Capitolo decimo
«Questo dimostra,» disse Ida Arnold, «che basta tener duro.» Vuotò il bicchiere di birra scura e lo depose sul barile capovolto di Hennecky.
«E Prewitt?» domandò Clarence.
«Come sei lento, vecchio spettro. Ho rinunciato a lui. Non potevo inseguirlo per tutta la Francia e la polizia – sai com’è la polizia – vuole sempre delle prove.»
«Hanno preso Cubitt?»
«Cubitt, quando non aveva bevuto, non voleva parlare. E non si sarebbe mai riusciti a ubbriacarlo sufficientemente, perché parlasse con quelli. Perbacco, tutto quanto ti ho raccontato è una calunnia. O almeno lo sarebbe – se quello fosse ancora in vita.»
«Mi meraviglio che tu non abbia dei rimorsi a quel proposito, Ida.»
«Sarebbe morta un’altra persona, se non fossimo arrivati noi.»
«Era lei che se l’era voluto.»
Ma Ida Arnold aveva una risposta pronta a tutto: «Non capiva. Non era che una bambina. Credeva che lui fosse innamorato di lei.»
«E che ne pensa ora?»
«Non chiedermelo. Ho fatto del mio meglio. L’ho ricondotta a casa. In momenti come quelli una ragazza ha bisogno soltanto di suo padre e di sua madre. Ad ogni modo mi dovrà ringraziare di non essere morta.»
«Come sei riuscita a convincere il poliziotto a venire con voi?»
«Gli abbiamo detto che ci avevano rubato la macchina. Il poveretto non sapeva tutto quello che c’era sotto, ma è stato svelto ad agire, quando il Rossetto ha tirato fuori il vetriolo.»
«E Fil Corkery?»
«Parla di andare ad Hastings,» ella disse, «l’anno venturo, ma ho un certo presentimento che dopo tutto questo non mi manderà più nessuna cartolina postale.»
«Sei una donna terribile, Ida,» disse Clarence. Sospirò profondamente e guardò fisso dentro il suo bicchiere. «Ne vuoi un’altra?»
«No, grazie, Clarence. Devo andare a casa.»
«Sei una donna terribile,» ripeté Clarence: era un poco brillo: «ma devo riconoscerlo, agisci per il meglio.»
«Ad ogni modo non ho lui sulla coscienza.»
«Come dici tu, sarebbe stato o lui o lei.»
«Non c’era da scegliere,» concluse Ida Arnold. Si alzò in piedi: era come una polena che raffiguri la vittoria. Fece un cenno di saluto ad Harry, al bar.
«Sei stata via, Ida?»
«Soltanto una settimana o due.»
«Non sembrava tanto,» disse Harry.
«Beh, buona notte a tutti.»
«Buona notte, buona notte.»
Prese la metropolitana fino a Russell Square, poi camminò portandosi la valigetta: si fece aprire il portone e nell’andito guardò se c’erano delle lettere. Ce n’era una sola – di Tom. Sapeva che cosa avrebbe contenuto, e nel cuore generoso e ardente s’intenerì, mentre pensava: «Dopo tutto, in fin dei conti, Tom e io sappiamo che cosa è l’amore.» Aprì la porta che dava sulla scala del seminterrato e chiamò: «Crowe! Mio buon Crowe.»
«Sei tu, Ida?»
«Vieni su a fare due chiacchiere e a far muovere la tavoletta.»
Le tendine erano tirate, come le aveva lasciate – nessuno aveva toccato la porcellana sul camino, ma Warwick Deeping non era più sullo scaffale dei libri e il volume I buoni compagni era coricato su un fianco. La donna in giornata era venuta – se ne poté accorgere – a prendere in prestito dei libri. Trasse fuori una scatola di cioccolatini per il vecchio Crowe: il coperchio non era stato messo bene a posto ed essi erano divenuti molli e sapevano di stantio. Poi con cura prese la Tavoletta, liberò il tavolo e la pose nel centro di esso. «SUICCIDDOCCHIO», pensava. Ora so che cosa vuol dire. La Tavoletta aveva previsto tutto – Sui, la sua parola per significare l’urlo, la sofferenza, il salto. Meditò pacatamente con le dita sulla Tavoletta. A pensarci bene, la Tavoletta aveva salvato Rosa, e una quantità di detti popolari incominciò a passarle per la mente. Era come quando gli aghi degli scambi si spostano e il segnale si abbassa e il fanale rosso diventa verde e la locomotiva entra nel solito binario. È strano questo mondo, in cielo e in terra ci sono tante cose...
Il vecchio Crowe s’affacciò: «Che c’è, Ida?» domandò.
«Ho bisogno di chiedere un consiglio,» Ida rispose. «Voglio chiedere se forse non farei bene a tornare con Tom.»