Capitolo sesto

Un campanello squillò assordato nel corridoio del Cosmopolitan; attraverso la parete, contro la quale poggiava la spalliera del letto, Ida Arnold poteva udire una voce che continuava a parlare: qualcuno che leggeva un rapporto, forse in una sala di riunioni, o dettava a un dittafono. Fil dormiva sul letto in mutande, la bocca semiaperta mostrava un dente giallo e un pezzo di impiombatura metallica. Divertirsi... la natura umana... non fa male a nessuno... puntuali come una sveglia le vecchie giustificazioni si affacciavano alla mente pronta, triste e insoddisfatta – nulla era mai all’altezza dell’acuto eccitamento di un desiderio normale. Gli uomini, quando si giungeva al momento buono, venivano meno. Ella avrebbe fatto altrettanto bene ad andare al cinema.

Ma la cosa non faceva male a nessuno, non era che la natura umana, nessuno avrebbe potuto dire che lei era veramente cattiva – forse un pochino licenziosa, un pochino scapestrata: ma non già che ne ricavasse qualcosa per sé, come se, al pari di certa gente, svuotasse un uomo e poi lo buttasse via come un rottame – lo buttasse via come un guanto usato. Ella sapeva ciò che è giusto e ciò che non è giusto. A Dio non importava un poco di natura umana; ciò che a Lui importava – e la sua mente si allontanò da Fil in mutande per tornare alla propria missione, – era di fare del bene, di vedere che i cattivi soffrissero...

Si mise a sedere sul letto, si circondò con le braccia le grosse ginocchia nude, e sentì l’eccitamento ridestarsi nel corpo insoddisfatto. Povero caro Fred – quel nome non le dava più alcuna sensazione di dolore o di patos. Ora ella non riusciva a ricordare di lui molto più di un monocolo e un panciotto giallo, e tutto ciò apparteneva al povero vecchio Carletto Moyne. Quello che importava era la caccia. Era come quando torna la vita dopo una malattia.

Fil aprì un occhio – ingiallito dallo sforzo sessuale – e la osservò con apprensione.

Ella chiese: «Sveglio, Fil?»

«Deve essere quasi ora di pranzo,» disse Fil. Ebbe un sorriso nervoso. «Vorrei sapere i tuoi pensieri, Ida.»

«Stavo pensando,» rispose Ida, «che ora ci occorrerebbe uno degli uomini del Rossetto. Qualcuna che si sia arrabbiato o abbia paura. Devono aver paura di tanto in tanto. Non c’è che da aspettare.»

Balzò dal letto, aprì la valigia e incominciò a tirare fuori il vestito che riteneva adatto per un pranzo al Cosmopolitan. Nella luce rossa della lampada portatile, lampada fatta per l’amore, i lustrini leggeri scintillavano. Ella distese le braccia: non provava più né desiderio né delusione: aveva la mente chiara. Faceva quasi buio sulla spiaggia: l’orlo del mare era come una linea di scrittura in acqua di calce: grandi lettere scomposte. A questa distanza non significavano nulla. Un’ombra si curvò con infinita pazienza e dissotterrò qualche resto da sotto i ciottoli.