XVII

 

 

 

 

 

 

 

La pelle dell’Imperatore era tesa e rossa come il cristallo di un calice macchiato di vino. Asaeld era convinto che, se si fosse soffermato con cura, avrebbe potuto facilmente contare le vene, i muscoli, persino i suoi denti. Loralon abbaiava da tempo interminabile, rimestando le mani fra le carte e scagliando ai quattro venti i dadi colorati, le bandierine e tutte le cianfrusaglie con cui i generali segnavano i progressi sul fronte. La sua voce ormai era ridotta a uno strillo isterico. Tutti, a parte lui, si erano fatti piccoli sopra le loro ombre.

“Branco di codardi senza palle…” pensò Asaeld senza cambiare espressione.

«VOGLIO SAPERE COME ABBIAMO FATTO A PERDERE!»

Silenzio. Era stato già detto e ridetto. Vagliata, scandagliata, setacciata ogni responsabilità. Analizzata ogni mossa. Niente da fare. Nessuno voleva prendersi la responsabilità. Anche perché nessuno sapeva veramente di chi fosse.

«Chi ha dato l’ordine di attaccare il Terrapieno frontalmente? Chi ha richiamato le Lance?! DOV’ERA LA CAVALLERIA?! DITEMELO!»

L’idea di assaltare centralmente la barriera era frutto solo in parte delle strategie impostate alla partenza. Era cambiato qualcosa in corso d’opera. Le Lance erano state redistribuite ma nessuno osava dire chi fosse stato il primo ad avere l’idea. Contro il Terrapieno, la cavalleria da sola era semplicemente inutile. Impossibile sperare di scavalcare la muraglia e proseguire a cavallo, sfruttando soltanto le passerelle. Si correva il rischio di aprire pericolose falle sulla linea a piedi. Incredibilmente, qualcuno aveva anche tentato di farlo. Erano stati necessari molti errori concatenati per arrivare a una sconfitta così epocale. E Adraman alle spalle aveva fatto il resto. Detto e ridetto. Mille volte. Loralon stava ancora aspettando un colpevole. nessuno voleva dargliene uno in pasto.

«E ADRAMAN?! VOGLIAMO PARLARE DI ADRAMAN?»

Anche su quel punto, il buio. Come i ribelli avessero scoperto il piano dell’impero in tempo per approntare una contromossa. Le ipotesi erano state innumerevoli, tutte chiaramente inventate di sana pianta. Ma i generali avevano caldamente convenuto che al suo arrivo con i rinforzi, la battaglia era già stata persa.

Per i motivi già ampiamente discussi.

«Nessuno che si senta in dovere di prendersi la colpa, EH?! Tutti troppo bravi, troppo scaltri per aver sbagliato, non è vero? IO VI FACCIO IMPICCARE! CARNE PER I PORCI, ECCO COSA SIETE! VI FACCIO IMPICCARE PER LE PALLE E VI LASCIO SECCARE AL VENTO!»

Loralon prese una manciata di dadi e tempestò i suoi consiglieri, i generali e i comandanti di reparto. Le armature picchiettavano come sotto un pesante acquazzone. Asaeld vide arrivare il proiettile in tempo, e piegò la testa quel tanto che bastava per non prenderlo in mezzo agli occhi. Le sue labbra si incresparono in un lieve sorriso compiaciuto.

«Centoventi Lance morte! Centoventi per gli Dei, non ne sono morte così tante in dieci anni di fila! Più di ottomila fanti! Nessuno sa quanti cavalli azzoppati, sbudellati, dispersi! Gli uomini del Terrapieno hanno preso persino il controllo delle retrovie, le tende, il cibo, l’oro, tutto! Siete scappati abbandonando un campo intero! ABBIAMO FATTO UN REGALO A ELDAIN! VOGLIO IL COLPEVOLE!»

«Signore, l’alleanza ha subito perdite ingenti… e loro sono pochi rispetto…»

Il povero consigliere, un giovane brillante che era uscito dall’accademia militare con voti ed elogi clamorosi, venne letteralmente sommerso da urla disarticolate e dadi d’osso. Uno gli si piantò nell’occhio, e lui dovette restare in piedi e sull’attenti con un’espressione ridicolmente grottesca in faccia.

«SONO IN POCHI?! E NOI SIAMO IN TANTI?! ECCO IL RISULTATO! UN FOTTUTO DISASTRO!»

«Se Eldain pianificava di attaccare i nostri territori…» esclamò improvvisamente Asaeld con voce pacata e ferma «ora non lo farà, perché gli abbiamo fatto capire cosa può succedere se prova a mettere il becco fuori dai suoi territori.»

«E cosa dovrebbe succedere? Che perdiamo tutte le battaglie?!»

«No. Che a ogni passo che fa, lo attende un esercito che, senza il suo bel muretto di terra, lo può schiacciare come un insetto.»

Loralon era pronto a ribattere, ma la visione di Asaeld aveva aperto una breccia nel tetro velo della sconfitta.

«Quindi dici che ora l’alleanza ci teme più di prima?»

«Non ho dubbi» rispose lui fermamente «ci hanno visto sacrificare ondate di uomini senza battere ciglio. Loro questo lusso non possono permetterselo. Ci penseranno due… anzi tre volte prima di fare un’altra mossa.»

«Non sapevo che Eldain volesse attaccarci…» mormorarono fra loro due generali vicino a lui. Asaeld li inchiodò con lo sguardo.

«Non è stata quindi una sconfitta così umiliante…» mormorò Loralon quasi implorando. Senza le sue grida e le sue minacce, era tornato velocemente a essere il solito Imperatore di sempre.

«Assolutamente no. Avete la mia parola di Lancia.»

«Se è così che stanno le cose…» borbottò, mentre la pelle del suo volto tornava pallida, cerulea e secca. «MA QUALCUNO PAGHERÀ! POTETE STARNE CERTI!»

Il consiglio si sciolse. Quando si ritrovarono fuori dalla grande sala del comando, e le porte furono ben chiuse alle loro spalle, tanti generali diedero una silenziosa pacca sulle spalle di Asaeld. Qualcuno invece se ne andò senza degnarlo di uno sguardo, evitando persino di passargli vicino. Il comandante non prestò la minima attenzione né agli adulatori, né ai suoi detrattori. Tutta quella serata non era stata altro che una noiosa e inutile perdita di tempo.

Doveva parlare ancora con molte persone, quella notte. Di molti argomenti diversi, e assai più interessanti.

 

***

 

Lo scudo d’acciaio rifletteva impietoso la sua testa avvolta nelle larghe bende di lino. Sulla guancia era già spuntata una macchia di sangue color ruggine, sebbene la fasciatura fosse nuova, chiusa alla perfezione. Non aveva ancora visto la ferita. Poteva solo immaginarla, un sorriso slabbrato e senza denti aperto sulla sua guancia sinistra.

Con la lingua sentiva il filo che il medico aveva usato per cucirgli la faccia. Anche se gli faceva un gran male, non riusciva a smetterla di tormentare la sutura. Come un cane che si leccava le ferite, lui aveva l’orgoglio da placare. Era quasi morto per mano di un soldato semplice. Un invasato solitario contro dieci Lance. Ma soprattutto contro di lui.

Un disastro. Un fallimento su tutta la linea. Le sue idee erano state tutte scartate, e le poche che aveva visto applicare erano state gestite molto male. Nel peggiore dei modi. E tutto per colpa di Loralon.

“Ci governa un incapace. Un malato di mente. Cambria contro i contadini, l’impero contro i pezzenti. È impossibile… è un incubo!”

Si era svegliato su una branda in un angolo del tendone dei feriti, già medicato e ricucito. Gli altri soldati non avevano avuto la sua fortuna. In tanti piangevano e urlavano nell’inutile speranza che un medico venisse a dar loro un’occhiata. Altri restavano rigidi e immobili, con la pelle del volto bianca, azzurrognola, verde, nera. Non ricordava quasi nulla di ciò che era successo dopo la fine della battaglia. La spada che vorticava verso di lui, la mischia che si stringeva intorno, la terra puzzolente di ferro e sangue, il cavallo che lo aveva portato al sicuro. Poi, il vuoto. Non aveva più visto Asaeld, neppure una Lancia qualunque. Aveva una gran voglia di bere, magari insieme a una buona presa di tabacco. Ma più di ogni altra cosa voleva scoprire come fosse stato possibile perdere una battaglia già vinta.

«Capitano, dovete tornare a letto…»

La guaritrice che gli aveva cambiato le bende, una bella donna mora che seguiva esclusivamente i feriti di rango, lo prese per mano spingendolo dolcemente a ritornare nel tendone.

«Non ho bisogno di riposare ancora» grugnì Dunwich senza articolare bene le parole.

«Invece sì. Le erbe che vi ho dato calmano i dolori, ma vi rendono debole. Potreste svenire da un momento all’altro.»

«Non mi interessa. Devo vedere il comandante Asaeld, subito!»

La donna scosse il capo perentoria. «Allora manderò qualcuno a chiamarlo. Ora voi siete sotto la mia custodia, e farete come dico io. Anche perché se qualcosa andasse storto, per me sarebbe la fine. La vostra vita è molto più preziosa di quella di tutti gli altri.»

Dunwich tirò via stizzito la mano dalla sua presa, ma la seguì senza fare storie.

«Questo posto mi da i brividi» mormorò mentre varcavano le falde dell’ingresso. «Non posso tornare nella mia tenda?»

«Non lo sapete?!» esclamò lei squadrandolo stupita. Era proprio una bella donna. Dunwich si sentì ancora più a disagio. Com’era ridotta la sua faccia, si chiese.

«I ribelli hanno preso tutto. Le retrovie dell’esercito non erano state piazzate abbastanza lontano, e il loro capitano, Adraman, le ha conquistate attaccandole alle spalle. Abbiamo perso praticamente tutto.»

«E dove siamo ora?!» ogni parola era una tortura, ma niente era paragonabile a quell’ulteriore vergogna.

«In un campo intermedio, a metà strada fra il Terrapieno e Ansa dell’Hann. È stata una settimana molto difficile, capitano.»

«Ho dormito per una settimana?»

«No, siamo stati noi a tenervi sedato. La vostra ferita era infetta. La febbre vi stava per uccidere, e soffrivate troppo…»

«Non ricordo nulla…» mormorò Dunwich confuso.

«Meglio così. Come vi ho detto, è stata una gran brutta settimana.»

Lo accolsero le solite urla strazianti. Dunwich tornò a sedersi pesantemente sulla sua branda e tirò la tendina che lo isolava dal resto della stanza. «La mia vita vale di più…» bofonchiò cercando di non mordersi la carne molle e sfilacciata della guancia. L’aveva pensato tante volte. Ma in quel momento non gli suonava particolarmente bene.

«Te l’ho detto, sono sicuro… non posso aver sentito male.»

Un paio di soldati già medicati stavano parlando fra loro. Dunwich si sdraiò con le braccia dietro la testa e tese l’orecchio. Ascoltò le loro chiacchiere per avere un po’ di compagnia.

«Non l’ho mai sentito nominare. Non è un generale alleato, allora… in molti dicono che fosse Ghiaccio. Anche se io non credo. Per me era Berg. Quello è una bestia.»

«No no, ero troppo vicino per aver capito male. Hai presente Gren? Era al mio fianco. Gli ha tagliato via la testa in un colpo solo, e quasi prendeva anche me! Berg era dietro di lui, distaccato dai nemici. Ne sono certo.»

«Non possono aver mandato alla guida dell’incursione un soldato semplice…»

«Ah, io non so chi fosse, ti dico solo che si chiamava Mordraud…»

Dunwich strappò via la tenda e schizzò in piedi. I due soldati quasi rotolarono per terra dalla paura.

«Cosa avete detto?!» gridò mangiandosi le parole in modo ridicolo.

«Niente signore, stavo raccontando di Gren e…»

«COME SI CHIAMAVA QUEL RIBELLE?»

«M… Mordraud, signore…» balbettò il giovane. La sua faccia era più bianca delle pezze di lino di Dunwich. Tutti sapevano che una Lancia importante era in camera con loro, ma quei due non pensavano di avercela a un palmo dal naso.

«Mordraud? Sei sicuro?»

«Sì signore» rispose annuendo con estrema convinzione.

«E aveva un elmo senza cresta, di acciaio lucidato? Con la mentoniera corta?»

«Ecco… sono sicuro che non avesse un elmo quando l’ho visto io… capelli neri tagliati da soldato, occhi chiari… ma niente elmo, signore.»

«A me sembra però che ne avesse uno legato alla cintura, sai?» si intromise l’altro soldato, squadrando preoccupato la reazione di Dunwich.

«Mh…» fu tutto ciò che lui riuscì a dire. Tornò a sedersi sulla branda, tirò di nuovo le tende e si chiuse nei suoi pensieri, senza più ascoltare una sola parola dei soldati.

“Fratello… eri tu? Oppure no?” si chiese.

Dunwich sfiorò le bende insanguinate. Gli occhi fissi sui polpastrelli imbrattati di rosso denso e scuro.

«No. Non eri tu, non devi essere tu…»

 

***

 

«LA MIA SPADA!»

Adraman entrò di corsa nel tendone chiamando subito a raccolta alcuni soldati che erano lì intorno per portare un saluto ai feriti. Due medici piuttosto nerboruti stavano lottando disperatamente contro un ragazzo steso sopra una panca di legno.

«CHI L’HA PRESA?! RIDATEMELA SUBITO!»

«Ci penso io ora. Ragazzi, datemi una mano, forza!»

Placare il ferito non fu un gioco da ragazzi. In quattro si piazzarono sopra di lui, ma più spingevano, peggio andava. Adraman armeggiò con la cintura e sfilò un fodero di pelle nuovo di zecca.

«Ce l’ho io, Mordraud. Sta’ tranquillo…» disse stropicciandogli i capelli corti. Poi gli mollò un ceffone con tutta la forza che aveva. Mordraud sgranò gli occhi e si fermò di colpo.

«Cosa succede?! Chi sono tutti questi? Ahi…»

Adraman si sedette al suo fianco e gli pose la spada sopra il petto. «A volte succede, se si sviene in battaglia, di non rendersi conto che è finita… ti risvegli da un’altra parte, e non capisci… ne ho visti tanti messi come te, ragazzo mio.»

«La battaglia… è finita? E abbiamo vinto?!»

«Sì, abbiamo vinto. Da non crederci vero?»

I soldati e i medici se ne andarono strofinandosi le braccia indolenzite per lo sforzo. Mordraud sguainò la lama solo per controllare che fosse proprio la sua, e tirò un sospiro di sollievo. «Non è il mio fodero» osservò dispiaciuto.

«Lo so, quello l’hai perso. Avevi l’elmo ridotto a un pugno di latta. Te l’ho dovuto sradicare dalla testa con una tenaglia, credevo che mi sarei ritrovato fra le mani il tuo cervello! Però ti ha salvato la vita, e non so nemmeno come… quando ti ho trovato eri per terra, rannicchiato sulla spada, in mezzo a un letto di cadaveri. Una scena davvero terribile. Deve anche averti pestato un cavallo.»

«Ma io… non ricordo di aver recuperato la spada. L’ho lanciata, e poi… poi…» Mordraud si alzò di scatto dal letto, ma si pentì subito di quella mossa. Era ferito in decine di punti diversi, più o meno gravi. Tagli, contusioni, bruciature. Anche un morso sul polpaccio.

Un morso umano.

«L’ho ucciso, vero?! La Lancia è morta?»

«Di chi parli?! Io non ho visto nessuna Lancia vicino a te.»

«Sono sicuro di averlo preso, ma forse non è bastato…» sbuffò con rammarico. Per qualche strano e assurdo motivo era quasi contento di non aver fatto fuori quella Lancia. Era stato un gran duello, proprio come quelli che sognava da ragazzino. Lui, solo in mezzo ai nemici, che si giocava la vita contro il migliore. Il campione.

«Che idiota che sono…» borbottò ributtandosi sulla panca.

«Perché?»

«Lascia stare. Piuttosto… com’è finita la battaglia? Raccontami!»

Adraman si mise comodo e gli spiegò come erano andate le cose. Quando il suo battaglione aveva raggiunto il Terrapieno, la battaglia era già naufragata in una mischia caotica e indistricabile. Per loro fortuna, le Lance rimaste erano tutte concentrate dalla parte opposta, impegnate ad arretrare e abbandonare il campo. Tutte le altre erano già andate via, e avevano lasciato solo fanti stanchi e cavalieri allo sbando. La notte dei Fuochi aveva giocato in loro favore. A ogni passo avanti i ribelli si erano sentiti galvanizzati, mentre i loro nemici avevano perso sempre più la speranza di vincere facilmente e in fretta. L’impero aveva sbagliato tutto, forse anche di più. Adraman aveva concluso l’opera nel migliore dei modi.

«Sono piombato sulle loro retrovie e le ho spazzate via. Poi abbiamo aggredito il grosso delle forze, scompigliandoli con una carica dei miei ragazzi. Ma quello che è incredibile… è che forse non saremmo neppure serviti. Ce l’avete fatta da soli, e per gli Dei… che gran cosa avete fatto!» Adraman sorrise con slancio e schioccò le dita compiaciuto. «L’impero ha commesso molti errori ma i suoi uomini erano comunque in maggioranza schiacciante… Ghiaccio e Berg hanno fatto un ottimo lavoro.»

Mordraud si morse un labbro per non interromperlo. Avrebbe voluto dirgli che era stato lui ad avvisare tutti, ma di sicuro i comandanti si erano già presi tutto il merito.

«… e anche tu sei stato grande! Mi hanno detto tutto. Hai chiamato Ghiaccio, ti sei messo là davanti e hai trascinato i tuoi compagni…» Mordraud annuiva a occhi socchiusi, cullato dagli elogi. Un altro dei suoi sogni giovanili. La gloria sul campo. Quella che suo padre non aveva mai ricevuto, anzi. Neppure l’aveva mai sfiorata.

«… e li hai trascinati in un massacro!»

Mordraud non colse al volo il cambio di tono.

«Sì, è stato proprio un vero massacro! Dovevi vederci, li abbiamo tagliati a metà come un coltello caldo nel burro… una cosa…»

«UNA COSA IDIOTA!» gridò Adraman, e solo allora Mordraud si rese conto del fatto che avevano idee ben diverse sul concetto di eroismo.

«Hai abbandonato i tuoi compagni, e costretto un gruppo dei miei migliori in una mossa suicida! Potevate morire tutti, è stata una gran fortuna che quei senzapalle di Cambria fossero intimoriti dalla notte dei Fuochi! Senza poi contare che hanno fatto un errore strategico dopo l’altro. Te ne rendi conto?!»

«Ma abbiamo vinto… anche tu hai detto che non te lo aspettavi… e Berg…»

«Berg ti ha seguito, e l’ho già abbastanza rimproverato per questo. Ma tu, ragazzo…» Adraman gli prese le spalle, e lo guardò con un misto di compassione, rabbia e paura «non devi mai più fare una manovra così stupida. Segui gli ordini, resta al tuo posto, e fa’ quello che ti dicono di fare. Niente di più, almeno finché non avrai un po’ di cervello dentro quella zucca vuota per guidare qualcuno di persona. Fino a quel giorno… niente iniziative. È chiaro?!»

«Ma…»

«È CHIARO SOLDATO?»

«Sì… è chiaro…» mugugnò riluttante Mordraud «ma perché ci tieni tanto a quello che ho fatto? Sono un soldato come tutti gli altri… e ne sono morti tanti nella battaglia seguendo degli ordini…»

«Ti ho portato io qui» borbottò Adraman. «Sul Terrapieno non si combatteva da mesi. Era il fronte più tranquillo e sicuro della regione… pensavo di fare la cosa migliore. Per tutti.»

«Per tutti chi?!»

«Per tutti noi. E basta. Riposati ora, fra un paio di giorni te ne torni un po’ a casa. Eldain vuole sapere come sono andate le cose.»

“Devo incontrare Eldain?!” pensò eccitato. Mordraud non stava già nella pelle. Era la sua occasione per chiedere una mano per suo fratello. E che mano.

«Cosa devo dirgli? Come mi devo comportare?»

«Digli che abbiamo vinto, raccontagli come è andata, e avvertilo che abbiamo anche materiale nuovo per i campi. Le retrovie dell’impero erano ricche e ben fornite. Ah, dimenticavo…»

Adraman sciolse una saccoccia dalla cintura e gliela poggiò sul petto. «Abbiamo anche oro. Fior di conio. E questa… è la tua parte.»

«Ehi!» esclamò Mordraud con un grido strozzato, quando le monete scintillarono sulla sua mano. «Non ne ho mai viste tante in vita mia!»

«Anche se ti sei comportato come una bestia, te le sei meritate.»

«C’è una cosa che però ancora non ho capito…» chiese Mordraud giocherellando con uno Scudo di Cambria. L’Imperatore Loralon campeggiava su un lato, con uno sguardo serio e importante che rendeva il saccheggio ancora più gradevole. «Come hai fatto a sapere dell’arrivo del nemico? Non puoi di certo averlo visto e basta.»

«Questo lo dirò io personalmente a Eldain. Tu fai solo quello che ti ho ordinato… siamo intesi?»

«Intesi!» rispose Mordraud. L’oro, e il ritorno a casa, lo avevano reso di ottimo umore. Le faccende dei generali in quel momento non gli interessavano. Aveva altro per la testa.

Avrebbe rivisto Deanna. Al solo pensiero, rischiò di arrossire proprio davanti a Adraman. Ma per sua fortuna riuscì a controllarsi. Solo quando lui uscì dal tendone, si lasciò prendere dall’euforia, ridendo a squarciagola e giocando con le sue nuove monete. Sentiva dolore dappertutto, e alcune ferite sulle spalle erano proprio brutte. Tagli neri e purulenti che neppure ricordava come se li fosse procurati.

“È un miracolo essere sopravvissuti…” pensò, smorzando i toni dell’entusiasmo.

“Ma ora, finalmente, sono in ballo. Dunwich, dove sei? Se lavori ancora per Cambria… prima o poi ti troverò…”

 

***

 

«Allora, hai strigliato per bene il tuo ragazzo?»

Adraman si sedette sulla sedia di paglia intrecciata e chiese un bicchiere di vino al servo delle cucine. Ghiaccio si era già servito, e stava sorseggiando un grosso calice di distillato di vinaccia. Trasparente e pesantissimo. Perfettamente in regola con il suo stile algido.

«Non penso che abbia davvero capito cos’ha sbagliato.»

«Non avevo dubbi. Tu non l’hai visto, Adraman. Un trascinatore nato. Dovevi sentirlo, quando si è messo a contare urlando a ogni nemico ucciso. L’hanno imitato tutti. Pure quel grezzo di Berg…»

«Già, proprio lui…» sbottò il cavaliere «solo Berg poteva seguirlo in una follia suicida come quella di scendere dal Terrapieno.»

«Vedila diversamente. Se non l’avessero fatto, forse non avremmo vinto tanto facilmente» esclamò Ghiaccio sorridendo sarcastico. «Dopo, immagina solo quanti problemi avresti avuto con i rappresentanti degli alleati… che ti avevano proposto di fortificarsi, e trattare… e tu invece sei partito per il Sud…»

«Ancora con questa storia?!» Adraman prese il bicchiere dal servo e lo tracannò in un colpo. Prima ancora che il ragazzo si fosse allontanato, ne chiese subito un altro. «È andato tutto bene, no? Io ho scelto solo la giusta via di mezzo.»

«Ehi, non ti sto accusando di nulla! Che hai, Adraman? Sembri ancora più cupo del solito… e ce ne vuole…»

«Niente, sono solo stanco.»

«Quel ragazzo, Mordraud… lo rispedisci a casa?»

«Perché me lo chiedi?!» chiese bruscamente Adraman. Ghiaccio sorrise compiaciuto, e glissò. «Lascia stare, non importa. Piuttosto, ora mi spieghi chi ti ha passato la notizia dell’arrivo del nemico? Una vedetta? Una spia? O altro…»

«Niente da fare, vipera bianca. Prima devo parlarne con Eldain. Poi tu e gli altri saprete tutto.»

«Va bene, va bene…» disse Ghiaccio con una scrollata di spalle. «Ero solo curioso, tutto qua.»

«Sarà meglio…» concluse Adraman «piuttosto, dove si è cacciato Berg?»

«Si starà ubriacando giù in fanteria… sono tre giorni che beve dalla mattina alla sera. O magari è andato a baldracche, solo lui ha lo stomaco per quei relitti.»

«Mah… noi dobbiamo discutere di guerra, e lui si diverte a più non posso…»

«Rilassati, Adraman!» esclamò ridendo Ghiaccio. «Abbiamo vinto una battaglia impossibile da vincere! Se solo Cambria fosse stata un minimo più organizzata, ora saremmo tutti carne per corvi. Lascia divertire i ragazzi, se lo meritano.»

«Allora sono l’unico che non si diverte…» sbottò Adraman scolando l’ultimo sorso di vino.

«Come sempre, vecchio mio» Ghiaccio toccò con il suo calice il bicchiere vuoto di Adraman.

«Come sempre.»

 

***

 

Quando Gwern aprì la porta, per poco non svenne. Un essere incappucciato e irto di graffi rossastri era venuto a prenderlo nel cuore della notte, per portarlo nel regno dei perduti. Si era addormentato poco dopo il tramonto, dato che quella sera non c’era stato lavoro in taverna. Larois dormiva da un pezzo, e lui aveva un grosso libro da finire. Sernio gli aveva dato uno dei pezzi pregiati della sua collezione. Storia di Cambria, un vero mattone. Infatti, nonostante lo trovasse assai interessante, si era addormentato come un sasso sulle pagine aperte.

«Che hai fratello? Non mi saluti? Ti sei dimenticato di me?»

«Mordraud!»

Gwern gli corse in braccio e per poco non volarono tutti e due per terra.

«Fai piano, ti prego! Sono tutto dolorante… molte ferite non si sono ancora rimarginate per bene.»

«Sei vivo! Non ci credo!» esclamò Gwern. «Qualche giorno fa sono tornati i primi reduci… hanno raccontato della battaglia sul Terrapieno, e che ci sono stati un mucchio di morti… Dei, ero preoccupato da morire!»

«Te l’avevo detto, no?!» Mordraud sollevò il fratello da terra scuotendolo in aria. «Io non posso morire, fratellino. Nessuno può farmi fuori!»

«E tutti quei tagli? Te li sei fatti da solo?!»

«Bah… solo graffietti. Niente di che.»

«E i capelli?! Te li hanno tagliati! Sembri più giovane…»

«Ricresceranno» esclamò Mordraud. «Tornerà tutto come prima.»

I due fratelli si fissarono in silenzio, entrambi zittiti da un pensiero. Sarebbe mai potuto tornare tutto com’era prima?

Esisteva un prima nella loro vita a cui voler tornare?

«Vieni, ti racconto tutto!»

Mordraud descrisse ogni momento della battaglia, saltando solo le parti più crude. Suo fratello era troppo sensibile per sentire tutti i dettagli macabri. Alla fine raccontò anche il duello con la Lancia, e si ritrovò a gridare dall’emozione. Più ci pensava, meglio si sentiva.

«Ne ho uccise un paio, di quelle Lance… ma lui era il più forte di tutti. Te lo assicuro!»

«Lo dici come se fosse stata tutta una passeggiata…»

«No, è che… non so come spiegartelo… è stato esaltante! Prima, una paura fottuta… e poi più niente! Non mi sono mai sentito meglio, non mi tremava neppure la mano!»

Mordraud non aveva mai parlato con il fratello di quel problema. L’aveva sempre nascosto a tutti, ma Gwern annuì dimostrando di aver capito alla perfezione.

«E ora? Resti qui a Eld? Hai finito con la guerra?»

«Ma no! Ho solo iniziato, e pensa… domani mattina devo parlare con Eldain! Mi hanno incaricato di portare la notizia ufficiale della vittoria, è un grande onore sai?»

«Ne sono felice…» rispose Gwern, ma senza molta convinzione.

«Ehi fratello, non devi preoccuparti…» Mordraud gli scompigliò i capelli e se lo strinse al petto «guarda qui…»

Mordraud slegò la saccoccia dei soldi e la rovesciò sulla testa di Gwern, che subito si gettò per raccogliere le monete trattenendo il fiato. «Ma sono tantissime… quaranta scudi d’oro…»

«Quaranta scudi, oppure duecento cavalieri. Quanti te ne servono?»

«Non penserai davvero di…» chiese Gwern con un filo di voce.

«Erano duemila i cavalieri d’oro che ti servivano, giusto? Bene allora, altre… nove battaglie come questa, e siamo a posto!»

«Non posso! Sono troppi, e tu rischi la vita…» Gwern chiuse il sacchetto e lo spinse nella tasca del mantello di Mordraud. «Non li voglio!»

«Gwern, che tu voglia o no, io in guerra ci torno. Lo capisci?! Smettila di fare il bambino, e tieni questi soldi. Io non posso girare con tutto questo oro in tasca.»

«Sono sporchi di sangue…» mugolò Gwern rosso in volto.

«Anch’io sono sporco di sangue. Come tutte le monete di questo mondo, e come tutti gli uomini. Solo tu sei ancora puro.»

Mordraud riprese la saccoccia e la spinse fra le sue mani. «Devo mandarti via il prima possibile. Voglio che tu riesca a studiare, sei tu il genietto della famiglia. La mamma lo diceva sempre…»

«Davvero?!»

«Sì, e diceva anche che eri il suo figlio preferito, perché eri tranquillo e sensibile. Lascia fare a me queste cose. I soldi non sono un problema. La guerra, neppure.»

«Mi prometti però che starai attento?»

«Te l’ho detto. Io non muoio, Gwern. E se proprio lo dovrò fare, mi dimenticherò di dover morire» ripeté Mordraud, ricordandosi della promessa che aveva fatto a suo fratello la sera in cui si erano salutati prima della partenza.

«Detta così fa un po’ paura…»

«Ma è la verità. Ora torna a riposare, io devo presentarmi in caserma dal cancelliere.»

Mordraud uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle, non prima di un ultimo abbraccio e di una robusta strofinata di capelli.

«Passerò prima di ripartire, non preoccuparti! Salutami Larois!» gli disse mentre era già in fondo alla via. La notte era serena e fredda, un anticipo di inverno in pieno autunno. Gwern rientrò in casa, nascose le monete dentro un vaso di sale, e si buttò sul letto. Non voleva più leggere. Tutto quel sangue, quei morti che suo fratello aveva descritto gli avevano tolto la voglia di fantasticare.

 

***

 

«Il soldato Mordraud a rapporto, signore!»

«Fatelo entrare.»

Mordraud si inginocchiò davanti allo scranno storcendo la bocca per il dolore alla schiena. Quindici giorni a cavallo non avevano fatto un gran bene all’ustione che la risonanza in forma di luce gli aveva lasciato come ricordo.

«Alzati ragazzo, non c’è bisogno di tutta questa formalità.»

«Ai vostri ordini, signore.»

Eldain si alzò ridacchiando, e invitò Mordraud a prendere posto al tavolo del consiglio. La sala era vuota e spoglia, come si confaceva allo stile di vita del capo dei ribelli. Mordraud lo osservò rapito dalla sua imponenza, per nulla intaccata dall’età e dalle fatiche. Eldain versò del vino in due calici di bronzo e si sedette davanti a lui, in attesa del tanto agognato resoconto. Mordraud non si fece pregare e ripeté a memoria il discorso che si era preparato durante il viaggio, lo stesso che aveva fatto a Gwern per ripassarlo a dovere.

«Da come lo racconti, sembra che tu sia stato l’eroe della notte dei Fuochi…» lo interruppe Eldain sorridendo. Mordraud non era di certo un abile oratore. Non aveva neppure pensato a quanto potesse essere sconveniente raccontare la sua folle corsa giù dal Terrapieno, o del suo personale duello con la Lancia. L’aveva fatto lasciandosi trasportare dall’emozione, gesticolando come un pazzo.

«No, ecco signore… scusatemi, mi ero fatto prendere dal discorso…»

«Tranquillo, sapevo già tutto. Le voci sono arrivate al feudo prima di te. Mordraud, la bestia. Mordraud della notte dei Fuochi… hai già molti soprannomi ragazzo, lo sai?»

«Non me li merito…»

«Non credi neanche tu a quello che dici, non è vero?» Eldain rise di gusto. «Mi ricordi la mia giovinezza. Anch’io avevo un soprannome. Il boia dell’Est, sai? E per il tuo stesso motivo. Ammazzavo Lance. Ero piuttosto bravo.»

«Non ne dubito, signore.»

Mordraud si sentiva in straordinaria soggezione di fronte a Eldain. Se lo era immaginato in tanti modi, severo, inflessibile, anche crudele. Era così che un capo doveva essere, aveva sempre creduto. E invece, Eldain si stava dimostrando assai diverso, addirittura gentile con un soldato semplice come lui.

Ma quegli occhi, chiari come pozze di acqua ghiacciata, erano pronti a mostrare tutto il contrario. Era lo sguardo di un uomo senza pietà.

«Se Adraman ti ha scelto per fare rapporto, vuol dire che ripone in te grande fiducia. Lo sai questo?»

Mordraud annuì, senza però capire dove Eldain volesse andare a parare. «Ti sei dimostrato coraggioso e motivato, figliolo. Hai combattuto molto bene, e se continui così, farai strada. Ma non devi mai perdere di vista gli ordini, hai capito? Fidati di chi questa guerra, come me e Adraman, la combatte da tanti anni.»

«Posso permettermi di farvi una domanda?» chiese Mordraud improvvisamente.

«Certo. Chiedi pure.»

«Perché non… come posso dire…»

«Dillo con parole tue» disse Eldain «non ti preoccupare.»

«Ecco, mi chiedevo come mai… quale fosse il motivo per cui… insomma, perché non scendete in campo alla guida del vostro esercito? Gli uomini vi seguirebbero ovunque…»

Mordraud si aspettava un sonoro rimprovero per la sua sfrontatezza, e invece Eldain non disse nulla. Sospirando, preparò una semplice pipa di legno e una presa di tabacco nero, molto forte, e cercò per un momento le parole giuste.

«Sai ragazzo perché non ho una moglie, e dei figli?»

«No signore, ma io non volevo insinuare nulla…»

«Lo so, tranquillo. Però voglio spiegartelo. Sei giovane, e certe cose non puoi saperle, non eri neppure nato quando sono successe.»

«Allora, io mi sono sposato a venticinque anni, poco dopo aver preso in mano la guerra che mio padre Elder aveva iniziato con Cambria. All’epoca erano poco più che scaramucce, come del resto sono rimaste per anni prima che Loralon cambiasse strategia… ma questo è un altro discorso. Dicevo…»

«Stavate parlando di vostra moglie» disse Mordraud.

«Bene. Abbiamo avuto un figlio, un bell’ometto moro e con gli occhi di sua madre, scuri e profondi. Gli diedi il nome di suo nonno… Elder, mio padre… che era morto poche settimane prima della sua nascita. In quegli anni seguivo spesso le truppe nei primi confini del fronte, e imparavo il mestiere di generale da chi aveva servito fedelmente mio padre. Poi, quando arrivava la primavera, passavo un mese nella tenuta di famiglia sulla costa del mare dell’Est, perché a Rania piaceva il mare, e l’odore della sabbia calda… ma sto divagando. Vuoi un altro sorso di vino?»

«No, grazie…» Mordraud voleva conoscere la fine della storia «andate avanti, vi prego.»

«Un anno, l’impero divenne particolarmente aggressivo. Minacciava il fronte a Nord in zona Cambrinn e quello a Sud, dove ora stiamo combattendo per tenere la Lama dell’Hann, ed è proprio in quest’ultimo che Adraman ha mosso i primi passi come soldato. Anche lui è sempre stato un ottimo guerriero. Ma stavo dicendo: arrivò l’ennesima primavera, e insieme alla mia famiglia me ne andai verso la costa. Ero giovane e troppo imprudente. Avrei dovuto annusare che era l’anno sbagliato per fare una mossa simile.»

«E cosa successe?» chiese ansiosamente Mordraud.

«Cambria aveva studiato le mie abitudini. Ci fu un agguato lungo la strada maestra. Erano in tanti, e io avevo solo la mia guardia personale. Cercai di fermarli, ma non ne fui capace. Mi catturarono per portarmi in ceppi alla capitale, non prima però di aver ucciso mia moglie e mio figlio davanti ai miei occhi.»

Eldain aveva la stessa identica espressione di uno che raccontava una vecchia goliardata. La sua voce non tremò un istante, e i suoi occhi restarono piantati in quelli di Mordraud.

«Prima Rania, poi Elder. Lei con la testa sfracellata contro il terreno mentre la violentavano. Lui dissanguato, con le budella fuori dalla pancia.»

Mordraud era sbiancato e non era più capace di respirare. Eldain prese una boccata, sbuffò il fumo in alto sopra le loro teste, e continuò perfettamente a suo agio.

«La notte dopo ho staccato a morsi la faccia del mio carceriere. Mi sono liberato, e ne ho fatti fuori… mh, non ti so dire quanti, ho perso il conto allora, figurati adesso. Da quel giorno non esco più da Eld, se non per motivi gravi. Non mi sono mai risposato, e non guido i miei uomini in battaglia. Sono un pericolo per loro, capisci perché?»

«Direi… per evitare che Cambria si accanisca solo dove voi decidete di piazzarvi per guidare l’esercito» rispose con voce incerta Mordraud. «Se voi foste stato sul Terrapieno, l’impero non avrebbe smesso giorno e notte di attaccare, o di mandare assassini per farvi fuori.»

«Esatto. Bravo, ragazzo.»

«Non so cosa dire…»

«Allora non dire niente. Quello che mi accadde all’epoca fu orribile, così come fu tremenda la mia vendetta. Tuttora, come vedi, la perseguo… ma non c’è nulla di eroico, di giusto in una guerra. Si muovono per denaro o per vendetta, nel mio caso, la seconda… L’unica speranza è che gli ideali non ne escano infangati, corrotti.»

Mordraud stava annuendo con fare spaesato. Eldain sorrise divertito.

«Ti stai chiedendo di quali ideali io stia parlando?»

«Ecco…»

«Immaginavo» continuò Eldain. «Sei giovane, la guerra era già iniziata prima che tu nascessi. Non puoi sapere quanto le terre dell’Est temano Cambria. Vedi, questa grande regione che io cerco di proteggere, non è mai stata conquistata da nessuno. Per quante volte, nei secoli, Cambria abbia tentato, noi siamo sempre riusciti a mantenere la nostra indipendenza. Non intendiamo cedere ora… sarebbe un’onta insopportabile, sfigurare agli occhi della storia della nostra gente.»

«Temo di non capire veramente…» azzardò Mordraud.

«Non ti preoccupare, invecchiando capirai alla perfezione» rispose il nobile stringendogli il braccio in una morsa decisa.

«Torniamo a noi, però. Dato che fioccano già le prime leggende su di te, ti chiedo uno scambio.»

«E cioè?!»

«Se hai bisogno di qualcosa, chiedimelo e vedrò se posso accontentarti. In cambio, mi devi raccontare di nuovo la carica che tu e Berg avete fatto in mezzo all’esercito di Cambria. Il vecchio orso e la giovane bestia. Scusa se rido, ma dev’essere stata una scena alquanto surreale.»

«Posso raccontarvela anche cento volte, se me lo chiedete.»

«No, preferisco una volta sola, ma fatta per bene. E dietro adeguato compenso. Cosa vuoi?»

Mordraud non perse tempo a pensare. Sapeva già cosa chiedere.

«Mio fratello vorrebbe studiare. Sa di questo tizio, Saiden…» per la tensione, Mordraud riprese a gesticolare mentre parlava in modo sgangherato. «Non è a Cambria eh! Non è un nemico. Ma per studiare insieme a lui chiede… una lettera di raccomandazione. Magari, se voi poteste scrivere due righe…»

Mordraud non nominò anche il denaro necessario. A quello voleva pensarci da solo, sarebbe stato umiliante elemosinare oro destinato alla causa di Eldain.

«Conosco Saiden» disse Eldain annuendo lentamente. «Non bene, ma l’ho incontrato un paio di volte. È un tipo indecifrabile. Viene da una famiglia di cantori di Cambria, anche se lui non ha mai vissuto laggiù. Negli ultimi anni passa spesso da qui. Viene a comprare scorte di cibo, si ferma anche per chiedere come va la guerra. Sembra non essere particolarmente amico di Cambria, ma nemmeno un nostro diretto sostenitore. Non si schiera mai con nessuno, ma soprattutto… so già di qualche nobile che ha tentato di mandargli un figlio come allievo. Cosa chiede, molti soldi?»

«Quelli non sono un problema» rispose Mordraud con piglio sicuro. «Mi serve solo un foglio di accompagnamento.»

«Sei un ragazzo orgoglioso, eh?! Va bene, vada per la lettera. Te la preparo subito. Ma ora tocca a te… raccontami di nuovo tutto, per filo e per segno. E non tralasciare i particolari, sono la parte più bella delle storie.»

Eldain scelse una pergamena pulita, un calamaio, e iniziò a scrivere. Mordraud prese un respiro e ricominciò da capo il racconto della battaglia. Ma per quanto avesse aspettato di poter finalmente raccontare tutti i dettagli, ogni singolo uomo ucciso con le sue mani, i feriti, i denti saltati, le braccia spezzate… non riusciva a farlo. Risaltare agli occhi di Eldain era stato fino a quel momento il suo unico obiettivo. Ma le parole del vecchio nobile avevano mandato in fumo tutte le sue velleità di grande soldato coraggioso e imbattibile.

 

***

 

Non aveva più libri da leggere. I racconti, le storie e le fiabe che aveva consumato a furia di sfogliarle avevano perso tutto il loro fascino. Solo Mordraud era stato in grado di risvegliarlo, leggendo per lei nei lunghi giorni sempre uguali. E ora che non era più in casa, sempre pronto a raggiungerla a ogni suo nuovo capriccio, la realtà aveva perso l’essenza. Il pane era più secco. Il vino, più annacquato. L’aria, i libri, i sogni, tutto. Il mondo era diventato opaco. La luce si era affievolita.

Adraman era stato un buon appiglio, finché era durato. Per riuscire a provare qualcosa per lui, Deanna conosceva solo un metodo. Litigare con tutta la rabbia che aveva in corpo. Svuotarsi. E solo allora, lasciarsi andare senza più forze a quello che la vita aveva imbastito per lei. Doveva sconfiggere il suo orgoglio, fiaccarlo, sopprimerlo, prima di poter sopportare anche solo una sua carezza. Fantasticare su Mordraud rendeva le cose un po’ più semplici. Ma non era più sufficiente.

Era una di quelle notti in cui sapeva che il sonno non sarebbe mai arrivato. Un raro momento di lucidità in mezzo a una continua sequenza di giorni annebbiati. Deanna sapeva che gran parte delle sue sofferenze erano create dalla sua mente. La sua vita era straordinariamente migliore di tutte le donne di Eld. Un marito gentile e premuroso. Una bella villa. Soldi, più di quelli che desiderava.

Ma.

Tutto il suo atroce problema era condensato in tanti ma.

“Ho un buon marito. Ma non è mai a casa, e rischia di morire ogni giorno. Ma è vecchio. Ma non è l’uomo passionale che ho sempre sognato.”

“Ho una bella casa, ma è vuota, senza nervo. Non è la mia. Non mi appartiene.”

“Ho soldi e comodità, ma non so che farmene. La mia famiglia non mi ha fatto mancare niente, ma mi ha abbandonata in questo feudo pulcioso.”

Avrebbe potuto continuare per ore, ma quella era una delle rare notti in cui riusciva finalmente a vedere le cose con un occhio lievemente distaccato, senza perdere la testa. Mordraud se n’era andato, come era giusto che fosse. Un ragazzino, un trovatello figlio della guerra. Non era nient’altro. Un passatempo a cui si era aggrappata troppo a lungo. Purtroppo per lei, quel passatempo era cresciuto fino a diventare pericolosamente attraente. Ma poteva superarlo, una notte dopo l’altra.

Sprazzi di lucidità alla deriva in un mare inquieto e sfocato.

“Quando Adraman tornerà a casa, la prossima volta, gli dirò tutto. Posso farcela” disse fra sé, sfogliando distrattamente le pagine del libro che un tempo era stato il suo favorito, I canti lontani dell’orizzonte. Mordraud era bravissimo a recitarlo.

“Gli parlerò, e lo convincerò a restare a casa con me. A non partire più. Devo recuperare il tempo perduto. Sì… posso farcela.”

“Ho ancora una speranza…”

 

***

 

Era una notte troppo lunga per essere persa fra le lenzuola. L’aria era ancora densa degli odori del campo di battaglia, rievocati e rivissuti insieme a Eldain nella grande sala del comando. Non si era mai sentito tanto stupido, vanaglorioso, infantile. Erano bastate due parole del vecchio nobile, il suo sguardo, l’esperienza e la saggezza che trasudavano da ogni ruga del suo volto, per farlo sentire piccolo e gretto. Come aveva potuto eccitarsi all’idea di raccontare con orgoglio come e quante persone avesse ucciso in un solo giorno? Perché l’aveva trovato divertente? Cosa aveva sbagliato?

Mordraud vagava per il feudo mosso da desideri contrastanti. I suoi piedi spingevano in una sola direzione. La testa, invece, lottava per trascinarlo finalmente a letto, desiderosa di un meritato riposo. Una fatica inutile. Alla fine, tutte le strade del feudo lo avrebbero comunque portato lì davanti, a un passo dalla porta che sapeva già di trovare aperta. Adrina non chiudeva mai l’ingresso delle cucine. E lui aveva ancora in tasca la chiave del cancello sul retro, l’unica che aveva portato con sé.

La casa era immersa nel silenzio. Non sapeva cosa sperava di trovare a quell’ora. Non avrebbe avuto il coraggio di varcare la soglia in pieno giorno, ma di notte tutto era diverso.

Il piatto coperto era ancora sopra la stufa spenta. Si vedevano le briciole di pane sparse intorno, segno che la vecchia tradizione veniva ancora rispettata. Mordraud entrò nel salone e raggiunse le scale. In cima, al piano di sopra, la luce tremolante di una candela disegnava il profilo di una porta. La stanza dei libri. Il salotto di Deanna.

La maniglia si abbassò cigolando lievemente. Era ancora sveglia, china su un romanzo che lui le aveva letto tante volte. Uno dei loro preferiti. Mordraud si sentì il peggiore dei ladri.

«Deanna…»

 

Lei sussultò con un urlo strozzato, e si voltò di scatto. Vide solo una macchia scura stagliata fra le ombre. Mordraud entrò e si chiuse la porta alle spalle.

«Volevo vederti prima di partire.»

«Tu…»

Era bella. Maledettamente bella. Molto più che nei suoi ricordi, immensamente meglio che nelle sue fantasie. La candela sprigionava bagliori rossi che le tingevano le guance e gli occhi di piccoli fuochi tremuli. I suoi capelli neri erano l’essenza del fuoco. Fragile. Come porcellana. Mordraud si chinò su di lei, e prima di qualsiasi altra cosa al mondo, la baciò.

“Rifiutami, ti prego. Cacciami via.”

«Sei un bastardo.»

Deanna allontanò il volto, ma solo per un momento. Giusto il tempo di guardarlo negli occhi. Per vedere il bambino divenuto uomo. Per fargli capire quanto lui l’avesse fatta stare male. Mordraud accusò il colpo, ma non si fermò.

“Cacciami!” pensò rabbiosamente.

«Mi hai abbandonata» mormorò lei senza smettere di baciarlo. «Sei andato via…»

Mordraud la strappò dalla sedia. Le sue gambe nude intorno ai fianchi. Il seno che premeva sul suo petto. Riusciva a tenerla su senza alcuna fatica. Il suo corpo era cresciuto a una velocità inumana. Ma la testa era la stessa di quando era partito per la guerra.

«Sei ferito… potevi morire. Mi hai lasciato da sola…»

Mordraud la spinse contro il muro, fra la finestra dove si erano seduti a leggere tante volte e il balconcino che si affacciava sul cortile. La sua mano scivolò sotto il vestito blu su cui aveva fantasticato troppe notti.

«Sei uno schifoso bastardo, Mordraud.»

Lei lo baciò con forza dolorosa. Unghie rapaci scivolarono lungo i tagli che correvano sul suo collo e sulle guance. Voleva riaprirgli le ferite, sentire il sangue fra le dita, sbranarlo. Voleva distruggerlo. E Mordraud era pronto ad accettarlo.

Aveva combattuto. Rischiato la vita. Ucciso uomini innocenti e colpevoli. Ripensò alla moglie di Eldain, a suo figlio. A come lui aveva perso tutto. Sì, aveva ragione Deanna. Era un bastardo. Ma quella notte non sarebbe scivolata via come tutte le altre. Voleva andare fino in fondo. E toccarlo, per poi risalire più forte di prima.

“Fermami, ti prego…”

Le mani di Deanna cercarono la sua cintura. I pantaloni scivolarono in terra. Le sue gambe lisce lo avvolgevano in un abbraccio rovente. Mordraud la afferrò ai fianchi e spinse, prima titubante, poi sempre più forte. Lei gemeva a un soffio dalla sua bocca. I loro occhi non si persero un istante. Deanna guidava, muovendosi al suo ritmo. Lui non sapeva cosa stesse facendo. Lo stava imparando a ogni nuovo affondo. Il piacere fu una staffilata brutale. Mordraud la schiantò contro la parete quando venne, aggrappandosi a lei per non affondare. La fiamma della candela vibrò e si spense.

«Non andare via…»

Nel buio si guardarono per un lungo momento. L’odore della pelle di Deanna. Floreale e dolce, di qualcosa rimasto troppo chiuso dentro una scatola troppo piccola. “Rimango qui” pensò Mordraud. “Resto con lei, e basta.”

Ma il fondo era stato toccato. L’attimo dopo, lui era già uscito dalla stanza.

Aveva combattuto. Rischiato la vita. Ucciso uomini colpevoli e innocenti.

Aveva ammazzato lo Sconosciuto. Aveva ammazzato suo padre.

E ora, aveva tradito un amico.

 

***

 

Il campo era rimasto tale e quale dal giorno della sua partenza. Un mese o poco più, ma sembrava passata una mattina. I feriti lievi si erano ripresi. Quelli gravi erano morti. Nuove leve erano giunte da ogni angolo della regione, spinte dal moto d’orgoglio e di patriottismo che la battaglia della notte dei Fuochi aveva risvegliato nella gente comune. Cambria non aveva più attaccato, né lì, né in nessun altro punto del fronte. L’inverno sarebbe arrivato presto, suggellando per sempre quell’anno, il 1635, come uno dei migliori di sempre per l’alleanza dell’Est.

Adraman era seduto sul Terrapieno, impegnato a dare ordini ai manovali che stavano rafforzando la muraglia dove l’attacco dell’impero era stato più duro. Il cielo era tinto dei colori del tramonto. Mordraud prese posto al suo fianco e distese le gambe giù dal Terrapieno. L’aria era fredda e pungente, senza odori.

«Tutto bene a casa?»

«Sì, il popolo ha festeggiato per giorni dopo che è arrivata la notizia della vittoria.»

Adraman estrasse da un astuccio di cuoio due pipe identiche. Semplici e dritte, senza decori, intagliate in un legno scuro e liscio.

«Vuoi fumare?»

Mordraud non aveva mai provato. Prese la pipa, e imitò goffamente il cavaliere nella delicata arte di caricare il braciere. «Mio padre mi ha insegnato a pressare il tabacco, né troppo forte, né troppo piano. Usa l’indice, e se non riesci, il mignolo. Bravo, così…» Adraman lo osservò con la pipa fra le mani. Era allo stesso tempo un ragazzo e un uomo. Un velo di barba nuova che non si decideva a crescere, la pelle liscia e brunita dal sole.

Poteva essere scambiato per un coetaneo di Deanna, pensò chiedendosi come fosse possibile.

Con un gesto sicuro, Adraman schioccò l’acciarino e accese i primi fili di tabacco. Mordraud fece lo stesso, ma dovette tentare diverse volte prima di riuscirci. Quando il camino divenne ardente, sbuffarono insieme la prima boccata di fumo bianco.

«Ha un buon sapore…» sussurrò Mordraud, tradito da un colpo di tosse «ma è molto forte.»

«Questo è un tabacco da sera. Ti sembra forte perché non ci sei abituato. È aromatizzato con qualche scaglia d’arancia, e uno spruzzo di liquore al malto. L’ho preparato io.»

Adraman sembrava sereno, molto più del solito. Mordraud si era chiesto infinite volte se dovesse dirgli la verità, ma non era mai riuscito a convincersi completamente. Il tramonto era piacevole, fumare e guardare i lavori sul Terrapieno era piacevole. Non se la sentiva di rovinare tutto. Non voleva perdere Adraman prima ancora di averlo conosciuto.

«Non avevo mai fumato la pipa, prima d’ora.»

«Ti piace?»

«Sì. Mi piace molto.»

Adraman restò in silenzio a lungo, godendosi il sapore pieno del tabacco. Mordraud invece dovette riaccenderla. Tirava a volte troppo, a volte poco.

«Imparerai. Non è così semplice, anche se può sembrarlo. Non c’è niente di semplice al mondo. Neppure fumare.»

«Allora devi farmi vedere come si prepara il tabacco.»

«Infatti.»

Il braciere divenne nero, poi lentamente si spense. Mordraud guardò la pipa senza sapere cosa fare, e la allungò a Adraman, che però scosse la testa e non la prese. «Te la regalo. Come vedi ne ho due uguali.»

Il cavaliere lo aiutò a pulirla, battendola tre singole volte sul tacco dello stivale.

«Posso chiederti un favore?»

«Dimmi pure.»

«Ti ho detto che ho un fratello, vero?»

Mordraud spiegò cosa aveva in mente. Adraman ascoltò l’idea di Mordraud annuendo, e ogni tanto prendeva una boccata di fumo assaporandolo lentamente.

«Se è come dici, non penso sia un grosso problema» concluse lui. «Hai il mio appoggio. In fondo, non parliamo di molto denaro. Ah, quasi dimenticavo… volevo già chiedertelo l’altro giorno… ti trovi bene con la spada che ti ho lasciato?»

«Oh sì…» rispose Mordraud.

«Magnificamente.»

Mordraud, Libro Primo
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