XV
«Proprio nella notte dei Fuochi?! Ne sei sicuro?»
«Così si dice in giro…»
«Non è di malaugurio rompere la tradizione?»
«Sembra che all’Imperatore non interessi.»
Dunwich aveva sentito quella voce vagare fra le truppe da diversi giorni, ma non l’aveva tenuta minimamente in considerazione. La notte dei Fuochi era una festività strana. Per quel che ne sapeva, nessun comandante aveva mai osato muovere battaglia proprio in quella notte.
A metà esatta dell’autunno, l’orizzonte si tingeva di rosso al tramonto, il sole calava, ma il bagliore non svaniva. Restava vivido per tutta la notte. Le stelle, l’aria e la terra, tutto diventava rosso, come se il mondo intero fosse in preda alle fiamme. Nel cielo appariva un lembo di luce cremisi da cui piovevano lacrime di sangue. In città si notava meno, ma nei campi era una visione così terrificante che i contadini dell’Est accendevano enormi pire con la legna più buona che avevano, come sacrificio simbolico e propiziatorio.
«Non sarà un attacco come tutti gli altri. Loralon ha chiesto all’intero battaglione delle Lance di guidare l’assalto al Terrapieno.»
Asaeld finì di caricare la pipa e l’accese. L’aria si gonfiò di fumo bianco e soffice. La locanda degli ufficiali era deserta, il momento migliore per fare due chiacchiere senza troppe orecchie intorno. E quello che Dunwich aveva da dire era assai sconveniente.
«Loralon è un malato di mente! Un assalto al Terrapieno nella notte dei Fuochi?!»
«Già.»
«Non sembri preoccupato, Asaeld!»
«Mancano ancora diversi mesi, è presto per agitarsi. Magari cambierà idea, oppure il fronte si sposterà e così potremo evitare il Terrapieno.»
«Mi piace come tu riesca a vedere sempre il meglio delle cose…»
Dunwich scosse la testa e finì in un sorso il suo bicchiere di vino. La bottiglia era finita, e a un suo cenno il servo ne portò subito un’altra uguale.
«Dovresti provare anche tu. Le giornate passano meglio» concluse sardonico Asaeld.
«Il Terrapieno…» mormorò preoccupato Dunwich.
«C’è di peggio.» Asaeld prese una profonda boccata e soffiò verso il soffitto. «Pensa se avessimo dovuto attaccare la postazione sulla lama dell’Hann.»
«Ma scherzi?! La lama dell’Hann è niente! Il Terrapieno è tremendo, manovrare la cavalleria laggiù sarà un incubo!»
«Ed è per questo che noi Lance saremo lì. Quindi fattene una ragione» concluse seccamente Asaeld inghiottendo una sbuffata di fumo denso.
Il Terrapieno era uno dei più vecchi baluardi della resistenza di Eldain. Un muro di terra alto più di tre uomini che correva lungo i boschi, attraversava la valle stretta fra due catene montuose, e proteggeva il ventre debole dei feudi alleati, il famigerato Passaggio a Est. Era stato innalzato prima della guerra, molti secoli prima. Non se ne conosceva il motivo, o la storia più antica. Eldain, e suo padre prima di lui, l’avevano sfruttato con grande attenzione per difendersi da Cambria. Per decenni, l’impero aveva tentato di conquistarlo. Senza successo, neppure una volta.
Sul Terrapieno, erano sufficienti pochi soldati armati di lancia per tenere a freno un’orda di cavalieri, mentre i fanti arrancavano per scalarla e venivano massacrati dalle spade di chi aspettava in cima. Una difesa che poteva sembrare debole e facilmente aggirabile solo a chi non avesse mai tentato di conquistarlo. Eldain era un fine stratega, e con tutta la sua maestria aveva pianificato e addestrato i suoi uomini affinché sfruttassero al meglio quell’immenso cumulo di terra. Entrambi i lati si chiudevano dentro fitte macchie di bosco intricato che salivano rapidamente e si accavallavano sui monti circostanti. Il terreno era crivellato di tane e trappole. Gli arcieri vivevano appollaiati fra i rami. Le colline impedivano a battaglioni numerosi di riuscire ad aggirare la barriera. Eldain aveva l’uomo giusto in ogni punto necessario.
L’impero aveva provato a passare più a Nord, ma aveva dovuto desistere di fronte alle rocche alleate che sbarravano ogni altra via. Anche se fossero riusciti a passare le prime fortificazioni avrebbero dovuto affrontare una discesa verso il Terrapieno per sgombrarlo, trovandosi in quel modo stretti fra due fuochi. Eld e, appunto, il Terrapieno. Da Sud, con le sue anse e gli acquitrini insidiosi, il fiume Hann rappresentava una barriera naturale che era costata migliaia di vite nel tentativo di oltrepassarla. Anche in quelle zone, l’esperienza di Eldain dominava incontrastata. Non c’era rivolo o stagno che lui non avesse contemplato nella sua strategia, compresa la Lama dell’Hann, l’isola stretta e lunga che spuntava al centro di quel territorio lacustre. L’impero aveva perso innumerevoli plotoni fra i canneti avvolti da perenni brume fradice. E anche i pochi che erano riusciti a passare, si erano persi nelle ramificazioni del fiume che si incastravano fra i monti aguzzi di quel territorio aspro, e allo stesso tempo maledettamente putrido.
«Con le Lance potremmo fare la differenza… ma sarà comunque un massacro.»
«E allora?! È una guerra, non una festa di paese. Noi dobbiamo solo rispettare gli ordini dell’Imperatore, è il nostro mestiere.» Asaeld lo fissò con quello sguardo che solo lui sapeva fare. Indagatore, amico, minaccioso allo stesso tempo. «Stai per caso cambiando idea? Essere una Lancia non ti interessa più?»
«Figuriamoci» rispose Dunwich a disagio. «Stavo solo commentando l’operazione, tutto qua.»
«Sarà meglio…»
Dunwich tornò a dedicarsi al vino, ma dopo un paio di bicchieri iniziò a sentirsi piuttosto alticcio. Era ora di tornarsene a casa. Asaeld non sembrava dello stesso parere. Dopo aver frugato nella tasca del suo mantello gli allungò una bella pipa in legno chiaro, invitandolo a farsi una fumata.
«Stasera ho un ottimo tabacco, me l’hanno spedito da Sud oltre il mare interno. Qualità sopraffina. Ti aiuterà a schiarirti un po’ le idee.»
Dunwich accettò con poca convinzione, ma la prima sbuffata bastò a fargli cambiare idea. Denso, profumato, ricco d’aroma.
«Una fumata così non si rifiuta mai…» esclamò soddisfatto.
«Bravo il mio ragazzo… ora, torniamo ai discorsi seri. Come pensi che dovremmo affrontare l’assalto al Terrapieno?»
Non era la prima volta che Asaeld chiedeva una sua opinione. Quando lo faceva, l’Imperatore si intrometteva e modificava radicalmente i loro piani. Una coincidenza insolita, ma che in quel momento non lo colpì più di tanto. Il vino e il fumo gli avevano sciolto la lingua e alleggerito notevolmente la testa.
«Penso che le Lance dovrebbero concentrarsi ai lati, per poi sfruttare la potenza dei nostri cori… la notte dei Fuochi è già abbastanza spaventosa, se poi i ribelli vedono piovere lampi mortali insieme al sangue dal cielo, magari riusciamo a spezzare tutto il loro coraggio…»
«Interessante, continua!» disse Asaeld annuendo lentamente, mentre due lembi di fumo uscivano dalla sua bocca arricciata sfiorandogli le guance.
***
«Mi raccomando, al mio ritorno voglio trovarla lucida come uno specchio.»
«Ma l’ho pulita anche ieri…»
«COSA… HAI… DETTO?!»
«Va bene, signore!»
Mordraud proprio non digeriva ricevere ordini. Se almeno si fosse trattato di caricare il nemico gettando il suo coraggio oltre il Terrapieno… invece doveva pulire, pulire e ancora pulire. E lucidare. E pulire.
Adraman era cambiato completamente da quando avevano raggiunto il fronte. Da lui pretendeva lo stesso comportamento formale e ossequioso che ogni soldato dell’esercito doveva tenere di fronte agli ufficiali. Anzi, a volte con lui era più duro che con gli altri. Non gli risparmiava nulla, qualunque lavoro umile a disposizione nel campo doveva essere il suo.
Era passato un mese da quando si era unito all’esercito. Non aveva ancora maneggiato la spada, non gli avevano spiegato un briciolo di strategia. Niente. Non aveva nemmeno fatto pratica al cavallo, cosa che fortunatamente per lui non era un problema, era naturalmente portato a cavalcare. Adraman passava intere giornate chiuso nella tenda del comando, rivolgendogli la parola solo per impartirgli tutta una serie di lavoretti da sguattero.
Pulire la sua armatura. Lucidare la sua armatura.
Strigliare i cavalli nelle scuderie. Pulire la merda dei cavalli nelle scuderie.
E così via, giorno dopo giorno.
“Mi hanno pure tagliato i capelli, per gli Dei… sembro un bimbo…” penso frustrato Mordraud. Riusciva ad accettare che il taglio corto fosse anche per il suo bene, per evitare i parassiti dormendo sempre per terra in tenda, ma faticava a farsene una ragione. Gli piacevano i suoi capelli lunghi. Inoltre, vedeva che a parte le reclute, tutti i soldati tenevano i capelli a loro totale discrezione. “Li tagliano solo a noi novizi… per prenderci per il culo” concluse amareggiato.
Il viaggio da Eld era stata l’unica parentesi emozionante in quella che si stava profilando come una grande delusione. Lui e Adraman avevano parlato di guerra, storie avvincenti su grandi cavalcate notturne, sotto cieli impestati di frecce infuocate, su cui Mordraud aveva fantasticato per anni mentre si allenava da solo. La sensazione che finalmente qualcosa nella sua vita stesse cambiando per sempre era stata potente, e se l’era goduta fino in fondo. Quando aveva scoperto che, in realtà, il Terrapieno era il posto più sicuro di tutte le terre dell’alleanza, era stato come svegliarsi da un bel sogno con un pugno nella schiena.
Cambria non osava assalire il fronte principale da mesi. Eldain aveva lottato per anni su quella linea immaginaria che difendeva l’accesso al cuore della regione, e aveva lentamente consolidato i confini fino a renderli praticamente inespugnabili. Se Cambria avesse mosso guerra con tutta la sua forza straripante, probabilmente il Terrapieno non avrebbe retto. Ma gli eserciti imperiali attaccavano soltanto le zone periferiche, conquistando pochi palmi di terra che inevitabilmente finivano per essere riconquistati, e poi persi di nuovo, come in un balletto senza fine. Un paio di batoste storiche sul Terrapieno avevano raffreddato i bollenti spiriti di chi smaniava di tentare un assalto frontale. Nessuno osava prendersi la responsabilità per una manovra che sarebbe potuta costare migliaia di morti inutili.
Adraman stazionava nel grande campo a ridosso del Terrapieno, ma a breve doveva partire per ispezionare gli altri battaglioni dislocati lungo tutto il fronte, e Mordraud sarebbe invece rimasto lì ad aspettare un attacco inesistente.
“Forse sono l’unico qua che vorrebbe essere da un’altra parte…” pensò mentre lucidava per l’ennesima volta gli schinieri dell’armatura del suo padrone. I soldati di Eldain che erano destinati al Terrapieno si consideravano molto fortunati. Gli scontri più furiosi sembravano essersi concentrati più a Sud, nei pressi del fiume Hann. Laggiù l’alleanza riusciva a reggere soprattutto grazie agli acquitrini, che livellavano le forze in gioco favorendo chi conosceva meglio il territorio. I ribelli, ovviamente. Curioso come Cambria si ostinasse a impantanarsi in una guerra di posizione, pensò Mordraud ripetendo meccanicamente un dubbio interessante che Adraman gli aveva confidato.
La corazza brillava come uno specchio. Mordraud aveva le mani doloranti a furia di strofinare e pulire. «Sono passato da un lavoro da femminucce a uno ancora peggiore…» borbottò mentre ricomponeva i pezzi per controllare le fibbie. Aveva un gran bisogno di sfogarsi un po’. Diede un’occhiata fuori dalla tenda e se ne andò verso il quartiere delle reclute.
«Ehi Moretto, finito con la merda?!»
Un coro di sghignazzi accolse il suo arrivo nel grande tendone della fanteria. Tutto come al solito, pensò senza rispondere alla provocazione. Per gli altri, lui era il piccolo cocco di Adraman. Nessuno sospettava che il più vecchio dentro quella tenda fosse proprio lui.
«Moretto, se vuoi qua ne abbiamo un bugliolo pieno… vuoi dargli una lucidata?»
Odiava quel nomignolo. Deciso a non finire nei guai, Mordraud puntò dritto al suo giaciglio, nient’altro che un pagliericcio con un paio di coperte e un sacco di iuta con i suoi effetti personali. I soldati lo presero in giro, poi tornarono a giocare a dadi concentrandosi su un altro novizio, un ragazzetto magro e lentigginoso che aveva solo avuto la grande sfortuna di nascere come terzogenito di un cavaliere di Eldain. Dritto nell’esercito, marchiato da quella carriera quando ancora era in fasce.
«Guardate, è arrivato il butterato! Vieni qua, ti va di fare un gioco?!»
Quel giorno, i ragazzi erano più scalmanati del solito. Mordraud frugò velocemente sotto il suo giaciglio alla ricerca della spada. La teneva nascosta in un vecchio fodero che aveva trovato nel retro della fucina, per paura che potesse diventare appetitosa per qualche anziano con la mano lunga.
«Moretto?»
Mordraud si voltò sfilando il braccio da sotto la paglia. Il soldato stava agitando una spada sopra la testa.
«Cerchi questa?»
Era la sua spada. Alla fine l’avevano trovata.
«Ridammela subito!» urlò inferocito.
«Oh, avete sentito?! Il moretto rivuole il regalo che gli ha fatto la mamma…»
Il bastardo si chiamava Benno. Un grosso e stupido contadino abituato a menar le mani in osteria. A detta di tutti si era arruolato perché preferiva di gran lunga fare a botte piuttosto che lavorare. Mordraud era incappato nel peggiore della combriccola.
«Proprio una bella spada, varrà un mucchio di soldi eh, ragazzi? Te l’ha regalata il tuo padrone? O la mamma? Ti sei fatto rompere il culo per averla?»
Mordraud si piazzò davanti a lui con le mani sui fianchi. «Ho detto ridammela.»
Benno era seduto su un ceppo. Per quanto Mordraud fosse alto, Benno sembrava proprio un gigante. Alcuni soldati si tirarono indietro pregustando il pestaggio.
«Ehi moretto, non ti conviene esagerare…» disse uno di loro stiracchiandosi le dita callose. Mordraud non cedette.
«Porco merdoso, dammi la mia spada!»
Benno fece per alzarsi ma Mordraud si mosse d’anticipo. Con entrambe le mani lo afferrò per la testa e spinse in basso, mollandogli una ginocchiata in piena fronte. Prima che lui potesse reagire, Mordraud prese a colpirlo in faccia. Una gragnola di pugni ben assestati. Si fermò solo quando sentì il tipico suono di un naso che si rompeva.
«FOTTUTO BASTARDO!» biascicò Benno con la faccia coperta di sangue.
«TI AMMAZZO!»
Il soldato aveva ancora la spada in mano. Mordraud gli prese il polso non appena intuì le sue intenzioni e lo torse finché le sue dita non mollarono la presa.
«Ti avevo detto di ridarmela, porco merdoso.»
Mordraud prese da terra la sua arma e indietreggiò. Benno si alzò ruggendo fuori controllo, ma dovette fermarsi all’istante. Mordraud aveva alzato minacciosamente la spada.
«Non ti conviene esagerare…» biascicò Benno sputandosi un dente in mano.
Il ragazzo era stupido, ma non idiota. Moretto era pronto veramente a ucciderlo. Sembrava non aspettare altro. Benno tornò a sedersi bestemmiando ferocemente, e Mordraud se ne andò nel silenzio generale.
«Dei, mi sono cagato addosso…» mormorò appena fuori dal tendone. «Mi è andata bene.»
Si era appena fatto un nemico. Uno di quelli grossi.
«Beh, almeno non mi annoierò più…» concluse con un’alzata di spalle.
“Meglio togliermi di mezzo per stasera” pensò Mordraud fiondandosi fra le tende del campo. “Raggiungo i ragazzi alla Latrina e resto un po’ lì in attesa che l’atmosfera si calmi…”
La Latrina era una delle grandi tende comuni dove era acconsentito bere dopo gli addestramenti e le ronde. Chiaramente, non era fra le migliori a disposizione nel campo del Terrapieno, ma aveva un pregio indiscusso: era possibile imboscarsi fino a notte fonda senza che nessuno venisse a controllare. La tenda sorgeva quasi al confine Nord del campo, lontanissima dalla strada di accesso al fronte, e in una posizione avvallata che tratteneva con notevole potenza il fetore delle latrine poco distanti. Il posto più infame di un luogo già infame di suo.
Mordraud raggiunse la Latrina e trovò subito i suoi compagni di bevute. C’erano Maglio, Rosso, Pietà e Gigante. Erano già mezzi alticci, cosa che a Mordraud non dispiacque. Lui non riusciva a reggere quanto loro, e spesso finiva schienato a metà serata e deriso da tutti. Forse quella sera non sarebbe stato il primo a capitolare.
“Che squadra d’eccellenza…” pensò ridacchiando mentre li sentiva bestemmiarsi addosso uno con l’altro. Non conosceva i loro veri nomi, perché se li era dimenticati subito quando, nei primissimi giorni di permanenza sul Terrapieno, era entrato in contatto con centinaia di persone diverse, e aveva dovuto imparare decine di nomi di capitani che era necessario saper ripetere al volo. Non se n’era mai reso conto prima, ma non aveva una memoria di ferro. Gwern era decisamente più portato a ricordare, pensò Mordraud.
Aveva scelto lui i nomignoli: Maglio era un ragazzone delle campagne di Eld che, prima di essere chiamato a difendere i confini, faceva il fabbro con suo padre. Si diceva che picchiasse con la stessa ritmica brutalità di un martello battuto sull’incudine. Mordraud l’aveva visto solo un paio di volte durante l’addestramento, e aveva avuto anche lui quella precisa impressione. Maglio alzava e abbassava la spada come per piantare, per rompere, più che per tagliare. Un torello inarrestabile. Era un ragazzo dai pensieri estremamente semplici e concisi, cosa che a Mordraud piaceva particolarmente.
Rosso e Gigante stavano sempre insieme. Il primo aveva il volto deturpato da una malattia della pelle; aveva le guance disgustosamente spellate e butterate. Non era un bel vedere, ma controbilanciava con un carattere solare e decisamente poco permaloso. Gigante invece era un nanerottolo che non sapeva infilare tre parole senza infarcirci a forza un insulto o una bestemmia. Parlava di continuo, e soprattutto, beveva senza smettere mai. Diceva di essere figlio di un oste, anche se qualche volta Mordraud non si era chiesto se Gigante fosse figlio direttamente di un fiasco, più che di un uomo.
Pietà era il ragazzo più strano di tutti. Non era di Eld, non era nemmeno nato nei territori della ribellione. Qualcuno diceva che fosse di Cambria, lui invece aveva detto in giro di essere di Calhann, la grande città sullo stretto del mare interno. Parlava pochissimo, ma osservava con dedizione maniacale. Solitamente, quando Pietà apriva bocca, era per affermare un’incontrovertibile verità assoluta. Minuto, all’apparenza leggero, era dotato di forza insospettabile e di una malsana propensione a muoversi senza farsi troppo notare. Si diceva che fosse un tagliagole, prima di diventare soldato. Come si diceva anche che fosse stato assassino per conto di nobili, ladro di polli, trafficante di puttane. Nessuno sapeva realmente chi fosse. Anche il soprannome, Pietà, se l’era dato da solo, senza che fosse Mordraud a doverlo scegliere. Lui avrebbe voluto chiamarlo Smilzo, ma ormai tutti lo conoscevano con il nome di Pietà. Alla fine dei conti, nessuno aveva la minima idea di chi lui fosse realmente.
«Questo giro lo offro io!» urlò Mordraud tirando un calcio alla sedia di Maglio. Lui si voltò e gli tirò un pugno sul petto che per poco non gli fermò il cuore. Pietà annuì lentamente, soddisfatto da quell’iniziativa. Rosso e Gigante brindarono con i boccali vuoti, e li lanciarono all’unisono alle loro spalle, oltre la recinzione che separava la Latrina dalle fosse piene di merda.
«Oste! Il meglio della casa!» gridò Gigante. «E datti una mossa, vecchio ritardato!»
Mordraud non sapeva come fosse possibile, ma quando era con quei quattro, si sentiva al sicuro come mai prima d’allora.
***
«Sono già tutti dentro?»
Adraman aiutò il messaggero a sfilarsi il pesante mantello fradicio. Da sotto il cappuccio spuntò una coda di capelli bianchi, stretti in fondo da un semplice cordino di canapa. I suoi abiti erano logori e sporchi, come il fodero della spada che portava al fianco. L’elsa però scintillava mostrando una ricchezza che mal si sposava con tutto il resto. Nel campo era stato chiamato da poco il riposo. All’orizzonte si stagliavano i soldati di ronda sul Terrapieno, sagome nere ritagliate nella luce bianca della luna.
«Sì, ci stanno aspettando. Com’è andato il viaggio?»
«Come al solito. Stancante, lungo e solitario» rispose il vecchio messaggero.
«Lo sai che è per la tua incolumità… se si sapesse in giro…»
«Lo so, lo so… non ti preoccupare, non è poi così male farsi ogni tanto una lunga cavalcata!»
«Sei sempre il solito, Eldain» disse Adraman sorridendo sollevato. «Vuoi qualcosa da bere? Devi cambiarti quei quattro stracci, sono gonfi e puzzano di pioggia.»
«Bah, solo un temporale… è un giorno che cavalco ridotto così, posso sopportare ancora qualche ora. Forza, andiamo! Non facciamo attendere gli altri capitani.»
Il grande comandante dell’alleanza usciva raramente dal feudo, ma quella era un’occasione particolare. Erano giunte voci nuove e preoccupanti, di un attacco massiccio sull’ansa dell’Hann che nessuno si aspettava in quel periodo di piena del fiume. L’estate stava sfiorendo, lasciando il posto alle prime piogge autunnali.
Eldain aveva passato da tempo gli anni migliori. Il suo volto era rugoso e stanco, la schiena non era più quella di una volta. Ma i suoi occhi grigi erano ancora limpidi e scaltri. Non poteva più permettersi di visitare il fronte come avrebbe meritato, con la servitù e una scorta degna del suo rango, così doveva viaggiare da solo in incognito ogni volta che abbandonava Eld. Cambria aveva attentato alla sua vita in molte occasioni, infiltrando nel suo esercito decine di sicari. In un paio di situazioni erano arrivati a un soffio dal successo, ma Eldain era sempre sopravvissuto.
«Nessuno sa che sono qui, vero?»
«Come sempre, puoi stare tranquillo» rispose Adraman aprendo le falde della tenda per farlo passare. «Ne ho parlato solo con gli altri capitani. Non lo sapevano neppure le guardie all’accesso.»
«Bravo ed efficiente come sempre… ricordami che dopo dobbiamo parlare. In privato.»
La tenda del comando era satura del fumo delle pipe accese. Seduti intorno a un tavolo grezzo su cui era distesa una mappa del territorio, aspettavano quattordici uomini in abiti civili, intenti a parlottare fra loro con una coppa di vino in mano. All’arrivo di Eldain, tutti si alzarono di scatto chinando la testa in silenzio.
«Bene, ci siamo tutti» esclamò Eldain con voce gioviale «nessuna faccia nuova… un buon segno!»
I capitani risero in coro e tornarono a sedersi.
«Possiamo iniziare.»
Il tavolo venne ben presto coperto dai piccoli dadi di legno bianchi che rappresentavano i contingenti dell’alleanza, e da quelli neri che simboleggiavano le forze di Cambria. Ogni capitano usava una lunga stecca di legno per spostare le forze in campo, a turno. Eldain aspettava di ascoltare l’intera spiegazione, poi dava la parola a un altro, senza giudicare. Adraman avrebbe parlato per ultimo, come sempre.
I primi a esporre furono i portavoce dei battaglioni affiliati a Eld, rappresentati dai figli e i cugini dei nobili che governavano i feudi dal Terrapieno al mare dell’Est. Di solito tendevano a propugnare idee che già avevano discusso in precedenza, così da avere maggior peso e più potere, e anche in quella occasione non cambiarono strategia. Il loro piano era piuttosto semplice e approssimativo. Se Cambria intendeva spostare il fronte più a Sud, sarebbe stato necessario convincere una volta per tutte Calhann ad appoggiare la loro causa. La regione dello stretto, l’unico ponte di collegamento fra il Nord e il Sud del continente, manteneva un atteggiamento neutrale da secoli, e vantava i migliori diplomatici del mondo conosciuto. Se Cambria avesse tentato di sconfinare verso i suoi territori, allora si sarebbe trovata a dover affrontare un problema assai peggiore dei ribelli. Calhann si era dichiarata neutrale ed era una città florida, praticamente inespugnabile e avvezza a farsi i fatti propri da secoli. Eldain aveva già tentato molti anni prima di ottenere un loro appoggio, senza successo, ma secondo i capitani dell’Est le cose erano cambiate a tal punto che anche Calhann non poteva più tirarsi indietro di fronte all’allargamento delle maglie dell’impero.
«Sapete bene che Calhir non acconsentirà mai a spendere soldi e uomini in una guerra che non è stato lui a iniziare!» esclamò di punto in bianco Berg, uno dei comandanti diretti di Eldain e discendente di un’antica famiglia amica del vecchio nobile. «Quel merdoso avaro tiene troppo agli scudi che sta guadagnando grazie alla continua richiesta di mercenari…»
«Non interrompere, Berg. Aspettiamo di sentire tutte le opinioni» lo ammonì Adraman.
«Non è detto, non possiamo esserne certi!» proseguì stizzito il rappresentante degli alleati dell’Est, un giovane cavaliere biondastro e sbarbato dai lineamenti effeminati. Tutti lo conoscevano come Ghiaccio, dopo che in un combattimento a difesa dei confini esterni a Nord aveva perso tre dita di una mano per congelamento. In molti raccontavano ancora che se le fosse poi amputate da solo con un coltellaccio da macellaio, per dimostrare a tutti che non gli mancava un briciolo di fegato.
«Se Cambria continua a spostarsi lungo il fiume Hann, è chiaro che mirano ad accerchiarci sforando verso le Piane dell’Hann, per poi puntare al mare… ma per farlo dovrebbero per forza conquistare una regione da sempre amica di Calhann…»
«Mh, ti dico che Calhir preferisce farsi amico Loralon, piuttosto che aiutare noi… non c’è da fidarsi del sangue del mare interno, ve lo dico io!» disse di nuovo Berg. L’atmosfera iniziò a scaldarsi, e l’ordine di parola saltò per aria.
«Dobbiamo chiedere aiuto, altro che pianificare tutto da soli! Esiste anche la diplomazia, non la stiamo neppure prendendo in considerazione!» sbraitò Ghiaccio.
«E con chi vorreste trattare?! Si sa che Calhir è una serpe, e i governatori dei suoi protettorati non scorreggiano neppure senza il suo consenso!»
«La solita finezza, eh Berg?!»
«Cosa c’è ghiacciolo, ti prudono i moncherini? Fai fatica a pensare dal fastidio?!»
«ORA BASTA!»
Eldain scagliò un pugno sul tavolo talmente forte da far saltare via tutti i dadini, che picchiettarono come pioggia sul pavimento di assi della tenda. I capitani si zittirono di colpo, ritrovando immediatamente il contegno. Potevano passare settimane a sfottersi, litigare anche furiosamente, ma quando parlava Eldain, nessuno osava alzare la voce senza un vero, importante, vitale motivo.
Il reggente di Eld si era guadagnato il rispetto sul campo, da talmente tanti anni che molti dei presenti non erano neppure nati la prima volta che lui aveva ucciso un uomo dell’impero. Aveva fama di spietato sul campo di battaglia, ma allo stesso tempo di raffinato stratega e uomo dalla morale dura come l’acciaio. Se esisteva qualcuno che odiava Cambria, lui era il primo e il più determinato.
«Comportiamoci da persone civili, per gli Dei! Avanti Ghiaccio, finisci di parlare, poi proseguiamo! Ti ascolto con attenzione, non temere.»
«Grazie, Eldain» disse lui annuendo soddisfatto. «Allora… dov’ero rimasto?»
Venne poi il turno di Berg, la voce della schiera di irriducibili che consideravano una perdita di tempo trattare con le regioni che per anni non avevano mai preso una posizione nella guerra. La sua idea era ancora più semplice di quella degli alleati dell’Est. Alleggerire il fronte sul Terrapieno, e spostare i combattimenti verso Sud. Ma non solo. Per la prima volta da anni, si ritornò a parlare di attaccare direttamente, senza attendere oltre, i territori confinanti all’Hann.
«È l’occasione che aspettavamo da tanto tempo! Laggiù loro pensano di essere in vantaggio, e si sono convinti che sfondando sull’Hann riusciranno a prenderci in una morsa da Sud.»
Berg urlava come al solito. Era mezzo sordo, per colpa di una vecchia infezione mal curata. Incredibile guerriero, orripilante diplomatico. «Ma quel che dico io, per tutti i fottuti Dei, quella terra la conosciamo come i nostri calzoni, punzecchiamoli! Conquistiamo qualche loro villaggio, diamogli fuoco, e vedrai come si calmano! Sono solo dei cagasotto, e lo dico da una vita!»
«Che idea brillante…» sussurrò Ghiaccio coprendosi la bocca con il palmo. Berg era già sul punto di riprendere a bisticciare, ma un’occhiata di Eldain bastò a fargli passare i bollenti spiriti.
«Bene, abbiamo ascoltato le vostre opinioni. Adraman, tu cosa ne pensi?»
Il cavaliere stette un momento in silenzio a rimuginare, poi spostò alcuni dadi sulla mappa, senza un preciso piano in mente.
«Per ora abbiamo solo delle voci, vorrei ricordarlo a tutti. Non lo so, mi puzza…»
«Che cosa, Adraman? Eppure abbiamo visto tutti che Loralon sta progressivamente spostando il conflitto sull’Hann, è chiaro!» esclamò Berg. Loro due erano grandi amici, sin dai tempi delle loro prime esperienze in battaglia. Non si contavano le volte che avevano combattuto insieme, uno alla carica con la cavalleria, l’altro ben piantato a terra alla guida dei fanti.
«Ma che senso ha spostare tutto a Sud, mi chiedo… cinque anni fa, a Nord… ora a Sud… perdono tempo, giochicchiano…» borbottò Adraman scompigliando i dadi sulla mappa. «Sembra che neppure loro sappiano cosa fare, o magari hanno un piano maledettamente astuto che ancora non abbiamo capito…»
«Quindi? Cosa consigli di fare?» chiese Eldain.
«Mandare qualcuno a Calhann non è una cattiva idea. Non ci costa nulla, a parte dover pagare un paio di diplomatici dalla lingua lunga e sciolta. Perché non tentare? Però non sono d’accordo nel fidarsi troppo dello Stretto, penso che possa bastare come segnale di avvertimento per Cambria… mettiamogli un po’ d’ansia addosso… mi sembra una buona idea.»
«E per quanto riguarda il Sud?»
«Di alleggerire il Terrapieno non se ne parla» rispose Adraman in modo perentorio «però potremmo dislocare qualche battaglione da Nord, dalle zone in cui l’inverno arriva prima… alla peggio, teniamo gli occhi aperti e prepariamoci a intervenire d’anticipo appena vediamo movimenti sospetti delle forze imperiali. Rimpinguiamo il Sud, e magari potremmo anche tentare un assalto alla Punta di Lancia, l’isola al centro dell’ansa larga di Hann. L’hanno conquistata l’estate scorsa, per loro sarebbe uno smacco non da poco, perderla di nuovo.»
«Mh… mi sembra un’ottima mediazione. Voi che ne dite? Piace a tutti come idea?» chiese Eldain agli altri capitani.
Adraman sapeva con chi aveva a che fare. Più o meno aveva accontentato tutti, limando gli eccessi delle rispettive proposte. A parte qualche mugugno di Berg, che si aspettava chissà quale roboante assalto alle terre di Cambria, il piano fu approvato senza intoppi.
La seduta fu sciolta, e i capitani poterono così tornare nei loro alloggi. Eldain e Adraman presero un paio di bicchieri puliti e un fiaschetto, e si accomodarono sulle poltroncine di vimini sotto la veranda. La notte era serena, il fronte brillava alla luce della luna.
«Non ti smentisci mai, vero?»
«Perché?» esclamò perplesso Adraman.
«Non riesci proprio a prendere una posizione netta… cerchi sempre la giusta via di mezzo.»
«Pensi che io abbia detto qualcosa di sbagliato?»
«No, anzi… avrei detto anch’io la stessa cosa. Ma io mi riferisco ad altro» continuò Eldain con un sussurro.
«Prima volevi dirmi qualcosa, in privato…» chiese Adraman mentre caricava la sua pipa di legno con un tabacco secco e leggero, ottimo per concludere una lunga giornata.
«È quello che sto facendo. Lo sai che non mi piace farmi gli affari tuoi, però…»
«Si tratta di Deanna, vero?»
Eldain si riempì di nuovo il bicchiere, e lo scolò d’un fiato.
«Al feudo sono girate voci… di un brutto litigio a casa, e della tua signora che, ecco…»
«Eldain, da quanto tempo ci conosciamo?» disse Adraman interrompendolo di colpo.
«Da una vita, perché?»
«Allora non girarci intorno. Dillo, forza. Hanno detto che Deanna è matta, e che forse si era trovata un amante. Un giovane amante.»
«Cercavo parole migliori, ma più o meno…» rispose Eldain imbarazzato.
«Se volevi sapere la verità, io…»
«No, non voglio sapere se è tutto vero. Io volevo soltanto darti un consiglio.»
«Meno male, anche perché la verità non la conosco. Avanti, dimmi.»
Eldain agitò il fondo del bicchiere e buttò giù l’ultima sorsata. «Vedi, tu hai il grande pregio di cogliere la giusta via di mezzo in tutto, ma non nella tua vita. Deanna è giovane, ed è molto bella. Non puoi pretendere da lei la fedeltà che ti dimostrano i tuoi soldati. Loro sono pronti a morire per te.»
«Dove vuoi arrivare?» chiese nervosamente Adraman, giocherellando con la pipa fra le dita.
«Se vuoi avere un buon matrimonio, devi stare a casa con lei. Fare il marito, insomma. Se però non vuoi rinunciare alle tue responsabilità verso di me, allora, devi accettare che lei trovi, ecco… un equilibrio…»
«Mi stai consigliando di lasciarla libera di andarsene?!» esclamò lui indignato. «È inaudito! È una follia assurda! Proprio…»
«Vedi che non sei capace di trovare la giusta via di mezzo?!» lo interruppe Eldain bruscamente. «Dai Adraman, svegliati… la moglie di un soldato cosa fa, quando è lì che aspetta suo marito? Non sa neppure se lui tornerà a casa su un cavallo, o caricato su un carretto… si troverà qualcuno con cui alleggerirsi i pensieri, poi al ritorno del marito, si comporterà di nuovo bene. Farà la moglie, come se non ci fosse nulla di sbagliato. Certe regole non si infrangono. Dove pensi che possa andare una donna fedifraga?! Ti resterà a fianco, e tu almeno avrai i tuoi giorni sereni a casa.»
«Ne parli come se fosse una banalità…»
«Ma è una banalità! Succede sempre così, solo che tu non vuoi accettarlo… e lei piano piano sta ammattendo. Preferisci questo?»
«No di certo! Ma quello che tu dici…» mormorò Adraman.
«Se ami Deanna, allora devi scegliere: abbandoni la guerra, e allora te ne vai a casa a fare il marito, oppure resti qui, e le permetti di essere una donna. Decidi tu.»
«Se fosse stato un altro a dirmi una cosa simile, lo avrei già chiamato in duello…»
«Non essere stupido» sorrise Eldain. «Sei come un fratello per me. Come parlano i fratelli fra di loro?»
«In modo schietto» rispose Adraman. Non era la prima volta che Eldain ripeteva quella frase. Era un suo modo di dire.
«Allora io ti parlo in modo schietto. Poi deciderai tu. A proposito… quel giovane di cui parlano…»
«Si chiama Mordraud.»
«Secondo te, è realmente stato con Deanna?» chiese maliziosamente il vecchio comandante.
Adraman non seppe rispondere. «Pensi che dovrei rispedirlo a casa?»
«L’hai trascinato tu, o è voluto venire lui?»
«No, ha scelto tutto da solo.»
«Allora lascialo qua. Deanna ha bisogno di qualcuno che se ne stia lontano dalla guerra. Qualcuno con cui ritrovare un po’ di tranquillità. Speriamo almeno che questo… Mordraud, hai detto? Speriamo che possa almeno diventare un buon soldato. Ce ne servono, ora più che mai…»
«Hai un brutto presentimento? Uno dei tuoi?»
Eldain annuì, e offrì il fiasco all’amico.
«Non uno normale. Uno di quelli grossi.»
Adraman accettò, e si attaccò direttamente al collo della bottiglia. «Speriamo che questa volta tu ti stia sbagliando. Se Cambria sta preparando un tranello…»
«Ce la faremo, vedrai» disse Eldain cingendo le spalle di Adraman con un braccio. «Come abbiamo sempre fatto. Io e te, insieme. Contro un impero.»
«Che si fotta la famiglia Loren…» bofonchiò il cavaliere asciugandosi la bocca con la mano.
«Parole sacre, parole sacre…»
***
Il soldato puzzava di birra rancida e grasso di maiale, tanto che da solo riusciva a mascherare l’odore dei cavalli bagnati che aspettavano pazienti i loro padroni. Non era di certo il miglior uomo della guarnigione. Le voci che circolavano sul suo conto non erano per nulla lusinghiere. Avido, ubriacone, violento e sporco. Amava spendere tutti i soldi che guadagnava nei suoi lavoretti misteriosi in baldracche e vino scadente.
“Ma intanto lui parte… e io resto qui a marcire.”
Adraman aveva ordinato a un battaglione di recarsi a Sud, verso le sponde dell’Hann in mano ai ribelli. In tutto il campo non si parlava d’altro. Una battaglia. Un vero scontro faccia a faccia, un evento campale.
«Guarda te… io resto qua coi vecchi e le vedove…» borbottò Mordraud, dando un calcio a una pozzanghera. Pioggia, maledetta pioggia. Acqua dal cielo come se il mare avesse preso il posto delle stelle. E una noia che non avrebbe mai pensato di poter provare. Passava le giornate a bighellonare insieme a Maglio, Pietà, Rosso e Gigante, oppure a prendersi delle sbronze colossali sempre insieme a loro. Non aveva molti altri amici nel campo. Non con il carattere affabile che si trovava, pensò sogghignando.
Almeno aveva gli allenamenti. Nel suo piccolo, era stata una grande conquista. Alla fine Adraman aveva acconsentito, non senza imbottirlo di prediche infinite.
“Sei uno dei tanti, quindi vedi di comportarti bene. Segui tutto quello che dice il tuo maestro. Non muovere un dito senza il suo permesso.”
“Quando cavalchi, guarda sempre i tuoi compagni. Non sei da solo. Vedi di non dimenticarlo mai.”
“Sei mancino, dici?! Come fai a saperlo? Non essere presuntuoso. Non sai neppure cosa significa usare una spada.”
Mordraud avrebbe potuto recitare a memoria tutti i suoi consigli.
“Per chi mi ha preso?! Ho già ucciso due… anzi TRE uomini!”
Nell’elenco lo Sconosciuto non mancava mai. Anzi, era il pezzo più pregiato.
«So usare la spada meglio di quel ciccione ubriaco e schifoso… e invece guarda dove mi tocca stare!»
Almeno per qualche giorno non avrebbe ricevuto altri ordini da Adraman, l’unica magra consolazione di quella mattina umida e grigia. Il cavaliere doveva scortare un battaglione al campo a Sud, e così lui sarebbe stato libero di respirare. L’allenamento di quel pomeriggio voleva gustarselo fino in fondo.
«IN RIGA!»
Il tutore dei novizi, un vecchio guerriero con una grottesca cicatrice in testa al posto di gran parte dei capelli, non aveva la minima intenzione di aspettare che smettesse di piovere. Mordraud ne fu felice. Non vedeva l’ora di sgranchirsi le braccia.
«Allora bimbetti, oggi è proprio una splendida giornata per allenarsi, non è così?!»
Un coro assai svogliato rispose alla domanda di Gabor, l’addestratore. Non era particolarmente robusto, né alto. Senza la sua armatura addosso avrebbe potuto facilmente essere scambiato per un anziano contadino, o un mercante da quattro soldi. Ma Mordraud l’aveva visto una volta prendere a schiaffi un ragazzo poco rispettoso. Più che mani, quell’uomo aveva attaccato alle braccia due martelli da maniscalco.
«Ora il Terrapieno è nelle vostre mani, e infatti prego tutte le notti il Dio della misericordia, che ci tenga lontano il nemico… avete paura di un po’ d’acqua?! Avanti, forza! Direi di iniziare con un po’ di sano corpo libero!» sbraitò l’addestratore con gusto malsano.
Mordraud si voltò verso il compagno alla sua destra, come tutti. Più che un allenamento, era un pestaggio. L’obiettivo era restare in piedi finché Gabor non chiamava la fine.
«INIZIATE!»
Aveva avuto fortuna. Il suo avversario era un nanerottolo magro e pieno di nervo dagli occhi piccoli e poco affidabili. Non sapeva il suo nome, ed era un bene. Così poteva divertirsi di più.
Mordraud era piuttosto bravo a fare a pugni, ma soprattutto non aveva eguali nell’incassarli. Avrebbe potuto prendere per sfinimento qualsiasi nemico, se solo avesse voluto. Ma quel giorno aveva bisogno di sfogarsi, così non si fece pregare.
I ragazzi si fiondarono uno contro l’altro in mezzo al fango, fra urla e bestemmie di ogni tipo. La pioggia e le pozze ben presto divennero una cosa sola, e tenere gli occhi aperti era un’impresa ardua. Mordraud afferrò le spalle del suo avversario, piantò a fondo le dita e con tutta la forza che aveva spinse verso il basso. Alla prima resistenza, piazzò una gamba in mezzo alle sue e spinse di lato. In uno schiocco di dita il ragazzino era già per terra, schiacciato da tutto il suo peso.
«EHI EHI EHI, oggi qui abbiamo un esperto!» urlò Gabor, applaudendo in modo strafottente. «Voi pivelli siete ancora lì a prendervi a pugni, e guardate invece il vostro amico! Come ti chiami ragazzo?»
«MORDRAUD!» gridò lui rizzando la schiena.
«Ah, Moretto! Ho sentito parlare di te. E non farti bello, erano tutte cose schifose!» Gabor gli fece cenno di avvicinarsi. Tutti i novizi avevano abbandonato la lotta per guardare.
«Comandi!»
«Perché hai fatto quella mossa al tuo avversario?» sbraitò l’allenatore.
«Per vincere subito!»
«E lo hai fatto perché hai visto che era più basso di te, non è vero?!» Gabor sembrava orgoglioso di lui. Mordraud annuì con un mezzo sorriso ebete dipinto in faccia.
«Io sono più basso di te, Moretto. Non è vero?»
Mordraud si trovò spiazzato. Non fece altro che annuire perplesso.
«Allora fallo con me!»
Gabor allargò le braccia e gli mostrò il petto. Era vero. Mordraud era più grosso e alto di lui, e probabilmente anche più forte.
«Avanti, cosa aspetti?!»
Nel silenzio generale, Mordraud afferrò il suo allenatore alle spalle e spinse brutalmente verso il basso e in avanti, cercando di sbilanciarlo indietro. Gabor si piegò come un fuscello, e Mordraud ne approfittò per rifare il gioco della gamba.
Fu come tentare di fermare un macigno con la guancia.
Mordraud volò in mezzo al fango con le stelle negli occhi, senza aver avuto il tempo di capire cosa fosse successo.
«IDIOTA DI UN MORETTO!» ringhiò Gabor compiaciuto. «Mi hai lasciato le braccia libere! Potevo spezzartelo quel tuo collo da pollo inutile, avrei fatto un favore a questo esercito. Ma mi facevi troppo schifo, quindi fatti bastare la lezione!»
Fra le risate generali Mordraud tornò a capo chino in mezzo ai novizi, e riprese ad allenarsi senza più dire una parola. Sentiva la faccia gonfia come un otre e gli sanguinava copiosamente la bocca, ma nulla era abbastanza doloroso per distrarlo da quella colossale figura da imbecille.
L’allenamento finì dopo ore interminabili, e ormai Mordraud aveva i lineamenti deformati in modo talmente grottesco che in tanti non lo riconobbero. Invece che recarsi dai guaritori, però, preferì starsene un po’ da solo nel retro del tendone comune. Seduto a terra sotto la veranda di tela, restò in silenzio a osservare la pioggia che cadeva imperterrita, incurante degli uomini che la maledicevano.
“Oh, Deanna… spero di non aver fatto un’idiozia…”
Pensava spesso a lei, soprattutto quando era da solo. Erano passati pochi mesi dalla sua partenza, ma sembravano anni. La vita tranquilla, asciutta e calda nella villa era ormai un ricordo che si sfilacciava ogni giorno di più.
“Chissà cosa stai facendo…”
La sua fantasia plasmò la scalinata, le stanze da letto e la grande sala da pranzo. Si divertì a rievocare odori, colori e suoni di una tranquilla sera qualunque. La sua voce, le rare ma tanto attese risate di gioia. I suoi lunghi capelli corvini. Gli occhi grandi e carichi di pensieri che aveva imparato a conoscere alla perfezione, la sua bellezza un po’ fragile e per quel motivo irresistibile. Ma non fu in grado di fermarsi al momento dovuto.
Sognare Deanna nuda nel grande letto del marito gli scatenò un lungo brivido alla schiena e al basso ventre. “Devo smetterla, una volta per tutte! Ora sono qua, devo combattere una guerra. Non ho tempo per… per…”
La pioggia gli stava dicendo che invece di tempo ne aveva, e tanto. Mordraud lasciò partire a briglia sciolta la sua immaginazione, tormentato solo da quella piccola e fastidiosa punta di rimorso che rendeva il tutto ancora più eccitante.
***
«L’avvistamento è confermato?»
«Sì, signore!»
«Quanti uomini?»
«Un battaglione, signore.»
Uno solo, pensò Dunwich mordendosi il labbro per la delusione. Se lo aspettava, che Eldain si muovesse con i piedi di piombo. Un battaglione era poco più che una pagliuzza al vento. Il campo dell’esercito di Cambria, il Foce dell’Hann, brulicava di soldati freschi e giovani, ma quello che più contava era che tutte le Lance Imperiali della guardia capitale erano state convocate per l’assalto. Un evento raro, rarissimo. Asaeld si era opposto, aveva sbraitato e puntato i piedi contro quel progetto, ma Loralon si era dimostrato stranamente inflessibile. Un evento ancor più raro che vedere tutte le Lance radunate insieme.
«Assaltare il Terrapieno con tutte le nostre forze migliori… un muro contro muro… in tanti anni di servizio non avevo mai sentito un’idea tanto demente!» aveva ripetuto Asaeld continuamente durante il viaggio dalla capitale al campo. Molti dei suoi lo appoggiavano, ma non erano poche le Lance che invece apprezzavano la strategia dell’Imperatore. Dunwich non aveva mai visto i propri compagni tanto spezzati in due fazioni opposte, da una parte i lealisti all’impero, dall’altra i fedeli al loro comandante. Lui ovviamente sapeva da che parte stare, senza aver bisogno di pensarci troppo.
Asaeld.
«Quanto manca alla notte dei Fuochi?»
«Venti giorni, signore.»
Con un cenno Dunwich allontanò il giovane fante, che ricambiò chinando il capo in segno di rispetto. L’armatura nera e oro delle Lance faceva sempre un certo effetto sui soldati semplici. Lo divertiva leggere quel misto di paura e ansia negli occhi dei suoi sottoposti.
“Saremo in cinquecento a caricare… Loralon voleva addirittura convocare i compagni degli avamposti a Sud, ma Asaeld non ne ha voluto sapere” pensò mentre puntava dritto verso la baracca degli ufficiali.
“Una notte, al massimo due… e si parte.”
Solo il pensiero lo fece tremare. Non che avesse paura di scendere in campo, anzi. Si augurava che quel giorno arrivasse il più presto possibile. A preoccuparlo invece era la marea di Lance all’assalto del Terrapieno. Doveva stare molto, molto attento. Non sarebbe bastata la sua bravura per uscire vivo dal caos che già prevedeva. Troppe risonanze insieme, se non veicolate in un coro, potevano incastrarsi fra loro, stonare e causare spaventosi effetti collaterali. E durante una mischia, gli stimoli di disturbo erano tanti. Nubi di frecce. Urla disarticolate. Cariche da più parti. Il tutto immerso nella luce rossa della notte più assurda dell’anno.
“C’è solo da sperare che i ribelli restino impietriti dalla paura… ma è così maledettamente difficile crederlo…”
L’atmosfera nella casa degli ufficiali era calda e piacevole. Conosceva tutti, dal primo all’ultimo graduato presente nella sala, e subito fu accalappiato da un gruppetto che stava disquisendo sulle strategie che avrebbero voluto adottare nell’assalto. Dunwich era ben visto, ma soprattutto ammirato per la sua particolare vicinanza con l’inarrivabile Asaeld, l’uomo più influente di tutto l’esercito.
«A proposito, dov’è? Non è ancora arrivato?» chiese ai colleghi.
«Penso sia sul retro, nella saletta privata» rispose uno di loro, un distinto signore di mezza età di cui gli sfuggiva il nome. Con addosso le loro armature sfavillanti, le Lance si somigliavano un po’ tutte.
«Con chi?»
Dunwich ricevette come risposta una pletora di sguardi vagamente ammiccanti.
“Una donna?! Strano, non è da lui…”
Con una scusa si defilò dal gruppo e, senza dare troppo nell’occhio, si diresse sul retro attraversando la sala da pranzo e il salottino dedicato al dopocena. Mentre apriva la porta, sentì solo uno sprazzo di un discorso mozzato, di cui colse alcune brevi parole.
«… interrompete all’ordine…»
«Disturbo?» chiese Dunwich varcando la soglia. Asaeld era seduto su una larga poltrona di cuoio, circondato da sei giovani Lance che Dunwich non aveva mai visto in giro nel campo. In realtà non era sicuro di averle neppure mai viste in città.
«Figurati Dunwich, entra pure! Vieni, stavo raccontando ai ragazzi una vecchia battaglia nel Terrapieno, per prepararli a dovere.»
Asaeld era cordiale e distante allo stesso tempo, come sempre. Difficile capire cosa pensasse, nascosto dietro occhi capaci di bucare un cranio e sviscerarlo a piacimento. Dunwich con un cenno salutò i presenti, ma declinò l’offerta.
«Non voglio disturbare. Ero solo venuto a metterti al corrente degli ultimi spostamenti dei ribelli.»
«So già tutto, grazie Dunwich» rispose lui con un sorriso. «Tra due giorni partiamo. Non possiamo sbagliare i tempi, dobbiamo essere al fronte nel cuore della notte dei Fuochi… altrimenti immagina quanto si arrabbierà il nostro Imperatore!»
Le altre Lance ridacchiarono, facendo il verso al loro comandante. Dunwich fece finta di nulla, si inchinò con calcolata cortesia e uscì salutando tutti.
«Non vuoi neppure un bicchiere di liquore? Me ne hanno portato uno ottimo.»
«No grazie, Asaeld. Ho molte faccende da sbrigare.»
«Va bene, ragazzo. Ci vediamo per cena.»
Dunwich chinò il capo di nuovo e uscì dalla saletta. La porta si stava chiudendo alle sue spalle, quando sentì ancora la voce di Asaeld chiamarlo.
«Mi raccomando Dunwich…»
«Che cosa?»
«Ti voglio al tuo posto durante la carica, come abbiamo già pianificato» disse la Lancia con voce improvvisamente grave. «Non sono previsti colpi di testa.»
«Certo Asaeld, non c’è bisogno che tu me lo dica…»
«Oh sì, invece» mormorò lui annuendo lentamente «non ti dovrai allontanare, mi raccomando.»
«Hai la mia parola.»
«Bravo il mio ragazzo…»
Dunwich chiuse la porta, giusto in tempo per sentire le ultime parole di Asaeld.
«Sarà una giornata memorabile, vedrete. Una giornata davvero memorabile per l’impero.»