IX

 

 

 

 

 

 

 

«Stai fermo, maledetto… non rendere le cose più difficili…»

Lo scoiattolo tremava come un appestato e gli mordicchiava le dita nel disperato tentativo di salvarsi. Mordraud avrebbe voluto evitare, più per suo fratello che per sé. A Gwern gli scoiattoli piacevano da morire, e se avesse saputo che la cena di quella sera sarebbe stata proprio uno di quei batuffoli di pelo marrone, si sarebbe rifiutato di mangiare. Cosa che non poteva permettersi assolutamente di fare.

Mordraud aveva sbagliato tutti i conti. Fidandosi solo del suo senso dell’orientamento, aveva tagliato attraverso i boschi nella speranza di raggiungere Eld nel minor tempo possibile, evitando i sentieri e i villaggi. Non poteva sapere di preciso dove si stavano svolgendo gli scontri fra Cambria e i ribelli, e neppure quali fossero i villaggi amici e quelli ostili. Sapeva di essere in territorio di conflitto, ma non aveva idea di quanto fossero realmente al sicuro. Sempre che esistessero veramente posti amici per lui e suo fratello. Dai resti della loro casa aveva raccattato qualche coperta, vestiti di ricambio per due, un acciarino, alcuni coltelli e un pentolino di rame, oltre ai pochi soldi che era riuscito a trovare. “Quel bastardo se lì è bevuti tutti” pensò mordendosi rabbiosamente le labbra.

«Hai capito o no?! Stai fermo!»

Mordraud razzolò con la mano libera nel fondo della sacca alla ricerca di un’arma adatta. Il temperino che portava in tasca era troppo piccolo e spuntato per uccidere quella bestiola. Almeno senza farle troppo male.

«Fosse per me, ti avrei già squartato con un sasso…» sussurrò alla palla di pelo. «Lo faccio solo per Gwern. Hai capito?»

Non era vero. Anche a lui gli scoiattoli piacevano, e aveva il voltastomaco all’idea di ammazzarne uno, ma Gwern non poteva più mangiare soltanto qualche frutto selvatico e un pugno di patate rinsecchite e mosce. Quello che gli serviva era un bel pezzo di carne fresca scottato sul fuoco.

«Tu non sei di certo grosso… due o tre morsi in tutto… magari non basti neppure.»

Mordraud era sicuro che lo scoiattolo lo stesse guardando dritto negli occhi, implorandogli pietà. Sentiva il suo minuscolo cuore battergli fuori controllo dentro il pugno chiuso. Due o tre morsi in tutto. Un mucchietto inutile di pelle e ossa.

«Bah, levati di mezzo. Essere inutile che non sei altro.»

Appena la sua mano si aprì l’animaletto schizzò via, sparendo nel tronco alle sue spalle. Mordraud si alzò imprecando e aggiunse qualche rametto secco al fuoco che aveva acceso per tenere Gwern al caldo. Suo fratello dormiva vicino ai resti dei ciocchi bruciati, muovendosi tormentato sotto la coperta pesante. Era una sera fresca, non abbastanza da dover accendere il focolare, ma Gwern aveva sempre freddo. Un gelo che saliva dalle ossa e dai nervi.

“Che idiota che sono… e adesso? Cosa gli do da mangiare?” pensò guardandosi smarrito intorno. “Mi dispiace, ho cambiato idea… non avertene a male…”

Mordraud scrutò fra i rami e saltò aggrappandosi a quello più basso. Era stato un suo passatempo da bambino, scalare tutti gli alberi che gli capitavano a tiro e guardare tutto dall’alto.

“Tanto ho visto che andavi di qua… sono uno specialista nella caccia allo scoiattolo.”

Mordraud salì ancora più in alto, avanzando sospeso sulle mani fin quasi a raggiungere la chioma del grosso castagno selvatico lì vicino. Per un istante vide la coda pelosa della sua preda spuntare da dietro il tronco, e accelerò per trovare un punto in cui saltare a cavalcioni sul ramo.

“Ci sono quasi…”

Sentì di aver sfiorato qualcosa con le dita aggrappate al legno. Si tirò su per vedere. Era un nido di chissà quale uccello, con quattro grosse uova marroni avviluppate nella paglia secca. Mordraud ci pensò finché le dita non gli fecero male. Con la coda dell’occhio si accorse che lo scoiattolo lo stava fissando da un ramo più alto, pronto a fuggire di nuovo.

“La mamma diceva sempre che se non c’era la carne, le uova andavano più che bene…”

 

***

 

Finalmente il pentolino di rame era pieno. Con la punta di un coltello Mordraud sbatté le uova aspettandosi di trovare un pulcino, ma la fortuna era dalla sua parte. Grottesco da dire, pensò ridacchiando. Le ultime patate mosce tagliate a dadini e abbrustolite completarono la ricetta.

«Gwern, svegliati… devi mangiare qualcosa, non ti fa bene dormire sempre» bisbigliò Mordraud scuotendo lentamente il fratello. « È pronto.»

«Mh… cosa c’è per cena? Patate?» chiese debolmente Gwern.

«No, molto meglio!»

Gwern si mise a sedere e si stiracchiò le braccia dietro la schiena. Era magro come uno spettro, e molto più pallido.

«L’odore sembra buono…»

«Certo che è buono, e non hai ancora sentito il sapore!» esclamò Mordraud tutto pimpante. «Queste sono le Patate alla Mordraud! Non c’è paragone con le solite patate!»

«Patate alla Mordraud?!»

Annusando profondamente come un cuoco di fronte a una zuppa prelibata, Mordraud rimescolò per l’ultima volta la sua creazione e allungò il pentolino al fratello, tenendone per sé solo una cucchiaiata. Gwern si stropicciò gli occhi e con la punta del coltello assaggiò il pastone.

«Proprio buono! Bravo fratello!» disse lui annuendo con grande convinzione. «Perché non mi hai mai detto di avere una ricetta tutta tua?»

Mordraud guardò soddisfatto Gwern mangiare di gusto le sue uova, e assaggiò la scodellata che aveva tenuto per sé.

Faceva schifo. Incredibilmente schifo.

«Beh… era un segreto…» rispose Mordraud deglutendo a fatica «e forse era meglio se restava un segreto…»

«Ma che dici?! Sono ottime. Grazie, fratello.»

Gwern non avrebbe mai ammesso che quella poltiglia era immangiabile. L’aveva fatta lui. E non sapeva neppure che uno scoiattolo, quella notte, sarebbe tornato vivo a casa.

«Di niente, Gwern.»

Mordraud lo lasciò mangiare in pace, e approfittò del momento per raccogliere altra legna fra i rametti caduti dal castagno che li accoglieva sotto le sue fronde.

«Quanto manca, secondo te?»

«Poco, pochissimo. Magari già domani vedremo Eld e le sue mura… alla peggio fra due giorni.»

Era la stessa cosa che aveva detto il giorno prima. E forse anche quello più indietro.

«Che bello! Non vedo l’ora di arrivare! Ci pensi, Mordraud? Un castello… vero!»

«Già… un vero, grosso e inespugnabile castello…» rispose lui cercando di non mostrare l’ansia che provava. Un grande castello. Grandi pericoli. E una grande guerra.

Un colpo di tosse interruppe la loro conversazione. Gwern aveva appena finito di mangiare quando sopraggiunse uno dei suoi attacchi. Mordraud prese una coperta e lo afferrò prima che cadesse all’indietro, rischiando di sbattere la testa contro il suolo duro e spoglio. Le crisi erano diventate talmente improvvise e devastanti che non poteva distrarsi neppure un momento.

«Manca poco. Pochissimo» sussurrò al fratello tremante. «Magari già domani…»

 

***

 

La mattina non portò con sé alcun castello, così anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Mordraud aumentò il passo orientandosi con il sole e i profili dei monti, risvegliando controvoglia le storie di suo padre su Eld e sulla resistenza dei ribelli all’impero.

«Il castello è oltre il castagneto, dopo una valle stretta fra un nugolo di colline basse e brulle, dove i pastori della zona portano le pecore al pascolo» gli aveva detto in una rara occasione in cui gli aveva rivolto la parola. Era ancora l’epoca in cui Varno aveva mostrato qualche interesse per lui, e ogni tanto gli aveva parlato della fatica e dei pericoli della vita di un mercenario. Anni così lontani che non sentiva più neppure suoi, immagini sbiadite e irreali.

«Ecco le colline, le vedi? Laggiù Gwern…»

Mordraud le indicò al fratello che ciondolava aggrappato alle sue spalle. Erano già passati dieci giorni da quando erano partiti dalla loro vecchia casa, e Gwern ormai non era più in grado di tenere il passo. Le strade collinari lo avevano sfiancato.

«Sì, ci sono anche le pecore… come mi avevi detto…» rispose lui con voce flebile. Si era addormentato di nuovo, ma a Mordraud quel sonno piaceva ben poco. Gwern sembrava svenire di continuo, senza riposare mai. Era questione di giorni. Doveva sbrigarsi a tutti i costi.

La vallata era una lingua di terra lunga e stretta che si scioglieva fra i morbidi pendii delle colline, ricoperta di campi coltivati e di piccoli gruppi di fattorie. Mordraud tirò un sospiro di sollievo. La guerra non era ancora giunta fin lì, lasciando la gente della valle libera di vivere in un fragile limbo di serenità. Affrontare le colline gli avrebbe permesso di accorciare di molto la strada verso Eld, evitando allo stesso tempo la via principale, costellata di carri carichi e di viandanti. Quando sopraggiunse la sera, i due fratelli si accamparono ai lati della strada, oltre il fosso che costeggiava un campo di granturco, e dormirono senza accendere il fuoco. La notte era buia e senza luna. Gwern si agitò molto, mugolava di sentire un gran freddo salire dal terreno secco e duro su cui si erano sdraiati, e neppure tutte le coperte che avevano portato con loro sembravano sufficienti a dargli un po’ di tepore.

Quando l’alba spuntò oltre le colline, Gwern aveva la fronte in fiamme.

«Maledizione, non ci voleva…» imprecò Mordraud tastando il volto arrossato e contratto del fratello. «E adesso? Come faccio a portarti oltre le colline?»

«Andiamo lo stesso, mi basta riposare qualche ora… poi possiamo partire…» mormorò Gwern cercando di sembrare convincente. I suoi occhi dicevano l’esatto contrario. In quelle condizioni non poteva restare in mezzo a un campo, o sarebbe morto prima di sera.

«No, dobbiamo chiedere aiuto a qualcuno. Dannazione, non volevo farlo…»

Mordraud dovette abbandonare tutti i suoi propositi. Sin dal primo giorno aveva evitato ogni possibile contatto con altri uomini, spinto dalla paura di cadere nelle mani sbagliate. Per un ragazzino e un bambino malandato era pericoloso andare a spasso da soli nelle terre contese dalla guerra, o almeno così credeva Mordraud. La verità era che lui non si fidava di nessuno. Se non di se stesso.

«Vieni, proviamo in quella fattoria. Magari ci lasciano dormire nel fienile, e con qualche moneta potrei farmi vendere una fetta di carne fresca…» disse mentre si caricava in schiena il fratello. La tenuta agricola era poco distante. Quando la raggiunsero, Mordraud vide che l’aia era animata da un piccolo mercatino.

«È pieno di gente! Aspetta Gwern… magari potremmo tentare alla prossima…»

«Fratello, mi dispiace.»

Mordraud capì senza bisogno di sentire altro. Gwern non lo avrebbe mai contestato, e lo avrebbe seguito ovunque lui avesse deciso di andare. Quelle scuse significavano molto di più. Gwern sentiva di essere ormai giunto in fondo.

«Va bene, tentiamo.»

Tre carrozze e diversi cavalli sciolti aspettavano i loro padroni, impegnati negli acquisti con i proprietari dei raccolti. Su alcuni lunghi tavoli coperti con bianche tovaglie decorate di rosso, erano disposte le grandi cassette di legno cariche di cibo fresco. Verdure, frutta di stagione, salumi e insaccati imperlati di pepe. Un paio di uomini stavano bevendo vino vicino a una grossa damigiana di vetro scuro avvolta nella paglia. Le donne invece tastavano e annusavano i prodotti, discutendo animatamente con i contadini a caccia del miglior prezzo. Mordraud non sapeva cosa fare. Gwern pendeva dalle sue spalle in malo modo, e il suo respiro raschiante gli bruciava la faccia. Era un’occasione speciale. In tutta la sua vita Mordraud non aveva mai visto così tante persone assiepate intorno a lui.

«Ehi piccolo, tutto a posto?»

Un uomo barbuto e grasso gli fece cenno di avvicinarsi al suo banco. Vendeva prosciutti stagionati e pancetta affumicata. Il suo grembiule bianco era imbrattato in modo osceno da strati di sangue vecchio. Mordraud non era più un ragazzino, aveva diciassette anni ormai, ma il suo corpo ne dimostrava cinque o sei in meno. Non gli piaceva affatto essere trattato come un bambino. Ma non era il momento per prendersela a male.

«Mio fratello… non sta bene» rispose schiarendosi la gola. Gwern divenne ad un tratto insopportabilmente pesante.

«Cos’è successo? La tua mamma è qui per fare la spesa?» continuò lui. Stava spaccando le ultime ossa per il brodo. Usava un coltello piuttosto inquietante.

Mordraud si guardò intorno, chiedendosi se fosse il caso di fingere.

«No, siamo da soli…»

«Fammi vedere» disse il macellaio chinandosi al suo fianco. Con la mano sporca di grasso di maiale gli tastò la fronte, e senza alcuno sforzo lo sollevò dalle sue spalle per guardarlo meglio. Gwern si sentì improvvisamente molto peggio, e sbiancò in faccia. L’uomo si tirò indietro appena in tempo. Un fiotto di vomito gli sfiorò il petto.

«Per gli Dei! Cos’ha mangiato questo bambino?!»

Mordraud ripensò alla cena del giorno prima. Aveva finito le sue scorte, e non aveva trovato di meglio che un pugno di funghi mosci ma familiari. Sua madre li aveva cucinati spesso per loro due.

«Funghi. Di quelli bianchi e grigi, con il cappello largo.»

«E tu?! Li hai mangiati anche tu?» gli urlò in modo sgarbato. Tutti i presenti si erano zittiti e si erano voltati per vedere la scena.

«No… li ho lasciati a lui, erano troppo pochi per due persone…»

«Scommetto che questa è una intossicazione! LAROIS!» urlò il macellaio. «Dove sei?! LAROIS!»

«Cosa c’è Brenno? Che succede?!» chiese un contadino che si era avvicinato a loro con in mano una tazza di legno colma di vino. «Chi sono questi due marmocchi?»

«E che ne so?! Me li sono trovati davanti, il piccolo è mezzo morto!» rispose il macellaio che doveva chiamarsi Brenno.

«Sta così male?» mugugnò disperato Mordraud, maledicendosi per quell’idea disgraziata dei funghi.

«Male?! Se non gli danno qualcosa, ci lascia la pelle prima di sera!»

Mordraud barcollò stordito. Fra la piccola folla che si era creata intorno a loro sbucò una donna di mezza età, bassa e tozza, con la faccia a fuoco per un paio di bicchieri di troppo. Aveva i capelli arruffati come stoppa grigia.

«Arrivo Brenno, che hai da urlare come un pazzo?» esclamò con apprensione. «E chi sono questi due bambini? Sono i figli di qualche contadino? Non li ho mai visti prima.»

«Non lo so, non lo so!» ripeté l’uomo scuotendo come un sacco Gwern. «Piuttosto, guarda qua! Il piccolo sta davvero male!»

«E cosa ha fatto? Mettilo giù, razza di bestia che non sei altro!» esclamò la donna, prendendo subito Gwern in braccio. Con dita agili ed esperte gli toccò la fronte e il collo, sollevò una palpebra e gli tastò la pancia.

«È gonfia e brontola. Cos’ha mangiato?»

«Funghi. Forse il Cappello del Matto» rispose il macellaio.

«Oh, no! Ci vuole dell’acqua calda, del finocchio selvatico e un pugno di semi di lino… vai, datti una mossa!»

Tutti gli uomini e le donne del piccolo mercato improvvisato si attivarono per soddisfare le richieste della donna. Mordraud aspettava in silenzio vicino al fratello agonizzante. Ciondolava incapace di capire e rispondere alle domande che Larois gli rivolgeva.

«Da dove venite? Dove sono i vostri genitori?»

«Siete profughi? Vi hanno attaccato sulla via Nord?»

«Figliolo, rispondimi! Tuo fratello soffre di qualche brutta malattia?»

Mordraud riusciva solo ad annuire, troppo disperato per poter ragionare e inventarsi qualche scusa plausibile. Non poteva certo dire che sua madre era una Aelian, suo padre era morto, e che lo Sconosciuto aveva preso il suo posto.

«Per gli Dei, non vedi che tuo fratello sta male? Avanti, svegliati!» gli urlò in faccia la donna prendendolo a schiaffi con abbastanza forza da farlo dondolare. «Da cosa scappavate? Dove stavate andando?»

«Andiamo… andiamo a Eld» balbettò Mordraud, fissandola con occhi vacui. Gli tremava in modo pietoso il braccio sinistro.

«C’è qualcuno laggiù che vi aspetta?»

«No, siamo… siamo…»

Arrivarono i primi ingredienti, e subito Larois prese ad amalgamare i semi di lino nell’acqua bollente, mescolandoli direttamente con la mano. La sua pelle era rossa, resistente come il cuoio vecchio.

«Siete soli?»

«Sì.»

Gwern gemeva e si contorceva come se qualcuno stesse rimestando nelle sue budella con una lama. Larois lo spogliò per raggiungere il ventre, stese un velo di semi caldi strizzati e maciullati, e con l’acqua rimasta spappolò il finocchio fra le dita. Mordraud si perse il resto. Si muoveva troppo velocemente per i suoi occhi dispersi. Larois ottenne una pasta puzzolente, che gli spalmò dentro le narici e sulla lingua.

«Anche mio figlio una volta ha rischiato di morire per un pugno di funghi cresciuti nel posto sbagliato…»

Mordraud riprese a respirare solo quando sentì il suo braccio non tremare più, e vide il volto di Gwern rilassarsi. Il rimedio della vecchia signora sembrava funzionare.

«Ora Sta bene?!»

«Per ora sì, ma c’è bisogno di un paio di decotti che conosco, per esserne sicuri. Ora li preparo, dovrei avere qualcosa sul carretto.»

«Ma… davvero poteva morire?»

Larois strofinò con poca grazia la mano sulla spalla di Mordraud, una via di mezzo fra una carezza e una strofinata a un cane. «No, di solito si passano giorni sulla latrina, ma non si muore. La prossima volta stai attento, il Cappello del Matto è molto simile al fungo di prato. Però tuo fratello sembra proprio debole. È malato?»

«No, cioè… sì… ma da quando è nato» rispose Mordraud sopportando con la pelle d’oca il contatto di quella mano sconosciuta. « È sempre stato molto debole.»

«E perché tu lo stai portando in giro per i boschi? Non avete una casa?»

«No» esclamò d’impeto. «Non più, ormai.»

«Capisco…» mormorò la donna. «E tu volevi raggiungere Eld, ho capito bene? Perché?»

Il macellaio che aveva soccorso per primo Gwern imprecò con una sfilza di bestemmie mostruosamente plausibili.

«Orfani di guerra, è sempre la stessa storia! Maledetta Cambria, sono tutti dei cani bastardi!»

«Speravo di trovare un lavoro al feudo, ho un corpo robusto, e sono pronto a fare qualsiasi cosa…» rispose Mordraud cercando di farsi sentire dalla donna sopra la cascata di invettive di Brenno.

«Allora vi accompagno io a Eld. Abito là, e ho un carro. Magari… forse un lavoro si può trovare. Sei pronto a tutto?»

Mordraud si raddrizzò e cercò di sembrare sicuro di sé. La signora rise e annuì convinta. Negli occhi, una luce di affetto involontario.

«Sì…» esclamò ridacchiando Larois. «Penso che tu possa essere d’aiuto, al feudo e ai ribelli.»

Mordraud urlò di gioia dentro di sé. Forse stava passando oltre il crinale. Era già sulla strada per Eld e il suo esercito. E con la guerra sarebbero arrivati i soldi, il rispetto, e tante, tante occasioni per sfogare la sua rabbia.

Il fremito al braccio ebbe un ultimo sussulto poco rassicurante, e si placò del tutto.

 

***

 

Viaggiare in carro era divertente. Le ruote filavano cigolando sulla strada sterrata, i barili scricchiolavano ondeggiando nella cassa scoperta. Gwern stava decisamente meglio dopo l’intervento di Larois, forse addirittura meglio di prima della crisi. Il suo sonno era tornato regolare e pesante, tanto che Mordraud arrivò a invidiarlo. Erano anni che lui soffriva di insonnia, un malessere strisciante che non gli dava mai tregua, neppure quando era stanco morto. La valle scivolò via alle loro spalle. La strada ritornò a puntare verso Sud. Di notte dormivano dentro il carro scoperto, nascondendosi nella prima macchia di alberi che incontravano.

«Quanto manca?»

«Non molto, forse prima di sera vedremo le mura.»

«Siamo così vicini?!» esclamò Mordraud stupito. Era seduto a fianco di Larois mentre Gwern dormiva sopra un sacco di cipolle alle loro spalle. Erano a metà del terzo giorno di viaggio. «Pensavo che la valle fosse più lontana… sembra che qui la guerra non esista.»

«E secondo te perché?»

La domanda lo spiazzò completamente. In realtà, sulla guerra sapeva solo ciò che suo padre gli aveva raccontato, quando ancora avevano un rapporto. Cariche di cavalleria, selve di lance e spade che si incrociavano, nubi assassine di frecce. Ma nulla su cosa accadesse alla gente comune.

«Forse Cambria si concentra in altre zone… oppure non è interessata a questa minuscola valle mezza disabitata.»

«Si vede che sei nato nei boschi, figliolo» ridacchiò Larois amaramente «è grazie a Eldain che l’impero non è ancora riuscito a mettere le mani su questa minuscola valle, come la chiami tu. Gli scontri a Ovest di qui sono fra i più violenti del fronte.»

«E perché?! Che senso ha?»

«Ma che domande fai? Pure una donna come me si intende di certe cose!»

Mordraud arrossì, ma non mollò la presa. Da qualche parte doveva pur iniziare a imparare.

«Se l’esercito imperiale riuscisse a penetrare attraverso la valle, sarebbe protetto a Nord e Sud dalle colline. In breve tempo riuscirebbe ad attaccare i feudi alle spalle di Eld, i membri della confederazione ribelle. Sarebbe la fine, immediata e senza speranza!»

«Giusto, non ci avevo pensato…» mormorò eccitato da quel ragionamento strategico. «Quindi la valle è fondamentale per Eld, come tutte le altre barriere naturali del territorio! Ma certo, che stupido a non arrivarci da solo…»

«Non dovresti parlare così della guerra. È un argomento molto brutto per un bambino.»

«Così… come?!»

«Tu sorridi mentre pensi a difese naturali, barriere, strategie… muoiono un mucchio di persone innocenti per attuare quei piani, lo sai questo?» sbottò Larois scuotendo la testa con disappunto. «Sembri mio figlio, quando sentiva parlare di guerrieri e di battaglie…»

«Avete un figlio?»

«Ce l’avevo.»

«E cos’è successo?» chiese Mordraud senza soffermarsi a riflettere.

«È morto in guerra.»

«Ah…» fu l’unica cosa che riuscì a dire.

«Ha voluto seguire suo padre in battaglia, quando Eldain richiamò tutti gli uomini dei feudi per difendere un confine che si stava sfaldando. Proprio qui a Ovest, pensa. Ormai saranno passati dieci anni. Era poco più grande di te, gli stava largo anche l’elmo, gli traballava in testa come una scodella per il minestrone…»

«E il padre?» chiese Mordraud.

«Morto anche lui.»

«Miseria, mi dispiace…»

«E di cosa?!» sbottò Larois.

«Ma… ecco…»

«Se l’è cercata, quello stupido di Nardic. Almeno è morto prima di veder cadere anche il mio piccolo Nardo… pensa, avevo anche accettato quella sua stupida fissazione per il nome… voleva a tutti i costi il nome di suo figlio portasse impressa la radice della sua famiglia, come i nobili, come Eldain! Che stupido idiota.»

«Ma non era… tuo marito?!» chiese stupefatto Mordraud.

«Sì, ma era anche un idiota. Nardo lo seguiva come un idolo. E così sono morti insieme.»

«Qui vicino?»

«Sì, per difendere l’accesso alla valle. Almeno ce l’hanno fatta. Maledetta guerra della malora.»

«Ma è giusto che Eldain si opponga a Cambria…»

«Giusto un cavolo! Giusto o sbagliato sono concetti fini, fumosi…» esclamò Larois battendo la mano sull’asse del carro. Gwern si voltò masticando il vuoto.

«Cosa c’è, fratello?»

«Niente, torna a dormire tranquillo. Manca poco ormai. Pochissimo.»

«Che bello…» mormorò lui rigirandosi sul materasso improvvisato.

«Eldain cerca di difendere le nostre terre, dovrei essergli grata… ma faccio molta fatica.»

Mordraud si agitò sulla panca al pensiero che lui invece si sarebbe gettato nella mischia molto volentieri, e il prima possibile. Da bambino aveva disprezzato la guerra, perché era stata la causa della lontananza perenne del padre. Prima però delle bastonate e degli schiaffoni.

Prima di quel maledetto tremore al braccio.

Suo fratello stava facendo carriera dopo averli abbandonati, proprio a Cambria, la città che stava soffocando tutto l’Est in una guerra infinita. Larois aveva ragione? Mordraud scacciò il dubbio senza esitare. Era facile credere nelle semplici convinzioni in cui si era rinchiuso. Per dare sfogo alla rabbia che lo stava logorando, non poteva fare altro che azzannare e graffiare, come una bestia incattivita dal padrone. I colpevoli dovevano morire. Suo padre era stato il primo. Dunwich sarebbe stato il prossimo.

«… ma mi stai a sentire?!»

La voce di Larois lo riportò indietro nella realtà. Mordraud si guardò intorno spaesato, cercando di ricordare dove fosse.

«Ti ho detto che fra poco ci accampiamo. Devo sgranchirmi un po’ la schiena, non ne posso più.»

«Ma che tipo di lavoro avresti da dare a me e mio fratello?»

«Vedrai. Passerai molto tempo con i soldati, e mi par di capire che la cosa non ti dispiaccia.»

Ottimo, pensò Mordraud. Scudiero, stalliere. Più o meno, si disse. Andava bene qualsiasi lavoro in merito.

«Sono impaziente di iniziare!»

«Bene. È lo spirito giusto» rispose Larois «ecco, te l’avevo detto. Prima di sera siamo a casa. Guarda!»

Mordraud seguì il braccio teso di Larois fino a incontrare la sagoma velata della più grande costruzione che lui avesse mai visto. Dieci, cento volte più grande di casa sua, alta fino in cielo, pesava su una collina schiacciandole la punta. La fortezza di Eld. Il cuore dei ribelli contro l’impero di Cambria.

«Fratello, svegliati! Guarda laggiù!»

«Dove?! Ah…» Gwern restò a bocca aperta, ancora mezzo addormentato. «Un castello vero! Non pensavo che fossero così… giganti.»

«Ma dove avete vissuto finora voi due?!» rise Larois piegandosi sulla panca del carretto.

«Quelle sono solo le mura… se già vi sembrano assurde… dovreste vedere Cambria.»

Nessuno dei due ragazzi prestò attenzione a ciò che lei diceva. Persi nella contemplazione, erano caduti in un sogno a occhi aperti.

Il chiasso, i bambini e i giochi per Gwern.

Le possibilità, le ambizioni e la vendetta, per Mordraud.

Mordraud, Libro Primo
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