Capitolo quarto
Ida Arnold affondò i denti in un bignè e la crema sprizzò fuori fra i larghi incisivi. Sorrise a bocca piena nel salottino Pompadour e disse: «Non ho mai avuto tanto denaro da spendere, da quando ho lasciato Tom.» Lo addentò un’altra volta e uno schizzo di crema le rimase sulla lingua carnosa. «E pure lo devo a Fred. Se non mi avesse suggerito Black Boy...»
«Perché non lasciare andare tutto,» propose il signor Corkery, «e divertirsi un pochino? è una cosa pericolosa.»
«Oh, sì, è pericolosa,» ella ammise, ma nessun senso effettivo del pericolo poteva annidarsi dietro quei grandi occhi vivaci. Nulla avrebbe mai potuto farle credere che un giorno anche lei, come Fred, sarebbe stata dove i vermi... la sua mente non poteva seguire quella via, poteva percorrerne soltanto un piccolo tratto, prima che gli scambi automaticamente funzionassero e la riportassero vibrante nella direzione solita, la direzione dei biglietti stagionali, caratterizzati dal nome di residenze piacevoli e da avvisi di crociere e da piccoli boschetti cintati per l’amore in campagna. Guardandosi il bignè, disse: «Non rinuncio mai. Quelli non sapevano quanti fastidi si sarebbero attirati.»
«Lascia fare alla polizia.»
«Oh no! So quello che è giusto, non hai bisogno di dirmelo. Chi sarà mai quello là, secondo te?»
Un ebreo attempato, in scarpini lucidi, una catena al panciotto e una spilla con pietre preziose attraversava il boudoir a passi felpati. «Distinto,» disse Ida Arnold.
Un segretario gli trottava dietro a breve distanza, leggendo su una lista: «banane, aranci, uva, pesche.»
«Di serra?»
«Di serra.»
«Chi sarà mai?» ripeté Ida Arnold.
«È tutto, signor Colleoni?» chiese il segretario.
«Quali fiori?» interrogò il signor Colleoni. «E potreste procurarvi delle pesche duracine?»
«No, signor Colleoni.»
«La mia cara moglie,» disse il signor Colleoni e la sua voce si smorzò senza che essi potessero più udirla, poterono afferrare soltanto la parola “passione”. Ida Arnold passò in rassegna l’elegante mobilia del “Boudoir Pompadour”, e come un faro, i suoi occhi misero in luce un cuscino, un sofà, la bocca sottile da impiegato dell’uomo che le sedeva di fronte. Disse: «Potremmo spassarcela bene qui,» osservando quella bocca.
«Dispendioso,» disse nervoso il signor Corkery: una mano troppo sensibile batteva leggermente sulle gambe magre.
«Black Boy ce la farà. E non possiamo spassarcela – lo sai – al Belvedere. Troppo collet monté.»
«Ci staresti a divertirti un poco qui?» disse il signor Corkery. Sbatté le palpebre. Non si poteva capire dalla sua espressione se desiderava o temeva una risposta affermativa.
«Perché no? Non farebbe male a nessuno, che io sappia. È la natura umana.» Addentò il bignè e ripeté la parola d’ordine. «Dopo tutto non si tratta che di divertirsi un po’.»
Divertimento essere dalla parte del giusto, divertimento essere umani...
«Vammi a prendere la valigia,» disse, «mentre fisso una camera. Dopo tutto – ti devo qualcosa. Hai lavorato...»
Il signor Corkery arrossì leggermente. «Facciamo alla romana,» disse.
Ella gli sorrise: «È sul conto di Black Boy. Pago i miei debiti.»
«A un uomo piace...,» incominciò a dire debolmente il signor Corkery.
«Fidati di me, so quello che piace a un uomo.» Il bignè e il sofà comodo e la mobilia elegante erano come un afrodisiaco nel suo tè. Si sentiva in uno stato d’animo bacchico e lascivo. In qualsiasi parola ognuno di loro due dicesse, ella scopriva un solo significato. Il signor Corkery arrossì, sempre più imbarazzato. «Un uomo non può fare a meno di sentire,» e fu interrotto dalla pazza allegria della donna.
«Che dici mai,» disse, «che dici mai...»
Mentre il signor Corkery se ne andava, ella fece i suoi preparativi per la festa, avendo ancora fra i denti il sapore del pasticcino. L’idea di Fred Hale rimase addietro, come una persona su una banchina, quando il treno parte: apparteneva a un qualcosa lasciato indietro: e la mano che saluta non fa che contribuire all’eccitazione della esperienza nuova. Nuova – eppure smisuratamente vecchia. Si guardò attorno nella grande alcova imbottita della camera da letto con occhi accesi ed esperti: l’alta specchiera e la guardaroba e il letto immenso. Vi si sedette sopra senza ritegno, mentre il segretario dell’albergo aspettava. «Ha delle buone molle,» disse, «ha delle buone molle,» e vi rimase seduta ancora un bel po’, dopo che egli se ne fu andato, progettando il piano di campagna per la serata. Se allora qualcuno le avesse detto “Fred Hale”, difficilmente avrebbe riconosciuto tale nome: c’era altro che l’interessava. Per qualche ora, che ci pensasse la polizia. Poi lentamente si alzò e incominciò a spogliarsi. Non era mai stata della teoria di coprirsi molto: e in men che non si dica si vide riflessa nel grande specchio: un corpo sodo e voluminoso: una buona misura. Era in piedi su un tappeto soffice e spesso, circondata da cornici dorate e da portiere di velluto rosso, e una dozzina di frasi popolari e comuni si affacciarono alla sua mente, “Una notte d’amore, Si vive una volta sola” e altre del genere. Considerava la passione alla stessa stregua di un film visto attraverso uno stereoscopio. Si leccò il cioccolato rimasto fra i denti e sorrise, sprofondando le dita grassocce dei piedi nel tappeto, aspettando il signor Corkery – proprio come una grande fiorente sorpresa.
Fuori della finestra, il mare si ritirava,
sfregando i ciottoli, mettendo a nudo una scarpa, un pezzo di ferro
arrugginito, e il vecchio si curvò, cercando fra le pietre. Il sole
calava dietro le case di Hove e sopravvenne il crepuscolo, l’ombra
del signor Corkery si allungò mentre saliva lentamente dal
Belvedere, portando a mano le valige, per risparmiare il tassì. Un
gabbiano si buttò stridendo su un granchio maciullato nello
sbattere contro le fondamenta di ferro del molo. Era l’ora della
quasi-oscurità, l’ora della bruma serale proveniente dalla Manica,
l’ora dell’amore.