XXXII

 

 

 

 

 

 

 

«Se ne sono andati…»

Dunwich era in piedi sul Terrapieno, incapace di accettare la realtà dei fatti. Il grande campo dei ribelli era vuoto, battuto da un vento silenzioso. Ogni cosa era stata lasciata al suo posto, tranne le bestie e le armi. Le tende erano tutte montate. Le mangiatoie erano ancora piene di biada. Erano stati riempiti i secchi dai pozzi, ed erano stati abbandonati lì, in mezzo alla strada, senza un motivo.

Era passato un mese da quell’incredibile falò che aveva illuminato a giorno tutto l’est, ma i suoi segni erano ancora visibili su un grande piazzale al centro del campo. I soldati di Eldain avevano incendiato una pira di legna e paglia alta quanto un palazzo, che aveva lasciato un’ombra nera e brulla sulla terra cotta dal tremendo calore. Dunwich aveva pensato che si trattasse di un segnale, un rito propiziatorio prima di una battaglia campale, e invece i ribelli non avevano attaccato. Non si erano più fatti vedere da quel giorno, e Dunwich si era mangiato tante volte le dita per l’inattesa occasione persa. Il Terrapieno non era mai stato tanto debole.

Era totalmente vuoto.

“Con un po’ di uomini in più, avrei potuto tentare, e invece… ho soltanto dei moribondi, traditori e tende vuote… avremmo dovuto attaccarli mentre procedevano con la smobilitazione.”

Griserio gli aveva da poco portato via i suoi ultimi soldati migliori, le Lance destinate a Cambria, e migliaia di uomini in direzione dei territori contesi con la famiglia Rinn. Il Terrapieno sembrava essere diventato un obiettivo meno che secondario, quando per anni la maggior parte delle battaglie si erano svolte proprio sotto la sua ombra. Uno smacco per Dunwich, che si sentiva l’ultimo comandante di una nave mezza rotta e destinata al disuso.

Quando le vedette erano entrate nella sua tenda di corsa, quella mattina, non aveva creduto a una mezza parola di quello che avevano detto. Dalla notte all’alba, tutti gli uomini di Eldain erano svaniti. Così, senza provare nemmeno ad attaccare una volta, senza rigurgiti d’orgoglio e di amore per la causa. Si erano ritirati in silenzio, dopo che per anni e anni erano morti per difendere quel muro scabro di terra. Dunwich aveva ordinato ai suoi esploratori di penetrare nell’entroterra a caccia della colonna in fuga, ma non erano ancora tornati. Niente di nuovo, ma qualcosa continuava a ronzargli in testa, come una punta di sospetto che inacidiva il sapore dolce della vittoria. I suoi uomini invece erano euforici, e in tutto il campo imperiale si stava festeggiando con il vino e le scorte di cibo migliore. Gli unici che non potevano partecipare erano i membri del battaglione che Dunwich aveva dislocato nel vecchio campo dei ribelli, soltanto per precauzione.

«Non penserai che torneranno indietro come se nulla fosse successo! Che senso avrebbe?! Dunwich, fidati di quello che vedi!» esclamò Griserio alzando una fiasca d’acciaio per brindare con il cielo. «La guerra per il Terrapieno è finita

«Sono arrivate notizie dagli altri fronti?» chiese Dunwich ancora dubbioso.

«Il più vicino dista dieci giorni da qui, e sono tutti fronti minori! Lo sai meglio di me che il Terrapieno era il cuore di tutta la guerra. Preso lui, abbiamo in mano la strada maestra che porta a Eld, e soprattutto, i suoi territori più ricchi e fertili!»

«Voglio un resoconto di quello che sta succedendo lungo tutta la linea, prima di partire. Non mi piace, che senso ha tutto questo?! Perché nessuno è venuto a parlarci di termini per la resa? Dov’è finita tutta la foga dei ribelli che tentavano di infettarci con la pestilenza, a costo di morire?!»

«Dunwich, sono esseri umani anche loro, come noi! Non si può combattere per sempre! Si vede che hanno esaurito tutte le forze!» rispose Griserio allargando le braccia con un gran sorriso.

«Mah… questa storia non mi piace… voglio quel resoconto, il più in fretta possibile» borbottò Dunwich, lasciando Griserio ai suoi tanto attesi bagordi. Lui non aveva la minima voglia di festeggiare.

Più le ore passavano, e più i suoi dubbi venivano messi alla prova dall’evidenza dei fatti. Passò un giorno intero, poi un altro, e un altro ancora. Dei ribelli non c’era traccia. Alcuni dei suoi esploratori erano tornati, ma non avevano trovato niente, confusi da piste ingannevoli. Altri non si erano ancora fatti vedere, segno che stavano continuando a cercare. Per tutti, la guerra era finita. Tranne che per lui. L’intero esercito era in preda a una fame insaziabile di festeggiamenti. Non si vedeva un soldato lucido neppure nelle tende dei malati. Dunwich cercò di mantenere l’ordine, ma chi doveva applicarlo era in condizioni peggiori di chi sgarrava. I capitani di reparto, le stesse Lance, non facevano altro che ridere, bere, mangiare e ballare intorno ai fuochi. A malapena riuscì a pretendere una ronda di guardia intorno al Terrapieno, e ci erano volute ore per raccattare gli uomini necessari. Dunwich si chiuse nella sua tenda, sordo a ogni proposta di baldoria, e restò chino sulle mappe per tutto il tempo alla ricerca di una nuova strategia. Non poteva avanzare nei territori di Eldain senza l’autorizzazione di Loralon, e la cosa lo frustrava oltre ogni modo. Ma almeno, si sarebbe fatto trovare pronto.

“Anche tu sei andato via, Mordraud?”

L’unica nota positiva di tutti quei festeggiamenti, erano le continue fiaschette di liquore che chiunque passasse dalla sua tenda si sentiva in dovere di lasciargli in regalo. Anche lui meritava di festeggiare, in un modo o nell’altro.

“O sei già morto, durante Lungo Inverno… ti sei consumato su un letto, da solo, con le piaghe aperte su tutto il corpo… o magari adesso sei alla guida della resistenza dei ribelli, proprio come io sono qui, a capo dell’esercito imperiale… Bah… devo smetterla.”

Aveva bevuto troppo, gli occhi non riuscivano più a mettere a fuoco le enormi mappe distese davanti a lui. “Probabilmente, non saprò mai che fine hai fatto… spero che ti sia comportato bene con Gwern… almeno, meglio di come hai trattato i nostri genitori… perché l’hai fatto, Mordraud?”

La sua concentrazione era ormai svanita, affogata sotto un fiume di vapori alcolici. Stanco di pensare e ricordare, Dunwich si buttò sulla branda e spense con un soffio la lanterna. Fuori, la gente non aveva ancora finito di festeggiare.

“Domani… da domani ordino di farla finita… sì, di ritornare nei ranghi…”

Dunwich si addormentò con la mano sull’elsa della spada, altrimenti, con tutti quei dubbi che gli assillavano la mente, non ce l’avrebbe mai fatta a prendere sonno.

 

***

 

«Sei pronto?»

«Sì.»

Adraman alzò la mano destra e indicò alle prime due squadre di muoversi. Era notte fonda, rischiarata solo da un sottile spicchio di luna calante. Sul limitare del bosco, si apriva la distesa di prati che giungeva fino alle retrovie del campo. Il loro vecchio campo, ora occupato dalle truppe imperiali. Una pattuglia di soldati annoiati e sonnolenti stava percorrendo il perimetro a passo lento, chiacchierando fra loro. Erano distanti, ma il vento portava splendidamente le loro voci, nascondendo allo stesso tempo il suono dei passi dei suoi uomini. Era la notte ideale, un vero dono degli Dei, pensò Adraman completando i silenziosi richiami alle squadre.

«Tutto a posto a casa, vero?»

«Certo» rispose Mordraud con voce piatta e tranquilla. Adraman gli mollò una pacca sulla spalla sorridendo, e tornò a seguire gli spostamenti delle truppe.

«Ora va meglio?» gli chiese. Mordraud annuì senza rispondere, ma sorrise, e a Adraman bastò.

«Sai, mentre eri via è tornato uno dei miei esploratori… mi ha riferito che Asaeld, il comandante delle Lance, non è più alla guida del Terrapieno. L’ha estorto a un cavaliere che stava disertando… pensa il caso!»

«Chi c’è ora?» chiese Mordraud.

«Un tale di nome Dunwich. Anche lui è una Lancia, e se le voci che ho sentito sono vere, è anche una delle più promettenti. Stiamo attenti, mi raccomando. Peccato però… avevo tanti di quei conti in sospeso con il vecchio Asaeld…»

Adraman sentì Mordraud sussultare, e si voltò per chiedergli se ci fosse qualche problema. Quando vide la sua faccia, per un momento si chiese se davvero conoscesse quel ragazzo che era seduto a cavallo al suo fianco.

Non aveva mai visto un’espressione di odio tanto profondo e feroce.

«Sei sicuro che vada tutto bene?» gli chiese preoccupato.

«Oh, sì… ora va anche meglio… non preoccuparti dei conti in sospeso… ci penso io a chiuderli tutti.»

«Ma… che vuoi dire? Ehi, Mordraud! Aspetta!»

Adraman cercò di afferrargli un braccio, ma Mordraud era già scivolato giù da cavallo, e si era unito di corsa alla pattuglia di incursori in partenza. Molti di loro erano suoi vecchi compagni di fanteria, e subito si piazzò davanti a tutti, guidando di persona l’avanzata nel buio della notte.

«Maledizione… Berg! Vai anche tu con i tuoi, e tienilo d’occhio! Non so cosa gli sia preso!»

«Va bene Adraman, lascia fare a me!» rispose il capitano. Tutte le squadre erano in movimento verso il perimetro del campo, macchie sfocate e scure ritagliate sul grigio stinto dei prati illuminati dalla luna. Adraman si spostò per vedere meglio, pronto a chiamare l’avanzata del resto delle truppe. Alle sue spalle, aspettava in silenzio il più grande esercito che l’alleanza avesse mai messo in campo.

Più di ventimila uomini. Tutti i soldati della regione, compresi i difensori smobilitati dal fronte e i battaglioni che i nobili alleati avevano inviato a Eld.

“Vecchio mio, se ci potessi vedere ora… era questo che desideravi vivere prima o poi, non è vero?”

Le prime squadre avevano raggiunto le guardie del campo e le avevano attaccate su più lati. Prima ancora che potessero suonare i corni, erano già tutte morte.

Era giunto il momento.

Adraman alzò le braccia e prese ad avanzare. Dalla foresta, i suoi uomini sbucarono come vecchi spettri pallidi e muti. Gli incursori li stavano aspettando, e si unirono al gruppo di sfondamento mentre la carica prendeva velocità e forza. Adraman cercò Mordraud con gli occhi, mentre si faceva superare dalle file dei fanti per prendere posto nelle retrovie. Era da solo, davanti ai suoi, che correva con la spada sguainata.

Da lui giunse il primo urlo, quando le tende spuntarono all’orizzonte, e la sua voce rimbalzò di soldato in soldato, e crebbe, si gonfiò fino a esplodere in un boato di infinite urla infuriate, come la spuma in cresta a un’onda spaventosa.

La marea si infranse sul campo, trascinando tutto e tutti nella sua folle corsa.

 

***

 

Mordraud si avventò sul primo drappello di soldati disorientati, strinse la spada a due mani e ne falciò uno al fianco. L’armatura di piastre si incrinò facendo schizzare ovunque rivetti misti a sangue. Le tende vomitavano uomini mezzi nudi, paonazzi e stralunati, con solo un elmo in testa e una spada in mano. Avevano fatto un bel po’ di baldoria, pensò mentre strappava via la faccia di un ragazzo dai capelli rossicci. Dovevano essersi divertiti proprio un mucchio, quei bastardi.

«DISPERDIAMOCI!» urlò ai compagni, e subito il suo gruppo si staccò dal resto della carica penetrando a fondo nelle viuzze del campo. Il fronte d’assalto si sbriciolò in centinaia di drappelli ben ordinati che rastrellavano una a una le tende e i soldati che sbucavano da esse. I pochi già pronti e armati si stavano radunando al centro, nella piazza del primo fuoco. Mordraud spaccò la nuca scoperta di un soldato che arrancava ai suoi piedi cercando di scappare via, e si guardò intorno. La cavalleria di Adraman stava oltrepassando l’accampamento ai lati, lanciata alla massima velocità. Prima di abbandonare il fronte, gli uomini di Berg avevano lasciato pronte e ben piantate le passerelle per oltrepassare il Terrapieno.

“E nessuno se n’è accorto… che idioti” pensò Mordraud sorridendo ferocemente. Il soldato imperiale stava ancora strisciando in terra, agonizzante. Con un piede sul collo gli tenne ferma la testa, e lo colpì con la spada come se fosse un ceppo di legna da tagliare.

«Avanti, dove siete, DOVE SIETE?!» urlò strappando via il telone di una tenda. Dentro erano rannicchiati sotto le coperte tre, forse quattro soldati. Speravano di non essere notati, travolti dalla velocità di quello che stava accadendo. Mordraud entrò da solo, trapassò il primo al petto fino a piantarlo nel pagliericcio, poi colpì quello a fianco con un calcio in faccia. Qualcuno alle sue spalle si era alzato, e lui non stava aspettando altro. Mordraud si voltò, afferrò il collo del soldato in vestaglia che stava per pugnalarlo, gli strappò di mano il coltello e glielo piantò sulla guancia, giù fino alla gola. Lo spruzzo di sangue lo raggiunse in bocca, sugli occhi, e scivolò sotto l’armatura di cuoio imbottito. Mordraud spinse ancora più forte, inerte a qualsiasi pietà e disgusto.

Li voleva vedere tutti morti. E voleva trovare suo fratello, stringergli le mani intorno al collo, e ammazzarlo lentamente. Ma gli sarebbe bastato anche morire in battaglia. Per mano di Dunwich, o di chiunque altro, non gli importava. Non dormiva dal giorno in cui aveva dovuto assistere al rogo. Non vedeva altro che suo figlio in braccio a Deanna, riversa a terra, accartocciata fra le fiamme. Qualunque cosa avesse davanti, lui vedeva e sentiva soltanto il suono del legno che si schiantava, il calore del fuoco, il puzzo di carne bruciata.

Poteva soltanto uccidere, o essere ucciso. Cambria, i suoi soldati, suo fratello, erano tutti parte dello stesso odio, il bersaglio contro cui scagliare il suo dolore, il suo senso di fallimento, i suoi errori. Non era più una guerra di ideali, la sua. Era una catarsi. Con suo fratello come prediletto capro espiatorio. Per tutto quello che aveva fatto, per l’infanzia orrenda che aveva dovuto subire.

Avrebbe potuto fermare Deanna. Prenderla con sé, scappare via con il loro bambino. Parlarne con Adraman e trovare una soluzione.

Farsi ammazzare prima di metterla incinta, così da eliminare ogni problema alla radice.

Invece non aveva fatto niente. Aveva lasciato andare le cose, sperando che il tempo potesse aggiustare tutto.

Non poteva perdonarsi per quello che aveva fatto.

«AL TERRAPIENO! NON DEVONO RICONGIUNGERSI CON GLI ALTRI!»

Pietà continuava a entrare e uscire dalle tende, lordo di sangue dai piedi al collo. Mordraud lo lasciò continuare la sua specialità. Maglio e Benno lo affiancarono nella corsa, colpendo a destra e a manca i soldati che tentavano di mettere in piedi una debole resistenza. Adraman aveva già dispiegato il resto delle truppe sulla muraglia di terra battuta, e stava per completare l’assalto. Dalle grida che giungevano in lontananza, Cambria mostrava i primi segni di reazione. La vera battaglia si stava spostando nel campo imperiale, e lui non voleva perdersela.

«PROSEGUIAMO!» gridò ai compagni, che rallentarono un momento, presi alla sprovvista. «Ma gli ordini sono di…» rispose Benno, mentre respingeva un fante che si era avventato contro di lui agitando in aria i cocci rotti di una bottiglia.

«Restano gli altri, noi andiamo!»

Stava già correndo via, con o senza di loro. I suoi uomini lo seguirono lasciando il campo alle altre squadre di incursori. Raggiunsero una rampa, si aprirono la strada attraverso i soldati assiepati sulla muraglia, e salirono sopra il Terrapieno.

Il grande campo che correva verso Ovest era precipitato nel caos più assoluto.

L’esercito imperiale era riuscito a frenare la corsa travolgente dei ribelli, ma solo a un passo dalle prime tende del proprio campo. Grazie alla cavalleria di Adraman, che aveva spazzato via la prima linea di difesa, il grosso delle truppe era riuscito a passare il Terrapieno, e non doveva più temere di essere schiacciato contro di esso. A Cambria mancava letteralmente lo spazio per organizzare una reazione.

«Sembriamo uno sciame di termiti, per gli Dei! Guardate!» esclamò Gigante, indicando le tende che venivano, una a una, inghiottite dall’avanzata del fronte.

«Cosa dici, Mordraud? Torniamo indietro a dare una mano? Pietà e gli altri sono rimasti là… anche Berg è…» chiese voltandosi verso il suo capitano, ma non trovò nessuno.

Mordraud rotolò scomposto giù dal Terrapieno e raggiunse un cavallo che stava scalciando a fianco del suo padrone, morto per un colpo di lancia al petto. Afferrò le redini e saltò su al volo. Prima ancora che Gigante avesse il tempo di chiamarlo, lui stava già cavalcando da solo verso il fianco dei nemici.

«Ma… vuole suicidarsi?!» chiese preoccupato Gigante a Benno, che alzò le braccia senza sapere cosa rispondere.

«Torniamo indietro, possiamo unirci a un altro gruppo…» propose Maglio. Nessuno si oppose. Allora scesero dal Terrapieno e ritornarono verso il loro campo, per finire di stanare le tende e le baracche.

 

***

 

«Svegliati maledizione!»

Dunwich scattò in piedi di colpo, stringendo la spada con gli occhi ancora appannati dal sonno. Fuori dalla tenda sembrava giunta la fine del mondo. Urla, tonfi, schiaffi d’acciaio contro il ferro. Si era stordito di vino fino a non rendersi conto che stava dormendo nel bel mezzo di una battaglia. Griserio stava raccattando le mappe, i documenti e tutto l’oro che riusciva a mettersi nelle tasche. Dunwich diede un’occhiata fuori, ma vide solo panico, e il fumo acre di un incendio.

«Cosa sta succedendo Griserio?!» balbettò confuso e stordito.

«I ribelli hanno attaccato in piena notte!» gridò lui senza smettere di riempire grandi sacche di tela con tutto quello che poteva. «Hanno assaltato il loro vecchio campo, poi hanno preso il controllo del Terrapieno! E SONO UNA MAREA!»

«CHE COSA?!» riuscì solo a dire Dunwich.

«Non abbiamo tempo, prendi su quello che può servire e scappiamo!»

«Scappare?! Sei impazzito? Devo coordinare la difesa! Io non scappo!»

«Dobbiamo andarcene, invece! Se non arretriamo, ci spazzeranno via tutti! NON ABBIAMO GLI UOMINI PER DIFENDERCI! Sono troppi!»

«Troppi?! Abbiamo quindicimila uomini, per gli Dei!»

A Griserio scappò una risatina divertita, anche se la situazione non faceva ridere per niente.

«Quindicimila, prima di spedire anche gli ultimi battaglioni nei territori contesi dei Rinn!»

«E quanti ne sono rimasti, allora?! Non ho ancora fatto i conteggi, ho firmato quelle maledette carte tre giorni fa!» esclamò Dunwich rovistando fra i cumuli di corrispondenza che intasavano la sua scrivania.

«Seimila… più o meno.»

«QUANTI?!» urlò Dunwich. Non poteva assolutamente crederci. A furia di acconsentire, timbrare e firmare invii, aveva perso il conto dei suoi uomini. «Sono un fottuto idiota!» sbraitò fuori di sé dalla rabbia.

«E come hanno fatto a coglierci così di sorpresa?! Come merda hanno fatto!»

«Te lo spiego dopo. Adesso andiamo via! Spostiamoci nelle retrovie, prima che sia troppo tardi!» rispose lapidario Griserio. Dunwich afferrò la sua sacca da viaggio, recuperò l’elmo e fuggirono insieme dalla tenda. Fuori, regnava il delirio. L’esercito di Cambria era totalmente impreparato a combattere, mancavano gli ordini, i capitani non si trovavano e i reparti si muovevano a caso, sospinti come pecore di un gregge dagli assalti della cavalleria ribelle. Molte tende erano in fiamme, ma andava peggio a quelle che venivano ingoiate dall’avanzata del fronte. Gli occupanti venivano tirati fuori e giustiziati sul posto. Dunwich vide con i suoi occhi un’intera squadra che non era riuscita a fuggire da una baracca della mensa, asserragliarsi lì dentro per difendersi. Uno alla volta vennero trascinati fuori, buttati in ginocchio e decapitati seduta stante.

Senza una parola, un giudizio, un briciolo di pietà per i vinti.

«Cosa ti aspettavi?! Dopo quello che noi abbiamo fatto, speravi in un po’ di comprensione?!» esclamò sarcastico Griserio. Gli uomini che erano riusciti a sfuggire alla prima ondata, stavano convergendo agli estremi opposti del campo, e aspettavano soltanto che qualcuno dicesse loro cosa fare. Dunwich li raggiunse, a colpo d’occhio calcolò i sopravvissuti, poi fece lo stesso con i ribelli.

Il confronto lo fece sbiancare.

«Dove hanno trovato tutta quella gente?! È impossibile!»

«Si vede che hanno abbandonato ogni difesa sul fronte! Noi eravamo troppo impegnati a gingillarci con i Rinn, e loro hanno colto l’occasione. Se solo avessimo tentato un attacco nel momento giusto, avremmo vinto la guerra in una sera! Invece…» sibilò terrorizzato Griserio.

«E gli uomini che avevo lasciato a presidiare il Terrapieno?! Perché non hanno almeno frenato la loro avanzata?!»

Dunwich sapeva già che la risposta non gli sarebbe piaciuta affatto. Mancava ancora la ciliegina sopra quella torta di sterco.

«Mi sa che non se ne sono nemmeno accorti. Sono sempre tutti ubriachi. E poi…»

«POI COSA?!»

«Ho saputo che molte squadre sono andate per conto loro a fare una… capatina nell’entroterra.»

«Non ci credo…»

«Volevano razziare qualche paesino, le solite cose da soldato, lo sai meglio di me come funziona. Devono averli intercettati e schiacciati mentre erano lontani.»

«Fottuti, fottutissimi…»

Dunwich non riuscì neppure a trovare la parola giusta per definire quello che era successo. Il disastro più assoluto, vergognoso, suicida. Avevano fatto tutto ciò che era possibile fare per rendere la vita facile ai ribelli. La sua furia cercò una via per sfogarsi, e la trovò molto facilmente.

Loralon.

«Quel maledetto cane schifoso, è stato lui a causare tutto questo!»

Griserio non rispose. Il nemico era sempre più vicino. Dunwich radunò in fretta e furia le poche Lance rimaste, bestemmiando a profusione contro l’Imperatore, gli Dei, i ribelli, ma soprattutto se stesso. Fece suonare il corno della ritirata, e quel poco che restava dell’esercito di Cambria prese a indietreggiare. Quelli che ebbero la sfortuna di restare indietro, vennero agganciati dal fronte dei ribelli, ma tutti gli altri riuscirono a scamparla. La ritirata divenne una fuga scomposta e senza ritegno. I feriti vennero abbandonati, così pure i malati rinchiusi nei recinti. L’ultima scena che Dunwich vide, prima di scollinare e perdere di vista il Terrapieno, furono le fiamme che si alzavano dalle baracche degli appestati.

Il fronte centrale era perduto.

 

***

 

«Vieni qua… dove credevi di andare?!»

Dall’uscio sbucò un fante. Doveva essere un capo di brigata. Mordraud lo prese per i capelli e lo sbatté in terra fuori dalla porta della baracca. «Si erano nascosti sotto le assi del pavimento, come i topi!» berciò un soldato alle sue spalle. Era stato lui a sentirli mentre perlustravano le strutture abbandonate dal nemico in fuga. Il suono sommesso di un uomo che piangeva. Proprio quel fante che aveva davanti.

«Tirateli fuori tutti, ragazzi!» gridò ai suoi uomini «e tu… DEVI DARE L’ESEMPIO!»

Mordraud lo sollevò da terra, si voltò verso la porta della baracca, e mentre i suoi compagni spingevano fuori i prigionieri, sfilò un coltello dalla cintura e sgozzò il povero fante in lacrime. Non tanto in fretta. Dovevano vederlo tutti. L’uomo scalciava e muggiva come una bestia al macello.

«ADESSO BASTA!» gridò qualcuno alle sue spalle. Mordraud gettò in terra il corpo agonizzante e depose il coltello. Nella sua schiena.

Adraman era terreo in volto, sconvolto da tutta quella violenza brutale. «Cosa stai facendo?!» gli urlò in faccia. Mordraud non si scompose.

«Faccio ordine» rispose lui con voce lugubre, meccanica.

«Che cosa?!» esclamò Adraman senza parole.

«Sto facendo ordine.»

«Cosa ti prende, ragazzo?! Non ti sei mai comportato così!»

«Perché non mi hai visto con lo Sconosciuto fra le mani…» concluse Mordraud, prima di andarsene senza attendere ordini, lasciando l’amico spiazzato e confuso.

«E voi?! Cosa avete da guardare?» urlò Adraman agli altri soldati. «Portate via questi prigionieri! E non provate a far loro del male!»

«Sì signore» risposero in coro con evidente dispiacere.

La battaglia era finita nel migliore dei modi, ma la guerra era lungi dall’essere conclusa. Adraman diede ordine di prendere tutto ciò che era rimasto integro, le tende, le scorte d’acqua, il cibo e le armi, e lasciò riposare le truppe soltanto una notte. La situazione poteva sfuggirgli di mano da un momento all’altro. Mordraud non era il solo ad aver mostrato il suo lato peggiore. Tutti i soldati avevano dei conti in sospeso con gli uomini di Cambria, chi aveva perso un figlio, chi la casa, chi la moglie morta di freddo o di fame. Tenerli in riga era un’impresa ai limiti dell’impossibile. Ma per farlo, dovette comunque concedere qualche eccesso, tappandosi occhi e orecchie.

Il primo fu l’incendio all’ospedale, appiccato dai soldati sconvolti dall’idea di ammalarsi dopo essere scampati già una volta alla pestilenza. Adraman si allontanò dal campo, per non sentire le urla strazianti di chi stava bruciando vivo all’interno di quelle baracche putride e recintate da assi e filo spinato. Uno spettacolo orrendo, che però sembrò piacere molto ai suoi uomini. In massa restarono a osservare l’incendio finché non si spense, bevendo e mangiando le riserve di cibo che erano state scovate nelle tende degli ufficiali.

Ma la concessione peggiore fu l’esecuzione delle Lance, voluta, proposta e attuata da Mordraud. Ne furono rastrellate trenta fra i feriti e i prigionieri. Solo la vista delle loro armature risvegliava nei suoi uomini i lati più oscuri della loro mente tirata all’estremo. Li legarono ai pali divelti delle tende bruciate, al centro del campo, su un’unica fila. Mordraud si mise a camminare davanti a loro, fingendo di essere un giudice mentre tracannava un fiasco di vino.

«Siete colpevoli di averci tormentato per decenni!»

Boato del pubblico.

«Siete colpevoli di aver ammazzato i nostri amici!»

Altro boato.

«I nostri padri!»

«I nostri figli!»

I soldati urlavano in coro ogni volta che Mordraud emetteva una sentenza.

«Di aver violentato la nostra terra con Lungo Inverno, e di aver goduto mentre noi rantolavamo nella neve e nella fame!»

«Per questo, vi condanniamo a morte. E dopo di voi, andremo a prendere le vostre famiglie, i vostri figli, le vostre donne… e faremo a loro ciò che voi avete fatto a noi.»

Mordraud si avvicinò a una delle Lance legate, e spinto dalla bolgia di urla e insulti delle migliaia di uomini alle sue spalle, sguainò la spada e la decapitò, spiccando sia la testa che il palo alle sue spalle. Mentre si allontanava, alzò un braccio e gli arcieri si disposero in riga, incoccarono le frecce, e bersagliarono i condannati fino a svuotare le faretre. Molti di loro chiesero pietà, altri rispondevano agli insulti, alcuni piangevano, e qualche fortunato era svenuto. Adraman aspettò che quello spettacolo orribile fosse finito, e diede ordine a Berg di richiamare le truppe. Aveva visto molte cose nella sua vita da soldato, ma mai era stato partecipe di una simile orgia di violenza. Se non avesse fatto nulla, i suoi uomini non si sarebbero fermati alle Lance. Erano pronti a mettere a morte ogni cittadino di Cambria, dal primo all’ultimo.

«Eldain, vecchio mio… senza di te, siamo diventati bestie…» mormorò Adraman. Il viaggio verso Cambria era appena iniziato. E di notti come quella, ne era sicuro, ce ne sarebbero state molte altre prima della fine.

 

***

 

«Hai preso in consegna gli ultimi, Parro?»

«Sì Loralon, li ho fatti rinchiudere nelle segrete. Non dovrebbero essercene altri.»

L’Imperatore finì di sorseggiare il vino caldo alla cannella, diede l’ultimo morso al cosciotto di maiale abbrustolito e si pulì la bocca con una pezza di lino ricamata. Una colazione ottima, deliziata da notizie ancora più buone.

«Asaeld ha detto altro? Siete riusciti a tirargli fuori tutte le operazioni che ha portato avanti alle mie spalle?» chiese al cancelliere, che prese posto al suo tavolo e si versò un sorso di vino. Quando erano in pubblico, durante le udienze e i consigli, dovevano mostrarsi sempre rigidi e attenti all’etichetta di corte. Ma fuori dai cerimoniali, lui e Parro erano buoni amici, e accaniti conversatori. Un’abitudine che era uscita assai rafforzata dopo il disastro sfiorato dalle accuse di Asaeld. Il cancelliere si era ripreso, ma mostrava ancora i segni delle percosse subite in galera. Loralon non perdeva mai l’occasione di scusarsi con lui per la sfiducia che aveva dimostrato nei suoi confronti.

«Dopo quello che gli abbiamo fatto» rispose Parro ridacchiando «non penso che si sia tenuto dei segreti.»

«Cosa mi dici del fronte, invece? Hai notizie di Dunwich?»

«Griserio ha fatto quello che doveva fare, senza sbavature. Ora Dunwich è da solo, senza più i complici di Asaeld sempre intorno. Non abbiamo sue notizie da qualche settimana, dall’ultima spedizione di Lance, ma non significa necessariamente che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Abbiamo spolpato il Terrapieno per attaccare i Rinn, non credo che Dunwich abbia mosso attacchi ai ribelli con le poche forze che gli sono rimaste.»

Loralon annuì soddisfatto. «Meglio così. Non mi fido ancora abbastanza di lui da lasciargli in mano il grosso dell’esercito. Ora che siamo piuttosto sicuri di aver ripulito il macello che aveva fatto Asaeld, voglio parlargli. Manda qualcuno al fronte a chiamarlo. Invece, cosa mi dici dei Rinn? Abbiamo ripreso i paesi vicino a Cambrinn e Hannrinn?»

«Ancora no, Loralon. Sono stati dannatamente bravi… molti dei nostri cittadini hanno accettato di buon grado i loro nuovi padroni.»

«Beh, quando tutto sarà tornato alla normalità, li faremo tornare indietro. Ordina di spingere di più, non voglio superare l’estate senza un successo, ora che il fronte con l’alleanza si è raffreddato.»

«Sarà fatto prima di sera» rispose Parro «ora torno alle mie faccende. A dopo, Loralon.»

Il cancelliere se ne andò dalla sala e l’Imperatore chiamò un servo per sgombrare la tavola. Non amava mangiare nei suoi alloggi, così faceva attrezzare la sala delle udienze per gustarsi i quadri, gli arazzi e gli affreschi che descrivevano la storia della sua famiglia. Ogni volta si riproponeva di contribuire anche lui con qualche opera d’arte, magari una statua che lo raffigurasse in armatura da guerra.

“Alla prima occasione, chiamo il marmista e…”

La porta si spalancò di schianto, rovinandogli la rilassante visione. Erano due soldati che non facevano parte della sua guardia personale, cosa assai bizzarra. Non era permesso a nessuno, oltre al cancelliere, di interrompergli la colazione.

«Cosa volete?! Come vi permettete di irrompere così senza neppure…»

«Signore, i ribelli stanno per raggiungere la città!» esclamò, pallido in volto, uno dei due. Loralon sentì il cosciotto, il vino e la statua di marmo risalirgli dallo stomaco.

«CHE… COSA… AVETE DETTO?!»

«I ribelli… li abbiamo avvistati a Est, a ridosso della Gola dei Castagni! Un vasto esercito! Mai visto nulla di simile al fronte!»

«Ma… il Terrapieno…» balbettò Loralon incapace nemmeno di immaginarsi una cosa tanto assurda.

«I nostri uomini sono in rotta, stanno per raggiungere le mura, ma non sono molti. Un migliaio, forse meno. Qualcuno è già sotto le porte. Stanno fuggendo, signore.»

Loralon socchiuse gli occhi, tirò due sospiri profondi e ragionò con tutta la calma che poteva. Al fronte centrale dovevano esserci quasi quindicimila uomini. Aveva dato l’ordine di dislocarne parecchi verso Nord e Sud, ma non sapeva il numero esatto. Aveva lasciato detto che voleva mantenere comunque una delegazione sufficiente a gestire quel tratto di confine. Eldain e i suoi quattro ribelli spelacchiati non erano mai riusciti a mettere il becco fuori dal confine, men che meno a penetrare nella regione di Cambria.

«Perché non si fermano e non cercano di ricacciarli indietro?! Come hanno fatto a perdere le posizioni?! RISPONDETEMI MALEDIZIONE!»

«Non lo sappiamo, signore…» rispose l’altra guardia, ancora più pallida della prima «i ribelli devono aver sfondato il confine, e il nostro esercito deve aver ripiegato tentando con ogni mezzo di rallentarne l’avanzata… ma non hanno quasi più cavalli, i cavalieri di Eldain devono aver intercettato tutti i messaggeri che sicuramente Dunwich ha tentato di inviarci per metterci al corrente del pericolo…»

«CHIAMATEMI PARRO, SUBITO! E DITEGLI DI PORTARMI ASAELD!» gridò l’Imperatore.

«Ma signore… cosa dobbiamo dire alle porte… le apriamo, oppure…»

«SUBITO!»

Le due guardie si inchinarono in tutta fretta e scapparono via. Il cancelliere arrivò dopo un tempo che gli sembrò interminabile, insieme al comandante caduto. Asaeld era legato ai ceppi, magro come un morto, senza più un occhio e con diversi buchi nella pelle, dove i topi avevano rosicchiato via la carne. Eppure, stava ridendo quando Parro lo gettò ai piedi dell’Imperatore. Rideva come aveva riso mille altre volte davanti a lui, denigrandolo, umiliandolo.

«I ribelli stanno per attaccarci! Tu ne sai niente?!» gli chiese, trattenendo a stento la paura che gli incrinava la voce. Il cancelliere sbiancò e oscillò sul punto di svenire.

«Io?!» gracchiò Asaeld «come faccio a sapere qualcosa? Avete ammazzato tutti i miei strumenti! Mi spiace, Imperatore, non so come aiutarvi.»

«Sei stato tu, è inutile che neghi! Vuoi che Cambria perda la guerra, maiale schifoso!» urlò Loralon afferrandolo per il bavero della casacca lurida e macchiata di sangue rappreso. Asaeld non perse il sorriso, vuoto di un paio di denti saltati via dopo qualche pugno ben assestato.

«Oh, Imperatore, perché mai dite una cosa simile?! Mai, giuro sugli Dei, ho desiderato vedere la fine di Cambria! Io volevo vedere la vostra fine! C’è una bella differenza! IO VOLEVO UN ORDINE NUOVO!»

«Cambria non viene attaccata da… da…» balbettò Loralon terrorizzato.

«Da qualche secolo, mio signore. Per essere precisi, però, non perde da molto più tempo… ma esiste la volta giusta per tutto…» rispose Asaeld cantilenando con gioia.

«E ora che facciamo, per gli Dei?!»

«Mi state per caso chiedendo un consiglio, mio signore? Beh, non sono nella condizione migliore per dare buoni consigli, ma… prima di tutto… lasciamo gli Dei al loro posto, signore. Non credo che possano esservi d’aiuto. E poi… inizierei, se fossi in voi, a prepararmi…»

«A COSA?!»

«A lui» rispose Asaeld sorridendo.

Le porte si spalancarono di nuovo, ma con molta più violenza. Loralon alzò gli occhi e vide Dunwich correre verso il trono, attraversando ad ampie falcate la sala vuota. Era sporco, lacero, scarmigliato. Dimagrito in modo vistoso. Ma soprattutto, aveva gli occhi di un uomo che aveva perso la ragione da molto, molto tempo.

«Ero sicuro che prima o poi saresti ritornato da me…» mormorò Asaeld.

«LORALON!»

Era la voce di un uomo solo, ma sembrava quella di un intero reggimento. Parro provò a piazzarsi in mezzo, ma prima ancora di poter aprire bocca, Dunwich sguainò la spada e gliela piantò da parte a parte nel petto. Il cancelliere cadde a terra senza un gemito.

«Bravo, ragazzo mio…»

Loralon mollò la presa sul collo di Asaeld, indietreggiò e aprì le braccia con un sorriso raggiante. Aveva visto morire il suo migliore amico un istante prima, ma in quel momento esisteva solo la sua vita, e nient’altro.

«Dunwich! Meno male che sei sopravvissuto! Devi aiutarmi, dobbiamo preparare le difese della città, e ci sono così tante cose che devo dirti…»

«SEI UN FOTTUTO CANE SCHIFOSO, LORALON!»

«Capisco che tu possa essere un po’… agitato… ma ora dobbiamo pensare a Cambria, ragazzo mio! E poi devi sapere tante cose… su Asaeld, su come ti ha manovrato, su quello che stava facendo alle tue, alle nostre spalle!» urlò l’Imperatore indietreggiando timorosamente di un altro passo.

Ma Dunwich non sembrava aver ascoltato neppure una parola.

«Asaeld, stai bene?! Che cosa ti hanno fatto?»

«Loralon mi ha imprigionato, perché ero pericoloso per i suoi piani…» gridò la Lancia con voce traboccante di misero dolore «è stato lui a portare via i nostri ragazzi dal fronte, Dunwich! Lui, soltanto lui ci sta facendo perdere la nostra guerra!»

«No, devi ascoltarmi! Asaeld è una vipera, ti sta mentendo, ti ha sempre mentito…»

Dunwich salì a lunghi passi i gradini che conducevano al trono. Loralon si voltò per scappare via, ma lui fu molto più veloce. Lo prese per il collo, e strinse con forza brutale.

«Dunwich, aspetta… ti prego ragazzo mio, ascoltami…»

«Ne ho abbastanza di te, dei tuoi piani, dei tuoi fottuti consiglieri!» Dunwich lo spinse a terra, gli piantò un ginocchio nella schiena e prese a tirare con ancora più forza.

«È colpa tua! Mi hai portato via gli uomini! Mi hai portato via le Lance! Combatto da settimane, tutti i giorni, tutte le notti, senza dormire, senza mangiare, soltanto per fermare i ribelli! Ho visto morire tutti i miei soldati! ERANO I MIEI COMPAGNI! ERANO AMICI MIEI!»

«Dai Dunwich… dai!» gridò Asaeld.

«Aspetta… aspetta…» biascicò l’Imperatore «non è… come… credi…»

«Crepa, fottuto bastardo!»

Tirò per l’ultima volta, e le ossa della schiena di Loralon si frantumarono in briciole. Asaeld piangeva di gioia alle sue spalle. Dunwich si voltò verso di lui con lo sguardo stralunato di uno che si era appena svegliato da un lungo sonno tormentato. Asaeld alzò le braccia, e con un cenno indicò il corpo del cancelliere.

«Ha lui le chiavi. Avanti, liberami… ora sistemeremo tutto!»

«Asaeld, cosa ho fatto?» chiese Dunwich guardandosi intorno spaesato. Tutta la rabbia era svanita dai suoi occhi. Restava solo la stanchezza mortale, e una voragine vuota laddove prima giaceva il suo giuramento di Lancia Imperiale.

«Hai fatto ciò che andava fatto, Dunwich. Anzi… mio signore. Sei tu il nuovo reggente di Cambria. E io sono il tuo primo, e più fedele, servo!»

Dalle finestre della sala prese a salire un lento, intricato urlo. La città aveva avvistato il nemico alle porte. Cambria si era svegliata dal suo dolce sogno, per precipitare senza il tempo di un respiro nell’incubo.

«Andiamo a salvare la nostra città, Dunwich!»

 

***

 

Quando saremo a ridosso delle mura, se tutto sarà andato per il verso giusto, Cambria non saprà cosa fare. Non possono arroccarsi in un assedio. Dopo due anni di carestia e pestilenza, non avranno abbastanza riserve per resistere a lungo. Tenteranno di ingaggiare battaglia fuori dalla città.”

Adraman ripeté a memoria le parole del discorso che lui, Berg e Mordraud avevano preparato per il consiglio. Aveva bisogno di credere che fosse un piano perfetto. Solo l’idea di assaltare Cambria gli faceva tremare i denti in bocca.

«AVANZARE!» urlò alle file di soldati alle sue spalle. Aveva perso molti uomini nella lunga traversata della regione, ma era comunque riuscito ad arrivare lì, a ridosso della capitale dell’impero, dopo aver sbaragliato l’esercito del fronte centrale. Avevano combattuto palmo dopo palmo, tentando di fermarli. Ma non c’erano riusciti.

“Quando usciranno i battaglioni dalle grandi porte, noi saremo già lì. I loro arcieri ci falceranno senza sosta, ma noi non dobbiamo arretrare. Devono avere paura di noi, una paura fottuta.”

Aveva visto Cambria una sola volta tanto tempo prima, ormai non era altro che un punto offuscato sulle mappe di Eldain. Era una città veramente spaventosa rispetto al loro piccolo feudo. Incredibile aver combattuto così a lungo, ad armi pari, con un gigante simile, pensò Adraman pieno di ammirazione. I tetti dei palazzi brillavano al sole caldo di inizio estate, e le vetrate variopinte sembravano incendiarsi dei riflessi dell’arcobaleno. Le mura erano immense, irte di guglie e torrette appuntite gremite di soldati. Eleganti ville, decorate di stucchi policromi e statue di marmo bianco, si affacciavano sui viali lastricati di porfido, all’ombra delle chiome degli alberi secolari.

Era la città degli Dei.

E loro erano giunti fin lì per distruggerla.

«FANTERIA! RESTATE COMPATTI! Berg…» Adraman abbracciò Berg, e si salutarono con uno sguardo carico d’affetto. «Ci vediamo dentro, vecchio mio!»

«Ci puoi contare! Buona cavalcata, Adraman!»

«Cerca di resistere più che puoi!»

Tutti i reparti di fanteria iniziarono a scendere verso le grandi porte di ottone di Cambria, famose in tutto il continente per le loro dimensioni mastodontiche. Nessuno ricordava più l’ultima volta che un nemico era riuscito a varcarle. Adraman sentì un altro brivido devastargli i denti.

«UOMINI! ABBIATE CORAGGIO!» urlò a pieni polmoni «Per Eldain!»

«ELDAIN!»

«Morte a Cambria!»

«MORTE A CAMBRIA!»

Adraman si mise a capo dei suoi cavalieri e restò a guardare. Mordraud era al suo fianco, in silenzio. Quando le porte di Cambria si aprirono, inondando la pianura di soldati dell’impero, sentì il cuore fermarsi un istante. Mordraud cercò la sua mano, e lui la strinse.

“Quando la battaglia sotto le mura sarà iniziata, i nostri uomini saranno da soli. Cambria ha migliaia di soldati, ma nessuno è pronto a combattere vicino a casa. Avranno troppa paura. I nostri possono resistere a lungo, anche se le frecce continueranno a cadere su tutti, amici e nemici. Noi dobbiamo soltanto aspettare che si decidano a sfoderare la loro arma più preziosa, le Lance…”

La mischia era diventata furibonda. I soldati imperiali sembravano non finire mai, ma gli uomini di Adraman erano compatti, determinati, pronti a tutto. Eld stava mostrando a Cambria cosa fosse la vera follia. Le squadre si spostavano con ordine anche sotto la pioggia di frecce, costringendo il nemico a subire allo stesso modo le mortali nubi di ferro. Berg stava facendo un ottimo lavoro, laggiù. Ma non avrebbe retto all’infinito. Falciato dai cavalieri, infilzato di frecce, martellato dalle ondate di fanteria, l’esercito di Eldain si stava lentamente spostando a ponente, invece che convergere verso gli ingressi della città. Un movimento incomprensibile per qualunque stratega, ma non per Adraman.

Le porte, che si erano richiuse dopo l’ultimo battaglione di fanteria, ricominciarono ad aprirsi. Era passata meno di un’ora dall’inizio della battaglia, ma sembrava un secolo per chi ancora stava aspettando di entrare in azione, nascosto fra gli alberi del grande e fitto bosco. La più estrema propaggine della Gola dei Castagni, dove scorreva maestoso l’Hann stretto fra le rocce scoscese. Il punto montuoso più vicino alla capitale. Il vento era a loro favore. L’aria era tiepida e cristallina.

“In preda al panico, Cambria avrà fretta. Non vedendo le nostre truppe a cavallo, lasceranno uscire le Lance per decidere il prima possibile le sorti della battaglia. La loro cavalleria è lenta, pesante e compatta. L’abbiamo vista centinaia di volte in azione sul Terrapieno. Letali in attacco. Impacciati in difesa. Punteranno tutto sulle Lance, e sui cori.”

I cantori si erano distesi in lunghe file e cantavano riempiendo l’aria di complicati azzardi armonici, bassi violentissimi, solisti che coraggiosamente cavalcavano risonanze colossali. Dalle mura piovevano frecce di luce, sfere di fuoco, fulmini, lampi ed enormi macigni neri. Si formavano vorticando di fronte ai cantori, che come se fossero un solo uomo muovevano le braccia indicando dove e come volevano che la risonanza si manifestasse. Le fiamme si concretizzavano dal nulla ed esplodevano sopra le teste ignare dei soldati. I dardi di luce verde sfrecciavano letali e impattavano contro il terreno smosso dai cavalli terrorizzati. L’Arcana era entrata in azione, colpendo tutto e tutti, indistintamente. Adraman strinse ancora più forte la mano di Mordraud. I suoi uomini stavano morendo a folate. Era come se li avesse condannati a morte lui stesso.

“Le porte si apriranno, lasciando uscire le Lance. Ma con loro, Cambria invierà altri uomini nella mischia. Le porte resteranno aperte per un po’, non sappiamo quanto, ma non per poco. Sta tutta qui la nostra speranza di vittoria… in quei momenti in cui Cambria sarà vulnerabile… e allora noi partiremo. Squadre piccole, leggere, senza bardature. Chi cade è perduto. Non potremo rallentare nemmeno un istante. Lanciati al galoppo, caricheremo le porte in massa… e se riusciremo a entrare…”

Le porte di ottone erano finalmente spalancate, e il primo reggimento di Lance raggiunse il campo di battaglia. Intorno a loro, sciamavano i fanti che andavano a prendere il posto dei caduti. I cantori, che non avevano mai smesso di vomitare armonie ai piedi delle mura, cessarono di colpo di cantare. I colori tornarono alla loro tonalità naturale. Sbuffi di fumo si alzavano su tutto il campo di battaglia. Nei crateri lasciati dalle esplosioni, giacevano ammonticchiati e contorti i cadaveri di entrambi gli schieramenti, abbracciati in modo indistricabile. Le Lance presero a spostarsi verso la fanteria di Eldain, intonando con voci perfette i loro temuti cori assassini. Le porte restarono aperte per far uscire più soldati possibili.

“… e se riusciremo a entrare … ringrazieremo Cambria per l’invito!”

Era arrivato il momento.

«Mordraud…»

«Dimmi, Adraman.»

«Sono contento che sia figlio tuo.»

«Grazie…» gemette Mordraud fra le lacrime. «Amico mio.»

L’orda di cavalieri si riversò fuori dal bosco alzando una tempesta di polvere, foglie e terra nera.

«AVANTI! AVANTI!» urlò Adraman, con la spada di Eldain alta sopra la testa «NON RALLENTATE! NON FERMATEVI!»

Il cielo vomitava nubi di frecce. I primi cavalieri di Cambria li raggiunsero tentando di intercettarli, ma Mordraud scartò dalla traiettoria spezzando in due tronconi il fronte d’assalto. Non tentarono di ingaggiare battaglia. L’unico loro obiettivo era raggiungere le porte, a qualunque costo.

«NON VOLTATEVI! NON RALLENTATE!» urlò Mordraud «ADRAMAN! STRINGI A PONENTE! STRINGI, MALEDIZIONE!»

I suoi uomini lo stavano seguendo, testa bassa e torso avvinghiato alla schiena del cavallo. Quelli che erano in coda vennero fermati dalla cavalleria imperiale, e si ritrovarono da soli a combattere contro centinaia di nemici. Vennero spazzati via in pochi istanti. Una bufera di frecce piantò due soldati a un passo da lui. Dietro, altri dieci caddero quasi simultaneamente, trafitti al torace.

«NON RALLENTATE! AVANTI! AVANTI!»

Adraman si stava allontanando per evitare lo scontro frontale con i cavalieri di Cambria, e anche Mordraud fece lo stesso. Doveva passare in mezzo a un battaglione di fanteria che stava tentando di piazzarsi per sbarrar loro la strada. Le porte avevano iniziato a chiudersi.

«PIÙ VELOCE! PIÙ VELOCE!»

Dietro di lui, la carica si stava sfaldando. Molti erano caduti trafitti dalle frecce, altri erano stati intercettati.

«A TESTA BASSA, RAGAZZI! DRITTO FINO ALLE PORTE!»

I cavalli piombarono in mezzo ai fanti schierati davanti agli ingressi. Le loro lance brillavano alla luce del sole, pronte a mettere fine alla loro corsa. Mordraud sguainò la spada e ringhiò al cielo.

«PER ELDAIN! MORTE A CAMBRIA!» urlò, spazzando rabbiosamente le punte delle lance più vicine. Tirò le redini e il cavallo spiccò un salto. Atterrarono oltre la prima linea, calpestando un nugolo di soldati. Mordraud lo spronò a continuare, e intanto picchiava a casaccio tutte le teste che poteva. Vide Adraman poco lontano da lui convergere verso le porte, che erano ormai vicine. Dalle mura presero a cadere enormi sfere di fuoco e una cascata di dardi lucenti, che sfioravano il terreno e correvano verso di loro ondeggiando a filo dell’erba, simili a serpi velenose. Mordraud chinò la testa e chiuse gli occhi. Il boato quasi gli strappò via le orecchie. Il cavallo nitrì impazzito dal terrore. Mordraud lo costrinse ad andare avanti. La fanteria si disperse, schiacciata dalla mostruosa pioggia di risonanze che colpiva anche loro, senza pietà. Un dardo gli raggiunse la schiena, e Mordraud perse il respiro. Non era la prima volta. Sapeva già quanto male facesse.

«CI SIAMO!» gli urlò Adraman. Erano tornati fianco a fianco. Di tutta la loro armata, non restava che qualche decina di cavalieri dagli occhi sbarrati, increduli di essere sopravvissuti fino a quel punto.

La porta era ancora aperta. Di poco, di pochissimo. Ma era aperta. Cambria aveva continuato a dare ordine di uscire. Si erano ingarbugliati da soli.

«TUTTI DENTRO!» gridò Adraman. Mordraud lo superò nella corsa. Mirò alla fessura fra le enormi ante di ottone, e scivolò dentro la città degli Dei. Adraman lo seguì a ruota.

Ce l’avevano fatta.

«LIBERIAMO L’INGRESSO!» urlò Mordraud, gettandosi giù da cavallo. Fanti, Lance, cavalieri, erano tutti assiepati di fronte alla porta, a bocca aperta. Vedere un ribelle dentro le mura era qualcosa che andava oltre la loro capacità di comprensione. Tutto si era svolto troppo in fretta. Non avevano ordini precisi. Non erano pronti a difendersi casa per casa.

I cavalieri di Adraman entrarono finché poterono, e l’ultimo saltò via dal cavallo lasciando la povera bestia incastrata nelle ante della porta. Venne usata come bietta ragliante. Fuori, la fanteria guidata da Berg fece scudo e protesse le squadre che dovevano correre dentro a ruota dei cavalieri. Mordraud e Adraman radunarono i loro uomini e diedero inizio alla strenua difesa del varco. I nemici erano dappertutto, ma le frecce non cadevano più, e nemmeno i canti si innalzavano verso di loro. Un’esplosione in quel punto avrebbe raso al suolo anche la porta. La spada di Eldain vibrava nelle mani di Adraman, affilata e letale come un rasoio. Mordraud puntava tutto sulla forza bruta. Nessuno riusciva a reggere a lungo la potenza dei suoi attacchi. Gli scudi saltavano via, le spade si spezzavano. Mordraud sentì qualcosa cedergli nella spalla sinistra. Forse era un osso, o i muscoli si erano strappati. Non rallentò neppure un momento.

«Mordraud! Ascoltami!» gridò Adraman, mentre finiva al petto una Lancia.

«Dimmi!»

Gli stava coprendo le spalle, e intanto dava i segni ai fanti che riuscivano a entrare dal varco, lasciato aperto dal cavallo incastrato nelle porte. Stavano cercando la sala degli ingranaggi, mentre Mordraud e i suoi tenevano sgombri gli ingressi.

«Questa spada non deve mai cadere. Hai capito?! Il nemico non deve averla!»

«Sono con te, Adraman. Ora pensa soltanto a tenertela ben stretta in pugno!»

«Puoi contarci! Mi stanno aspettando, a casa!» rispose Adraman sorridendo, mentre ingaggiava duello con un’altra Lancia. Mordraud si voltò prima di dire quello che stava per dire.

Non era quello il momento.

Né prima, né ora.

Né mai.

«Capo! Abbiamo trovato le ruote dentate!» urlò un soldato da una feritoia a ridosso della porta. Era Maglio.

Caro, vecchio Maglio.

«APRITELA ALLORA! COSA STATE ASPETTANDO?!»

Maglio annuì e corse dentro. Le ante d’ottone ripresero ad aprirsi, proprio mentre dalla strada che si perdeva nel cuore di Cambria giunsero agli ingressi altri battaglioni di fanteria. Volarono le prime torce sui tetti delle case. Maglio e gli altri dovevano aver trovato i bracieri, pensò Mordraud euforico. I loro uomini si riversarono dentro in massa. Le porte erano in mano loro.

«SPARPAGLIATEVI! CASA PER CASA! SI COMBATTE A VISTA!» ordinò Adraman. «MORDRAUD! CON ME!»

Corsero via, seguiti dai cavalieri. Le difese di Cambria si rovesciarono contro la fanteria di Eldain, ma loro ebbero la strada libera. Altre squadre si intrufolarono nelle vie minori, si sparsero in tutta la città come un’onda inarrestabile. Chiunque si parasse davanti, veniva falciato. I civili scappavano da tutte le parti urlando come pazzi, rintanandosi nelle case ancora non raggiunte dal fuoco e dai nemici.

«DOBBIAMO RAGGIUNGERE IL PALAZZO!»

Mordraud era al suo fianco nella corsa. I ribelli dilagarono nelle vie di Cambria seminando distruzione e morte.

 

***

 

«Fuori tutti! Prendete le vostre armi all’ingresso, e correte alle porte!» gridò Dunwich ai prigionieri delle segrete. Erano tutte Lance ridotte alla fame, lacere e scarne da far paura. Uno spettacolo che non gli fece rimpiangere per niente di aver spezzato la schiena al loro caro Imperatore.

«Asaeld! Prendi i migliori e difendi la strada maestra dell’Est! Non devono raggiungere i cancelli d’oro, per niente al mondo!»

Asaeld annuì e corse fuori.

«SEGUITE GLI ORDINI DI DUNWICH! COMANDA LUI ORA! SEGUITE GLI ORDINI DI DUNWICH!» urlò la Lancia a tutti gli uomini che incontrava. Peccato non avere il tempo per gustarsi quel momento di gloria, si disse amareggiato. Ora doveva pensare a Cambria, e solo a lei. I ribelli erano entrati e lui doveva trovare il modo di fermarli al più presto. La città era in preda al panico più assoluto.

Fuori dal palazzo, i viali alberati e lastricati di fiori variopinti erano pieni di soldati pronti a partire. Di cantori, però, neanche l’ombra.

“Dove si sono cacciati?! Sono tutti sulle mura? O si sono rintanati nelle loro torri?!”

L’esercito accettò senza fiatare l’improvviso cambiamento al vertice. La ricomparsa di Asaeld fu accolta con gioia incontenibile. I suoi uomini sentivano di avere una speranza anche solo vedendolo in azione. Le Lance a lui fedeli fecero quadrato e partirono alla volta delle mura. Dunwich suddivise il resto degli uomini per ogni via d’accesso al cuore della città, e uscirono tutti dai grandi cancelli d’oro, la meraviglia di Cambria: un’inferriata alta quanto una muraglia che cingeva il centro nevralgico della città. A difenderla, ci pensavano tre torrette in mano all’Arcana, che si affacciavano su altrettante vie maestre.

Dunwich non poteva far altro che piazzarsi di fronte al passaggio. Chiuse il cancello alle sue spalle, e attese. Da lì avrebbe coordinato tutto.

Da quella strada, nessun uomo di Eldain sarebbe mai passato. A costo di barricare di persona il cancello d’oro con una montagna di cadaveri.

 

***

 

«DUNWICH ORA COMANDA LA CITTÀ! ESGUITE SOLO I SUOI ORDINI! DUNWICH ORA COMANDA LA CITTÀ!»

Mordraud sentì quel comando urlato di bocca in bocca dai soldati che tentavano di sbarrar loro la strada. Le viscere gli esplosero dall’odio più feroce.

«Eccoci qui, Dunwich. Ci stiamo per incontrare…» mormorò sorridendo ferocemente.

«Mordraud!» lo chiamò Adraman. «La strada è presidiata! Laggiù!»

Un plotone di Lance stava aspettando in mezzo alla via, in un punto dove non c’erano diramazioni o vicoli per fuggire. Potevano girarsi e tornare indietro, ma ovunque fossero andati, avrebbero incontrato la stessa strenua resistenza. Adraman e Mordraud sogghignarono insieme. Dovevano avanzare, come avevano fatto da quando avevano mosso il primo passo oltre il confine.

Non esisteva la fuga.

Non esisteva la resa.

«Andiamo, ragazzo mio!»

Il drappello di ribelli si schiantò contro il muro di Lance asserragliate. L’impatto fu tremendo. Tutta la carica si infranse sui loro scudi alzati, e sulle armature nere e d’oro.

«PER ELDAIN! PER ELDAIN!» urlò Adraman, mentre correva davanti ai suoi uomini insieme a Mordraud.

«MORTE A CAMBRIA!»

Ma, così facendo, non si erano accorti degli arcieri appostati sui tetti delle case.

La prima scarica di frecce falciò i loro fianchi scoperti. Le Lance spinsero e arginarono la loro corsa, senza dar loro scampo. Mordraud si trovò circondato dai nemici, da solo. Adraman tentava ancora di avanzare, dimenando la spada di Eldain davanti a sé. Le frecce continuavano a falciare i loro uomini nelle retrovie. Era un vicolo cieco. Era una trappola.

«ADRAMAN!»

La sua voce si perse nelle urla caotiche della mischia. Vide l’amico poco lontano da lui, ma troppe Lance gli sbarravano il cammino. Adraman stava avanzando da solo. Erano troppo vicini ai cancelli per mollare. Potevano quasi sentirne l’oro fra le dita.

«ADRAMAN! ASPETTAMI!»

Adraman si voltò per guardarlo. Stava ridendo. I suoi erano gli occhi di un uomo finalmente libero, al culmine supremo della propria vita.

«ATTENTO!»

Davanti all’amico, una Lancia si erse sopra tutte le altre. Era Asaeld. Il terribile comandante delle Lance Imperiali.

Mordraud scalciò via i nemici che cercavano di sommergerlo, e intanto guardava Adraman combattere contro Asaeld. La spada di Eldain fendeva l’aria cozzando contro lo scudo nero. Era il duello dei duelli. Comandante contro comandante. Anche gli altri si erano fermati a guardare. Un silenzio irreale piombò sulla mischia.

«DAI ADRAMAN! DAI!»

Mordraud scoppiò d’euforia quando vide Adraman guadagnare terreno, tempestando la difesa di Asaeld con fendenti micidiali. La Lancia era in balia della sua bravura. Mordraud sentì salirgli in gola un ruggito di gioia.

Che si infranse quando sentì nitidamente lo schiocco di una corda, e il fischio di una freccia. Un arciere, da solo, aveva preso l’iniziativa. Rischiando anche di ammazzare Asaeld, per giunta. L’onore del duello era andato a farsi fottere, tutto soltanto per vincere, a ogni costo, con ogni mezzo.

Il braccio di Adraman si fermò a mezz’aria. La freccia spuntava dalla sua schiena, alla base del collo. Un maledetto tiro sopraffino. Mordraud si gettò in avanti, incurante delle Lance che lo circondavano, crivellandole di colpi con la sua spada mezza spuntata. Asaeld era in piedi, con le braccia alzate in segno di vittoria.

«ADRAMAN! TI PREGO, NO!»

Mordraud raggiunse l’amico. Lo sollevò da terra, lo scosse, ma non c’era nulla da fare. Era già morto. Senza un saluto, senza un ultimo sospiro. Era morto nell’esaltazione della vittoria, convinto di avere ancora qualcuno a casa che lo stesse aspettando.

«Non lasciarmi, ti prego… almeno tu, non lasciarmi da solo…»

Asaeld torreggiava sopra di lui. Mordraud si voltò, e prima che la Lancia potesse rendersene conto, spinse la sua spada in alto, verso il collo scoperto. Una mossa fulminea e letale, assolutamente istintiva. Asaeld sgranò gli occhi dalla sorpresa, mentre tentava di pararsi con lo scudo. La punta raggiunse la sua gola, entrò, trapassò ossa e muscoli e sgusciò dalla nuca. Asaeld si strinse il collo fra le mani, ma il sangue sprizzava da tutte le parti. Cercò di urlare, ma l’aria usciva dallo squarcio, e non dalla sua bocca. Le Lance erano attonite. Gli uomini di Eldain ripresero a spingere, costringendo le Lance a indietreggiare.

«Non lasciarmi da solo…» biascicò Mordraud, riverso sul petto senza vita di Adraman. «Deanna è morta, amico mio… perdonami… ti prego, perdonami…»

Mordraud prese la spada di Eldain, stringendola fra le mani tremanti.

«Te lo prometto, Adraman… la terrò io… la spada di Eldain non cadrà mai» disse con voce rotta dalle lacrime.

«Addio…»

Intorno a lui, le Lance combattevano furiosamente con i suoi compagni. Ma a lui non interessava più. Era rimasta una sola cosa da fare.

«Non volevo…»

Mordraud iniziò a correre, da solo, verso i grandi cancelli d’oro, che spuntavano all’orizzonte in fondo alla strada.

«Dunwich.»

Un uomo lo stava aspettando. Era senza elmo, e i suoi capelli neri ondeggiavano al vento. Non lo vedeva da una vita, ma lo riconobbe subito.

Gli stessi occhi azzurri di sempre. La stessa luce di sua madre.

«Dunwich!»

Mordraud urlò, e la sua voce superò il rantolo disperato della città ferita a morte.

«DUNWICH!»

 

***

 

Alcuni soldati provarono a fermarlo. Mordraud li spazzò via senza rallentare di un passo. Dunwich alzò gli occhi e lo vide avventarsi su di lui. Lo aveva sempre saputo che si sarebbero incontrati lì, di fronte all’ultimo baluardo di Cambria. Non sapeva perché, ma se lo sentiva, sin da quando era iniziata la sua fuga dal Terrapieno. Lo stava aspettando. Suo fratello era finalmente arrivato.

Le loro spade si incrociarono. Dunwich arretrò scansando gli attacchi furiosi di Mordraud. Lo riconobbe soltanto dall’espressione rabbiosa dei suoi occhi verdi. Non era mai cambiata, in tutti quegli anni. Provò a parare qualche colpo, ma la forza di Mordraud era soverchiante. Le sue ossa tremavano, ogni volta sul punto di spezzarsi. Dunwich danzava leggero, arretrando e affondando dentro la sua guardia, sfruttando tutta la sua maestria, ma Mordraud incassava e continuava. Aveva ferite su tutto il corpo, dalla testa ai piedi, ma continuava ad attaccare. La lama di Dunwich lo prese a una coscia, al fianco, su una spalla. L’armatura di cuoio ridotta a brandelli, l’imbottitura fradicia di sangue.

«Perché hai ammazzato i nostri genitori? Perché?!» gridò Dunwich, dando sfogo alla domanda che lo aveva assillato per così tanti anni.

«Te ne sei andato… NON CI HAI MAI DIFESO!» rispose Mordraud digrignando i denti, a un soffio dalla sua faccia. «Hai abbandonato nostra madre… hai abbandonato Gwern!»

«Io non vi ho abbandonato! Tu li hai uccisi! Perché l’hai fatto, maledetto?!»

«PERCHÉ NON CI HAI DIFESO DA NOSTRO PADRE?!»

«Papà?! Cos’ha fatto papà?!»

«Chiedilo a Gwern!» ringhiò Mordraud «chiedilo alla mamma, quante volte li ho protetti da lui! MA TU NON C’ERI! TU ERI A CAMBRIA, INSIEME AL NEMICO!»

Nemico.

Non era mai stata la loro guerra, eppure si trovavano faccia a faccia, uno contro l’altro.

Dunwich parò un altro colpo, ma dovette piegarsi in ginocchio per reggerne l’urto. Provò a cantare, ma non ne aveva il tempo. Sarebbe potuto sgusciare sotto terra, ma quello che stava dicendo Mordraud aveva sbriciolato tutta la sua concentrazione.

«DEVI MORIRE, SCHIFOSO BASTARDO!»

Dunwich arrancò indietro, schiacciato dalla furia di Mordraud. Voleva sapere di più, capire di più. Ma suo fratello era lì per ucciderlo. Non per chiarirsi una volta per tutte.

Era lì per farla finita.

Glielo poteva leggere negli occhi, il desiderio sfrenato di morire. E improvvisamente, Dunwich capì tutto, come se una rivelazione fosse scesa su di lui per guidarlo.

Con la morte nel cuore, Dunwich scivolò di lato a un affondo brutale di Mordraud, poggiò una mano sul suo braccio, e spinse la spada giù, dentro la sua pancia. Spinse fino a sentire la lama strisciargli fra le budella, lungo le ossa, fuori dalla schiena.

«Era questo che volevi, fratello?» mormorò con le lacrime agli occhi. Mordraud guardò la spada infilata nel suo corpo, inghiottendo un lungo sospiro di dolore. Alzò gli occhi, e incontrò quelli di Dunwich.

«Mi dispiace, fratello.»

Gli stessi occhi verdi del bambino che aveva visto nascere. La stessa luce che covava dentro l’iride screziata di Eglade, della loro madre. Che ora si stava spegnendo.

«Non volevo abbandonarvi, mi dispiace…» ripeté Dunwich, nella vana speranza di liberarsi dal senso di colpa.

«Non… volevo… soltanto… morire…»

Le parole di Mordraud si persero nel gorgoglio del sangue.

Lungo la grande strada maestra all’ombra del cancello d’oro, stavano arrivando gli ultimi uomini rimasti dell’esercito di Eldain. C’erano Berg e Maglio. Anche Pietà, e Benno. Mancava Gigante, caduto mentre tentava di varcare le porte. Con loro, tanti altri suoi compagni.

Una. Singola. Nota.

Violentissima.

Mordraud mugolò devastato. Una mostruosa bordata corale fece tintinnare le sbarre del cancello d’oro e alzò da terra un pulviscolo tremolante.

Un lampo oscurò il sole e inondò di fiamme il cielo.

Dalla torre che si levava dal cancello d’oro, l’ultima roccaforte dei grandi cantori di Cambria, precipitò una pioggia di fuoco denso come un magma. L’esplosione fu spaventosa. L’ondata di calore raggiunse il suo volto, lo accarezzò, lo risvegliò dal torpore.

Nel vento, le ultime grida di speranza dei suoi compagni.

Poi, il silenzio.

Una voragine di cadaveri fumanti si estendeva a perdita d’occhio e inghiottiva palazzi sventrati e case annichilite dall’esplosione. Non c’era più nessuno dei suoi. Tutti spazzati via dalla terrificante armonia imbastita dai cantori sulle torri.

Era tutto finito.

La guerra, gli ideali di Eldain. La vita di tutti i suoi uomini.

Adraman. Deanna. Suo figlio.

E ora, lui.

«Non… volevo… soltanto… morire…»

Mordraud afferrò il polso di suo fratello e lo torse con tutta la forza che ancora gli restava. Dunwich perse la spada e cadde in ginocchio.

«Devi morire anche tu, con me

Mordraud sollevò la spada di Eldain, la poggiò al petto di Dunwich, e spinse aggrappandosi a essa. La punta scivolò fra le piastre dell’armatura delle Lance, trovò la carne, penetrò sotto la sua spalla, fra le ossa. Suo fratello spalancò gli occhi e urlò di un dolore insopportabile.

«Ora… è finito tutto… per davvero…»

Dunwich si accasciò fra le sue braccia. Mordraud lo strinse, scivolando in terra insieme a lui. Chiusero gli occhi insieme, accecati da tutte quelle luci, da quel silenzio incolore.

Ora poteva smettere di soffrire.

Deanna lo aspettava fuori, nel cortile di casa. Al suo fianco, un bel ragazzino moro lo stava salutando. Dietro di lei, le mani poggiate ai suoi fianchi, Adraman lo fissava con occhi fieri. Mordraud allungò una mano, come per sfiorare quell’immagine perfetta, ma prima che lui potesse toccare per l’ultima volta il volto di Deanna, il cielo in fiamme precipitò su di loro. Il fuoco divorò tutto quanto.

Anche lui stava bruciando, insieme alla sua famiglia. E la cosa lo riempì di gioia.

Dunwich era a cavallo, seduto dietro Seneo. Stava andando via da casa. Poteva quasi sentirlo fra le dita, il tessuto ruvido del mantello del maestro, l’odore del cuoio della sella.

«Dunwich, piccolo mio!»

Eglade lo stava chiamando con le lacrime agli occhi, mano nella mano con suo padre. Sembravano felici e tristi allo stesso tempo. Dunwich abbassò lo sguardo. Aveva un bambino appena nato fra le braccia.

Un bimbo dagli occhi densi come il mare.

Ti ho ritrovato, fratello mio.

Mordraud, Libro Primo
titlepage.xhtml
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_000.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_001.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_002.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_003.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_004.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_005.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_006.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_007.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_008.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_009.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_010.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_011.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_012.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_013.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_014.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_015.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_016.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_017.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_018.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_019.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_020.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_021.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_022.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_023.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_024.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_025.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_026.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_027.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_028.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_029.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_030.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_031.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_032.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_033.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_034.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_035.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_036.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_037.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_038.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_039.html