteva ospitare fino a venti navi, con il relativo andirivieni di personale e di carichi, di camion di trasporto, mesogru e carrelli elevatori, e la squadra di Miller era responsabile di venti settori.

L’aria era impregnata del puzzo di liquidi refrigeranti e olio. La gravità era poco più alta di 0.3 g, e la rotazione della stazione bastava da sé a conferire a quel posto un senso di oppressione e pericolo. A Miller non piaceva il porto. Avere il vuoto così vicino ai piedi lo rendeva nervoso. Superando gli scaricatori e le squadre di trasporto, non sapeva bene se guardarli in cagnesco o sorridere. Era lì per far rigare dritta la gente attraverso l’intimidazione e al tempo stesso per rassicurarla che ogni cosa era sotto controllo. Dopo i primi tre settori, optò per il sorriso. Era il genere di menzogna che gli riusciva meglio.

Avevano appena raggiunto l’intersezione tra i settori diciannove e venti, quando udirono un grido. Miller tirò fuori il terminale palmare dalla tasca, si connesse alla rete di sorveglianza centrale e si fece mandare le immagini dal sistema delle telecamere di sicurezza. Gli ci volle qualche secondo per trovarlo: una folla di cinquanta o sessanta civili ostruiva quasi l’intera larghezza del tunnel bloccando il traffico in entrambe le direzioni. Qualcuno brandiva delle armi sopra la testa. Coltelli, mazze. Almeno due pistole. Pugni alzati al cielo. E, in mezzo a quella calca, un uomo massiccio e a petto nudo stava picchiando a morte qualcuno.

«Si va in scena» disse Miller, facendo segno alla sua squadra di avanzare a passo di corsa.

Era ancora a un centinaio di metri dalla curva che li avrebbe portati a contatto con quel grumo di violenza umana quando vide l’uomo a petto nudo sbattere la sua vittima a terra e sferrarle un pestone sul collo. La testa della malcapitata si torse con un’inclinazione che non lasciava nessun dubbio sulla sua sorte. Miller fece rallentare la squadra a passo di marcia rapida. Arrestare l’assassino mentre era circondato da una folla che lo appoggiava sarebbe stato già abbastanza difficile senza aggiungerci il fiatone.

Ormai avevano fiutato il sangue. Miller riusciva a percepirlo. La folla si sarebbe rivoltata. Contro la centrale, contro le navi. Se la popolazione avesse cominciato ad aggiungersi a quel caos... che cosa sarebbe potuto succedere? Un livello più su, e a mezzo chilometro in senso inverso alla rotazione, c’era un bordello che accettava clienti dei pianeti interni. L’ispettore doganale del settore ventuno era sposato con una ragazza di Luna, e se n’era vantato forse una volta di troppo.

C’erano troppi bersagli possibili, pensò Miller mentre faceva segno ai suoi uomini di allargarsi. Se fossero riusciti a bloccare subito la situazione, non ci sarebbero stati altri morti.

S’immaginò Candace che incrociava le braccia e gli diceva: Qual è il piano B?

Il margine esterno della folla sollevò l’allarme ben prima che Miller potesse raggiungerlo. La massa di corpi e la minaccia cambiarono direzione. Miller si tirò indietro il cappello. Uomini, donne. Corpi scuri, pallidi, dorati, e tutti con la stazza esile e affusolata dei cinturiani, tutti con la bocca spalancata e rabbiosa come un branco di scimpanzé in guerra.

«Lasci che ne abbatta un paio, signore» disse Gelbfish dal suo terminale. «Per incutergli un po’ di sano timore in corpo.»

«Ci arriveremo» rispose Miller, sorridendo alla folla inferocita. «Ci arriveremo.»

Il viso che si era aspettato di vedere era in prima fila. Il tipo a petto nudo. L’omone, con le mani inzaccherate e il volto schizzato di sangue. Il cuore della rivolta.

«Quello lì?» chiese Gelbfish, e Miller seppe che un puntino a infrarossi stava già marcando la fronte del tipo, mentre era impegnato a guardare in cagnesco Miller e le uniformi alle sue spalle.

«No» disse Miller. «Quello farebbe soltanto infuriare gli altri.»

«Che facciamo, allora?» chiese Brown.

Era una bella domanda.

«Signore» osservò Gelbfish. «Quel sacco di merda ha un tatuaggio dell’APE sulla spalla sinistra.»

«Be’,» rispose Miller «se dovete sparargli, cominciate da lì.»

Fece un passo avanti, collegando il terminale al sistema locale e trasmettendo in segnale prioritario sull’allarme in corso. Quando parlò, la sua voce rimbombò dagli altoparlanti posti sopra la strada.

«Sono il detective Miller. A meno che non vogliate essere sbattuti tutti dentro per favoreggiamento nell’omicidio, vi suggerisco di disperdervi immediatamente.» Togliendo poi il volume al microfono del suo terminale, si rivolse direttamente al tipo a petto nudo. «Tu no, ragazzone. Se muovi un muscolo, ti abbattiamo.»

Qualcuno tra la folla scagliò una chiave inglese; il metallo argentato tracciò un arco per aria, diretto verso la testa di Miller. Lui riuscì quasi a scansarsi del tutto, ma il manico lo colpì su un orecchio. La testa gli rimbombò e si sentì il collo umido di sangue.

«Non sparate» gridò Miller. «Non sparate.»

Alcuni uomini tra la folla scoppiarono a ridere, credendo che si fosse rivolto a loro. Idioti. L’uomo a petto nudo si fece avanti spavaldo. Gli steroidi gli avevano teso le cosce a tal punto che doveva camminare a papera. Miller riaccese il microfono del terminale. Se la folla fosse rimasta a guardarli mentre si affrontavano, nel frattempo non avrebbe spaccato niente. E la rivolta non si sarebbe diffusa. Non ancora.

«Allora, amico. Sai soltanto ammazzare a calci gli indifesi, o possiamo partecipare anche noi al raduno?» chiese Miller. Il tono era informale, ma le sue parole riecheggiavano dagli altoparlanti del molo come la voce di Dio.

«’Cazzo blateri, cane della Terra?» ribatté quello.

«Terra?» chiese Miller, sghignazzando. «Ti sembro uno che è cresciuto in un pozzo di gravità? Sono nato su questa roccia, io.»

«Gli interni ti danno la pappa, puttana» replicò il tipo a petto nudo. «Tu cane a loro, sei.»

«Dici?»

«Dui, cazzo» replicò il tipo. ‘È così, cazzo.’ Fletté i pettorali. Miller trattenne il bisogno di farsi una risata.

«Quindi quel povero cristo l’hai ammazzato per il bene della stazione?» disse Miller. «Per il bene della Fascia? Non fare l’idiota, ragazzo. Ti stanno prendendo in giro. Vogliono che vi comportiate come un manipolo di stupidi riottosi, così avranno una scusa per chiudere questo posto.»

«Schrauben sie sie weibchen» disse l’altro in un tedesco da strada con una forte inflessione cinturiana, chinandosi in avanti.

E va bene. È la seconda volta che mi dà della puttana, pensò Miller.

«Sparategli alle ginocchia» disse Miller. Le gambe dell’uomo esplosero con due schizzi gemelli di sangue, e quello crollò a terra ululando. Miller oltrepassò il suo corpo che si contorceva per il dolore e avanzò verso la folla.

«Prendete ordini da questo pendejo?» disse. «Ascoltate me, sappiamo tutti quello che sta per succedere. Sappiamo che danza inizia, ora, come pow, giusto? Hanno fottuto tu agua, e conosciamo tutti la risposta. Fuori dal portellone, no?»

Lesse i loro volti: l’improvvisa paura dei cecchini, poi la confusione. Li incalzò, senza lasciar loro il tempo di riflettere. Tornò al linguaggio dei livelli bassi, al linguaggio dell’educazione, dell’autorità.

«Sapete cos’è che vuole Marte? Vuole che voi facciate proprio questo. Vogliono che questo pezzo di merda qui faccia in modo che l’universo veda i cinturiani come una masnada di psicopatici che fanno a pezzi la loro stessa stazione. Vogliono far credere che siamo proprio come loro. Be’, non lo siamo. Siamo cinturiani, e sappiamo pulirci il culo da soli.»

Indicò un uomo in prima linea. Non era pompato quanto quello a petto nudo, ma era grosso comunque. Aveva il cerchio spezzato dell’APE sul braccio.

«Tu» disse Miller. «Vuoi combattere per la Fascia?»

«Dui» rispose l’uomo.

«Certo che sì. Anche lui voleva farlo» disse Miller, indicando con il pollice il tipo a petto nudo. «Ora però è storpio, e se ne andrà al fresco per omicidio. E così ne abbiamo già perso uno. Lo vedi? Ci stanno mettendo gli uni contro gli altri. Non possiamo lasciarglielo fare. Ognuno di voi che mi toccherà arrestare, menomare o ammazzare, sarà un uomo in meno per quando verrà il momento. E sta arrivando. Ma non è ora. Lo capisci?»

L’uomo dell’APE s’incupì. La folla si allontanò da lui, lasciandolo da solo. Miller percepì una sorta di corrente che gli andava contro. Stava cambiando verso.

«Il giorno si avvicina, hombre» disse l’uomo dell’APE. «Tu lo sai da che parte stai?»

Il tono della sua voce era una minaccia, ma non aveva alcuna forza. Miller trasse un profondo respiro. Era finita.

«Sempre dalla parte degli angeli» disse. «Perché non ve ne tornate tutti al lavoro? Lo spettacolo è concluso, qui, e abbiamo tutti un sacco da fare.»

Ormai priva dello slancio iniziale, la folla si disperse. Dapprima un paio di persone si staccarono dal margine, e poi l’intero gruppo si sciolse in un attimo. Cinque minuti dopo l’arrivo di Miller, gli unici indizi che fosse mai accaduto qualcosa in quel luogo erano il tipo a petto nudo che gemeva in una pozza del suo sangue, la ferita sull’orecchio di Miller e il cadavere della donna, al cui pestaggio avevano assistito cinquanta cittadini modello senza muovere un dito. Era di bassa statura, e indossava la tuta di volo di una compagnia mercantile marziana.

Soltanto un cadavere. Un risultato positivo, pensò amaramente Miller.

Si portò accanto all’uomo a terra. Il tatuaggio dell’APE era macchiato di sangue. Miller si accovacciò.

«Amico» disse. «Sei in arresto per l’omicidio di quella donna laggiù, chiunque diavolo sia. Non ti verrà richiesto di sottoporti a interrogatorio senza la presenza di un avvocato o di un rappresentante dell’unione e, se ti azzardi anche soltanto a guardarmi storto, ti faccio eiettare. Ci siamo capiti?»

Dallo sguardo dell’uomo, Miller comprese che si erano capiti.