XVI
«La cena è già in tavola, signora.»
«Non ho fame.»
«Ma signora…»
«Ho detto che NON HO FAME!»
Adrina ritornò sconsolata in cucina e ordinò agli altri domestici di sgombrare la tavola. Quando Deanna era di quell’umore era impossibile farla ragionare, cosa che ormai si ripeteva praticamente ogni giorno.
«Io esco. Se la signora torna giù fatele trovare qualcosa di pronto sopra la stufa.»
Quando Deanna aveva una delle sue crisi, era proprio sul testo della stufa che Mordraud lasciava sempre i piatti che più le piacevano. Qualche volta l’aveva sentita scendere dalla sua camera in piena notte per prendere ciò che lui le aveva tenuto in caldo. Mangiava da sola, in piedi accanto alla stufa mezza spenta, beveva un goccio di vino e se ne tornava a letto. Si era chiesta spesso se quello fosse un solo gioco fra loro due, o se Deanna sentisse soltanto il bisogno di ricevere un po’ di attenzioni.
“Da quando lui è andato via non c’è verso di tranquillizzarla… ah, Adraman… non avresti dovuto accoglierlo nella tua casa.”
Mordraud era un bravo ragazzo, e soprattutto sembrava l’unico in grado di sopportare Deanna. Anche lei, che di pazienza ne aveva da vendere, avrebbe dato spesso e volentieri un ceffone a quella bambina viziata. Ma non era sua figlia, purtroppo. Però, per quanto Mordraud si fosse dimostrato utile, era sbocciato così in fretta da sorprendere tutti. Avrebbero dovuto mandarlo via prima che potesse creare dei danni, pensò.
“Sono cose da nobili, e io sono solo una cuoca” si disse mentre attraversava il feudo sotto una leggera pioggia autunnale. Faceva molto freddo, più del solito. Mancavano pochi giorni alla notte dei Fuochi. Adrina aveva già dato le dovute disposizioni per far trovare al padrone la casa pronta, convinta che sarebbe tornato come sempre. Erano secoli che la notte dei Fuochi veniva rispettata.
«Larois? Ci sei?»
La vecchia locandiera aprì la porta, e con un sorriso le fece segno di entrare. «Che piacere vederti! Ho finito di cenare da poco. Hai già mangiato, Adrina? Vuoi qualcosa?»
«No grazie. Sono passata solo per vedere come stavi.»
«Siediti, ti preparo una tisana.»
Larois non era molto in forma. Avevano la stessa età, ma sulla sua amica gli anni si vedevano tutti. La vita in taverna era ben più dura che la sua, in una bella casa senza spifferi.
«Come sta Gwern? Ti da una mano al lavoro?»
«Oh, è proprio un bravo ragazzo… si preoccupa sempre per me, e mi sbriga tutte quelle faccende in giro per il feudo che ormai io non riesco più a fare. A volte sta male, ha quelle brutte crisi… non riesco proprio a capire che malattia possa essere!»
Larois si chiese se fosse il caso di confidare a Adrina la verità su Gwern. Magari, pensò, i malori che lo tormentavano erano dovuti al sangue Aelian. Poteva essere quello il motivo per cui nessuno sapeva cosa fosse a causarli. Una malattia di un popolo diverso dal suo. Lasciò perdere, voleva proteggerlo dalle malelingue e dal pregiudizio della gente. Anche se Gwern le aveva mentito, lei non percepiva la sua discendenza Aelian come una minaccia. In fondo, non le interessava. Era il suo bambino, l’avrebbe amato comunque. Il suo passato, come quello di suo fratello, non le apparteneva. Poteva tranquillamente continuare a vivere con Gwern, a godersi la sua presenza, senza tormentarsi troppo.
Aelian o umani, che differenza poteva mai fare, si disse con una scrollata di spalle. Se Gwern era una persona tanto deliziosa, gli Aelian non dovevano poi essere malaccio.
Adrina accettò la tazza rovente e prese a sorseggiarla piano, gustandosi il composto di erbe preparato da Larois. «Amara e cattiva come piace a noi vecchi.»
«Ma fa un gran bene. Vedrai che le tue ossa mi ringrazieranno» rispose lei sedendosi al suo fianco.
Parlarono del più e del meno, delle tresche di una moglie di mezza età piuttosto conosciuta, o dei nuovi vitellini del macellaio che crescevano sani e forti. Erano amiche da troppo tempo per ricordarselo. Si conoscevano da una vita, sin da quando erano ragazze in attesa di un marito. Per loro non c’era niente di più bello di una tisana e quattro chiacchiere notturne.
«Come sta Deanna?»
«Non molto bene. Sono preoccupata, Larois.»
«Quella ragazza è sempre stata un po’ inquieta…»
«Inquieta?! Vorrai dire matta…» borbottò Adrina con una punta acida nella voce.
«Non dirlo neppure…» Larois batté la tazza sul tavolo e la ammonì con un dito «è ancora giovane, vedrai che prima o poi capirà la fortuna che le è capitata.»
«Quale fortuna?! Un marito in guerra? E questa sarebbe fortuna?»
«Non è ancora vedova, come la maggior parte delle donne di questa regione. Come me e te. Anche tu hai perso qualcuno in guerra, o sbaglio?!»
«Come tutti…» sospirò Adrina.
«Adraman è un capitano, corre molti meno rischi di tutti gli altri. Infatti dopo tanti anni è ancora vivo e può tornare a casa, non come i nostri mariti. E poi è un brav’uomo, e le vuole un gran bene.»
«Magari lei avrebbe voluto qualcun altro a fianco…»
Larois si alzò di scatto e riempì nervosamente la sua tazza e quella dell’amica. «Stai insinuando qualcosa?»
«No, nulla…»
«Guarda che le orecchie ce le ho ancora buone! Ho sentito cosa dicono le donne al mercato. Mordraud di qua, Mordraud di là…»
«Non volevo dire questo…» rispose Adrina scuotendo la testa.
«Ma lo pensi, non è vero?! E sono stata io a mettervi in casa quel ragazzo… ma sappi che non potevo immaginare…»
Larois si bloccò, ma Adrina era troppo curiosa di sapere cosa stesse per dire.
«Che cosa non potevi immaginare?!»
«Ecco… che sarebbe stato un problema per tutti… nient’altro»
«Larois…»
Adrina la chiamò bisbigliando, e lei si voltò verso la porta. Gwern era entrato senza che loro se ne fossero accorte. Ciondolava in piedi con gli occhi mezzi chiusi.
«Stai bene, Gwern?»
Il ragazzo non rispose, continuando semplicemente a dondolare la testa avanti e indietro. Larois si avvicinò e gli prese le spalle, ma lui stava guardando altrove.
«Sembra ancora addormentato» mormorò Adrina. «Gli capita spesso?»
«No, o almeno credo… Gwern, mi senti? Va tutto bene?»
«Piove sangue dal cielo» sibilò lui. Un filo di voce piatta, insensibile. «L’ho visto.»
«Piccolo mio, è normale… fra qualche giorno è la notte dei Fuochi, ti ricordi l’anno scorso? L’abbiamo guardata insieme e…»
«Piove sangue di uomini. Ero lì, l’ho visto.»
«Non hai visto niente di brutto… era solo un sogno, ora vieni che torniamo a letto.»
«Ho visto mio fratello ferito da una lancia.»
«Ora basta, Gwern! SVEGLIATI!» gridò Larois scuotendolo fino a fargli tremare i denti. I suoi occhi però restarono mezzi chiusi, lontani da quella stanza.
«Si vede solo sangue, in cielo e in terra… e lance ovunque che brillano…»
Larois gli mollò uno schiaffo. Le ginocchia di Gwern tremarono e cedettero di schianto. Lei lo afferrò prima che cadesse, ormai sveglio e spaventato a morte.
«Dove sono? Cos’è successo?!»
«Nulla figliolo, ti eri addormentato qui con noi… ora fila a letto che è tardi.»
«Mi fa male la faccia…» balbettò strofinandosi la guancia arrossata «non mi ricordo niente…»
«Eri troppo stanco, e ti sei addormentato con la testa sul tavolo. Ora vai, forza!»
Gwern se ne andò malfermo e si chiuse la porta alle spalle dopo aver salutato Adrina. Larois tornò a sedersi sospirando preoccupata. Le due amiche si guardarono per lunghi momenti imbarazzati, senza trovare le parole.
«Il sogno di un bambino, tutto qua…» esclamò Adrina interrompendo il silenzio.
«Già.»
«Si è fatto tardi, forse è ora che…»
«Hai ragione.»
Adrina ripose la sua tazza e uscì senza salutare. Larois restò ancora a lungo seduta al tavolo della cucina, tormentandosi le mani.
«La notte dei Fuochi è vicina» mormorò, ricacciando un pugno di lacrime in gola.
***
«PRONTI?!»
Il primo capitano gridò il nome del proprio battaglione. Altri lo imitarono, uno dopo l’altro. I soldati risposero con uno spaventoso boato. Migliaia di uomini erano schierati alle sue spalle. Al suo fianco, i mantelli neri delle Lance Imperiali garrivano al vento del mattino. Le grida divennero una marea che montava e spumava infuriata. Asaeld era un Dio della guerra, in testa al più grosso esercito che Dunwich avesse mai visto o sognato. Migliaia di arcieri, un oceano di fanti, i cavalieri ai lati pronti a partire. E poi loro, il giudizio di Cambria, le mitiche Lance.
«AVANZARE!»
Una tempesta di piedi di ferro si mosse nello stesso istante. La terra vibrò sotto il loro peso. Dunwich inspirò profondamente e sentì il bisogno di urlare al cielo. Si sentiva grande, partecipe e fautore della storia. Quasi poteva sentire il mondo stretto fra le sue mani. Non aveva mai avuto tanta paura, e la cosa lo eccitava in modo viscerale.
L’impero era in marcia per mettere la parola fine a una storia tirata ormai troppo per le lunghe.
***
Mordraud era in piedi sul Terrapieno. Stava sferzando con la spada l’aria nera venata di rosso. Piccole scintille piovevano dal cielo senza bruciare, giocando intorno alla lama come lucciole deformi. In alto, sopra tutto e tutti, danzava la vela cremisi che aveva trasformato la volta celeste in una cupola di fiamme. Il silenzio perfetto era rotto solo dal suo respiro. Tutti gli animali della regione sembravano svaniti, nascosti nelle loro tane per sfuggire alla tinta sanguigna di quella notte.
La notte dei Fuochi.
Era da solo sul Terrapieno. Tutti i soldati erano radunati intorno ai falò accesi fra le tende del campo, intenti a bruciare legnetti incisi nelle svariate forme dei sogni e dei desideri. Ogni forma sembrava dipinta con le infinite sfumature del rosso. L’acciaio delle spade era arroventato come se fosse stato appena forgiato. L’aria era fredda e senza un alito di vento. Mordraud ripercorse le volte in cui aveva osservato la notte rossa da casa sua, insieme a sua madre e a Gwern. Si poteva scorgere in lontananza, appena una bava cremisi stesa sull’orizzonte ammantato dalla notte. Erano stati bei momenti. Ma vista da dentro, schiacciato sotto il cielo imbevuto di sangue, la notte dei Fuochi era tutta un’altra cosa. Un’esperienza tremenda, magniloquente.
All’improvviso, Mordraud colse qualcosa all’orizzonte. Forse gli zoccoli di un cavallo, oppure un grido smorzato. Difficile dirlo. L’atmosfera era irreale, ovattata. Si fermò di colpo, abbassò la spada e tese l’orecchio nel vuoto. Ancora quel suono. Mordraud si accorse che la sua mano sinistra aveva preso a tremare. Strinse le dita con più forza intorno all’elsa, ma il brivido risalì lungo il braccio e gli raggiunse il petto.
«Ma cosa…»
Il rumore divenne un ritmo. Il ritmo si plasmò in un corpo.
Un cavallo con la bava alla bocca stava correndo all’impazzata verso il Terrapieno. Sulla sua schiena era riverso un uomo, uno degli esploratori di fiducia di Adraman. Mordraud raggiunse una passerella e scivolò faticosamente giù dalla barriera. Afferrò le briglie sciolte della povera bestia sfiancata. Il soldato era svenuto per la stanchezza, e aveva le labbra spaccate dalla sete.
«Cos’è successo?! Stai bene?»
«Cambria…»
Mordraud sentì tutto il sangue defluirgli fuori dal corpo.
«Cosa ha fatto Cambria?! Adraman è al sicuro? RISPONDIMI!»
«Stanno arrivando, un’ora… forse meno… il comandante ha saputo… tardi… arriverà, ma non in tempo… ti prego, un sorso d’acqua…»
Mordraud lo aiutò a bere dal suo piccolo otre, e il soldato tracannò avidamente fino all’ultima goccia. «Non dormo, non mangio… non piscio da quattro giorni… ma li ho superati! Li ho superati!»
La sua voce era pericolosamente vicina alla follia. Mordraud gettò via la borraccia e saltò sul cavallo. Poco distante era distesa la passerella con cui i cavalieri potevano salire e scendere dal Terrapieno. La imboccò alla massima velocità, rischiando anche di volare di sotto. Ma non c’era tempo.
Il nemico era alle porte.
«L’IMPERO! L’IMPERO!» urlò con tutto il fiato che aveva, battendo l’elsa della spada contro l’elmo che gli pendeva dalla cintura.
«STA ARRIVANDO L’IMPERO!»
Dalle tende spuntarono le facce arrossate dal vino. Piccole macchie opache della notte dei Fuochi. Le danze e le musiche intorno ai falò si spensero. Mordraud gridò ancora più forte, tagliando al galoppo il campo e picchiando l’acciaio contro l’acciaio.
«L’IMPERO!»
«Mordraud, che succede?!» Gabor afferrò il cavallo fermandolo con una sola mano. «Se è uno scherzo, domani non immagini neppure…»
«Non è un fottuto scherzo! Adraman ha visto l’esercito di Cambria! Stanno arrivando, e lui è tagliato fuori! DOBBIAMO PREPARARCI!»
«Ora calmati, figliolo… e ricomincia. Un bel respiro, forza.» Gabor aveva cambiato completamente tono e sguardo. Non era più l’allenatore dei novizi. Non in quel momento, in quella notte di morte. «Ci vuole sangue freddo. Quanti sono? Quanto sono lontani?»
«Meno di un’ora, signore» rispose il soldato seduto alle spalle di Mordraud. «Mai visto un esercito così vasto, penso quindici, anche venti battaglioni di fanteria… migliaia di cavalieri… e due file di Lance.»
«DUE FILE?!» la voce di Gabor si spense per lo sconforto. «Trecento Lance… no, di più… impossibile…»
«L’ho visto con i miei occhi! Li ho superati nascondendomi nel bosco… procedono a marcia forzata…»
«Mordraud, corri al comando, io inizio a spegnere i falò e raduno gli uomini. AVANTI!» Gabor urlò a tutti i soldati che aveva intorno. «Soffocate i fuochi! Prendete le armi! ALLARME! ALLARME!»
Mordraud lasciò a terra il soldato sfinito e galoppò verso le tende degli ufficiali. Ghiaccio era fuori insieme ad altri capitani, impegnati in una partita a dadi piuttosto accesa. “Siamo tutti ubriachi, maledizione!” pensò rabbioso. Doveva esserci anche Berg, da qualche parte. Molti altri uomini di Eldain erano partiti poche settimane prima per riprendere i loro posti lungo il fronte. Alcuni erano con Adraman.
«Ghiaccio! Ghiaccio!» gridò buttandosi giù da cavallo. Il generale lo guardò strabuzzando gli occhi. Mordraud lasciò perdere ogni formalità e si fiondò ansimando in mezzo al gruppetto.
«Cosa vuoi, soldato? Hai dimenticato le buone maniere?!»
«Cambria sta per attaccare. Il loro esercito sarà qui a momenti.»
Mordraud non si aspettava di ricevere come risposta un coro di risate.
«Non mi credete?! È tutto vero!»
«Avanti ragazzo, lasciaci continuare la partita, e farò finta di non aver visto né sentito nulla. Solo per stanotte, però. È festa per tutti!»
«Non sto scherzando, idiota! Dobbiamo prepararci! Gabor sta già radunando gli uomini!»
Le risate si trasformarono in mugolii soffocati. Ghiaccio divenne persino più pallido del solito. Mordraud si irrigidì terrorizzato. Lo aveva appena chiamato idiota. Si era praticamente impiccato da solo.
«Siamo veramente sotto attacco?!»
«Lo giuro sulla testa di tutti gli Dei!»
Il comandante degli alleati a Est aprì e chiuse la bocca per un momento, guardandosi intorno in preda al panico. Durò poco. Ritrovò istantaneamente la calma. Preso atto che Adraman era lontano, e che lui e Berg erano gli ufficiali di rango più alto, scrollò la testa per liberarsi dal torpore e subito iniziò a sbraitare ordini precisi.
«Voi due, alla cavalleria. Ditegli di prepararsi lungo i lati del Terrapieno. ATTENZIONE ALLE FORESTE, tenteranno di passare anche di lì. Tu, trovami Berg» gridò indicando altri tre soldati. «Voi invece andate nei reparti a piedi, ordinate una doppia linea sul Terrapieno. Preparate le lance. E PORTATE VIA QUELLE FOTTUTE PASSERELLE!»
Mordraud poté tornare a respirare, ma il fremito alla mano crebbe e sfondò la linea del polso. Stava salendo a velocità allarmante. Ghiaccio si congratulò con lui con una pacca sulla spalla.
«Come ti chiami ragazzo?»
«Mordraud, signor Ghiaccio…»
«Va bene Mordraud, ora vai al Terrapieno. Hai fatto un ottimo lavoro. Voglio vederti ancora vivo domani mattina… così posso punirti di persona per come mi hai chiamato.»
«Grazie signor Ghiaccio!»
«E smettila di chiamarmi in quel modo, disgraziato!»
***
«PREPARARSI!»
Pochi passi ancora.
Dunwich sentì la voce di Asaeld vibrargli nello stomaco. La notte era un sasso nero intinto nella pece insanguinata. Nel cielo volteggiava in silenzio la vela rossa. Una pioggia di scintille picchiettava senza suono su un oceano di spalle corazzate. Le Lance si mossero come un solo corpo, spezzandosi in due tronconi. I fanti accelerarono il passo e iniziarono a correre. I cavalieri si raggrupparono in rostri appuntiti.
«PRONTI ALL’IMPATTO!»
Dunwich sguainò la spada. Una selva di canti si alzò dalle Lance al galoppo. Una cupa foresta di risonanze. Dunwich cancellò tutto ciò che non aveva alcuna importanza, e si concentrò solo sulla sua linea di canto. Le altre Lance gli vennero dietro improvvisamente. La pressione delle loro voci in sintonia perfetta si concentrò in una sorta di muro intangibile che tremolava avanzando alla loro stessa velocità. Il suo cuore pompava e spingeva follemente per lanciarsi in un assolo omicida. Il filo della lama gocciolava di fuoco misto a sangue.
«CAMBRIA!»
***
Le rastrelliere vennero prese d’assalto. Centinaia di uomini sciamavano fra le tende del campo alla ricerca di un’arma, preparando le armature, o semplicemente pregando in lacrime. Le attrezzature erano poche e ridotte male. Gli scudi e gli elmi non erano sufficienti, e mancavano anche molte spade. I cavalieri caricarono le bardature sui loro destrieri. Gli scudieri affilavano le punte di lancia con le pietre grigie. I capitani di brigata urlavano a squarciagola ordini e posizioni. Molti ubriachi vennero ficcati nell’acqua gelida e armati alla meno peggio, e prima che potessero capire cosa stesse succedendo si trovavano già a correre verso le prime linee.
Mordraud era assiepato sul Terrapieno insieme ai suoi compagni. La terra all’orizzonte tremava e alzava spirali di polvere rossastra. Il silenzio della notte era svanito, sostituito dai canti e dallo schiocco degli arcieri. Una nube di frecce attraversò l’aurora di sangue. L’esercito dell’alleanza era riuscito a schierarsi, ma nessuno era pronto a quella visione maestosa e letale. La potenza di Cambria era dispiegata su un tappeto incomprensibile di armonie.
«Sono troppi… troppi…» mormorò piangendo uno al suo fianco.
Era Benno. Il grosso mentecatto a cui aveva spaccato il naso.
«Meglio così.»
Mordraud si passò la lingua sulle labbra, giocando con le dita intorno all’elsa. La paura era svanita. Il tremore, svanito. Il tempo si sfilacciò, gli attimi divennero ore, e tutto si fermò. I primi fanti raggiunsero il Terrapieno.
Il coro di Cambria pompava ferocemente bordate di bassi a ritmo serrato, e strilli sovrumani che compivano l’intreccio degli assoli. Ovunque nell’aria sbocciavano lampi di luce azzurra ferma e tremolante. Sembravano sfere di vetro zuccherino. Il passaggio dei solisti le faceva scoppiare in boati cadenzati con il resto dei canti. Bolle d’aria turbinante travolsero gli uomini di Eldain e li scompaginarono scagliandoli nel vuoto. Volavano giù a secchiate dal Terrapieno agitandosi inutilmente nella notte rossa, come pupazzi lanciati da un ponte. Il silenzio tornò per un breve istante, ma le Lance Imperiali non diedero tregua al Terrapieno. L’attacco continuò con un’altra pioggia di risonanze mortali che falcidiò i sopravvissuti alla prima sfoltita. Molti uomini erano accucciati a terra in lacrime, terrorizzati dalle micidiali armonie delle Lance di Cambria. Altri cercavano di zittire i canti dell’impero stringendosi disperatamente la testa fra le mani.
Ma Mordraud non stava piangendo. Le risonanze l’avevano soltanto sfiorato. Stava contemplando rapito la mostruosa potenza del nemico, abbracciandola in uno sguardo dilatato da un’estasi perversa. Fece sua quell’incredibile forza respirando lentamente. Restò immobile di fronte alla muraglia di carne e ferro lanciata alla carica verso di lui, il braccio alzato per coprire gli occhi dai riverberi dei lampi azzurri.
L’aria si gonfiò cavalcando l’urlo dei primi uomini trafitti.
La battaglia era iniziata.
***
L’impatto fu devastante. Un maremoto si infranse contro il Terrapieno. Centinaia di lance ribelli baluginarono nella luce rossa a caccia dei primi pesci spauriti. La fanteria imperiale si riversava contro la muraglia nel disperato tentativo di scalarla, spinta dalle grida dei comandanti e dalla calca. Le Lance avevano scatenato contro la linea di difesa nemica un muro armonico che fece traballare gli uomini in piedi sul Terrapieno. Altri presero a volare via, devastati dalle bolle d’aria in risonanza. Ma i soldati imperiali non riuscirono ad approfittarne. I cadaveri piovevano giù schiacciando chiunque si trovasse sotto. Il sibilo delle frecce si mischiava ai rantoli strozzati dei morenti.
Mordraud prese una delle lunghe lance che i soldati nelle retrovie continuavano incessantemente a passare alla fila del fronte, e la piantò in piena gola a un ragazzo dai capelli biondi, imbottito di cuoio e di stracci. Strappò via l’asta e la spinse giù di nuovo. La punta strisciò sulla spalla di un uomo barbuto che raspava la terra alla ricerca di un appiglio. Provò ancora, ma la sua armatura resistette. Quando la sua testa raggiunse l’altezza dei primi piedi, Mordraud con il tacco lo schiacciò finché non sentì il suono liquido del suo mento che si spaccava. Subito un altro dietro. Alzò ancora la lancia e digrignando i denti la scagliò verso il basso, piantandola nella schiena di uno a caso. Il suo corpo restò appeso al Terrapieno come una bambola di pezza.
Mordraud scoppiò a ridere selvaggiamente. Il braccio non tremava più. Sentiva dentro di sé la forza per sollevare tutto il Terrapieno, per scrollargli di dosso quelle piccole briciole umane.
Benno piangeva e mugolava. Grande e grosso, un picchiatore nato, ma non riusciva a piantare la sua arma perché aveva le mani molli dal terrore. Qualche fante era già riuscito a mettersi in piedi e spingeva contro la fila per lasciare spazio agli altri. Mordraud sguainò la spada e mozzò le mani dell’uomo che stava per squartare Benno. A pugno chiuso gli frantumò la faccia con l’elsa. «SVEGLIATI MERDA!» urlò in faccia al compagno fuori di sé, lo schiaffeggiò fino a fargli sanguinare la bocca. «COMBATTI!»
Non aveva tempo da perdere con i codardi. Altri soldati stavano salendo da tutte le parti. Uno di loro volò giù dopo un calcio ben assestato. Con la spada stretta a due mani aprì l’elmo e il cranio di un ragazzino, che lo guardò fino all’ultimo con gli occhi accecati dal terrore. Qualcuno si era aggrappato alla sua gamba. Mordraud gli afferrò la faccia sfondandogli un occhio con il pollice, torse il polso e gli schiantò l’elsa in mezzo ai denti.
«AVANTI! VENITE SU CANI BASTARDI!»
Mordraud sentì il bisogno di ridere. Ma non era una risata. Era un ululato deforme. La punta di un’alabarda gli sfiorò il ventre. Schivando di lato, strinse la spada e la piantò in mezzo al torace del suo avversario.
«ANCORA!» una testa spaccata come una noce. «ANCORA!» un braccio mozzato che si agitava stringendo un lungo pugnale. «ANCORA!» denti sparsi a terra che scricchiolavano sotto le suole di ferro dei soldati. La terra aveva la stessa tinta cremisi dell’aria e del cielo. Le facce erano diventate tutte uguali.
Lo Sconosciuto. L’uomo senza un braccio che aveva preso il posto di suo padre. Erano una marea. Migliaia di Sconosciuti, come se al mondo non esistesse altro.
«CONTINUATE! NON FERMATEVI!» gridò ai compagni. Intorno a lui, il suo gruppo era ancora integro. Chiunque tentasse di salire a portata del suo braccio, inevitabilmente moriva. Altrove era il delirio. Il nemico era riuscito a salire in più punti sul Terrapieno. La linea si stava sfaldando.
«CON ME! UNO!»
Mordraud falciò una testa a filo del Terrapieno, come per mozzare una spiga in un campo di grano. Benno, galvanizzato dalle sue urla, lo imitò.
«DUE!» qualcun altro si unì al ritmo dei suoi colpi.
«TRE!» dieci spade calarono all’unisono su altrettanti invasori.
«QUATTRO!» altri ripeterono il conto.
«CINQUE!» lungo la linea del fronte le lance si alzavano e abbassavano nel medesimo istante.
«SEI!»
***
Dunwich scartò insieme al suo gruppo di Lance e puntò verso il bosco a ponente del Terrapieno. La muraglia non si interrompeva, scorrendo alla perfezione in mezzo agli alberi. Per la loro fanteria era ancora più difficile farsi largo fra l’intrico di piante appesantiti dalle corazze. L’ordine di Asaeld era chiaro. «Sfondate ai lati. Usate i vostri canti migliori. Liberate spazio per il fronte a piedi.»
«PREPARATE LA TEMPESTA!»
Cinquanta uomini all’unisono intonarono un canto marziale. I bassi sostenevano la carica creando lo slancio per i solisti. Un paio di ragazzi disarmati trascinarono e mollarono di fronte al coro un calderone di brace rovente. Scapparono di corsa mentre i bagliori rossi presero a gonfiarsi a velocità allucinante, sospinti dalla violenza del coro di Lance. I lampi mutarono colore, si condensarono intorno a loro, finché un’esplosione di luce gialla sconvolse gli alberi piegandoli e schiantandone a decine. Una pioggia di fiamme biforcute vorticò di fronte ai cantori, prese slancio cavalcando le loro perfette risonanze, e spazzò il bosco a ridosso del Terrapieno. Quando il fuoco dipanò, i ribelli nascosti dietro gli alberi giacevano in terra ridotti a carboncini fumanti.
«CAVALLERIA! DIFENDETE IL CERCHIO!»
Le Lance vennero circondate dai cavalieri imperiali e ressero l’impatto della carica dei ribelli accorsi per fermarli. Subito fu intonato un altro canto. Di colpo, la terra nei pressi delle pendici del Terrapieno si aprì in tante bocche tenebrose. Come pozzi scavati all’improvviso. Le ombre danzavano confondendo ogni cosa. Gli uomini di Eldain cadevano senza accorgersene nelle viscere della terra, e finivano schiacciati quando le risonanze delle Lance si concentravano su altro.
«Sono in pochi! Non hanno cavalieri!»
«PENSATE SOLO AL CANTO! NON DISTRAETEVI!» urlò Dunwich infuriato. Una leggerezza, un passaggio poco chiaro, e il complesso intreccio del coro si sarebbe potuto ritorcere contro di loro. Una risonanza così imponente poteva anche spazzarli via tutti in un istante. Dunwich prese a dare il tempo ai suoi muovendo ritmicamente le mani, aprendole e indicando alle varie linee i cambi d’armonia da rispettare. Le Lance si adeguarono velocemente, muovendo le loro voci con raffinata precisione.
Stava dirigendo una sinfonia di morte. Dunwich rabbrividì estasiato.
La musica disegnò arabeschi cupi e profondi. Le sillabe pronunciate dalle Lance schioccavano e strisciavano, perfettamente intonate fra loro. Il bosco venne scosso da un terremoto in sintonia con le loro voci. Gli alberi oscillarono, molti caddero. I primi fanti riuscirono a prendere possesso di palmi di Terrapieno. Sembravano esploratori che avevano appena raggiunto una rovina dimenticata in una terra sconosciuta. Si guardavano intorno perplessi e ansiosi, in attesa che le Lance finissero di ripulire il terreno di scontro.
Fu in quel momento che iniziarono a cadere frecce da ogni parte. Una slavina di ferro acuminato. Due suoi compagni si afflosciarono senza un gemito. Un cavallo fu preso in piena fronte e stramazzò schiacciando il suo padrone.
«DOVE SONO?! PERCHÉ NON SONO STATI ABBATTUTI DAI NOSTRI CANTI?!»
Dunwich era sicuro che gli arcieri imperiali avessero già vomitato frecce su tutto il bosco prima del loro arrivo. E inoltre, dopo quel macello armonico sopravvivevano in piedi meno della metà degli alberi. Il nemico era invisibile. Dunwich non ne vide nascosti dietro i tronchi o fra le radici. E quelle non erano le solite nubi di frecce sparate senza obiettivo. Qualcuno stava mirando con precisione solo contro le Lance.
«SUGLI ALBERI, SIGNORE! SONO FRA LE…» la frase rimase sospesa, come l’asta che spuntava dal collo del cavaliere.
«INDIETRO, INDIETRO! Fuoco fra le fronde!» gridò Dunwich alzando il braccio al momento giusto, d’istinto. La punta di ferro sfregò sulla sua armatura e schizzò via rimbalzando contro un tronco. «COSA ASPETTATE?! HO DETTO CANTATE, MALEDIZIONE!»
Lui stesso dovette intonare, mentre contemporaneamente dettava il ritmo con i segni delle mani. Le altre Lance avevano perso il momento della risonanza e stavano ricercando di nuovo. Quegli arcieri erano maledettamente bravi. La cavalleria di Eldain accorse dagli scontri frontali e approfittò del momento per tagliare la fuga ai cavalieri imperiali. Le Lance arretrarono da sole. Il canto del coro riuscì a scatenarsi all’ultimo momento, per un soffio. Altre due Lance caddero appena conclusa l’ultima nota. Il cielo si riempì di folgori azzurre, che violentarono le fronde degli alberi incenerendole a caso. Non era una risonanza perfetta. I lembi di distruzione raggiunsero i loro uomini che erano riusciti a salire sul terrapieno, e li spazzarono via insieme ai ribelli contro cui stavano combattendo in mischia. Le frecce rallentarono soltanto. La notte era alleata dei ribelli. Le chiome degli alberi in fiamme erano nubi rosse disperse in un cielo ondeggiante e sanguigno.
«Signore! Signore!»
Una Lancia raggiunse il suo gruppo al galoppo fra gli alberi. Era uno della scorta di Asaeld, che secondo i calcoli di Dunwich doveva trovarsi dalla parte opposta del campo di battaglia.
«Abbiamo un problema al fronte di levante!»
«Dillo ad Asaeld, allora! Non vedi che…» una freccia passò proprio fra i due, piantandosi a terra a un palmo dalle zampe del cavallo «… abbiamo dei problemi anche noi?!»
«Mi ha mandato lui, il comandante! I ribelli stanno sfondando il fronte centrale!»
«IMPOSSIBILE! C’è tutta la fanteria che blocca il Terrapieno!»
«Un gruppo dei loro è sceso dal Terrapieno e punta verso Asaeld!»
«Che cosa?!» urlò sconcertato. «Chi potrebbe mai tentare una mossa così folle?!»
***
Sul Terrapieno regnava il panico. La fanteria nemica aveva rallentato la spinta, e al suo posto dalle retrovie erano giunte centinaia di passerelle. «Cosa vogliono fare?!» gridò Mordraud all’orecchio di Benno. «Non lo so!» rispose lui. Ogni loro dissapore sembrava svanito nel nulla. Mancava il tempo per odiarsi.
«Non importa! Tiratele giù!» urlò qualcuno alle loro spalle. Era Berg, il loro capitano in persona. «Signore, è pericoloso stare qui!»
Mordraud rafforzò le sue parole aprendo la faccia a un fante imperiale troppo ardito. La punta si incastrò fra i suoi zigomi e dovette scrollarla con forza per liberarla.
«Fatti fottere ragazzo, pensa a fare il tuo lavoro e lasciami fare il mio! Continua a pestare, maledetti gli Dei del cielo! TIRATE VIA QUELLE PASSERELLE!»
Le prime non fecero in tempo a poggiarsi al Terrapieno che subito scivolarono giù schiacciando chi le stava portando. Erano larghe e borchiate, pesantissime. Perfette per… «la cavalleria! Vogliono saltare il Terrapieno!»
La marea di fanti iniziò ad aprirsi.
«MALEDIZIONE! BUTTATELE GIÙ!»
Troppo tardi.
I primi cavalieri raggiunsero le passerelle al galoppo e si fiondarono sul Terrapieno falciando ribelli a folate. Atterrarono direttamente nelle retrovie di Eldain seminando il caos. Si mossero e si raggrupparono per dare il tempo ai loro compagni di imitarli.
Mordraud prese un lungo respiro, abbassò le spalle, e partì a testa bassa.
Una delle passerelle era vicina. Intorno, soldati caduti in terra per l’urto, o già morti. Mordraud piantò un piede, strinse la spada e disegnò un arco verso l’alto non appena vide stagliarsi un cavallo contro il cielo. Dalla pancia squartata cadde un grumo di viscere. La bestia non resse l’atterraggio buttando malamente a terra il suo cavaliere. Dietro, ne stava già arrivando un altro. Mordraud si piazzò sulla passerella con la spada alta sopra la testa. Alle sue spalle Berg stava massacrando il cavaliere caduto, mentre abbaiava rabbiosamente comandi e insulti all’impero.
L’altro cavallo si spaventò quando vide Mordraud frapporsi al salto. Impennò e scalciò, mancandolo di un palmo. Mordraud prese la gamba del suo padrone e lo disarcionò, gettandolo giù dalla passerella. Sotto di lui si agitava un mare di lame e punte affilate. Con una mano sulle redini, piantò un piede sulla staffa e si lanciò sopra il cavallo. Il Terrapieno era un camminamento esiguo, e tutt’intorno a lui stava infuriando una carneficina.
Senza pensarci un momento, Mordraud si gettò di sotto. Il cavallo atterrò scomposto, e lui si ritrovò in mezzo al nemico ai piedi del Terrapieno.
«BERG! RADUNA QUALCUNO E SEGUIMI!»
Nessuno si aspettava una mossa simile. Mordraud prese a menare la spada con forza brutale. Ogni suo attacco sembrava casuale, mosso dall’istinto. Ma immancabilmente, la sua lama mozzava testa, orecchie e mani degli sventurati soldati imperiali. La massa di fanti perse il controllo e si richiuse bloccando l’arrivo di nuovi cavalieri. I primi ribelli stavano scendendo lungo la passerella guidati da Berg.
«SEI UN PAZZO!» sbraitò il capitano incredulo. «DOVE CREDI DI ANDARE?!»
«Guarda nel bosco!» rispose Mordraud indicando il fronte a levante. Fra gli alberi esplodevano raffiche di lampi accecanti. Le fiamme erano già alte in molti punti. Quelle fottute merde dei cantori, pensò annaspando dalla foga. Le loro voci tremende sovrastavano come una condanna il frastuono della mischia ai piedi del Terrapieno.
«PRENDIAMOLI ALLE SPALLE!»
Il suo braccio sinistro si alzava e calava senza un attimo di sosta. Aveva solo l’imbarazzo della scelta. Quando vedeva una spada avvicinarsi troppo al cavallo, Mordraud tagliava. Era come far legna in mezzo a una fitta foresta secca.
«È un’idea assurda!» gridò Berg, senza però troppo slancio. Si vedeva che gli piaceva l’idea, pensò Mordraud raggiante. «Dobbiamo tagliare il fronte per arrivare fin laggiù!»
Mordraud iniziò, da solo, a spingersi dentro l’esercito nemico. Anche se non aveva alcuna speranza di reggere. I nemici erano troppi. Confidava però che Berg lo seguisse, come un matto dietro uno ancora più matto. E infatti, con sua somma gioia, il suo capitano lo fece. Gli venne dietro. Amava quell’uomo. Berg aveva radunato un gruppo di veterani e lo aveva raggiunto alle spalle, allargando la ferita all’interno del muro di fanti imperiali. C’erano anche i suoi amici Maglio e Pietà. Bene, pensò trionfante Mordraud.
Almeno sarebbero morti tutti insieme.
Quello che accadde da quel momento in poi fu una confusa discesa in un gorgo di morte. Il cavallo procedeva lentamente in mezzo ai nemici, che cadevano falciati lasciandogli lo spazio di appena un passo. Gli zoccoli pestavano su un letto di schiene corazzate. Aveva ferite su entrambe le gambe, malamente protette dalla leggera corazza di cuoio che l’esercito gli aveva assegnato. La povera bestia arrancava e nitriva, sfiancata dai tagli che le spade nemiche le avevano aperto lungo i fianchi. Ma, incredibilmente per lui e per tutti quelli che stavano contemplando la scena, Mordraud si ritrovò fuori dalla mischia. Lui e il gruppo di Berg avevano tagliato tutto il fronte sbucando vicini al bosco di levante. Il suo gesto fu come un sassolino prima della frana. La fanteria asserragliata sotto il Terrapieno perse slancio, trafitta al cuore dal loro passaggio. Altri ribelli stavano prendendo il controllo della base della muraglia.
«Se fermiamo le Lance, il fianco è salvo!»
«Prendete tutti i cavalli che trovate e attacchiamoli alle spalle!» ordinò Berg «e tu, ragazzo, non osare più fare di testa tua! Do io gli ordini!»
Le sue parole si sciolsero nel vento. Mordraud era già partito al galoppo verso le profondità del bosco. Le pendici esterne del Terrapieno correvano fra gli alberi come vecchie rovine imponenti di una città dimenticata.
«Ma guarda te che animale…»
***
«Dove sono le Lance?! Perché il fronte centrale è scoperto? CHI HA DATO IL COMANDO DI CONCENTRARE TUTTO PROPRIO AL CENTRO?!» urlò Dunwich infuriato. Per poter raggiungere l’altro lato del campo di battaglia avevano dovuto aggirare tutto il loro esercito. Qualcosa stava andando storto. Il piano degli strateghi di Loralon doveva essere ben diverso. Almeno sulla carta.
«Stiamo solo rovesciando gente contro il Terrapieno! Chi ha avuto questa fottutissima idea?!»
«Non lo so, signore. Il gruppo di Lance che doveva attaccare il Terrapieno ha ripiegato e si è frammentato per rimpinguare il vostro plotone e quello del comandante…»
«Così non va maledizione! Loro dovevano appoggiare la fanteria! Così, i nostri uomini non hanno la copertura dei cori!» Dunwich si picchiò una gamba con il pugno fino ad ammaccare la corazza. «Guarda laggiù, stanno dilagando dal Terrapieno, la nostra linea a ponente sta saltando! Se fossimo rimasti al nostro posto, forse almeno quell’area avrebbe potuto reggere! VOGLIO LA TESTA DI CHI HA ORDINATO TUTTO QUESTO!»
Dunwich e i suoi raggiunsero il bosco. La cavalleria di Eldain stava combattendo contro i loro uomini, mentre le Lance di Asaeld erano più lontane, e stavano macinando armonie su armonie contro il Terrapieno fra gli alberi. Gli assistenti avevano piantato una fila di torce in terra, e da quei miseri fuochi le voci delle Lance stavano innalzando ondate assassine di fiamme, che si abbattevano sulla muraglia senza però incidere particolarmente sulle difese di Eldain.
Come se stessero sbagliando mira, o armonia.
«Ma dove sta l’emergenza?! Perché Asaeld mi ha fatto chiamare?» disse con un filo di voce. Era tutto troppo assurdo, pensò sconcertato.
Dunwich piombò per primo sulle linee nemiche, spada alla mano. La mischia era furibonda. Difficile capire chi fossero i compagni e i ribelli. Senza scomporsi, ragionando attentamente, Dunwich colpì solo chi era certo fosse un avversario. Un unico gesto ben mirato alle giunture dell’armatura, com’era nel suo stile. Voleva raggiungere al più presto Asaeld e venire a capo di quella delirante situazione. Una saetta impazzita quasi lo prese in piena faccia, e l’onda d’urto spaccò i sostegni del suo elmo. Una risonanza fuori controllo, pensò imbestialito. Una Lancia che aveva perso il controllo della voce. «Mirate dritto brutti idioti!» gridò. La visiera calò di scatto. Dunwich imprecò e tentò inutilmente di liberarsi la faccia, ma il meccanismo si era rotto.
Fu in quel momento che vide un cavaliere solitario sbucare dagli alberi proprio in mezzo alle Lance in lontananza.
***
Un lampo verdastro gli sfrecciò a fianco. Istintivamente, Mordraud si calò in fretta e furia la visiera dell’elmo. Se l’era calcato in testa dopo essere uscito dalla mischia sul fronte del Terrapieno, ma l’aveva tenuta sollevata fino a quel momento per vedere meglio. “Gwern protege la tua vita…” pensò sogghignando.
“Speriamo.”
Non gli piaceva particolarmente la sensazione di ferro sulle guance, ma aveva più paura dei canti nemici. Si sentiva meno reattivo. Un altro dardo prese in pieno petto uno dei cavalieri di Eldain al suo fianco. Mordraud vide la sua armatura sfrigolare e fumare. Il guerriero colpito vomitò sangue e stramazzò a terra.
“I canti… sono spaventosi…” pensò freneticamente mentre tentava di schivare le saette che fendevano l’aria tutt’intorno. Schizzavano da un piccolo sole di luce che galleggiava di fronte al coro a cavallo delle Lance. Uno dei dardi gli strisciò sul braccio. Il dolore fu improvviso e terribile. Le Lance erano ormai vicine. Mordraud alzò la spada e urlò nervosamente. Per scacciare quelle armonie urticanti e mostruosamente efficaci. Un altro lampo gli sfiorò una gamba, ma ormai il bersaglio era a tiro. Non rallentò. La sua lama aprì un taglio sulla lucida armatura nera e d’oro, e si piantò nella spalla della Lancia. Con un pugno gli spaccò la mascella di ferro e l’uomo stordito cadde a terra liberandogli la spada.
«MORTE ALLE LANCE! MORTE ALLE LANCE!» urlò al cielo cremisi. Dalla foresta stavano arrivando altri compagni. Le linee vicine al bosco avevano ceduto, lasciando spazio ai ribelli assiepati sul Terrapieno. Maglio stava guadagnando lenti passi misurati, falciando con il suo spadone tutto ciò che si azzardava a muoversi intorno a lui. Non rallentava, non perdeva il ritmo. Sembrava che stesse forgiando qualcosa sull’incudine, compiva gli stessi movimenti ripetitivi e brutali. Pietà invece si era immerso nella folla e stava combattendo come più preferiva. La tecnica del figlio di puttana. Colpi alle spalle, ai tendini e alla gola. Staffilate veloci che davano fin troppo l’idea di che lavoro Pietà svolgesse prima di diventare un soldato di Eldain. Prima o poi avrebbero dovuto parlare del suo passato, pensò rabbrividendo Mordraud.
La battaglia stava diventando una sola grande mischia confusa. Qualcosa era andato storto nella strategia imperiale, pensò. Altrimenti non riusciva a spiegarsi il modo approssimativo e stupido con cui avevano portato avanti un attacco già vinto in partenza.
Le Lance, i pezzi pregiati dell’impero erano degli ossi veramente duri. Mordraud combatteva senza regole, usando solo la forza bruta e la foga. Tutto divenne molto più difficile. Le Lance non cedevano un passo al loro assalto.
«ALLE SPALLE!»
Mordraud sentì a malapena l’urlo di Berg, che era impegnato nel mucchio ben più indietro di lui. Stava tenendo testa da solo a un gruppo che lo stava accerchiando. Digrignava i denti e ululava fuori di sé. Ogni volta che riusciva a stendere qualcuno, Berg trovava il tempo di ridere, come se trovasse la situazione fottutamente divertente. Maglio lo liberò dalla stretta imperiale travolgendo l’accerchiamento, e affiancandosi prontamente a lui. Pietà stava pensando alle retrovie nemiche. Mordraud dovette distogliere lo sguardo da ciò che stava succedendo ai suoi amici. Si voltò giusto in tempo per vedere una Lancia scagliata al galoppo contro di lui. Alzò disperatamente la spada e per un soffio riuscì a evitare il suo fendente. Dalla fessura dell’elmo nero brillavano due occhi azzurri e furenti.
***
Dunwich aveva raggiunto il cavaliere solitario che stava spargendo il panico fra le Lance, ma il suo primo colpo non andò a segno. Un evento raro. Subito girò il cavallo e spinse in avanti la spada mirando alla gola. Niente da fare. Il suo avversario era goffo e si difendeva senza eleganza, ma era anche dannatamente reattivo. Riusciva a mettere la spada in mezzo ai suoi colpi all’ultimo momento, quasi per caso. Perse le prime occasioni, Dunwich dovette riallineare il cavallo, e gli diede così il tempo per contrattaccare. Dunwich schivò il primo affondo sbilanciandosi sulla sella. Fermò il secondo fendente stringendo la spada a due mani, dalla punta. Non si aspettava una forza tanto bestiale. Per poco non perse l’equilibrio, e dovette inarcare pericolosamente la schiena indietro per sopportare il colpo.
Mordraud approfittò del momento e tempestò il suo avversario picchiando dall’alto in basso. L’urto alzava scintille bianche che si confondevano con l’aria rossa della notte. Impegnato solo sul suo nemico, Mordraud non fece caso a quello che gli stava succedendo intorno. Solo all’ultimo momento sentì la minacciosa chiusura di un canto solitario, e il sibilo del lampo d’energia. Una Lancia bastarda lo aveva attaccato alle spalle. Il dardo lo centrò in pieno. L’aria che aveva nei polmoni si incendiò. Sentì i sensi abbandonarlo, e le gambe cedere la presa sulla sella. Un puzzo di carne bruciata salì disgustosamente da dentro il suo naso, e per poco non si vomitò addosso.
Mordraud vide la spada della Lancia con l’elmo in testa caricarsi a lato e schizzare verso di lui. Agì d’istinto, in preda all’istinto. Cambiò la presa sull’elsa e trapassò la testa del cavallo nemico alla base delle orecchie. L’animale tremò e stramazzò in terra proprio nell’istante in cui la Lancia stava per spaccarlo a metà. Il colpo non andò a segno, ma prese comunque il muso del suo cavallo. Mordraud e Dunwich caddero a terra nello stesso preciso istante.
Ormai la mischia aveva raggiunto il bosco. Cavalieri, Lance, fanti e soldati ribelli si trovarono tutti contro tutti senza più una linea di confine, senza ordini precisi e strategie. Dunwich cercò di rialzarsi ma aveva picchiato duro con una gamba. La caviglia non voleva saperne di reggere il suo peso e quello dell’armatura. Mordraud boccheggiava, con un filo di fumo verdognolo che si alzava dalla sua schiena e gli usciva inquietante dalle narici. Il lampo di luce stava divorando il cuoio dell’armatura. Orrendo, pensò impazzito dalla paura. Luce che corrodeva la materia, generata solo dalla voce di un singolo uomo. Una morte impossibile da comprendere.
Per un lungo momento nessuno dei due attaccò. Dunwich riuscì a mettersi in piedi e raggiunse zoppicando Mordraud. Entrambi con l’elmo in testa, non si riconobbero. Deciso a farla finita una volta per tutte, Dunwich prese la rincorsa saltellando su una gamba sola, roteò la spada e la calò con violenza. Mordraud era in ginocchio, aveva gli occhi appannati e la visiera gli impediva di vedere bene, ma parò lo stesso il colpo. Dunwich non riuscì a ritrovare l’equilibrio con la giusta rapidità, e per evitare la portata letale del braccio di Mordraud, si gettò indietro rotolando di spalle. Quando tentò di nuovo di rimettersi in piedi per provare un secondo assalto, la gamba lo tradì e lui perse il momento. Mordraud tentò la mossa disperata. Ribaltò la spada in mano, tirò indietro il braccio e la scagliò sbilanciandosi in avanti.
Dunwich osservò incredulo la lama roteare verso di lui.
Si spostò per evitarla, ma caricò troppo peso sulla gamba malridotta. Il piede cedette. Dunwich si accasciò, prendendosi la spada in piena faccia. L’elmo si incrinò e la mascella di ferro saltò via. Una lunga scheggia d’acciaio gli sventrò la guancia dalle labbra fin quasi alla tempia. Dunwich urlò impazzito dal dolore, e cadde riverso di schiena stringendosi fra le mani la faccia devastata. L’elmo delle Lance era un cartoccio di latta sventrata.
Mordraud sogghignò, ma la sua gioia durò poco. La vista divenne confusa, la mischia intorno si scompose in una bruma di macchie grigie, e ogni rumore sembrava ovattato, coperto da un pesante drappo di lana.
«Adraman! È arrivato Adraman!»
Fu l’ultima cosa che riuscì a sentire. La battaglia lo sommerse, i corpi dei soldati uccisi presero a cadergli addosso, schiacciandolo a terra. Fece giusto in tempo a vedere una Lancia a cavallo afferrare il corpo del suo avversario sconfitto, caricarselo sulle spalle e fuggire dalla bolgia, prima di perdere conoscenza.