19
Holden
Fred era da solo, con la mano tesa e un sorriso caloroso e aperto sull’ampio volto. Alle sue spalle non c’era nessuna guardia armata di fucili di assalto. Holden strinse la mano di Fred e poi scoppiò a ridere. Fred sorrise e parve confuso, ma lasciò che Holden trattenesse la sua mano, aspettando che gli spiegasse che cosa ci fosse di così divertente.
«La prego di scusarmi, ma non ha idea di quanto possa essere piacevole tutto questo» disse Holden. «Questa è letteralmente la prima volta in un mese che riesco a scendere da una nave senza che mi esploda alle spalle.»
Fred rise con lui, una risata onesta che sembrava provenire dalla pancia.
Dopo un momento, il colonnello disse: «Siete al sicuro, qui. Siamo la stazione più protetta di tutti i pianeti esterni.»
«Perché siete dell’APE?» chiese Holden.
Fred scosse la testa.
«No. Finanziamo le campagne elettorali sulla Terra e su Marte con cifre che farebbero arrossire un Hilton» disse. «Se qualcuno dovesse farci saltare in aria, metà assemblea delle Nazioni Unite e l’intero Congresso di Marte chiederebbero a gran voce la sua testa. È questo il problema, con i politici: i tuoi nemici sono spesso tuoi alleati. E viceversa.»
Fred indicò una porta alle sue spalle e invitò tutti quanti a seguirlo. Il percorso fu breve ma, giunti a metà strada, la gravità ricomparve e mutò in maniera disorientante. Holden incespicò. Fred apparve imbarazzato.
«Mi dispiace. Avrei dovuto avvertirvi. L’hub centrale è in assenza di gravità. Spostarsi nella gravità rotazionale dell’anello può essere disagevole, le prime volte.»
«Tutto bene» disse Holden. Poteva darsi che si fosse soltanto immaginato il sorriso fugace di Naomi.
Un istante più tardi, le porte dell’ascensore si aprirono su un ampio corridoio con il pavimento di moquette e le pareti color verde pallido. Aveva l’odore rassicurante di riciclatori d’aria e colla da parati fresca. Holden non sarebbe stato sorpreso di scoprire che diffondevano un profumo di ‘nuova stazione spaziale’ nell’aria. Le porte che aprivano sul corridoio erano fatte di finto legno, distinguibile dal vero soltanto perché nessuno poteva avere così tanti soldi. Di tutto il suo equipaggio, Holden era quasi sicuramente l’unico a esser cresciuto in una casa con mobili e infissi di legno vero. Amos era cresciuto a Baltimora. Non vedevano un albero da più di un secolo, da quelle parti.
Holden si tolse il casco e si voltò per dire ai suoi di fare altrettanto, ma trovò che l’avevano preceduto. Amos si guardò intorno nel corridoio e fece un fischio.
«Bella baracca, Fred» disse.
«Seguitemi, vi mostro la vostra sistemazione» replicò Fred, guidandoli lungo il corridoio. Parlò mentre avanzavano. «La Stazione di Tycho ha subìto un certo numero di ristrutturazioni negli ultimi cento anni, come potrete immaginare, ma la sostanza non è cambiata poi molto. Era un progetto strutturale brillante fin dall’inizio; Malthus Tycho era un genio dell’ingegneria. È suo nipote Bredon a gestire la compagnia, ora. Al momento non è presente sulla stazione. È sceso nel pozzo, su Luna, per negoziare il prossimo ingaggio.»
«Mi sembra che abbiate già il vostro bel da fare, con quel mostro parcheggiato là fuori. Senza contare, be’... una guerra in corso» disse Holden.
Incrociarono un gruppo di individui con indosso tute di vari colori, che discutevano animatamente tra loro. Il corridoio era talmente ampio che nessuno dovette farsi da parte. Fred li salutò con un gesto mentre li superavano.
«È appena finito il primo turno, per cui siamo in un orario di punta» spiegò. «A dire il vero, è tempo di procacciarsi nuovi contratti. La Nauvoo è quasi completa. Tra sei mesi imbarcheranno i loro coloni. Bisogna sempre fare in modo di avere il progetto successivo in coda. La Tycho costa undici milioni di dollari alle Nazioni Unite al giorno, che si guadagni o meno. Sono un bel po’ di spese da coprire. E la guerra... be’, speriamo che sia soltanto temporanea.»
«Mettervi ad accogliere dei rifugiati non aiuterà la vostra posizione» osservò Holden.
Fred si limitò a ridere e a dire: «Quattro persone in più non dovrebbero impoverire più di tanto le nostre risorse.»
Holden si fermò, obbligando gli altri alle sue spalle a fare lo stesso. Fred se ne accorse solo qualche passo dopo, e si voltò con un’espressione confusa in volto.
«Sta sviando il discorso» disse Holden. «A parte una nave da guerra marziana da un paio di miliardi di dollari rubata, non abbiamo niente di valore. Tutti pensano che siamo morti. Qualunque accesso ai nostri conti rovinerebbe tale copertura, e non credo di vivere in un universo in cui arriva il Daddy Warbucks di turno a sistemare tutto quanto solo per bontà d’animo. Per cui o ci dice chiaro e tondo il motivo per cui si è preso il rischio di darci asilo, o ce ne torniamo sulla nostra nave e vediamo com’è la vita da pirati.»
«Ci chiameranno il Flagello della marina mercantile marziana» ringhiò Amos alle sue spalle. Sembrava apprezzare quella prospettiva.
Fred alzò le mani. C’era durezza nel suo sguardo, ma anche un certo divertito rispetto.
«Nessun colpo gobbo, avete la mia parola» disse. «Siete armati, e il personale di sicurezza della stazione vi permetterà di portare con voi le vostre pistole ovunque lo riteniate opportuno. Questo dovrebbe già bastarvi a rassicurarvi sul fatto che non ho intenzione di giocare sporco. Ma permettetemi di mostrarvi i vostri alloggi prima di continuare a discutere di questa faccenda, va bene?»
Holden non si mosse. Un altro gruppo di lavoratori di ritorno dal turno avanzava lungo il corridoio e guardò la scena con curiosità. Qualcuno di loro disse: «Tutto a posto, Fred?»
Lui annuì e li salutò con un cenno impaziente. «Usciamo almeno dal corridoio.»
«Non disferemo le valigie finché non avremo delle risposte» replicò Holden.
«Va bene. Ci siamo quasi» disse Fred, e riprese a guidarli con passo appena più veloce. Si fermò di fronte a una rientranza nella parete, che ospitava due porte. Dopo averne aperta una strisciando una carta, Fred li condusse in uno spazioso alloggio residenziale con un ampio salone e molti posti a sedere.
«Il bagno è quella porta laggiù, sulla sinistra. La stanza da letto è quella sulla destra. C’è un piccolo angolo cucina da quella parte» disse Fred, indicando ogni cosa mentre parlava.
Holden si accomodò su una grossa poltrona marrone in pelle sintetica e spinse indietro lo schienale. In una tasca del bracciolo c’era un telecomando. Immaginò che fosse quello dell’impressionante schermo che occupava quasi un’intera parete. Naomi e Amos si sedettero su un divano coordinato alla poltrona, e Alex si stravaccò su un amorino color crema che creava un gradevole contrasto con gli altri mobili.
«Comodi?» chiese Fred, prendendo per sé una delle sei sedie della zona pranzo e sistemandosi di fronte a Holden.
«Non c’è male» rispose Holden, sulla difensiva. «La mia nave ha un’ottima macchina del caffè.»
«Immagino che una mazzetta non funzionerebbe, allora. Ad ogni modo, siete tutti comodi? Abbiamo predisposto due alloggi per voi, entrambi con questa disposizione, anche se l’altra suite ha due stanze. Non ero sicuro della... ehm, sistemazione notturna...» Fred lasciò sospesa la frase, a disagio.
«Non ti preoccupare, capo, puoi dormire nel mio letto» disse Amos, facendo l’occhiolino a Naomi.
Naomi sorrise appena.
«E va bene, Fred, ci siamo tolti dal corridoio. Ora risponda alle domande del capitano.»
Fred annuì, poi si alzò e si schiarì la gola. Sembrò ripassare mentalmente qualcosa. Quando parlò, la facciata di amabile conversatore era svanita. Nella sua voce c’era una cupa autorità.
«La guerra tra Marte e la Fascia è un suicidio. Quand’anche ogni scialuppa della Fascia fosse armata, non saremmo comunque all’altezza di competere con la marina militare marziana. Potremmo abbattere qualche nave facendo ricorso a sotterfugi e missioni suicide. Loro potrebbero sentirsi obbligati a sganciare una testata nucleare su una delle nostre stazioni per gonfiare i muscoli. Tuttavia, noi potremmo legare razzi chimici a un paio di centinaia di asteroidi grandi quanto un letto a castello e far piovere l’Armageddon sulle cupole delle città marziane.»
Fred fece una pausa, come se stesse cercando le parole giuste, poi tornò a sedersi.
«Tutti quelli che inneggiano alla guerra fanno finta di ignorarlo. È l’elefante nella stanza. Chiunque non viva su una nave spaziale è strutturalmente vulnerabile. Tycho, Eros, Pallas, Ceres... Le stazioni non possono evitare i missili. D’altra parte, con tutti i cittadini della fazione nemica in fondo a quei grossi pozzi di gravità, noi non dovremmo nemmeno preoccuparci di prendere la mira. Einstein aveva ragione. La prossima guerra la combatteremo con le pietre. La Fascia però dispone di pietre in grado di trasformare l’intera superficie di Marte in un oceano di morte.
«Fino a ora tutti si stanno comportando bene, limitandosi a sparare alle navi. Come dei veri gentiluomini. Prima o poi, però, una fazione o l’altra sarà costretta a intraprendere contromisure disperate.»
Holden si chinò in avanti. La superficie liscia della sua tuta ambientale produsse un verso imbarazzante contro la pelle della poltrona. Nessuno rise.
«Siamo d’accordo. E che cos’ha a che fare tutto questo con noi?» chiese.
«Si è già sparso troppo sangue» rispose Fred.
Shed.
Holden fece una smorfia al ricordo del medico, ma non disse niente.
«La Canterbury» continuò Fred. «La Donnager. La gente non dimenticherà queste due navi, né quelle migliaia di vite innocenti.»
«Mi sembra che abbia appena eliminato le uniche due opzioni possibili, capo» disse Alex. «Niente guerra, niente pace.»
«C’è una terza alternativa. Una società civilizzata ha un altro possibile modo di gestire questo genere di problematiche» replicò Fred. «Un processo criminale.»
Lo sbuffo di Amos risuonò per la stanza. Holden dovette sforzarsi di non sorridere.
«Dice sul serio?» chiese Amos. «E come cazzo si fa a mettere una fottuta nave mimetica marziana sotto processo? Chiediamo a tutte le navi mimetiche della flotta dove si trovavano quella sera, e poi facciamo un controllo incrociato degli alibi?»
Fred alzò una mano.
«Smettetela di pensare alla distruzione della Canterbury come se fosse un atto di guerra» disse. «Si è trattato di un crimine. Al momento hanno tutti reagito in maniera eccessiva ma, una volta che la situazione sarà ben chiara, le cose si calmeranno. Entrambi gli schieramenti vedranno dove porta questa strada e cercheranno un’altra via d’uscita. Esiste uno spiraglio in cui gli elementi più sani possono indagare sugli eventi, negoziare una giurisdizione e attribuire la colpa dell’accaduto a un individuo o a un gruppo d’individui, su cui entrambe le parti possono dirsi d’accordo. Un processo. È l’unica soluzione che non implichi milioni di morti e il collasso dell’intera infrastruttura umana.»
Holden si strinse nelle spalle, un gesto impercettibile all’interno della sua pesante tuta ambientale.
«Un processo, quindi. Lei continua a non rispondere alla mia domanda.»
Fred indicò Holden, poi ognuno dei membri del suo equipaggio.
«Voi siete gli assi nella manica. Voi quattro siete gli unici testimoni oculari della distruzione di entrambe le navi. Quando si giungerà al processo, avrò bisogno di voi e delle vostre deposizioni. Ho già una certa influenza grazie ai miei contatti politici, ma voi potete garantirmi l’accesso al tavolo. Negozieremo un nuovo insieme di trattati tra la Fascia e i pianeti interni. In pochi mesi potremmo raggiungere un risultato che sognavo di ottenere con decenni di lavoro.»
«Dunque lei vorrebbe usare il nostro peso come testimoni per crearsi un varco di accesso al processo e far assumere a questi trattati la fisionomia che ritiene migliore» disse Holden.
«È così. E sono disposto a garantirvi protezione, asilo e libera circolazione sulla mia stazione per tutto il tempo che servirà.»
Holden fece un lungo respiro profondo, si alzò e cominciò ad aprire la zip della sua tuta.
«E va bene. Mi pare un discorso sufficientemente arrivista da poter essere credibile» disse. «Vediamo di sistemarci.»
Naomi cantava davanti allo schermo del karaoke. Al solo pensiero, Holden si sentiva girare la testa. Naomi. Karaoke. Anche prendendo in considerazione quel che era accaduto loro durante quell’ultimo mese, Naomi sul palco con un microfono in una mano e una specie di Martini fucsia nell’altra, intenta a gridare un rabbioso inno punk cinturiano dei Moldy Filters, era la cosa più strana che avesse mai visto. Lei finì di cantare tra applausi sparsi e qualche fischio, poi barcollò giù dal palco e crollò sul divanetto di fronte a lui.
Alzò il drink, rovesciandone una buona metà sul tavolo, poi scolò tutto d’un fiato quel che rimaneva nel bicchiere.
«Che ne pensi?» chiese Naomi, facendo segno al barista di portare un altro bicchiere.
«Terribile» disse Holden.
«Dài, sul serio.»
«Sul serio? Una delle esecuzioni più atroci di uno dei pezzi più terribili che abbia mai sentito.»
Naomi scosse la testa, facendogli una linguaccia esasperata. I suoi capelli scuri le ricaddero sul viso e, quando il barista le portò un altro Martini dal colore improbabile, intralciarono ogni suo tentativo di bere. Alla fine si afferrò i capelli e se li alzò in un ciuffo sopra la testa mentre beveva.
«Non capisci» disse. «Deve essere atroce. È tutto qui il senso.»
«In tal caso, è stata l’interpretazione più riuscita che abbia mai sentito» rispose Holden.
«Proprio così.» Naomi si guardò intorno. «Dove sono Amos e Alex?»
«Amos ha trovato quella che sono certo fosse la prostituta più costosa che abbia mai visto. Alex sta giocando a freccette sul retro. Ha fatto qualche commento sulla superiorità dei giocatori di freccette marziani. Suppongo che lo uccideranno e lo scaricheranno fuori da un portellone.»
Sul palco c’era un altro cantante, che si dava arie da crooner intonando una sorta di power ballad vietnamita. Naomi guardò il tizio per un po’, sorseggiando il suo drink, poi disse: «Forse dovremmo andare a salvarlo.»
«Quale dei due?»
«Alex. Perché Amos dovrebbe essere salvato?»
«Perché sono piuttosto sicuro che abbia detto alla costosa prostituta di mettere tutto sul conto di Fred.»
«Organizziamo una missione di soccorso, allora; possiamo salvarli entrambi» disse Naomi, e poi si scolò il resto del cocktail. «Ho bisogno di altra benzina, però.»
Fece per chiedere di nuovo al barista, ma Holden si allungò, le afferrò la mano e la trattenne sul tavolo.
«Forse sarebbe meglio prendere una boccata d’aria, invece» disse.
Una vampata di rabbia tanto intensa quanto breve le illuminò il volto, e Naomi tirò bruscamente via la mano.
«Prendila tu, una boccata d’aria. Mi hanno appena tolto via da sotto i piedi due navi di fila, ho perso un mucchio di amici, e ho passato tre settimane di volo a far niente fino a qui. Per cui no: mi farò un altro bicchiere, e poi canterò un altro pezzo. Il pubblico mi adora» disse Naomi.
«Che ne è della missione di soccorso?»
«Una causa persa. Amos si farà ammazzare dalle puttane spaziali, ma almeno morirà così come ha vissuto.»
Naomi si alzò dal tavolo, afferrò il Martini sul bancone e si diresse verso il palco del karaoke. Holden la guardò mentre si allontanava, poi scolò lo scotch che si era rigirato tra le mani durante le ultime due ore e si alzò.
Per un momento, ebbe una visione di loro due che tornavano barcollando in camera, insieme, e che finivano a letto. La mattina dopo si sarebbe odiato per aver approfittato di lei, ma l’avrebbe fatto comunque. Naomi lo guardava dal palco, e Holden si rese conto che la stava fissando. Le rivolse un cenno della mano, poi uscì dalla porta in compagnia soltanto di fantasmi: Ade, il capitano McDowell, Gomez, Kelly e Shed...
La suite era comoda, spaziosa e deprimente. Riuscì a rimanere sdraiato sul letto per meno di cinque minuti prima di alzarsi e di uscire dall’alloggio. Percorse il corridoio per mezz’ora, incrociando le grandi intersezioni che portavano verso le altre parti dell’anello. Trovò un negozio di elettronica, una caffetteria e quello che, a una più attenta ispezione, si era rivelato essere un bordello terribilmente costoso. Declinò il videomenu di servizi che la commessa all’ingresso gli aveva offerto e uscì di nuovo, chiedendosi se Amos fosse da qualche parte lì dentro.
Era a metà di un corridoio che non aveva visitato prima, quando fu superato da un gruppetto di ragazze. Dai loro visi sembravano non avere più di quattordici anni, ma erano già alte quanto lui. Mentre le oltrepassava, loro si zittirono, poi scoppiarono a ridere quando furono oltre e si affrettarono ad allontanarsi. Tycho era una città, e all’improvviso Holden si sentì un vero straniero, che non sapeva cosa fare e dove andare.
Quando alzò gli occhi dopo aver vagabondato per un po’, non fu sorpreso di constatare che era arrivato all’ascensore che portava alla piattaforma di attracco. Premette il pulsante e salì nella cabina, ricordandosi appena in tempo di attivare i magneti degli stivali per evitare di andare a gambe all’aria quando la gravità ruotò da un lato prima di svanire del tutto.
Anche se era entrato in possesso di quella nave da appena tre settimane, salire di nuovo a bordo della Rocinante fu come tornare a casa. Con qualche tocco delicato sulla scala di chiglia, Holden si diresse su fin nel cockpit. Si sistemò sul sedile del copilota, allacciò le cinture e chiuse gli occhi.
La nave era silenziosa. Con il reattore spento e senza nessuno a bordo, ogni cosa era perfettamente immobile. Il tubo di attracco flessibile che connetteva la Roci alla stazione trasmetteva pochissime vibrazioni alla nave. Holden poté chiudere gli occhi, lasciarsi fluttuare sotto le cinture e disconnettersi da tutto ciò che aveva intorno.
Sarebbe potuto essere un momento di pace, sennonché, ogni volta che chiudeva gli occhi in quell’ultimo mese, gli estremi residui di luce che svanivano dietro le sue palpebre avevano sempre assunto la forma di Ade che gli faceva l’occhiolino e si disintegrava come polvere al vento. La voce in fondo alla sua testa era quella di McDowell, che si dannava per salvare la nave fino all’ultimo secondo. Si chiese se sarebbe stato così per il resto della sua vita, se sarebbero tornati a tormentarlo ogni volta che avesse trovato un momento di pace.
Gli vennero in mente i veterani durante i suoi giorni di servizio nella marina militare: uomini stagionati che riuscivano a dormire della grossa mentre appena due metri più in là i loro compagni giocavano una rumorosa partita a poker o guardavano i video con il volume al massimo. All’epoca aveva immaginato che si trattasse semplicemente di un comportamento che si poteva apprendere nel tempo, e che il corpo finiva per adattarsi per poter recuperare quanto bastava in un ambiente che non concedeva mai davvero un momento di riposo. Ora si chiese se quei veterani non lo preferissero, quel baccano di sottofondo. Come un modo per tener lontani i loro compagni morti. Probabilmente quando tornavano a casa, dopo vent’anni di servizio, non riuscivano più a dormire. Holden aprì gli occhi e fissò la piccola spia verde sulla console del pilota.
Era l’unica luce della stanza e non illuminava un bel niente. Ma il suo lento spegnersi e accendersi era confortante, in un certo senso. Come un cuore silenzioso della nave.
Holden si disse che Fred aveva ragione, che un processo era la cosa giusta in cui sperare. Ma voleva comunque inquadrare quella nave mimetica nel mirino dei cannoni di Alex. Avrebbe voluto che quell’equipaggio sconosciuto vivesse quel terrificante momento in cui tutte le contromisure sono ormai fallite, i missili sono a pochi secondi dall’impatto, e non si può fare assolutamente niente per fermarli.
Avrebbe voluto che provassero quell’ultimo sussulto di paura, come quello che aveva sentito attraverso il microfono di Ade.
Per un po’, sostituì i fantasmi nella sua testa con pensieri di violenta vendetta. Quando smisero di funzionare, fluttuò giù verso il ponte del personale, si allacciò al suo sedile e cercò di dormire. La Rocinante gli cantò una ninnananna di riciclatori e silenzio.