Capitolo terzo

Il Ragazzo abbassò lo sguardo sul corpo, steso a braccia aperte come Prometeo, al fondo della scala di Frank. «Buon Dio,» disse il signor Prewitt, «com’è successo?»

Il Ragazzo disse: «È da tanto tempo che questa scala aveva bisogno di essere riparata. L’avevo detto a Frank, ma non si riesce a far spendere del denaro a quel bastardo.» Mise la mano fasciata sulla ringhiera e spinse, finché essa non cedette. Il legno marcio era steso in traverso sul corpo di Spicer, un pezzo di finto noce steso al disopra dei reni.

«Ma questo è successo dopo che lui è caduto,» il signor Prewitt protestò: la sua voce da leguleio era tremula.

«Si sbaglia,» disse il Ragazzo. «Lei era qui nel corridoio e lo ha visto appoggiare la valigia contro la ringhiera. Non avrebbe dovuto farlo. La valigia era troppo pesante.»

«Dio mio, non puoi immischiarmi in questo,» disse il signor Prewitt. «Io non ho visto niente. Stavo cercando nel portasapone, ero con Dallow.»

«Tutti e due lo avete visto,» disse il Ragazzo. «È un bene. È una buona cosa che noi avessimo sul posto un bravo avvocato rispettabile come lei. Le sue parole saranno convincenti.»

«Io lo negherò,» disse il signor Prewitt, «uscirò di qui. Giurerò che non sono mai stato in questa casa.»

«Rimanga dove è,» disse il Ragazzo. «Non vogliamo un’altra disgrazia. Dallow, va’ a telefonare alla polizia e a un dottore – farà un buon effetto.»

«Mi potete tenere qui,» disse il signor Prewitt, «ma non mi potete far dire...»

«Io voglio soltanto che lei dica quello che vuole dire. Ma non farebbe un bell’effetto, vero, se io fossi accusato di avere ucciso Spicer e venissero a sapere che lei si trovava qui, a cercare nel portasapone. Sarebbe sufficiente a portare alla rovina un certo avvocato.»

Il signor Prewitt fissò la breccia che si era aperta alla svolta della scala, e là dove era steso il corpo. Disse lentamente: «Sarebbe meglio che sollevaste quel corpo e metteste il legno sotto. Se la polizia lo trovasse così, farebbe una bella inchiesta.» Ritornò nella stanza da letto e si sedette sul letto, prendendosi il capo fra le mani. «Mi è venuto il mal di testa,» disse, «dovrei andarmene a casa.» Nessuno si occupò di lui e la porta di Spicer continuò a stridere nel riscontro d’aria. «Ho un mal di testa atroce,» disse il signor Prewitt.

Dallow si avanzò nell’andito trascinando la valigia: il cordone del pigiama di Spicer ne fuorusciva come fosse una pasta da denti. «Dove andava?» chiese Dallow.

«All’Ancora Azzurra, Union Street, a Nottingham,» disse il Ragazzo. «Sarebbe meglio di mandare loro un telegramma. Può darsi che desiderino di mandare dei fiori.»

«State attenti alle impronte digitali,» il signor Prewitt li implorò dal lavabo, senza alzare il capo che gli doleva, ma il passo del Ragazzo sulle scale lo indusse a sollevare gli occhi.

«Dove vai?» chiese brusco. Il Ragazzo lo guardò dalla svolta sulla scala: «Fuori,» disse.

«Non puoi andartene ora,» disse il signor Prewitt.

«Non ero qui,» disse il Ragazzo. «Non c’erano che lei e Dallow. Aspettavano che io rientrassi.»

«Ti vedranno.»

«Il rischio è suo,» disse il Ragazzo. «Ho delle cose da fare.»

«Non mi dirai,» il signor Prewitt gridò in furia, e poi controllandosi «non mi dirai,» ripeté a voce bassa, «quali cose...»

«Dovremo combinare per il matrimonio,» disse il Ragazzo in tono lugubre. Per un istante fissò il signor Prewitt – la sposa, venticinque anni di legame coniugale – con l’aria di qualcuno che volesse fare una domanda, come se fosse pronto ad accettare un consiglio da un uomo di tanto più vecchio di lui, come se si aspettasse un poco di saggezza umana dalla vecchia e torbida mentalità avvocatesca. «Sarebbe meglio che si facesse presto,» continuò il Ragazzo con voce dolce e triste. Ancora continuava ad osservare il viso del signor Prewitt per trovarvi un riflesso della saggezza che in venticinque anni il legame coniugale doveva avergli dato, ma non vide che una faccia spaventata, ben serrata come una bottega, quando ci sia un assembramento. Continuò a scendere le scale, verso il vano oscuro, dove era caduto il corpo di Spicer. Aveva preso la sua decisione: non aveva che da andare diritto alla meta. Poteva sentire il sangue pompato dal cuore che ritornava indietro indifferente lungo le arterie, come treni sulla linea circolare interna.

Ogni stazione era più vicina alla salvezza e poi un’altra ancora più lontana, finché non si svoltava e di nuovo la salvezza era vicina, come Notting Hill, e poi si allontanava. La sgualdrina di mezza età che passeggiava sul lungomare Hove non si disturbò a guardarsi attorno, quando egli le si avvicinò: come treni elettrici che si muovano sullo stesso binario, non vi fu collisione. Ambedue avevano in vista lo stesso fine, se si poteva parlare di un fine in connessione con quel circolo. Fuori del bar Norfolk due macchine da corsa eleganti e scarlatte erano ferme sull’orlo del marciapiedi come letti gemelli. Il Ragazzo non prestò loro attenzione, ma la loro immagine fu registrata automaticamente dal suo cervello, ne spremette fuori una secrezione d’invidia.

Da Snow era quasi vuoto. Si sedette alla tavola dove una volta si era seduto Spicer, ma non fu servito da Rosa. Una ragazza che non conosceva venne a prendere gli ordini. Domandò goffamente: «Non c’è Rosa?»

«È occupata.»

«Potrei vederla?»

«Sta parlando con una persona su nella sua camera. Non può andarci. Dovrà aspettare.»

Il Ragazzo pose sulla tavola una mezza corona. «Dov’è?»

La cameriera esitò. «La direttrice farebbe l’inferno.»

«Dov’è la direttrice?»

«È uscita.»

Il Ragazzo pose un’altra mezza corona sulla tavola.

«Passi dalla porta di servizio,» disse la ragazza «poi vada dritto su per la scala, però c’è una donna con lei...»

La voce della donna gli giunse prima che fosse arrivato in cima alla scala. Stava dicendo: «Voglio parlarti soltanto per il tuo bene,» ma egli dovette tendere l’orecchio per afferrare la risposta di Rosa.

«Mi lasci stare, perché non vuole lasciarmi stare?»

«È il dovere di chiunque pensi rettamente.»

Ora dall’alto della scala il Ragazzo poteva vedere nell’interno della stanza, benché la schiena larga, la veste fluente, le cosce quadrate della donna quasi gli impedissero di vedere Rosa, che stava con le spalle al muro in un atteggiamento di diffidenza ombrosa. Piccola e magra nel vestitino di cotone nero e nel grembiule bianco, gli occhi pesti ma senza lagrime, fremente ma decisa, inalberava il suo coraggio con una specie di comica inadeguatezza, come l’ometto in cappello duro fissato dalla direzione per sfidare l’uomo cannone alla fiera. Diceva: «Farebbe meglio a lasciarmi stare.»

Erano le due strade, Nelson Street e Manor Street, che stavano di fronte nella camera da letto di servizio, e per un momento egli non provò nessun senso di antagonismo, ma di vaga nostalgia. Si accorse che Rosa faceva parte della sua esistenza, come una stanza o una seggiola, era qualcosa che lo completava: pensò: «Ha più fegato di Spicer.» Ciò che v’era di più perverso in lui aveva bisogno di lei, non poteva andare avanti senza bontà. Disse in tono dolce: «Perché dà noia alla mia ragazza?» e questa specie di riconoscimento gli fu stranamente dolce alle orecchie, come un raffinamento di crudeltà. Dopo tutto, se pure egli aveva mirato più in alto che non a Rosa, aveva questo conforto, che lei non avrebbe potuto scendere più in basso di lui. Era lì in piedi, con un sorriso sciocco sulle labbra, quando la donna si voltò. “Tra la staffa e il suolo”, aveva appreso la vanità di quel conforto; se egli si fosse attaccato a qualche donnetta elegante e sfrontata, come quelle che aveva visto al Cosmopolitan, dopo tutto il suo trionfo non sarebbe stato così grande. Sorrideva a tutte e due, e la nostalgia fu scacciata da un’ondata di triste sensualità. Rosa era buona, egli lo aveva scoperto, mentre a sua volta era dannato: erano fatti l’uno per l’altro.

«Tu, lasciala stare,» disse la donna. «So tutto di te.» Era come se si trovasse in un paese straniero: il tipo caratteristico dell’inglese all’estero. Non aveva nemmeno usato una frase letteraria. Era altrettanto lontana da ognuno di loro, quanto lo era dall’Inferno – o dal Cielo. Il bene e il male vivevano nello stesso paese, parlavano la stessa lingua, si univano insieme come dei vecchi amici, provando il medesimo senso di qualcosa di compiuto nel toccarsi le mani accanto al letto di ferro. «Vuoi fare quello che è giusto, Rosa?» ella implorò.

Rosa sussurrò di nuovo: «Ci lasci stare.»

«Sei una brava ragazza, Rosa. Non devi volere avere nulla a che fare con lui.»

«Lei non sa nulla.»

Per il momento non c’era altro che ella potesse fare, se non minacciarli dalla porta. «Non l’ho ancora finita con voialtri. Ho degli amici.»

Il Ragazzo rimase a guardarla andare via stupito. Disse: «Chi diavolo è mai?»

«Non so,» rispose Rosa.

«Non l’ho mai vista prima.» Un ricordo lo punse e svanì: sarebbe ritornato. «Cosa voleva?»

«Non so.»

«Sei una brava ragazza, Rosa,» disse il Ragazzo, stringendo fra le dita il polso sottile.

Ella scosse il capo: «Sono cattiva.» Lo implorò: «Voglio essere cattiva, se lei è buona e tu...»

«Tu non potrai mai essere altro che buona,» disse il Ragazzo. «Ci sono certi a cui proprio per questo non piaceresti, ma io non me ne curo.»

«Farò tutto per te. Dimmi quello che devo fare. Non voglio essere come lei.»

«Non è quello che fai,» disse il Ragazzo, «È quello che pensi.» Si vantò. «È nel sangue. Forse quando mi hanno battezzato, l’acqua santa non ha fatto presa. Non ho mai scacciato il diavolo a furia di urli.»

«Ma quella è buona?» Nella sua debolezza ella si rivolse a lui per saperlo.

«Quella?» Il Ragazzo rise. «Quella non è proprio niente.»

«Non possiamo rimanere qui,» disse Rosa, «vorrei che lo potessimo fare.» Guardò attorno a sé, la incisione, tutta macchiata, della vittoria di Van Tromp, i tre letti neri, i due specchi, l’unico cassettone, i nodi di fiori d’un lilla pallido sulle pareti, come se fosse più al sicuro qui di quanto non potesse mai essere nella ventosa notte estiva lì fuori. «È una bella stanza.» Avrebbe voluto dividerla con lui, finché non fosse divenuta una casa per ambedue.

«Ti piacerebbe di lasciare questo posto?»

«Snow? Oh no, è un buon posto. Non vorrei essere in un posto diverso da questo.»

«Volevo dire: ti piacerebbe di sposarmi?»

«Non siamo abbastanza grandi.»

«Lo si potrebbe fare. Ce n’è il modo.» Lasciò andare il suo polso e assunse un’aria noncurante. «Se tu volessi. A me non importa.»

«Oh,» ella disse. «Lo voglio. Ma non ci lasceranno mai.»

Egli spiegò con disinvoltura. «Non potremmo farlo in chiesa, almeno in un primo tempo. Ci sarebbero delle difficoltà. Hai paura?»

«Non ho paura,» ella disse. «Ma ci lasceranno?»

«Il mio avvocato aggiusterà tutto in qualche modo.»

«Hai un avvocato?»

«Naturalmente.»

«Fa un effetto in certo modo grandioso – e antiquato.»

«Un individuo non può fare nulla senza un avvocato.»

Ella disse: «Non è dove avevo sempre pensato che sarebbe accaduto.»

«Che cosa e dove?»

«Che qualcuno mi avrebbe chiesto in matrimonio. Pensavo, al cinema o forse di sera sul lungomare. Ma qui è meglio ancora,» disse, girando gli occhi dalla vittoria di Van Tromp ai due specchi. Si staccò dalla parete e levò il viso verso di lui. Egli sapeva che cosa ella si aspettava da lui: considerò con un senso di nausea la bocca senza rossetto della ragazza. La sera di sabato, le undici, l’esercizio faticoso in tutto simile a quello dei progenitori. Premette la propria dura bocca da puritano su quella e di nuovo gustò l’odore dolciastro della pelle umana. Avrebbe preferito il sapore della cipria di Coty o di un rossetto indelebile, o di qualsiasi composizione chimica. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì di nuovo, fu per vederla in attesa, come una bimba cieca, di altre elemosine. Lo colpì il fatto ch’ella non fosse stata capace di scorgere la sua ripugnanza. Ella disse: «Sai cosa vuol dire questo?»

«Cosa vuol dire?»

«Vuol dire che io non ti abbandonerò mai, mai, mai.»

Ella gli apparteneva come una stanza o una seggiola: il Ragazzo, a fatica, con un’oscura vergogna, riuscì ad abbozzare un sorriso per il cieco viso estatico.