XIX
«Il nemico è in fuga!»
Dal fianco della collina era possibile dominare con uno sguardo tutta la pianura circostante. Il fiume scorreva placidamente fra l’erba alta e ingiallita, macchiata di tanto in tanto da chiazze bianche di prima neve. Le notti erano sempre più gelide, e i giorni più grigi e brevi. Adraman osservava il paesaggio coprendosi gli occhi con la mano. I soldati di Cambria stavano arretrando in modo caotico e selvaggio, spinti dalle ondate dei suoi cavalieri che ormai avevano preso il controllo del campo. Mordraud era davanti a tutti e urlava a spada spianata. Adraman aguzzò la vista. Come al solito, stava ridendo con la testa rivolta al cielo.
«Quel ragazzo prima o poi ci resta secco» disse Ghiaccio, che era al suo fianco sul ciglio del ripido dirupo di ghiaia. Adraman non disse nulla. Era stato lui a metterlo alla guida di un piccolo reparto di cavalleria, vincendo la ritrosia di tutti i veterani che si sentivano oltraggiati dalla sua scelta. Dalla battaglia dei Fuochi erano passati due mesi piuttosto travagliati. Cambria aveva continuato a martellare il fronte senza però azzardarsi a invaderlo di nuovo con il grosso delle truppe. Con il sopraggiungere dell’inverno, era arrivato il tempo di insegnare a Mordraud un po’ di responsabilità, aveva pensato. E lui non aveva tradito le sue aspettative.
«Li ha guidati senza mai arretrare dalla prima linea. È pazzesco che sia ancora vivo» continuò Ghiaccio. «Guarda come lo seguono… sarà anche matto, ma con i suoi uomini ci sa fare. Cos’è, la terza uscita in dieci giorni? Sembra il loro capitano da dieci anni.»
«Per gli Dei, ne avessimo di pazzi come lui!» tuonò Berg alle loro spalle. «Si fa rispettare, e rischia la sua pelle prima degli altri… cinque giorni fa l’ho portato con i miei durante un’incursione. L’ho dovuto acciuffare per impedirgli di correre contro il nemico da solo! Adraman, ma tu sai cosa gli ha fatto di male Cambria?! Noi odiamo l’impero, ma lui… beh, lui va oltre l’odio…»
«Non ne ho idea. Io sapevo solo che voleva combattere con noi, tutto qua. Prima faceva il domestico.»
«Accidenti… e da chi ha imparato a usare la spada?!»
«Non da me» disse Adraman alzando le spalle «penso da solo.»
«Ehi, guardate!» esclamò Ghiaccio. Tutti si voltarono verso il punto che lui stava indicando. Mordraud si era staccato dal suo plotone a caccia di due cavalieri nemici. Anche da quella distanza riconobbero all’istante le loro armature. «Lance! Ma è impazzito sul serio?!»
«Devono essere due capitani di plotone. Guarda come se la filano, i codardi…» ridacchiò Berg.
«Non c’è niente da ridere! Quella è gente che sa cantare…»
Come se lo avessero sentito, le due Lance si voltarono scatenando alle loro spalle un’ondata di fuoco e fiamme accecanti. Adraman trattenne il respiro, come se fosse lui al posto di Mordraud. Il fumo e la luce impediva a tutti di vedere cosa stesse succedendo.
«Eccolo lì!»
Mordraud sbucò fuori dalla nube densa e rossastra.
«Ve l’ho detto, è un cane rabbioso… non ha paura di niente! Lasciamogli spezzare le sue Lance, è quello che sa fare meglio…»
Mordraud continuava a galoppare dietro le due Lance in fuga, con il mantello che scudisciava in preda al fuoco. Alla fine li raggiunse, dopo averli inseguiti lungo tutta la spiaggetta del fiume. Trafisse il primo con la spada, e mentre il secondo stava intonando un nuovo canto, Mordraud gli si scagliò contro gettandolo giù da cavallo. Adraman lo vide lottare in terra con il cavaliere, sopraffarlo e strozzarlo in modo brutale. Sulla faccia aveva dipinta la stessa identica espressione di sempre.
Gioia. Piacere. Appagamento.
«Se scopa come ammazza, meglio nascondere le donne…» provò a dire Berg. Adraman lo fulminò con lo sguardo.
«Questo dovrebbe essere l’ultimo scontro prima dell’inverno. Stanotte dicono che nevicherà, e non smetterà per giorni» concluse con voce tirata e stanca il generale. «Date ordini di smobilitare i battaglioni. Lasciamo solo il minimo indispensabile.»
«E Mordraud? Torna a casa con noi o…» chiese Ghiaccio.
«Magari qualche giorno, ma dopo se ne torna qua al fresco» disse Berg «dico bene, Adraman? Mi servono ragazzi come lui. Quest’anno tocca a me il presidio d’inverno.»
«Come vuoi, Berg» rispose Adraman, con una certa punta di sollievo nella voce. «Mi sembra un’ottima idea.»
«Vuoi ben vedere…» sussurrò Ghiaccio.
«Cos’hai detto?!»
«Niente, niente…» rispose il capitano con un mezzo sorriso sulla faccia «penso che sia proprio la cosa giusta da fare.»
***
Gwern era in taverna come ogni mattina, impegnato a pulire i tavoli e le panche. Il cuore dell’inverno era finalmente arrivato, un po’ in ritardo rispetto al solito, e con lui anche i clienti. Solitamente, dopo la notte dei Fuochi il freddo non tardava mai molto, ma quell’anno era giunto inaspettatamente tardi. Tutte le sere la locanda traboccava di soldati, impegnati a spendere fino all’ultimo spicciolo della loro paga in birra, vino e stinco di maiale. “Il bello e il brutto di essere un uomo di Eldain… vivi sempre con l’idea che potrebbe essere l’ultimo inverno della tua vita” pensò sorridendo mentre strisciava con forza su una macchia che non voleva saperne di venire via. Larois era sempre più debole, e ormai lasciava a lui tutti i lavori gravosi, impegnandosi solo in cucina. Gli anni erano arrivati su di lei tutti di colpo. Gwern faceva il possibile per alleggerirle il lavoro, e ormai riusciva a dedicare poco tempo a ciò che gli piaceva fare oltre ogni cosa. Leggere, e studiare insieme a Sernio. Per prepararsi al giorno in cui sarebbe riuscito ad andare da Saiden. Larois era quasi convinta. Non lo dava a vedere, ma lui sapeva che ci stava pensando.
Proprio mentre era impegnato a ripetere a memoria un passaggio dell’ultimo libro che aveva letto, un resoconto della storia antica del mare interno, Gwern sentì la porta aprirsi alle sue spalle. Passi pesanti guantati di ferro.
«Fratello!»
Gwern si voltò pieno di gioia. Era convinto di avere di fronte Mordraud, ma l’uomo che lo stava osservando gli somigliava solo per l’armatura che indossava.
«Sei Gwern?»
Il soldato era incredibilmente alto e imponente, un gigante. Il suo cuore si fermò, nell’attesa dolorosa di una notizia che aveva temuto ogni giorno da quando lui era partito.
«Sono io…» mormorò parandosi la faccia come se temesse di ricevere uno schiaffo.
«Giungo dal fronte per portarti una cosa, da parte di tuo fratello.»
L’uomo frugò in una piccola sacca appesa alla cintura ed estrasse un pacchetto, avvolto in un fazzoletto rosso. Con profondo rispetto lo allungò al ragazzo, accennando un inchino.
«Devi essere orgoglioso. Mordraud è mio amico, e un grande compagno in battaglia. Abbiamo combattuto insieme nella battaglia dei Fuochi e sono vivo solo per merito suo.»
«Come ti chiami?» chiese Gwern.
«Benno. Faccio parte della squadra di tuo fratello. E ne vado fiero.»
Gwern prese il pacco e sciolse il drappo rosso. Dentro trovò un pesante sacchetto di cuoio e una lettera, scritta con una calligrafia energica e spigolosa, inconfondibile. Il soldato restò immobile in attesa di ordini.
«Mi ha chiesto di portarti i suoi saluti. Ha ricevuto l’ordine di presidiare il fronte, e non sa quando riuscirà a tornare.»
Gwern aprì il piccolo sacchetto e ne rovesciò il contenuto.
Una cascata di gemme scintillanti.
Sconvolto, strinse la mano su quel tesoro e aprì la lettera.
Caro Fratello,
Ho raccolto tutti i risparmi che avevo e li ho fatti cambiare in gemme, perché ti fosse facile trasportarli e conservarli. Dovrebbero essere sufficienti per iniziare lo studio con quel famoso cantore di cui mi parli sempre. Benno ti accompagnerà nella tua nuova scuola e farà tutto quello che vuoi. Me lo deve, quel grosso orso senza cervello. Chiedigli chi gli ha rotto il naso. Fattelo raccontare, ti divertirai.
Eldain ha dichiarato, dopo la battaglia dei Fuochi, che per ogni Lancia uccisa avrebbe donato un pugno d’oro. Non l’avesse mai fatto! Se non si affretta a ritirare l’offerta, entro l’anno prossimo io e i miei ragazzi gli svuotiamo i forzieri. Parte di questi soldi me li ha anticipati Adraman, ma non ci metterò molto a ripagarlo.
Diventa forte, perché un giorno, forse, dovrai ricambiarmi il favore.
Non morirò, te l’ho promesso.
Ti voglio bene.
Mordraud
«Ma come ha fatto a…»
«Siamo andati a punzecchiare i campi dell’impero quando meno se lo aspettavano. È stata un’idea di Mordraud, colpire anche durante le nevicate più dure… all’inizio non ci voleva andare nessuno, solo noi della squadra. Ma si sono dovuti ricredere i signori ai piani alti! Dovevi vedere il casino che abbiamo fatto! E quante Lance abbiamo raccolto!» disse Benno ridacchiando.
«Cosa… cosa devo fare?!»
«Vai a prepararti, devo scortarti verso Sud»
«Puoi aspettare qui? Ma come faccio… ci sono così tante cose che dovrei fare…»
«Agli ordini, signore. Fate pure con comodo» Benno si inchinò sorridendo. «Possiamo anche partire domani mattina. Ma non più tardi. Mordraud mi aspetta al fronte.»
«Faccio più in fretta che posso» disse Gwern correndo verso la porta delle cucine.
Un sogno che si avverava. Gwern era troppo confuso per rendersi conto di quello che stava succedendo. Fino a pochi mesi prima sembrava qualcosa di impossibile, diventare allievo di Saiden come tante volte Sernio gli aveva auspicato. Anche dopo che l’avevano presentato a Larois, non credeva possibile che la faccenda potesse andare in porto. Invece, Mordraud ce l’aveva fatta. Gwern era eccitato come non mai, e iniziò a ragionare sul da farsi. Doveva radunare le sue cose, passare a salutare il vecchio libraio, magari portare un saluto anche alle donne del mercato che erano sempre buone con lui. Per un momento si sentì lievemente in colpa per Larois, e non sapeva come dirle che stava per partire. Lei sapeva che sarebbe successo. Non aveva ancora detto di non volerlo, ed era come se avesse silenziosamente dato il suo assenso. Anche se non stava bene, anche se aveva bisogno di aiuto, glielo avrebbe permesso. Per il suo bene. Era ciò che aveva sempre sognato. Mordraud rischiava la vita ogni giorno per permetterglielo.
Gwern raccolse tutto il suo coraggio ed entrò in salotto. Sapeva già che avrebbe sentito la sua mancanza, ma cercò in tutti i modi di resistere alla nostalgia che già spingeva per fargli cambiare idea.
«Larois… devo dirti una cosa…»
«Che c’è figliolo?» chiese lei aprendo gli occhi. Stava sonnecchiando nella sua poltrona. «Cos’è quella faccia brutta? È successo qualcosa in taverna? Oggi proprio non riesco a darti una mano con le pulizie.»
«No… devo dirti una cosa…» disse Gwern con voce un po’ triste.
«Ti ricordi quel signore, Saiden…»
***
«Benvenuti a tutti voi.»
Loralon era seduto sul trono di legno e oro al centro del salone delle cerimonie. Stava cercando di associare nomi e facce di tutti i soldati assiepati di fronte a lui, in piedi e sull’attenti. L’esercito di Cambria era una gigantesca macchina dai complessi ingranaggi, infarcita di reparti, responsabili, gradi dal valore spesso sfumato. Da un lato, i burocrati che gestivano le retrovie, i rifornimenti, le paghe. Dietro, i tenutari degli allevamenti di cavalli, i capi stalliere, gli addestratori, i falconieri, i maestri arcieri. In mezzo si agitava una marea ribollente di capitani di squadriglia, tenenti, caporali, incursori, direttori di coro, generali di ogni tipo e forma.
“Uno per ogni favore che mio nonno ha dovuto corrispondere alle stramaledette famiglie della città…” pensò infastidito dal brusio.
«Gloria eterna all’impero!» rispose la marea di mangiapane a tradimento. «E gloria alla famiglia Loren!»
«Diamo inizio al concilio del primo dell’anno.»
Gli ospiti si sedettero all’unisono nelle larghe poltrone in seta porpora, e subito uno squadrone di servitori si sparse nella sala consegnando e riempiendo calici di vino e bocconcini di cacciagione croccante. Loralon rifiutò tutto fuorché un semplice bicchiere d’acqua. Il nervosismo, come sempre, gli aveva chiuso lo stomaco in una morsa acida.
«Prima di iniziare, vorrei ringraziarvi di essere qui presenti. Avete affrontato viaggi lunghi e travagliati per giungere fin qui, nella capitale del nostro amato impero. E non posso che lodare le Lance Imperiali per essere qui, insieme a tutti noi.»
Asaeld alzò una mano e gli uomini in nero e oro batterono i tacchi. Le Lance sembravano un corpo unico, compatto, in mezzo a un mercato caotico. Non bevevano, non fumavano né chiacchieravano sotto voce come tutti gli altri.
“Gli unici che sanno mantenere un minimo di decoro” pensò amaramente Loralon.
«È stato un anno difficile, ricco di spunti ma povero di risultati. Siamo qui riuniti per valutare nuove proposte, cercare soluzioni inaspettate per stroncare una volta per tutte la resistenza dell’alleanza di Eldain. Vorrei sentire ogni rappresentante, partendo dai gradi minori. Chi vuole iniziare?»
Dunwich sedeva a fianco di Asaeld. Indossava la prestigiosa armatura cerimoniale delle Lance, nera, lucida e intarsiata d’oro come un gioiello, che gli pesava fastidiosamente sulle spalle e lo faceva sentire un idiota impacciato. Non aveva il benché minimo interesse per i complicati discorsi che stavano portando avanti, uno a uno, i sedicenti esperti dell’esercito. Aveva tentato in tutti i modi di parlare con Asaeld in privato prima del concilio, ma il generale non aveva avuto un attimo di tempo da dedicargli. Eppure, ciò che doveva dirgli era molto più importante di tutte quelle chiacchiere senza sbocchi. Traditori nascosti nell’esercito. Una scoperta esplosiva, dalle conseguenze inimmaginabili.
E poi, Mordraud. Finalmente aveva trovato qualcuno di affidabile da mandare a Eld, dopo le ultime esperienze disastrose. Una vecchia Lancia ormai fuori dall’esercito e con il vizietto del gioco. Dadi, combattimenti fra galli, pugilato. Un maniaco delle scommesse. Da quello che sapeva, aveva perso tutti i soldi del vitalizio imperiale, ed era alla disperata ricerca di oro per pagare i debiti. A Dunwich il denaro non mancava, e la Lancia si era dimostrata subito interessata alla sua semplice proposta. Con la sua preparazione, entrare nelle terre di Eldain sarebbe stato semplice. Il bisogno di soldi lo rendeva ricattabile e docile. L’aspetto anziano lo avrebbe aiutato a passare inosservato. Dunwich gli aveva consegnato una descrizione minuziosa dei suoi fratelli e lo aveva sguinzagliato. Ora doveva solo aspettare una sua notizia.
“Devo sapere dov’è Mordraud, su che fronte, con quale ruolo… non posso rischiare di incontrarlo sul campo di battaglia. Devo prima capire cosa è successo a casa” pensò guardandosi intorno “e magari l’unico modo è parlarne con Gwern… ma di lui non so niente.”
«Hai sentito? Iniziamo bene…»
«Cosa?» chiese Dunwich ritornando con la mente al concilio. Asaeld era chino verso di lui e sorrideva nascondendosi la bocca con il palmo della mano.
«Vogliono costruire una strada verso l’ansa dell’Hann per muovere le macchine d’assedio inventate dalla corporazione degli artigiani. Mostri di legno che a loro dire possono anche sputare fiamme, pieni di rostri, mossi da corde… monumenti allo spreco di denaro.»
«Mh, già.»
«Non sei interessato, Dunwich?»
«Per niente. Ho cose più importanti a cui pensare.»
«Ah sì?» chiese Asaeld con un sorriso ancora più sottile. «Vorresti rendere partecipe anche me?»
«Ci ho provato, ma tu non hai avuto tempo da dedicarmi.»
«Cosa fai, la donna offesa?!»
Dunwich sillabò senza voce un insulto e si avvicinò di più ad Asaeld. «Ho le prove che esistono traditori all’interno delle forze imperiali. Forse gli stessi che hanno fatto saltare i piani durante la battaglia dei Fuochi.»
Asaeld divenne improvvisamente serio. Gli afferrò la piastra d’acciaio sulla coscia e strinse.
«E chi sarebbero? Che prove hai? Come li hai trovati?»
«Non so bene chi siano, o almeno, chi ci sia ai vertici» iniziò Dunwich staccandosi di dosso infastidito la mano di Asaeld. «Hanno tentato di uccidermi, due volte.»
Raccontò nei dettagli tutto quello che era successo negli ultimi giorni, senza più ascoltare neppure una parola di quello che veniva detto in sala. Escluse solo Erain e la sua famiglia, convinto ormai che non avessero un ruolo in quella storia. Asaeld annuiva lentamente e borbottava qualcosa fra sé, ogni tanto si guardava intorno e poi ritornava a concentrarsi su Dunwich. Quando il resoconto fu completato, il generale si sedette in modo composto abbozzando un sorriso. Sembrava che le parole di Dunwich lo avessero tranquillizzato.
«Siamo di fronte a una minaccia terribile. Hai fatto un ottimo lavoro, Dunwich. Come sempre.»
«Ma non ho fatto ancora niente…»
«Come no?! Sei sopravvissuto, hai trovato i colpevoli, e li hai fatti fuori. Ora, grazie alle tue scoperte, farò saltare fuori i nomi degli altri congiurati, vedrai. Basterà torchiare le persone giuste…»
«Ma non sappiamo chi sia il mandante di tutto, e se fosse qualcuno… molto in alto?» provò a dire Dunwich bisbigliando. Asaeld non sembrava della stessa idea. Con una semplice pacca sulla spalla chiuse l’argomento e tornò a dedicarsi al consiglio.
«Tutto qui?!»
«Certo, Dunwich. Tutto qui, per ora. Sei stato bravo, ti ringrazio, e ti farò sapere come procedono le indagini. Ti terrò informato su tutto.»
«Ma io…»
«Non ora, ragazzo mio. Fra poco dobbiamo parlare.»
Dunwich sbuffò e ritornò a seguire le inutili diatribe fra i capitani della fanteria, che si stavano rimbeccando errori riguardo la battaglia della notte dei Fuochi. Anche l’Imperatore sembrava poco interessato al concilio. Nessuno voleva prendersi la colpa di niente. I responsabili dei rifornimenti accusavano i raccolti, i magazzinieri inveivano contro il maltempo, i cavalieri punzecchiavano la scarsa qualità dei cavalli, i tenenti chiedevano armi migliori e in quantità maggiore. Dunwich imprecò profusamente a bassa voce, cercando di sgranchirsi le gambe appesantite dalla disgraziata armatura da parata, senza minimamente riuscirci.
«Ora basta!» tuonò Loralon. «Non c’è nessuno che abbia una stramaledettissima idea nuova?! Voi, strateghi… avete un piano interessante? C’è ancora qualcuno competente nel mio esercito?!»
«I cantori» esclamò improvvisamente Dunwich ad alta voce. Si era stancato di perdere tempo, e non ne poteva più di stare seduto.
«E cioè?!» chiese l’Imperatore azzittendo con astio un gruppetto di consiglieri che si stavano accapigliando nelle prime file. «Cosa intendi, Lancia?»
Dunwich aveva parlato senza riflettere, esasperato dal nervosismo e dalla scena penosa a cui era stato costretto a prendere parte. Non si aspettava di dover motivare la sua affermazione. Pensò un istante, prese coraggio e si alzò in piedi sotto gli occhi increduli di Asaeld.
«I ribelli non hanno che un paio di esperti di risonanze, mentre noi abbiamo L’Arcana. L’impero dispone di grandi cantori, di esperti davvero preparati. Mi chiedo perché non si sia mai lavorato su questo dettaglio.»
«Smettila, Dunwich» sibilò Asaeld stizzito «stai sprecando il fiato.»
«E perché?! È una buona idea.»
«Forse, ma…» tentò di ribattere Asaeld, ma la voce di Loralon coprì quello stava per dire.
«Continua Lancia, anzi… tu dovresti essere Dunwich, o sbaglio?»
«No signore, non sbagliate.»
«Bene, Dunwich. Cos’hai da dirci?»
«Allora…» Dunwich fece due passi toccandosi il mento con fare meditabondo. Ovviamente sapeva già cosa dire, ma voleva dare l’idea che fosse qualcosa di sofferto per attrarre l’attenzione di tutti. «Probabilmente è una banalità, una possibilità che voi avete già vagliato, ma io vorrei riproporla lo stesso…»
«Va bene, va’ avanti» disse Loralon sporgendosi dallo scranno.
«Con le armonie si possono fare grandi cose, come voi ben sapete. Scuotere la terra, incendiare il cielo, rendere impossibile la vita… avvelenare l’acqua, ammorbare le bestie…»
Dunwich camminò a grandi e lente falcate in lungo e in largo nella sala. «Dovremmo studiare qualcosa che fiacchi la resistenza dei ribelli, per poi colpirli in modo più mirato, senza inutili perdite di tempo lungo tutto il fronte.»
«Hai già in mente qualcosa?!» Loralon non aveva occhi che per lui. La sala intera aspettava la sua idea. La faccenda stava prendendo una piega interessante, pensò sorridendo.
«Un attacco portato da tutti i nostri cantori, e le Lance a fare da supporto. La potenza della musica di Cambria, concentrata in un solo punto e tutta in una volta. Si potrebbe studiare un’armonia da far cantare al nostro migliore coro, volto a sconvolgere il clima in una sola notte, magari una terrificante tempesta con bordate d’acqua dal cielo, fulmini, un vento così forte da spazzare via anche i cavalli. Il Terrapieno sarebbe un bersaglio perfetto. Dopo il coro, lasciare alle Lance il compito di sfondare le ultime resistenze di Eldain. I ribelli non hanno strumenti per difendersi dai nostri cantori.»
«Quindi andrebbe studiato un canto nuovo…» disse Loralon rimuginando attentamente. «Qualcosa che colpisca da molto lontano, e solo in un punto preciso…»
«Non si può fare!» esclamò uno dei rappresentanti dell’Arcana, facendosi largo fra la folla. «Sarebbero necessari centinaia di cantori, tutti perfettamente all’unisono, e anche il più piccolo errore potrebbe essere disastroso!»
«Non è necessariamente vero» rispose Dunwich senza scomporsi. «Sarebbe sufficiente raddoppiare, triplicare le voci per ogni linea armonica. Non è infattibile. Sono convinto che l’Arcana, e tutti i suoi grandi maestri, possono trovare una melodia elegante e ben strutturata che possa fungere allo scopo. Non è necessario che la ricerca di questa risonanza sia rapida. Più i tempi di preparazione sono lunghi, più è facile.»
Dunwich vide con la coda dell’occhio Asaeld mormorare qualcosa, ma non riuscì a cogliere cosa stesse dicendo. Il maestro dell’Arcana che si era alzato per contrastare la sua idea scosse per un istante la testa, si guardò intorno, e quando ricominciò a parlare sembrava assai più accondiscendente. Fu un cambio repentino che spiazzò Dunwich.
«Certo che, vista sotto questo punto di vista, l’idea non è malvagia… potrebbero volerci giorni di preparazione, e solo con i migliori dei nostri ma… ci potremmo lavorare sopra.»
«Davvero?!» chiese con voce eccitata Loralon. «Si potrebbe scagliare sul Terrapieno una tempesta divina? Qualcosa che spazzi via ogni loro resistenza?»
«Non solo!» continuò il cantore infervorandosi. «Perché fermarci a un unico evento? Con la forza di cui disponiamo siamo in grado di fare ben altro!»
Dunwich guardò prima il maestro, poi l’Imperatore. Stavano perdendo il filo della sua proposta. «Non dobbiamo però esagerare, altrimenti i ribelli potrebbero escogitare qualcosa per…»
«Ho una grande visione!» gridò il maestro con voce altisonante. Dunwich lo riconobbe solo in quel momento. Raelin, il grande rettore dell’Arcana. Teoricamente, lo studioso di armonie più affermato e autorevole dell’impero. «Vedo un inverno buio e senza fine, vedo i fiumi ghiacciati e la terra spaccata e senza vita anche in piena estate. Se creassimo un’armonia talmente complessa da mutare il clima, allora potremmo stringere Eldain e i suoi in una morsa di gelo mortale! Possiamo vincere la guerra senza rischiare i nostri uomini sul campo!»
«Non ci siamo!» gridò Dunwich costernato. La situazione si era ribaltata in modo assurdo. Quello non era il suo piano, sebbene ne condividesse qualche punto. «Io parlavo di qualcosa di mirato, rapido ed efficace! E poi di attaccare con tutte le nostre forze per raggiungere Eld! Un lungo inverno… non ha senso!»
Loralon passò con lo sguardo da Raelin a Dunwich, ma le parole del maestro dell’Arcana sembravano più interessanti.
«Sarebbe davvero possibile una cosa simile?!»
«Certo, se ci concentriamo a ricercare la giusta risonanza! Le nostre voci devono interagire con le nuvole e con il vento, i bassi devono sostenere il cielo e i solisti scatenare le tempeste! Stupendo, non credete? Che immagine sontuosa della nostra potenza! Un lungo inverno… il Lungo Inverno! Ecco come si chiamerà il canto che ci consentirà di vincere! Noi dell’Arcana possiamo svilupparlo, mio Imperatore. Sono certo che ne sarete soddisfatto!»
«E cosa servirebbe per compiere un simile miracolo?!» chiese ansiosamente Loralon.
«Prima di tutto, dobbiamo inviare qualcuno dei nostri all’interno del territorio di Eldain per valutarne i confini… dobbiamo conoscere alla perfezione ogni sasso, ogni corso d’acqua della zona che vogliamo coinvolgere all’interno della mutazione climatica…»
Dunwich crollò sulla sua poltrona sconvolto dalla piega degli eventi. Asaeld smise di mormorare e si voltò verso di lui annuendo con grande soddisfazione.
«Geniale, come tuo solito! Un inverno eterno… come ti è venuto in mente?»
«Ma io… non è quello…» Dunwich vide che Asaeld già non lo stava più ascoltando, e lasciò perdere. «Bah, fottetevi… un branco di matti, ecco cosa siete…»
«Hai detto qualcosa?» gli chiese Asaeld sorridendo maliziosamente.
«Lunga vita all’impero» mormorò Dunwich.
***
«Sei proprio sicuro che l’ha detto Berg?!»
«Ma sì, l’altra sera…»
«Dai Mordraud… c’eravamo anche noi durante la cena… ha detto dovremmo punzecchiarli un po’ e farli arretrare dal fiume. Non ha detto voi fateli arretrare dal fiume!»
«È la stessa cosa.»
«Ma no! Non è la stessa cosa!»
Mordraud stava affilando e lucidando la spada seduto sul Terrapieno, circondato dagli uomini della sua squadra. Trenta ragazzi poco più che alle prime armi, tutti sopravvissuti alla prova sul campo della battaglia dei Fuochi. Praticamente, tutti i nuovi che si erano trovati vicino a lui all’inizio della mischia. Adraman lo aveva premiato con quella responsabilità, e lui non voleva a nessun costo tradire la sua fiducia.
Durante una perlustrazione, qualche giorno prima, aveva trovato i segni inconfondibili del passaggio di truppe a poche ore a Sud dal Terrapieno. Un battaglione dell’impero si era accampato nei pressi di un torrente che confluiva nell’Hann, e fin lì era tutto piuttosto normale. Con il freddo, era arrivata anche la tregua. Sarebbe durata fino al disgelo, e mancava ancora un mese alla primavera. Ma Mordraud non si sentiva tranquillo. Quelle tracce erano troppo vicine al Terrapieno, e soprattutto si spingevano troppo all’interno dei boschi. Cosa stavano cercando? Mordraud ne aveva parlato con Berg, e lui non aveva ordinato un attacco, ma neppure aveva detto di restare fermi e calmi ai propri posti. Per lui bastava e avanzava.
«Fra qualche giorno si parte per tornare a casa… ci danno un paio di settimane di cambio, proprio adesso dobbiamo metterci a rischiare…» sbottò uno dei ragazzi, Rosso. Era chiamato così per via delle guance butterate e guastate. Mordraud gli mollò un ceffone alla nuca che lo sbilanciò per terra.
«Se hai così fretta di tornartene a casa, allora vatti a nascondere da qualche parte. Magari nelle latrine. Credo che potresti trovarti a tuo agio.»
«Ma Mordraud… io dico solo di seguire gli ordini…»
«Perfetto. Il mio ordine è: usciamo in perlustrazione. Avanti, andate a prendere la vostra roba.»
I boschi intorno al Terrapieno erano carichi di neve e avvolti nel silenzio. I passi pesanti dei soldati suonavano attutiti e soffusi, come se stessero camminando su una coltre di lana spessa. Mordraud guidò il gruppo per un paio d’ore verso l’entroterra e percorse il perimetro del Terrapieno alla ricerca di tracce fresche. I suoi uomini parlottavano a bassa voce mentre lui setacciava, passo dopo passo, la neve compatta. Il freddo era intenso e congelava il fiato. Rosso sbuffava battendosi le mani sui fianchi per scaldarsi, arrancando dietro tutti.
«Ehi capo, cosa farai quando ritorniamo a Eld?» gli chiese Maglio, il bestione che aveva lavorato come fabbro per suo padre prima di entrare nell’esercito. «Noi abbiamo un mezzo piano… e magari a te interessa.»
«Di cosa si tratta, Maglio?»
«Mettiamo assieme i nostri soldi e compriamo un casolare a Est del feudo. Poi ci andiamo ad abitare tutti insieme quando finiamo il servizio. Un po’ di terra, due filari di vigna, patate e cipolle… insomma, ci teniamo fuori dai casini.»
«Non sembra male… ma sembra un po’ noioso.»
«Noioso?! Perché non hai sentito il resto del piano…» sghignazzò il soldato «la seconda parte è… apriamo un bordello! Abbiamo già il nome. La dolce campagnola. Ovviamente, noi ci facciamo pagare… in natura… tanto abbiamo già la vigna, le patate, e le cipolle… che ne dici?»
«Sarà un successone.»
«Non abbiamo dubbi. Ti stiamo offrendo un grande privilegio, capo» continuò Maglio. Tutti annuivano estremamente convinti, a parte Pietà. Lui stava soltanto ghignando appena.
«A voi interessano i miei soldi, o sbaglio?»
«Ecco, no, figuriamoci…»
«Mh… certo… proprio no» borbottò Mordraud.
«Beh, che colpa abbiamo noi?! Tu ti prendi tutte le Lance! Quante ne hai ammazzate finora?»
Mordraud si fermò e iniziò a contarle sulle dita.
«Quattordici… no, quindici. Di una non sono sicuro.»
«Ma le annusi per trovarle?! A ogni incursione con Berg riesci sempre a prenderti per te il loro capitano…» esclamò Rosso facendo finta di sniffargli una spalla.
«Sono tutti pesci piccoli, niente di che.»
«Ma sono pur sempre Lance! Sai come ti chiamano tutti?! Lo spezzalance…»
«Eh, non suona malaccio…»
«Dai capo, dì la verità…» disse un altro vicino a Maglio, un piccoletto basso e tignoso. Tutti avevano un soprannome al campo, il suo era Gigante. «Stai facendo cassa per fare un regalo a una donna… una bella signora tutta fuoco!»
Mordraud mantenne il sorriso ma il discorso già non gli piaceva più. «Non ho tempo per andare a donne, Gigante. E poi a me piacciono quelle che non vogliono regali.»
«E allora che cosa fai quando torni a casa con tutti quei soldi?! Te li bevi tutti? Ti posso anche dare una mano se vuoi…»
«Io non torno con voi a Eld. Resto qua.»
Tutti lo guardarono sgranando gli occhi. Mordraud tornò a occuparsi della ricerca di tracce senza dire altro.
«Ma che cosa ci trovi a stare qua, io dico… sei l’unico che non è felice di tornarsene a casa…»
«Preferisco il Terrapieno. Ora dateci un taglio, stiamo lavorando.»
«Bah, sei proprio un tipo strano…» esclamò Maglio.
«SHH! Ascoltate!» sibilò Rosso alle loro spalle. «Avete sentito?»
Mordraud tese l’orecchio e abbozzò un sorriso compiaciuto. Non molto lontano da lì qualcuno stava scavando con vanga e piccone.
«Ma chi è che si mette a lavorare la terra proprio qua…» mormorò Maglio «e poi in questa stagione!»
«Idiota, non sono contadini…» lo zittì Mordraud. «Aspettate qui. Gigante, vieni con me. Anche tu Pietà, e prendi l’arco.»
«Sì… mi piace.»
Mordraud sbirciò rabbrividendo il sorriso crudele di Pietà. Quel tizio, quando voleva, sapeva come far gelare il sangue. Per fortuna era dalla sua parte, pensò sollevato. Mordraud avanzò a passi felpati fra gli alberi, e quando il rumore divenne più definito diede ordine di sdraiarsi e strisciare fra la neve. Nascosti dalla vegetazione e da un cumulo di terra smossa, quattro uomini in armatura stavano scavando delle buche, mentre altri sei tenevano d’occhio il bosco.
«Ma quelle armature…» sussurrò Gigante «non sono i colori della cavalleria di Punta Irinne?»
Mordraud osservò attentamente e annuì in silenzio. Punta Irinne era un’alleata di Eld nella guerra contro Cambria, un piccolo feudo a Nord della costa che dava sul grande mare dell’Est. Mandava poche truppe, e di solito era gente che parlava poco, e stava molto appartata. Erano mesi che non si vedevano uomini di Irinne al Terrapieno.
«Una copertura perfetta per infiltrarsi. Quelli sono sicari dell’impero.»
«Ne sei sicuro, Mordraud?»
«Più che certo. Smilzo, riesci a prenderne un paio da… diciamo… laggiù?»
Mordraud indicò un gruppo di alberi piuttosto fitti all’opposto della loro posizione. Il tagliagole annuì con fare estremamente grave, e strisciò via.
«Andate a chiamare gli altri. E fate piano, mi raccomando!»
Mordraud attese con impazienza che i suoi fossero schierati. Come sempre, l’odore dello scontro lo eccitava. La neve, l’aria e il bosco sembravano brillare come in un sogno a occhi aperti. La paura era una sensazione del tutto secondaria.
«Pronti…»
Una freccia sibilò fra gli alberi piantandosi perfettamente nel collo del primo soldato.
«VIA!»
Mordraud scattò alzando sbuffi di neve e fiato congelato. Il silenzio era totale, rotto solo dal suo respiro gonfiato dal freddo. Una delle guardie impugnò l’arco e tese la corda verso di lui. La freccia di Pietà stroncò ogni sua velleità. Mordraud piombò addosso al nemico roteando la spada per liberarla dalla brina.
Il primo guerriero tentò di difendersi ma non ne ebbe il tempo. Con la punta della lama Mordraud scavò sul suo volto un solco profondo all’altezza degli occhi. Aveva fatto male i conti delle distanze. Trascinato dalla sua stessa foga, travolse il soldato e cadde in una delle buche aperte nel terreno, schiacciando sotto il suo peso l’uomo che era al lavoro. Una delle pale quasi gli si conficcò nella coscia, squarciando la corazza di cuoio imbottito. Il fango rendeva tutto più difficile. Mordraud tentò di manovrare la spada ma lo spazio non era sufficiente, così sbatté l’elsa in faccia all’uomo tramortito sotto di lui e usò il suo corpo per arrampicarsi fuori dalla buca.
Mentre cercava faticosamente di issarsi, arrancando con le dita intirizzite nella neve sporca e viscida, Mordraud vide un soldato in armatura di Irinne sguainare la spada a pochi passi da lui. Stava per mollare la presa, ma esitò quando vide che non era lui l’obiettivo del guerriero nemico. Stava puntando uno dei suoi. Era uno dei pochi rimasti in vita, un uomo di mezza età magro e curvo sotto il peso di una corazza palesemente troppo grande per le sue spalle strette.
«NO! NON FARLO!» gridò l’ometto striminzito. «TI PREGO!»
Era come supplicare il vento. Il soldato che fino a poco prima era stato un suo compagno, non esitò. Gli piantò la spada nel torace, fino all’elsa.
«CATTURATE QUELL’UOMO! NON UCCIDETELO!» gridò Mordraud ai suoi. Rosso e Gigante si erano liberati in fretta dei loro avversari e saltarono la buca per bloccare il guerriero traditore, ma lo mancarono di un soffio. Mordraud lo vide correre via inoltrandosi nella foresta.
«Maledizione, cosa aspettate?! Inseguitelo!» imprecò sollevandosi dalla fossa. Lui e Pietà scattarono sulle sue tracce arrancando fra i cumuli di neve e le radici sporgenti.
Quel bosco l’avevano percorso in lungo e in largo mille volte, durante i mesi di addestramento al campo. Adraman provava un piacere quasi perverso nell’ordinare la raccolta di legna a qualsiasi ora del giorno e della notte, obbligando le reclute a levatacce e fatiche snervanti. Mordraud lo ringraziò dentro di sé. Sapeva dove stavano andando, e anche Pietà. Senza dirsi una parola si separarono per spingere la preda in trappola. Gli alberi scorrevano indistinti, gelati e piegati dal freddo allo stesso modo. La terra sembrava granito, e i rami sferzavano contro le sue braccia rigidi come ossa annerite. Aveva il fiatone, e la gamba ferita dalla vanga stava diventando via via insensibile sotto il peso dei suoi passi. Ma l’inconfondibile scroscio del ruscello gli donò nuove energie.
L’esploratore imperiale era andato dritto verso l’unico fiumiciattolo della foresta, scavato fra la roccia viscida. In quel punto, la sponda era alta e scoscesa fra la pietra tagliata di netto. Il ghiaccio chiudeva quasi del tutto il canale, ma un rigagnolo persisteva, anche se il freddo era intenso. Quando raggiunsero le sue sponde, il fuggitivo si stava guardando intorno in preda alla disperazione. Per primo vide Pietà, e tentò di sfuggirgli.
Finendo fra le braccia di Mordraud.
«Preso, idiota!»
Un paio di schiaffi ben assestati placarono i suoi bollenti spiriti. Mordraud gli legò le mani strette alla schiena con un laccio di cuoio, gli sfilò tutte le armi e non mancò di rincarare la dose di ceffoni, tanto per fargli capire con chi aveva a che fare. Gli altri ribelli arrivarono alla spicciolata, ridendo in modo becero e complimentandosi con il loro capo.
«Ehi ragazzi, ve l’avevo detto…» gridò Gigante «Mordraud sente la puzza di Cambria meglio dei cani!»
«Tutta fortuna, non è vero capo?!»
«Ma che fortuna… faccio solo il mio lavoro. Non come voi.»
Mordraud trascinò per un braccio il soldato recalcitrante, e per ammorbidirlo gli sganciò un altro paio di pugni nello stomaco. Ma fece male.
Sotto i piedi aveva soltanto le pietre viscide e ghiacciate della sponda a strapiombo del torrente.
Mordraud perse un istante l’equilibrio, e il soldato ne approfittò. Invece di gettarsi in avanti tentando una fuga disperata, si lasciò cadere indietro a peso morto.
«NO!»
La sua schiena sbatté con violenza sul ghiaccio azzurro del torrente, e una ragnatela di crepe schizzò tutt’intorno a lui. Mordraud stava per buttarsi di sotto, ma Pietà lo prese all’ultimo momento strattonandolo al braccio.
«Capo, è una pazzia!»
«Lasciami andare! Dobbiamo farlo parlare… dobbiamo…»
Mordraud incrociò gli occhi del prigioniero nell’istante in cui la lastra di ghiaccio cedette sotto il suo peso. Tutti i soldati lo videro trascinato lontano dalla corrente, mentre tentava di liberarsi le mani legate. L’acqua lo trascinò sotto il ghiaccio della riva. Lo videro boccheggiare come un pesce grottesco. Il gelo fece il resto.
«MALEDIZIONE!» urlò Mordraud tirando un pugno sulla pietra congelata.
«Capo, era solo un soldato di Cambria…»
«Ma non avete visto?! Ha ucciso uno dei suoi prima di scappare! Non volevano che noi scoprissimo qualcosa… e adesso non sappiamo cosa avevano intenzione di fare!»
«Capo, alle fosse abbiamo trovato queste…»
Maglio poggiò a terra alcuni pezzi di una classica armatura da cavaliere imperiale, con lo stemma della corona affilata sul petto. «Si erano cambiati e avevano nascosto le loro vecchie armature… volevano entrare dal Terrapieno e… fare chissà cosa.»
«Torniamo indietro» concluse Mordraud «dobbiamo fare rapporto a Berg. Adesso si infurierà, maledizione…»
«Perché siamo usciti senza permesso?» disse Rosso.
«No, cretino… perché non abbiamo scoperto cosa volessero fare… e non possiamo farci più niente!»