Capitolo secondo
Lungo la via del ritorno Cubitt e Dallow, un poco brilli, continuarono a chiacchierare: il Ragazzo guardava fisso nel centro luminoso dell’oscurità. A un tratto disse con rabbia: «Potete ridere.»
«Ebbene, non te la sei vista tanto male,» disse Cubitt.
«Potete ridere. Credete di essere al sicuro. Sono stanco di tutti quanti voi. Avrei proprio l’intenzione di filarmela.»
«Fai un lungo viaggio di nozze,» disse Cubitt e sogghignò, e una civetta stridette affamata, volando bassa sulla stazione di rifornimento, entro l’alone dei fanali e di nuovo fuori, su ali pelose e predaci.
«Non mi sposerò,» disse il Ragazzo.
«Ho conosciuto una volta un tale,» disse Cubitt, «era così spaventato che si ammazzò e dovettero rimandare indietro i regali di nozze.»
«Non mi sposerò.»
«Spesso la gente pensa così.»
«Nulla potrà farmi sposare.»
«Devi sposarti,» disse Dallow. Una donna guardava fuori da una finestra del Caffè Fermatevi da Carlo, aspettando qualcuno: continuò nella sua attesa, senza guardare la macchina che le passava dinanzi.
«Bevi un po’,» disse Cubitt: era più sbronzo di Dallow. «Ho portato via una fiaschetta. Ora non puoi più dire che non bevi: ti abbiamo visto, Dallow ed io.»
Il Ragazzo disse a Dallow: «Non mi voglio sposare. Perché dovrei sposarmi?»
«Eri tu che lo volevi,» disse Dallow.
«Che cosa voleva lui?» disse Cubitt. Dallow non rispose, e mise la sua mano cordiale e opprimente sul ginocchio del Ragazzo. Questi guardò torvo il viso stupido e devoto e provò rabbia per il fatto che la lealtà di un essere potesse essere d’impaccio e far decidere. Dallow era il solo uomo di cui egli si fidava, ma lo odiava come se fosse il suo mentore. Disse debolmente: «Nulla potrà farmi sposare,» seguendo con gli occhi la lunga sfilata di cartelli che si susseguivano nella luce subacquea: “La birra Guinness vi farà bene, Provate un Worthington, Conservate la carnagione da scolaretta” e una lunga serie di ammonimenti, di gente che vi diceva “Comperatevi la casa, Da Bennett per anelli nuziali.”
E da Frank gli dissero: «C’è qui la tua ragazza.» Salì la scala fino alla sua camera in uno stato di ribellione disperata: sarebbe entrato e avrebbe detto «Ho cambiato idea. Non posso sposarti» oppure anche «Gli avvocati dicono che dopo tutto non è possibile di aggiustare la cosa.» La ringhiera era ancora rotta ed egli guardò giù nel vuoto, lì dove era rimasto steso il corpo di Spicer. Cubitt e Dallow stavano lì proprio nel posto preciso e ridevano di qualcosa: lo spigolo acuto di un corrimano gli graffiò la mano. La portò alle labbra ed entrò. Pensava: «Devo essere calmo, devo conservarmi lucido,» ma sentiva la sua integrità contaminata dal gusto dell’alcool bevuto al bar. Si può perdere il vizio altrettanto facilmente di quanto si possa perdere la virtù, basta un niente a farlo uscire fuori da noi stessi.
La guardò, ed ella apparve spaurita, quando egli le chiese con voce dolce: «Che fai qui?» Aveva in testa il cappello che a lui non piaceva, e se lo strappò via, non appena egli lo guardò. «A quest’ora della notte» egli le disse in tono scandalizzato, pensando che si poteva trovare in ciò il motivo di un litigio, se fosse riuscito a continuare nel giusto tono.
«Hai visto questo?» Rosa lo implorò. Aveva in mano il giornale locale: egli non si era presa la briga di leggerlo, ma in prima pagina v’era la fotografia di Spicer che camminava in preda al terrore sotto le arcate di ferro. Quelli del giornale avevano avuto più successo di lui al chiosco. Rosa disse: «Qui dice – che è accaduto...»
«Sul pianerottolo,» disse il Ragazzo. «Avevo sempre detto a Frank di fare aggiustare quella ringhiera.»
«Ma tu avevi detto che lo avevano fatto fuori sul campo delle corse. Ed era lui quello che...»
Egli le tenne testa con falsa sicurezza.
«Che ti ha dato il cartoncino? Tu lo hai detto. Può darsi che conoscesse Hale. Conosceva un sacco di individui di cui non sapevo nulla. Ebbene?» Ripeté fiducioso la sua domanda dinanzi allo sguardo muto di Rosa: «Ebbene?» Il suo cervello, egli lo sapeva, poteva escogitare qualsiasi tradimento, ma quella era una buona bambina, limitata dalla sua stessa bontà, c’erano delle cose che ella non poteva immaginare: ed era come se egli vedesse la sua immaginazione roteare ora nel vasto deserto del terrore.
«Pensavo» disse, «pensavo...» guardando al di là di lui la ringhiera spezzata sul pianerottolo.
«Cosa pensavi?»
Le dita del Ragazzo si chiudevano con odio appassionato attorno alla bottiglietta che aveva in tasca.
«Non so. Non ho dormito la notte scorsa. Ho fatto certi sogni.»
«Quali sogni?»
Ella lo guardò con orrore: «Ho sognato che eri morto.»
Egli rise: «Sono giovane e pieno di vita,» pensando con disgusto al parco di macchine e all’invito nella Lancia.
«Non continuerai a rimanere qui, vero?»
«Perché no?»
«Avrei pensato...» ella disse, gettando di nuovo un’occhiata alla ringhiera.
Disse: «Ho paura.»
«Non hai nessuna ragione di averla,» egli le rispose, tastando la bottiglietta di vetriolo.
«Ho paura per te. Oh,» ella disse, «lo so che non conto niente, lo so che tu hai un avvocato e una macchina e degli amici, ma questo posto...»; si confondeva disperatamente nel tentativo di esprimere la propria impressione del luogo in cui egli viveva: un luogo di disgrazie e di avvenimenti inspiegabili, lo sconosciuto con un cartoncino, la zuffa alle corse, la caduta a capofitto. Un che di ardito e di sfrontato le comparve sul viso, tanto che egli provò di nuovo un debolissimo stimolo di sensualità: «Tu devi venirtene via di qui. Devi sposarti con me, come hai detto.»
«Dopo tutto, non lo si può fare. Ho visto l’avvocato. Siamo troppo giovani.»
«Non me ne curo. Non è un vero matrimonio, ad ogni modo. Un matrimonio civile non cambia niente.»
«Tu torna lì dov’eri,» egli le disse rudemente, «piccola peste.»
«Non posso,» ella rispose. «Sono stata licenziata.»
«Perché?» Era come se le manette si chiudessero. La guardò sospettoso.
«Sono stata villana con una cliente.»
«Perché? Quale cliente?»
«Non puoi immaginartelo?» ella disse e continuò fremente: «E comunque, chi è mai quella lì? Che s’immischia, tormenta... Tu devi saperlo.»
«Non l’ho mai conosciuta da Adamo in poi,» disse il Ragazzo.
Ella mise tutta la sua finta esperienza – ricavata dai romanzi da pochi soldi – nella domanda. «È gelosa? è qualcuno... sai cosa voglio dire?» e lì pronto, mascherato sotto la domanda ingegnosa come i fucili in una nave civetta, c’era il senso del possesso: ella era sua al pari di una tavola o di una seggiola, ma a sua volta una tavola vi possiede – mediante le vostre impronte digitali.
Egli rise inquieto: «Che, quella? Se è abbastanza vecchia da potere essere mia madre.»
«Allora cosa vuole?»
«Vorrei saperlo.»
«Credi,» ella continuò «che dovrei portare questo...» e gli porse il giornale «alla polizia?»
L’ingenuità – o l’astuzia – della domanda lo sconvolse. Come essere sicuri con una creatura che capiva così poco di trovarsi immischiata in certe cose? Egli disse: «Tu, bada ai casi tuoi,» e pensò con cupa e stanca ripugnanza (era stata una giornata infernale): dopo tutto dovrò proprio sposarla. Riuscì ad abbozzare un sorriso: quei muscoli incominciavano a funzionare. Disse: «Ascolta, non hai bisogno di pensare a nulla. Io ti sposerò. Ci sono dei modi di eludere la legge.»
«Perché preoccuparsi della legge?»
«Non voglio discorsi inutili. Soltanto un matrimonio» disse con finta ira «mi va. Ci sposeremo come si deve.»
«Non saremo sposati, qualunque cosa facciamo. Il Padre della chiesa di S. Giovanni – dice...»
«Non hai bisogno di dare tanto retta ai preti,» egli disse. «Non conoscono il mondo come lo conosco io. Le idee cambiano, il mondo progredisce...» Le sue parole si fecero imbarazzate dinanzi alla devozione scolpita nel viso della ragazza. Quel viso diceva altrettanto chiaramente di parole che le idee non mutano mai, il mondo non progredisce: è sempre lì, dominio devastato e conteso fra due eternità. Stavano l’uno di fronte all’altro, come se fossero in territorii nemici, ma come truppe nel giorno di Natale fraternizzarono. Egli disse: «Ad ogni modo per te è lo stesso – ed io voglio essere sposato – legalmente.»
«Se lo vuoi...,» ella disse e fece un lieve cenno di pieno consenso.
«Forse,» egli disse, «potremmo combinare in questo modo. Se tuo padre scrivesse una lettera...»
«Non sa scrivere.»
«Ebbene, potrebbe fare la croce, no? se io preparassi una lettera scritta... Non so come vanno queste cose. Forse dovrebbe venire lui dal funzionario. Il signor Prewitt potrebbe occuparsene.»
«Il signor Prewitt?» ella chiese in fretta. «Non è quello – quello che all’inchiesta ha detto di essere stato qui...»
«Beh?»
«Nulla. Solo pensavo...»: ma egli poteva scorgere i pensieri che mulinavano, mulinavano, passando dalla stanza alla ringhiera e al vuoto, tutti presi da quella giornata...
Qualcuno al disotto aprì la radio: forse era uno scherzo di Cubitt per creare un’atmosfera proprio romantica. La musica saliva lamentosa per le scale oltre il telefono e penetrava nella stanza: una banda qualunque di un qualunque albergo, la fine del programma quotidiano. Fece deviare il corso dei pensieri di Rosa, ed egli si chiese per quanto tempo gli sarebbe stato necessario di distrarla con un gesto romantico o con un atto d’amore – per quante settimane, per quanti mesi – la sua mente non voleva ammettere la possibilità di anni. Un giorno egli sarebbe stato nuovamente libero: le porse le mani, come se ella fosse un poliziotto con le manette, e disse: «Domani ci occuperemo di tutto, vedrò tuo padre: via,» i muscoli della sua bocca tremarono a quel pensiero «non ci vuole che un paio di giorni per potersi sposare.»