XXIII

 

 

 

 

 

 

 

«Le Punte dell’Est, Tre Torri, Hannrinn e Cambrinn hanno deciso di ritirare i loro uomini dal fronte.»

Ghiaccio aveva atteso in silenzio per tutta la riunione, ascoltando le proposte dei vari capitani, annuendo a quelle più sensate, borbottando qualcosa ai suoi sottoposti per le idee più stupide. Si era tenuto il colpo di scena per il finale. I feudi che lui rappresentava avevano già comunicato da giorni la loro decisione, ma il momento buono non si era ancora presentato. Fino a quella sera. Con Adraman fuori dal consiglio, Eldain non aveva più spalle su cui appoggiarsi. Non avrebbe avuto la forza necessaria per opporsi. E infatti, il vecchio nobile sembrò essere preso in pieno da un pugno in faccia. Barcollò un momento, si strinse al tavolo, sbiancò. Non che per Ghiaccio fosse esaltante, tirargli una simile pugnalata. Dopo anni di guerra insieme aveva imparato a rispettarlo, e per certi versi a stimarlo. Ma quello era il suo lavoro, e ci teneva a farlo bene.

Lui doveva rappresentare i territori che proprio quella sera si stavano ritirando dalla guerra.

«Vada per le Punte, e Tre Torri… ma i due Rinn non possiamo permetterci di perderli!» grugnì Eldain. «Gli antichi avamposti di Cambria a Nord-est e Sud-est sono vitali per il fronte! Se si ritirano…»

«La decisione ormai è stata presa, Eldain. La capitale sta addosso ai suoi due vecchi protettorati, spinge molto in quelle zone. Li rivuole, e non è detto che possano resistere ancora a lungo.»

«E la causa?! Conosco la famiglia Rinn da una vita, erano amici di mio nonno, e chissà da quanto prima! È stato un mio antenato a guidare l’esercito di Eld per appoggiare i due fratelli contro la capitale!»

Hannrinn sorgeva a Sud su uno dei punti più stretti dell’alveo del fiume Hann, una vecchia fortezza a difesa dell’unico ponte transitabile a distanza di settimane. Per decenni, Cambria l’aveva usata come base per il controllo del traffico fluviale. Da quel punto, il fiume diventava facilmente navigabile, ed estremamente utile per raggiungere velocemente il mare interno. Ma per ottenerne il controllo aveva dovuto deporre la storica famiglia che aveva amministrato quelle terre per generazioni, i Rinn appunto, la stirpe più antica e ramificata dell’intero Est. Parenti e cugini dei Rinn erano sparsi in tutto il continente, ma i loro possedimenti storici erano Hannrinn e Cambrinn, chiamata anche la montagna murata. Un bastione arroccato su uno dei primi monti della cinta a Nord-est della capitale, che anticamente era stata assegnata alla famiglia Rinn da Cambria stessa. Ovviamente, molti anni prima che scoppiasse la guerra contro l’alleanza. La famiglia di Eldain aveva aiutato gli ultimi discendenti Rinn a riprendersi i loro possedimenti. Era credenza diffusa che fosse stata quella vecchia rappresaglia contro Cambria a dare il via al progetto imperiale, e con esso, alla guerra. Ma erano solo supposizioni. Quel che contava era che, senza l’appoggio dei Rinn, continuare a combattere sarebbe stato impossibile.

«Non sono stato io a decidere, Eldain. Lo sai che sono solo un portavoce.»

«Sembra che tu non aspettassi altro, vero?»

«Osi mettere in dubbio la mia lealtà?!»

Eldain ringhiò ma non disse nulla. Ghiaccio aveva avuto l’idea giusta. Senza Adraman a stemperare la situazione, il vecchio nobile era più vulnerabile.

«Si può sapere come mai hanno deciso di rompere l’alleanza?»

«Per colpa di questo inverno. Sono stanchi di mandare uomini al fronte, e temono che prima o poi il freddo possa raggiungere anche le loro terre. Sai, le voci che girano su Eld non aiutano.»

Un altro colpo basso, ma quella sera Ghiaccio doveva a tutti i costi uscire vincitore. Ne andava della sua credibilità. Eldain sembrò piegarsi solo a sentire nominare il suo castello. La gente di Eld era ridotta al lumicino, dilaniata dalla fame e dagli stenti. La furia dell’inverno era tutta sulle loro spalle, e in quelle della loro guida. Eldain artigliò il tavolo e fissò malevolo Ghiaccio.

«Dev’essere un fottuto sortilegio di Cambria, lo sappiamo tutti! Ci sarà pure un modo per spezzarlo!» esclamò Berg, che incredibilmente non aveva ancora attaccato al palo Ghiaccio e tutti i suoi sottoposti. Fino a quel momento non aveva neanche detto una parola. La notizia era stata troppo brutta anche per lui, che di solito perdeva ben poco tempo a ragionare.

«C’è chi dice che non sia opera dei cantori imperiali, bensì degli Dei… una punizione contro di noi, per aver macchiato di sangue tutto l’Est con la nostra causa» esclamò Ghiaccio.

«Ti sembra per caso normale che in estate nevichi senza mai smettere?! E soltanto qui?! Io con gli Dei mi ci pulisco il culo. Non hanno mai fatto niente, non c’entrano neanche stavolta. È un maledetto canto, ve lo dico io. Dobbiamo solo scoprire come ha fatto Cambria!»

«E dici poco, Berg?! Cosa ne sai tu di Canto Arcano? Cosa ne sappiamo tutti noi?!»

Ghiaccio ormai aveva l’attenzione dell’intero concilio. Eldain si teneva la mano sul petto e guardava fisso la parete di pelliccia. Sembrava aver perso dieci anni in un istante. Sentì di essere un bastardo, ma lo aveva sempre saputo. Non era una novità di quella notte.

«Con un inverno eterno che fa marcire le nostre terre, quanto potremo ancora durare?! Cambria ha deciso di giocare pesante, e noi non possiamo stare al gioco. Io dico che i Rinn hanno ragione!» esclamò Ghiaccio esibendo un sorriso sornione. «Senza la bella stagione e i campi coltivati, siamo tutti spacciati! Dobbiamo pensare a una strategia d’uscita…»

«E se l’inverno invece potesse finire?»

Tutti si voltarono verso l’ingresso della tenda, e il primo fu proprio Ghiaccio. Il suo sorriso si tramutò in un ghigno frustrato.

Era stato Mordraud a parlare. Ed era insieme a Adraman, che si appoggiava a lui per camminare.

«Non abbiamo la minima idea di come fermarlo. E anche se fosse possibile, non abbiamo i mezzi.»

«Invece li abbiamo, vi do la mia parola.»

Mordraud parlava lentamente e con grande sicurezza. Era cinereo, curvo e malandato, ma i suoi occhi non avevano perso lucidità. Al suo fianco Adraman si ergeva su una gamba e fissava tutti i presenti con aria di sfida. Due rottami che gli stavano rovinando il suo momento d’oro. Ghiaccio ingoiò la bile che farfugliava nel suo stomaco e mantenne un sorriso distaccato.

«E quali sarebbero questi mezzi?! Dov’erano fino a oggi?»

«Conosco un cantore che ci può aiutare. Si chiama Saiden.»

Un brusio scosse l’assemblea. Qualcuno ne aveva sentito parlare, gli altri non sapevano assolutamente chi fosse. Mordraud non era uno che si inventava storie, se conosceva davvero un cantore, gli altri capitani erano tentati di credergli.

«Mio fratello studia con lui. Saiden è un cantore molto rinomato a Cambria e Calhann. Se non credete a me, chiedete a uno qualunque dei prigionieri che teniamo a Eld. Ci sarà sicuramente un cantore, vi confermerà tutto quello che dico» concluse Mordraud.

«Anche se fosse» sibilò oltraggiato Ghiaccio «cosa potrebbe mai fare un solo cantore contro questo inverno?! E se fosse davvero opera degli Dei, cosa potrebbe fare?»

«Se è una maledizione divina, siamo comunque spacciati» rispose Mordraud con noncuranza. «Se invece c’entrano i cantori, Saiden potrebbe dirci come trovarli. E io li ucciderò, con l’aiuto di mio fratello.»

«E tuo fratello sarebbe…» accennò Ghiaccio, ma Mordraud tagliò corto agitando la mano con fare arrogante.

«Un cantore. Si sta perfezionando con uno dei migliori del continente. Pensate che esista qualcuno di più qualificato? Oppure preferite star qui a massacrarci fra noi, facendo il gioco di Cambria?»

Il concilio si strinse intorno al tavolo. Mordraud era noto fra le truppe, era appena sopravvissuto a morte certa, era forse il più giovane soldato di tutto l’esercito di Eldain. I rappresentanti dei feudi che si stavano ritirando erano sfilati alle spalle di Ghiaccio. La situazione stava volgendo a suo sfavore.

«Spunti sempre al momento del bisogno, non è vero?» mormorò Eldain.

«Ringrazia Mordraud, è sua l’idea» rispose Adraman.

«Comunque non cambia nulla. La famiglia Rinn ha deciso, e con lei altri dell’alleanza. Non si torna indietro» disse Ghiaccio agitando un braccio. «Non si torna più indietro!»

«Penso invece che qualcosa si possa ancora salvare» disse Eldain «andrò di persona a Hannrinn per incontrare il suo protettore. Chiederò una proroga alla loro decisione, anche solo di pochi mesi.»

«Sono io il portavoce!» sbraitò Ghiaccio.

«Ma io posso trattenere le truppe dei Rinn per un po’. Le strade sono impraticabili per la neve, e non abbiamo carri da lasciarvi per trasportare l’occorrente per un ritiro.»

«Questo è… scorretto!»

«Dici? È opinabile» rispose Eldain sghignazzando.

«Bah, vedremo cosa vi risponderanno i Rinn! Ma non aspettatevi che siano felici delle vostre scelte!» Ghiaccio uscì dalla tenda rosso in volto e stravolto dalla rabbia. Eldain tirò un sospiro di sollievo, e come lui molti altri dell’assemblea. La tragedia era stata rimandata di qualche giorno.

«Sei arrivato al momento giusto, ragazzo!» esclamò Berg ridendo sguaiatamente. Mordraud stava perdendo quel poco di colore che aveva ancora in volto. Quando il soldato si avvicinò per stringergli la mano, si trovò a doverlo afferrare al volo. Mordraud svenne di colpo, e solo grazie a Berg non colpì il tavolo con la fronte.

«Come faceva a stare in piedi?!» esclamò Berg sbalordito. «Guardate com’è conciato…»

 

***

 

Il letto era grande e comodo, bagnato dalla luce del mattino che filtrava dalle tende di lino. Un carretto sferragliava sul selciato, un gruppo di serve stava chiacchierando del più e del meno, un cane abbaiava in lontananza. Tutto era attutito, soffuso. Una nenia perfetta per riposare, come la pioggia del mattino sul tetto.

La coperta si mosse lievemente, disegnando il profilo di un fianco. Una cascata di capelli scuri sparsi sul cuscino di piume. Occhi dolci che lo fissavano sorridendo. Il profumo della sua pelle. Il suono della sua voce roca per il sonno.

«Buongiorno amore.»

Mordraud si voltò per baciarla, come faceva ogni mattina, da sempre. Il sogno che lo aveva tormentato per tutta la notte era svanito non appena l’aveva vista al suo fianco, accoccolata sotto le lenzuola. Immagini sconclusionate di guerra, di freddo e di stenti. Di morti amiche e nemiche. Ma quali nemici poteva mai avere, si chiese rilassato. Aveva già tutto quello che desiderava.

O no?

Aveva sognato ancora lo Sconosciuto. L’uomo senza un braccio che lo perseguitava da quando era bambino. L’aveva visto picchiare sua madre, inseguirlo nel cortile polveroso. Accanirsi contro suo fratello. Gwern piangeva sempre in quei lunghi sogni. Non faceva altro che piangere. Ma anche lui era cresciuto. Era diventato un grande cantore, temuto e rispettato da tutti.

E poi, aveva visto Dunwich.

Lo Sconosciuto ormai non gli faceva più paura. Aveva sognato così tante volte quelle scene sempre uguali, che aveva trovato il modo di farci l’abitudine. Ma con Dunwich era diverso. Lui non li aveva mai aiutati. Lui non aveva mai dovuto sopportare anche un solo briciolo di quel peso. Se n’era andato. E non era mai tornato per difenderli dallo Sconosciuto.

«Cos’hai, Mordraud? Hai fatto ancora quel brutto sogno?»

«Sì…»

«Ora sei sveglio, non devi aver paura…»

Deanna era più bella ogni giorno che passava. La sua rabbia, la sua voglia di distruggere e distruggersi era svanita come neve al sole da quando vivevano insieme. Una casa piccola, per carità. Mordraud non aspirava a possedere. Desiderava molto di più vivere. E quella era la vita che voleva, in pace.

Senza guerra.

Senza lo Sconosciuto.

Senza Dunwich.

«Vieni qui amore…»

Mordraud strisciò sotto le coperte e l’abbracciò sprofondando nel morbido materasso, immergendosi con il volto fra i suoi capelli. Fuori, lo stesso cigolare di un carretto. Le stesse chiacchiere. Lo stesso cane che abbaiava.

Come tutte le mattine.

«Perché sei triste?»

Mordraud non lo sapeva. Qualcosa non andava bene. Aveva la sensazione fastidiosa di aver già visto tutto da qualche altra parte. Pensieri già formulati. Suoni già sentiti.

Cercò di guardare fuori dalla finestra, ma la luce del mattino era troppo forte e densa. Le tende si muovevano sospinte da una brezza inesistente. Avrebbe voluto affacciarsi, ma per farlo doveva alzarsi dal letto, sfilarsi dalle braccia di Deanna.

E sapeva già che se lo avesse fatto, nulla gli avrebbe più restituito quella pace.

«Stringimi più forte.»

Mordraud abbassò gli occhi verso di lei.

Deanna era avvolta dal fuoco.

«Perché mi guardi così?»

Le fiamme le stavano divorando la carne, i bei capelli scuri, e uscivano come lingue roventi dal vuoto dei suoi occhi sciolti. Anche il suo corpo stava bruciando. Mordraud cercò di divincolarsi, tentò in tutti i modi di liberarsi dalla sua morsa, ma non aveva abbastanza forza. Deanna lo stava lentamente tirando verso di sé. Quel poco che restava della sua faccia stava sorridendo. Quando con il seno si appoggiò al suo petto, Mordraud riuscì finalmente a urlare.

«DEANNA! DEANNA!»

Mordraud agitò le braccia e si trovò avviluppato da pesanti coperte ruvide e puzzolenti. La luce era svanita, i suoni dolci erano svaniti, il grande letto comodo era svanito.

Al loro posto, solo gemiti e rantoli di dolore, il grigio onnipresente dell’inverno, e una branda scomoda e spigolosa.

«Do… dove sono?!»

Nessuno rispose. La grande tenda era avvolta nel silenzio, rotto soltanto dal mugolio dei feriti e degli ammalati. Il ricovero. Era difficile per lui separare la realtà dal sogno. Poteva ancora sentire il profumo di Deanna, la sua pelle. Le fiamme.

Con una mano si tastò il petto. Sentì solo un gran dolore, e la pelle avvizzita e purulenta.

«I lampi… la Lancia… Adraman!» Mordraud ricordò tutto, finalmente. «Adraman?! Dove sei?»

Non aveva urlato, per paura di svegliare tutti gli altri soldati addormentati. Qualcuno, dall’altra parte del tendone, rispose con un sussurro.

«Mordraud?! Ti sei svegliato! Stai bene?»

Era la voce di Adraman. Mordraud si chiese per un momento se lo avesse sentito mentre chiamava disperatamente Deanna, e sperò ardentemente di no. Oppure sperava di sì, non ne era molto sicuro.

«Aspetta… ora vengo là.»

«Sei matto?! Resta dove sei, devi riposare! Ti hanno conciato male, ragazzo mio. È un miracolo che tu sia ancora vivo.»

Ovviamente Mordraud non l’ascoltò. Di restare sdraiati in attesa di chissà cosa, non se ne parlava neanche. A passi malfermi, attraversò lo stretto corridoio che si apriva fra le brande e raggiunse Adraman. Aveva una gamba rotta ma era vivo e in salute. Si ritrovò ancora assediato dai dubbi. Era felice, oppure avrebbe preferito qualcos’altro?

Deanna al suo fianco, nel grande letto morbido. Mordraud scacciò via quell’immagine tentatrice e sedette al fianco di Adraman. Non sarebbe mai arrivato così in basso. Non con lui.

«Non ascolti mai, vero? Devi riposare, ti hanno portato in risonanza gli organi interni, e te ne vai in giro a passeggiare… sei proprio incredibile.»

Adraman gli raccontò tutto quello che era successo dopo la battaglia. Per quattro giorni aveva lottato fra la vita e la morte, e i guaritori ormai lo avevano dato per perso.

«Anche se si svegliasse, sarebbe ridotto a un morto ambulante» aveva sentenziato il più esperto di loro. Ma lui aveva beffato tutti. Respirava a malapena, non si reggeva quasi in piedi, faceva fatica a tenere gli occhi aperti per il dolore al petto, ma era vivo.

«Tu come ti senti?» chiese a Adraman. Il cavaliere era un po’ stropicciato, ma stava infinitamente meglio dell’ultima volta che lo aveva visto. Sotto un cavallo, immerso nella neve, mezzo morto per il freddo.

«Sto bene, ma questa maledetta gamba mi dà un fastidio tremendo. Mi prude sotto la steccatura, e ho un raffreddore terribile.»

«Quindi non stai piangendo per me?!» disse sghignazzando Mordraud. Adraman aveva gli occhi umidi e gonfi.

«Ma per chi mi hai preso? Non sono una puttanella. Tornatene a letto se ti aspettavi un po’ di carezze, idiota!»

«Non mi permetterei mai…» rispose Mordraud «ma torniamo alle cose serie… come proseguono gli scontri? Novità?»

Adraman si rabbuiò sprofondando nel largo cuscino. «Male. Girano voci che alcuni alleati vogliano mollare. Hanno tutti paura di questo fottuto inverno, che gli Dei siano maledetti! Eldain non sa più che fare… e lo vedo stanco, preoccupato… non è da lui. Non l’ho mai visto così in difficoltà.»

Mordraud annuì senza rispondere. Quello scherzo della natura stava disintegrando anni e anni di sacrifici, di battaglie, di ideali. Se anche Adraman era preoccupato per Eldain, allora la situazione era ormai così grave da essere quasi irreparabile.

Quasi.

Mordraud si rese conto di avere un’idea a cui non aveva mai fatto caso. Forse aveva riflettuto inconsciamente mentre era svenuto sulla sua branda schifosa. Come se il canto della Lancia avesse messo in risonanza qualcosa dentro di lui, un collegamento che non era ancora stato in grado di fare. Non sapeva come fosse possibile.

Ma aveva un’idea.

«Tutto questo è una maledizione di Cambria, non credi? Sono i loro cantori a crearla.»

«E allora? Tanto non abbiamo cantori abbastanza bravi per contrastarla, anche se fosse.»

Era proprio quello il punto. Non l’aveva mai preso in considerazione prima perché non lo riteneva utile. Perché era troppo giovane, e studiava da troppo poco tempo. E soprattutto, perché era suo fratello, e non voleva coinvolgerlo nella guerra.

Gwern. L’unica speranza che ai suoi occhi avesse un senso.

«Dov’è Eldain?»

Adraman scosse la testa e borbottò nervosamente. «Stasera doveva parlare con i capitani dell’esercito. E scommetto uno sputo contro un diamante che Ghiaccio ne approfitterà per annunciare il ritiro degli alleati.»

«Allora dobbiamo sbrigarci. Vieni!» Mordraud prese Adraman alle spalle e lo sollevò di peso dal letto. «Ti spiegherò tutto strada facendo.»

«Ma dove vuoi andare?! Mettimi giù! Non ti reggi in piedi, e neppure io mi reggo in piedi! Siamo patetici!»

«Già, già… ne parliamo dopo. Ora andiamo, forza!»

Mordraud si incamminò portandosi dietro Adraman, che per stargli appresso dovette saltellare sull’unica gamba ancora sana.

«Sei un pazzo, ragazzo mio» disse Adraman sdegnato. «Sei un maledetto, stupido pazzo.»

«Lo so, non ti preoccupare» rispose Mordraud aprendo il lembo del tendone che conduceva all’aperto. Il freddo era terrificante. Il suo corpo tremò, in procinto di abbandonarlo, ma con un disperato sforzo di volontà Mordraud riuscì a resistere. Non aveva tempo da perdere.

Aveva un inverno da sopprimere.

 

***

 

Deanna prese la pergamena chiusa dal sigillo di Eld, lo spezzò, e si avvicinò alla finestra del suo salotto privato. Avevano finito le candele da un pezzo, e le bastò un’occhiata al cortile completamente sepolto dalla neve a ricordarle che avrebbero dovuto rinunciare ad averne di nuove per chissà quanto ancora. E lo stesso valeva per tutto, ormai.

Il cibo era agli sgoccioli, e solo grazie alle intelligenti riserve che Adrina aveva accumulato nelle cantine, lei poteva ancora concedersi il lusso di cenare dignitosamente.

«Perché hai tenuto da parte tutta questa roba?» le aveva chiesto Deanna quando vide a tavola ogni genere di conserve, sottoli, sottaceti, salumi. «Eppure mio marito non ha mai detto nulla al riguardo.»

«Il padrone sa che io tenevo delle scorte, e mi ha lasciato sempre piena scelta su come e cosa fare delle cantine» aveva risposto la vecchia domestica. «Voi ragazzine non avete la pasta delle donne dei miei tempi. Sapevate che quando ero bambina le terre di Eld caddero in una carestia che durò anni? Mangiavamo anche i topi, i gatti e i cani… quei pochi che erano rimasti. Non si può mai essere sicuri di nulla, signora… bisogna essere sempre previdenti.»

Nel resto della città le cose andavano molto peggio. Interi quartieri erano isolati dalla neve, e per quanto gli anziani e le donne si adoperassero di badile per liberare le strade, gli orti e le porte, non potevano fare nulla contro l’arrivo dell’ennesima tempesta di ghiaccio. Giravano voci, brutte voci su quello che stava succedendo al Terrapieno. E altre ancora più brutte su come erano ridotti i villaggi verso Est. Vecchi e bambini lasciati a morire di fame per tentare di salvare almeno quelli più forti e utili. Gente che bolliva e masticava corteccia per riempirsi in qualche modo la pancia. Rivolte per il pane, per un pugno di grano ammuffito. Ville di ricchi mercanti depredate e ripulite dai propri occupanti. Persone che sparivano e non tornavano più a casa al sorgere del sole.

Sole che per altro non sorgeva quasi mai.

Era piena mattina, ma sembrava di essere al tramonto. Il cielo era velato, come sempre, dalle nubi grigie e nere cariche di freddo. Una nebbia densa e tagliente stazionava al suolo come i fumi della decomposizione sui tumuli. Il camino era acceso ma scaldava e illuminava troppo poco. Le gambe cerate dei tavoli non bruciavano affatto bene. Deanna strinse gli occhi e si sforzò di decifrare la calligrafia minuta e precisa che scorreva sulla pergamena ingiallita. Lo scialle di lana che aveva sulle spalle non bastava a tener lontano gli spifferi, così prese una coperta della poltrona. Puzzava di umido e di chiuso, ma era comunque piacevole. Era come sentirsi abbracciati a qualcuno, cosa che a Deanna mancava da morire.

Mordraud e Adraman erano passati da casa solo una volta negli ultimi mesi, qualche settimana prima, e avevano cenato insieme. Non si era certo fatta sfuggire l’occasione, e si era appartata con Mordraud solo per pochi minuti, prima di ritornare mestamente in camera da suo marito. Era stata una serata indubbiamente molto impegnativa. Erano ripartiti la mattina dopo, insieme, per tornare al fronte, anche se nevicava e soffiava un vento freddo come la morte. La tregua, quell’anno, non era mai arrivata.

Nessuno si sarebbe mai aspettato che l’inverno avrebbe deciso di non lasciare alla primavera il posto che le spettava di diritto. Era inconcepibile, impossibile anche solo da immaginare. Un meccanismo antico che chiunque avrebbe dato per scontato. Al feudo furono organizzate le festività per l’arrivo della bella stagione, i contadini attendevano il momento per tornare ai loro campi, i bambini fremevano all’idea di poter giocare di nuovo all’aria aperta fino a tardi. Ma la neve semplicemente non smise di cadere. Adraman partì verso il fronte insieme alle nuove leve fra le perplessità generali. E da quel giorno, tutto divenne grottesco.

Le piante non germogliavano. Gli animali non generavano nuovi cuccioli. I campi marcivano sotto il peso del ghiaccio duro come il marmo. Gli alberi avvizzivano e morivano. Il popolo aveva già l’acquolina in bocca per la frutta, la verdura, l’aria profumata, il sole fino a sera. Dovettero ingoiarla a malincuore. Quel gelo prendeva sempre di più i connotati di una maledizione divina, una punizione per ciò che Eldain e i suoi stavano portando avanti da decenni. Cambria aveva l’appoggio degli Dei, a quanto sembrava. La fortuna dell’alleanza era che la religione, in quelle terre, non aveva un gran peso. Altrimenti, le cose sarebbero già naufragate da un pezzo.

Deanna riuscì a leggere qualche parola alla tenue luce della finestra, ma non ne colse subito il significato. Era già abbastanza difficile vivere in quelle condizioni, non avrebbe sopportato altre cattive notizie.

 

«Sono rimasto ferito in combattimento. Ho una gamba spezzata, ma non sono in pericolo di vita. Ti scrivo per non farti stare troppo in pensiero, dato che non torno a casa da molto tempo, e ancora per molto altro non tornerò. Anche Mordraud è rimasto ferito, non è conciato molto bene, ma è giovane e confido che si riprenderà.

Mi manchi.

Ti amo»

 

Deanna finì di leggere e restò un momento immobile. Forse non aveva capito bene. Rilesse ancora, e ancora. Lesse fino a farsi venire il mal di testa. La luce era sempre più debole e grigia.

 

Anche Mordraud è rimasto ferito.

Non è conciato molto bene.

Confido che…

 

Deanna appallottolò la lettera fra le mani, la sfregò, la ridusse in mille pezzi. Non era infuriata, né preoccupata. Non era sicura di come dovesse sentirsi.

Sollevata per suo marito? In ansia per il suo amante?

Troppo, per poter decidere. Scelse di non provare nulla, mentre faceva cadere a terra come nevischio i pezzettini sporchi d’inchiostro. Mentre li scagliava in giro per la stanza e li faceva danzare nell’aria guardandoli agitarsi come piccole ballerine.

Solo quando la sua opera di distruzione fu completata, Deanna capì che il cuore aveva preso una decisione al posto suo.

E pianse fino a sentire gli occhi scoppiare.

 

***

 

Perché lo fai?”

Mordraud aprì la saccoccia di cuoio irrigidita dalla brina e spezzò un boccone di pane secco come un sasso. Masticò lentamente, schivando il dolore che cercava di affacciarsi ogni volta che compiva il gesto più semplice. Sul petto restavano poche tracce dei lampi armonici che per poco non l’avevano ucciso, ma lui sapeva perfettamente che la lotta si era solo spostata dentro il suo corpo. Quella non era una ferita che si poteva rimarginare con il riposo. Per un attacco simile, di solito si moriva. Senza lottare, senza resistere. Ma lui non era morto, e stranamente trovava la cosa curiosa, più che stupefacente.

I primi giorni lui non aveva potuto vedersi, ma Adraman gli aveva raccontato cosa avevano trovato i guaritori spogliandolo dentro la tenda dei feriti. La faccia color cenere. La pelle del petto nera come il carbone, spaccata e pulsante. Le vene del collo gonfie in modo disgustoso. Il sangue che non smetteva mai di uscirgli dalla bocca. Non avevano creduto un istante che sarebbe riuscito a superare la notte. Men che meno, la notte successiva. Quando a tutti fu chiaro che lui non aveva la minima intenzione di mollare, qualcuno iniziò a mormorare la parola miracolo insieme al suo nome. Ma Mordraud non si sentiva miracolato. Il dolore era tutto fuorché sparito. Si era inabissato dentro la sua carne, e nessuna erba curativa poteva alleviarlo. Poteva solo stringere i denti e tirare avanti, come aveva sempre fatto.

“Perché lo fai?”

Non aveva voluto con sé una scorta. Non per eccesso di arroganza, ma per puro buon senso. Il mondo era diventato completamente bianco. Neve nei campi, sui prati, sopra e sotto gli alberi secchi. Neve in cielo. Neve sulle case. Lui stesso era un faro acceso nella notte, un puntino nero su una tela completamente bianca. Se fossero stati in tanti sarebbe stato impossibile non farsi notare. Così, da solo e vestito da pezzente, poteva almeno sperare di essere scambiato per un mendicante, e poteva nascondersi ovunque, anche in un buco nella terra. Con sé aveva solo la spada, ben nascosta in un involto di coperte. Nient’altro. Di cavalli non se n’era neanche parlato. Quei pochi che ancora resistevano, servivano all’esercito. E Mordraud temeva anche che qualcuno particolarmente affamato potesse avere la malsana idea di ammazzarlo solo per prendersi la sua cavalcatura. Così viaggiava da solo e a piedi, sopportando il dolore un passo dopo l’altro, l’unico uomo in un paesaggio che aveva perso ogni colore, oltre che l’essenza.

«Perché lo fai?»

«Cosa?»

«Continuare a combattere. Continuare a buttare la tua vita oltre il Terrapieno. Perché lo fai? Cosa ti lega alla causa di Eldain? Perché l’hai fatta diventare una tua causa?»

La domanda delle domande. Mordraud masticò lentamente il frammento di pane insapore e grigio fissando le fiamme misere del suo piccolo fuoco. Si era accampato sul limitare del bosco, ai piedi di un albero morto sotto il peso del ghiaccio. Adraman lo aveva salutato con quella domanda, e lui non era riuscito a rispondergli.

Non avrebbe saputo cosa dire neppure dopo giorni e giorni di cammino solitario.

“Perché ho un conto in sospeso da chiudere” avrebbe potuto dire. “Perché Cambria deve pagare per quello che ha fatto alla mia famiglia” era un’altra ottima risposta. “Perché odio mio fratello, e so che è una Lancia Imperiale. Quindi ogni Lancia Imperiale deve morire” sarebbe stato un po’ fuori dalle righe, ma avrebbe avuto un senso.

“Perché mi scopo tua moglie, anche se tu sei un mio amico. Merito di espiare le mie colpe sul campo di battaglia”, era quasi vero.

Ma quelle risposte non sarebbero bastate a dare pieno valore a quello che provava.

“Perché Eld è casa mia, e la gente che combatte per lei è la mia famiglia. Perché voglio bene ai ragazzi che aspettano la loro fine dietro il Terrapieno.”

Quella era forse la risposta giusta. E gli venne in mente solo mentre guardava il fuoco, e mangiava il suo pezzo di pane ammuffito. Gli mancavano Pietà, Gigante, Maglio. Gli parve di sentire la voce di Berg abbaiare ferocemente un comando. Quel vecchio bastardo, pensò commosso. Stava male al pensiero che Rosso fosse morto e che lui non fosse stato lì con lui quando era successo.

Dormire la notte era impossibile con quel freddo, così Mordraud riprese il cammino quando la luce svanì all’orizzonte. Muoversi era il solo modo decente che avesse per scaldarsi, anche se ogni passo era una sofferenza. Eldain aveva accolto la sua proposta a braccia aperte, ma si era infuriato quando si era ostinato a voler partire di persona, e da solo.

«Sei uno straccio, ragazzo» gli aveva detto ammonendolo furiosamente. «Non se ne parla.»

«Gwern è mio fratello, ci aiuterà se sarò io a chiederglielo» aveva risposto lui, mentendo in parte. Gwern avrebbe aiutato chiunque, per quanto era buono e disponibile. Ma Mordraud voleva prendersi di persona la responsabilità di immischiare suo fratello in quella storia. Era compito suo, non di Eldain, Adraman o tutti gli altri capitani. Era solo suo.

«Allora chiediamo direttamente a Saiden! Lui saprà come fare, mentre tuo fratello è ancora troppo giovane! E magari non è in grado di…»

«Gwern sa sicuramente cosa fare. Ne sono certo» aveva chiuso Mordraud. Tutta quella sicurezza, in realtà, era solo una supposizione, ma Mordraud preferiva di gran lunga tentare con Gwern piuttosto che con un rinomato esperto di canto che però si era sempre disinteressato dei ribelli, dell’alleanza e di tutto il resto. Non si fidava del potere delle armonie, nella maniera più assoluta. Ma di suo fratello, sì.

Forse aveva esagerato, millantando un aiuto da Saiden senza nemmeno sapere da che parte lui stesse in quella guerra. E forse nemmeno Gwern era abbastanza bravo per aiutarlo.

A far cosa, si disse con un sorriso amaro. Era ridotto a un rottame. Probabilmente, era proprio lui l’anello debole del suo magro piano. “Almeno avrò guadagnato qualche giorno, per dare una mano a Eldain…” pensò affranto.

La notte scivolò via un passo dopo l’altro, nel buio senza luna e senza stelle. I suoni erano soffocati dalla neve, pesanti come macigni dentro l’acqua. Mordraud non vedeva un animale da giorni, e l’ultimo se l’era mangiato quasi crudo, dalla voglia che aveva di sentire il sapore di un po’ di carne fresca. Una lince, poco sveglia e intontita dal freddo. Per stenderla erano bastati un coltello e un buon lancio da distanza ravvicinata. Mordraud era ancora immerso nel ricordo di quella gustosa cena improvvisata quando vide spuntare dalla nebbia un’alba malata, e il profilo di una torre massiccia, un pilastro solitario in mezzo a un bianco prato sconfinato.

“Ci siamo!”

Accelerò il passo, ma le gambe sprofondavano nella neve rendendo tutto più difficile. In alcuni punti quasi si trovò a dover strisciare per non trovarsi immerso fino al collo nella neve gelida. Cadeva con frequenza così serrata che i fiocchi non facevano in tempo a indurirsi, trasformandosi in sabbie vaporose e inconsistenti. Mordraud raggiunse i piedi della torre. Qualcuno aveva scavato una voragine per raggiungere la porta. Perse il passo e cadde giù, impattando di schiena contro la lastra di ferro. Il rimbombo richiamò dei passi affrettati. Mordraud rotolò dentro la torre fra le gambe di suo fratello.

«Mo… mo… mo…»

«Anch’io sono felice di vederti, Gwern» esclamò stordito Mordraud.

«Ma cosa ci fai qui?!» strillò Gwern aiutandolo a rialzarsi. Gli spazzò la neve dalle spalle e dai capelli, gli girò intorno camminando in punta di piedi dall’eccitazione. Gli prese il mantello e gli passò una coperta più pesante. Si incamminarono insieme verso il centro della torre, la scala ellittica. Mordraud si guardò intorno e cercò di fischiare, ma aveva le labbra congelate.

«Ma che posto è?!»

«Apparteneva agli Aelian» rispose Gwern allargando le braccia. «Mamma non ti ha mai raccontato niente su un posto come questo?»

«No… direi proprio di no. È tutto così vuoto e freddo.»

«Essenziale, direi» esclamò Gwern. «Mi sarebbe piaciuto sapere di più della mamma e dei suoi parenti…»

Gwern si azzittì. Saiden era uscito dalla sua stanza. Li stava guardando da un ballatoio sospeso e senza corrimano, paurosamente più in alto rispetto a loro.

«Chi è, Gwern?»

«Mio fratello, maestro!» gridò lui. Mordraud chinò il capo incerto sul da farsi. Saiden corse giù velocemente. Quando li raggiunse, passò gli occhi da uno all’altro, e si paralizzò sul posto. Sembrava che anche lo sterno di suo fratello fosse molto interessante per lui, pensò colpito Gwern.

«Scusa, chi hai detto…»

«Mio fratello Mordraud, maestro. L’ho accolto dentro, non vi ho chiesto il permesso…»

«Hai fatto benissimo…» rispose sconcertato Saiden. Era incredulo per qualcosa che soltanto lui vedeva. Mordraud si guardava intorno confuso, spiazzato. «Io non voglio disturbare» tentò di dire, ma Saiden si fiondò verso di lui e gli afferrò le braccia. Gliele tastò sbalordito. Gli toccò anche il collo e il mento. Gwern era incapace di dire nulla. Mordraud restò fermo, sconvolto.

«Impressionante. Non può che essere tuo fratello, Gwern…»

Saiden ritrovò all’istante la sua compostezza. Si allontanò da Mordraud e gli chiese scusa. «Ero ansioso di conoscere l’uomo che Gwern mi ha decantato in tante occasioni…»

«Il piacere è mio» rispose Mordraud accarezzandosi pensosamente il volto.

 

***

 

Saiden lasciò cenare i due fratelli da soli. Carne di cervo e cipolle. Mordraud divorò le ossa e le cartilagini, leccò il piatto e spazzolò con le dita le briciole di un tozzo di pane, che Gwern teneva per spezzare la fame durante gli esercizi. Gwern contemplò attonito la voracità di suo fratello. E gli passò anche il suo pezzo di carne.

Mordraud, in via del tutto straordinaria, lo accettò senza fare storie.

«Come sta Larois?»

«Mh… credo bene…» bofonchiò Mordraud strozzandosi con un sorso di vino rosso. «Io sono di stanza al Terrapieno da mesi. L’ultima volta che sono stato a Eld…»

Si interruppe. Non poteva dire a suo fratello che era tornato a casa solo per scoparsi la donna di Adraman. Anche se avesse cercato parole migliori, lui non avrebbe mai capito.

E avrebbe fatto più che bene.

«Hai passato tutto il tempo in caserma, immagino…»

«Beh, sì… esatto.»

«Ma come sta andando a casa?»

Come voleva che stesse andando, pensò frustrato Mordraud. Malissimo. Si chiese per l’ennesima volta se aveva preso la decisione giusta, a interpellare suo fratello. Era ancora troppo giovane. Mordraud non se la sentiva di dirgli esattamente quello che stava succedendo fuori da quella fantastica torre, dove si poteva ancora mangiare carne fresca e il vino non era soltanto un triste ricordo bagnato. Forse avrebbe fatto meglio a tentare da solo.

«Il feudo è allo stremo… dobbiamo fare qualcosa.»

«Cos’hai in mente?»

«Mi sono chiesto…» sussurrò Mordraud «se questo inverno è causato da un canto… un cantore potrebbe sentirlo anche a grande distanza?»

«Mh, penso di sì» rispose sicuro Gwern. Mordraud lo squadrò stupito.

«Pensavo che sarebbe stato più difficile spiegarmi.»

«No, è abbastanza chiaro» continuò Gwern. Quando parlava di armonia e di canto, aveva un piglio decisamente diverso dal solito. Molto più deciso.

«Se fosse un’immensa risonanza, dovremmo sentirla anche da qui, probabilmente.»

«E tu sapresti cosa fare?!»

Gwern prese un respiro importante.

«No.»

«Allora come fai a esserne così sicuro?!» esclamò costernato Mordraud. Aveva sperato fino all’osso che lui sapesse cosa fare. Erano fottuti, pensò in preda al panico.

«Ho bisogno di parlarne con il maestro. Penso che lui possa darmi qualche consiglio.»

«Ma tu sai già cantare?»

«Sì, sono piuttosto bravo. Ma ancora non ho trovato le giuste risonanze. Mi manca poco, fratello. Pochissimo.»

Mordraud annuì convinto. Gwern era una maschera di convinzione pazzesca. Stringeva i pugni come a volerseli stritolare.

«Sono certo di poterti dare una mano.»

«E pensi che Saiden ti aiuterà?»

«Mi farò dire quello che posso.»

Mordraud gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. Gwern accennò a un ghigno sghembo. Era tesissimo. Ma era anche euforico in modo vergognoso. Aspettava da tempo l’opportunità di ripagare tutti. Mordraud soprattutto. Doveva soltanto convincere il maestro a spiegargli come mettere in pratica la sua idea. Tutti i discorsi di Saiden sugli Dei e sull’interpretazione dei fenomeni lo avevano spinto parecchio a riflettere. Se quell’inverno incredibile era causato da qualcosa o qualcuno, escludendo appunto gli Dei, allora la causa doveva risiedere nel misterioso potere delle armonie. La specialità di Cambria.

Forse un inverno armonico emetteva un suono particolare, pensò Gwern. Era quella la sua teoria.

Voleva sentire la risonanza dell’inverno.

Gwern si alzò di scatto e fece per andare alla porta. «Meglio iniziare subito» esclamò tentennando un momento. Era di fronte a un grosso problema, pensò. Saiden non lo avrebbe mai aiutato. Non lo aveva fatto per tutto quel tempo. Perché avrebbe dovuto iniziare ora?

Se sapeva come trovare il canto di Lungo Inverno, avrebbe già potuto fare qualcosa. Se gli fosse interessato. Da come il suo maestro parlava del freddo e di ciò che stava succedendo fuori dalla torre, Gwern dedusse che era l’ultimo dei suoi pensieri. Sembrava più interessato a perdere tempo con lui, fissandolo di continuo, rivolgendogli intricate domande e oscuri indovinelli senza risposta.

«Vado. Prima gli chiedo una mano, e meglio è» concluse deciso.

La porta della stanza si aprì da fuori.

«Maestro…»

Saiden entrò e si sedette sul letto. Passò lo sguardo sui due fratelli con cadenza meccanica. «Gwern, spiegami cos’avete intenzione di fare.»

Mordraud era rigido sulla sedia dello scrittoio. Gwern era fermo davanti alla porta aperta. Si guardarono interdetti. Quella coincidenza era decisamente anomala.

«Avanti, voglio tornare alla mia cena.»

«Stavamo pensando…» iniziò lui, ma Mordraud lo interruppe. «È stata un’idea mia. Speravo di trovare un aiuto su come individuare la fonte dell’inverno. Dev’essere per forza da qualche parte. Solo che noi non possiamo vederla.»

«Io credo che sia possibile percepire la risonanza di un canto tanto vasto.»

«Vi sbagliate, è impossibile.»

La risposta di Saiden fu lapidaria. Feroce. Gwern fece un passo avanti rosso in faccia. Mordraud stringeva la schiena della sedia come se dovesse strapparla via. Saiden sorrise sbalordito fissando qualcosa che sembrava muoversi fra i due fratelli. «Avevo ragione…» mormorò in un sibilo. «È qualcosa di mai visto prima…»

Gwern non riuscì a sentirlo. Si fece avanti ancora, con un fare velatamente minaccioso ma allo stesso tempo terrorizzato. Come un topo in trappola. Era la sua occasione di fare qualcosa. Non poteva perderla. Mordraud era disperato. Come se l’inverno gli fosse ripiombato addosso con il peso di un’incudine nella schiena.

Intanto, lo sguardo di Saiden continuava a saltare da un petto all’altro dei due fratelli.

«Non si può fare. È fuori discussione. Non come dite voi, almeno…»

«Cosa… cosa intendete?» esclamò Gwern indietreggiando istantaneamente.

«C’è un altro modo per individuare la fonte, come l’ha chiamata tuo fratello. Tu lo chiameresti coro, ma è molto più corretto il suo…»

«E come dovrei fare?»

«È possibile?!» si intromise Mordraud. Non stava capendo molto dai loro discorsi. Aveva solo afferrato che ci fossero risvolti positivi.

«Sì, ma Gwern non sa come fare.»

«Posso imparare…» rispose lui, ma a Saiden scappò un abbozzo di risata. «No, non credo.»

«Allora mi stai prendendo in giro?!»

Era talmente confuso che aveva perso le buone maniere. Non capiva perché il maestro pensasse che lui fosse un totale incapace.

«Posso farlo, ne sono certo.»

«No» tagliò corto Saiden. «Ma posso farlo io.»

Si alzò di scatto dal letto e passò fra i due fratelli. Si fermò in mezzo a loro un istante, allargando le braccia come se si stesse gustando un attimo di vento. Il suo comportamento era assolutamente incomprensibile. Gwern fissò Mordraud interdetto.

«Ci aiutereste?!»

«Sì. Non vedo perché non farlo» rispose tranquillamente Saiden.

«Ma non avrei mai pensato che…» mormorò Gwern.

«Ora che vi ho visto vicini… non sarebbe un dispiacere aiutare.»

«Allora perché non ha fatto qualcosa prima? Là fuori è un incubo orrendo!» sbottò Mordraud sdegnato. «Cambria sta uccidendo Eld!»

«Perché ora potrebbe essere più interessante. Voglio venire con voi, e vi aiuterò a trovare la tua fonte, Mordraud. Non vi preoccupate.»

«Di cosa?» chiese perplesso Gwern.

«Di me… fate come se non ci fossi

 

***

 

Saiden aveva lasciato la stanza per dare il tempo ai fratelli di prepararsi. Voleva partire subito. Quando Gwern aveva chiesto almeno una notte di riposo per Mordraud, lui li aveva fissati come se fossero impazziti. Non sembrava ansioso di trovare un modo per fermare Lungo Inverno. Era solo eccitato all’idea di viaggiare insieme a loro. Un comportamento assurdo che lasciò su Gwern uno strascico di strani pensieri.

«Ti giuro che di solito non sembra così…»

«Ma hai visto come ci fissa? Proprio qui…» Mordraud si indicò perplesso il petto «penso non mi abbia mai guardato in faccia da quando sono entrato.»

«Questo lo fa sempre. Non so perché» rispose Gwern allargando le braccia. «Però mi ha trattato molto bene finora, è severo sì, ma è giusto. Sono il suo allievo. Mi deve trattare così.»

«Ma cos’hai imparato finora?!»

Gwern scosse nervosamente la testa.

«Solo a cantare. Non chiedermi di esibirmi, non apprezzeresti. Sono melodie piuttosto particolari. Diverse da quelle che mi aspettavo.»

«Credi che ti stia nascondendo qualcosa?» gli chiese Mordraud.

«No, penso solo che lui abbia un modo tutto suo di intendere le risonanze…» rispose Gwern soppesando le parole. Aveva paura che lui li stesse ascoltando. Una sensazione che, sinceramente, non aveva mai avuto da quando abitava lì.

«Cosa significa?!»

Gwern fece segno a Mordraud di aspettare un momento. Prese dallo scrittoio un calice di vetro. Lo usava per intonarsi. Strinse un pennino di bronzo e lo percosse delicatamente. Si generò una nota perfetta, limpida. «Vedi, quando due corpi entrano in contatto, questi vibrano… ed emettono un suono. Anche se tu non puoi sentirlo, quando tocchi qualcosa con le mani, o sbatti contro qualcuno, il tuo corpo vibra.»

«Stai cercando di spiegarmi le armonie?!» esclamò titubante Mordraud. «Sai che non le amo particolarmente…»

«Potrebbe servirti, se mai dovrai scontrarti contro un cantore. Seguimi…»

Gwern appoggiò il bicchiere, e lo indicò quando il fondo bussò sordo sulla pietra. «Esistono vibrazioni che possono entrare in risonanza. E cosa succede? quando due corpi entrano in risonanza, condividono per un istante lo stesso suono. Questo può succedere quando si è innamorati, o quando si prova qualcosa di forte per un amico fidato.»

«Stai dicendo che anche quella è un’armonia?!»

«Sì» rispose imbarazzato Gwern. Per lui, quella era pura teoria. Gli piaceva fantasticare sulle conseguenze dell’esistenza delle armonie. Poteva passare giorni a pensarci.

«Un cantore cerca con la propria voce di entrare in risonanza con il mondo. Con il vento, la terra o la luce. Con qualsiasi cosa. Anche con gli altri uomini, possibile… ma difficile. Quando la sua armonia riesce a trovare il punto esatto della risonanza, la concentrazione del cantore può scatenarsi plasmando la realtà, o addirittura crearla, anche solo per pochi istanti.»

«Come quei maledetti dardi…» sibilò Mordraud ghignando al ricordo.

«Può anche essere semplice luce concentrata, tutto dipende dall’esperienza del cantore. E dalla perfezione della sua risonanza.»

«Come hai fatto a imparare tutte queste cose?!» disse Mordraud sbalordito dalla sicurezza con cui suo fratello parlava. Stava crescendo rapidamente, e soprattutto bene. Mordraud tirò un sospiro di sollievo.

«Il maestro sta cercando di insegnarmi come sublimare il canto.»

«Non so cosa vuol dire…»

«Significa renderlo superfluo. Lui sa come entrare direttamente in risonanza con il mondo. È come se lo fosse perennemente.»

«Pazzesco!»

«Non puoi nemmeno immaginare quanto sia meraviglioso.»

«Ancora non capisco perché abbia scelto di aiutarci. Non te ne aveva mai parlato prima?»

Gwern negò perplesso. «No, mai successo. Non parlava mai dell’inverno. Io l’ho scoperto dopo mesi. Sembrava non interessargli minimamente.»

«E allora perché ora vuole seguirci? A me inquieta…»

«Vedila così: senza di lui, sarebbe stato impossibile.»

Mordraud diede un’occhiata a Gwern. Era ancora un ragazzino. Ammalato, per giunta. Lui era ridotto a una poltiglia di nervi, probabilmente non era nemmeno in grado di combattere decentemente. Aveva tentato quella strada per disperazione, spinto dagli atroci incubi che lui e i suoi ragazzi vivevano costantemente sul Terrapieno.

Saiden che decideva inaspettatamente di aiutarli era una mostruosa botta di fortuna.

«Cos’avrei potuto fare, fratello?» mormorò Gwern. «Se fossimo partiti io e te da soli, non avremmo avuto alcuna speranza.»

 

***

 

Eldain prese il tampone, asciugò con cura la pergamena e la inclinò vicino alla candela per guardarla meglio. Non sembravano esserci sbavature, e la calligrafia era pulita e regolare. Non ci vedeva più molto bene da vicino, ma per sua fortuna era ancora in grado di scrivere decentemente. Appose la sua firma esaltandone le volute e le grazie, come a rimarcare quanto credesse in quello che aveva appena finito di scrivere. Aveva cercato le parole più belle, le frasi più sontuose, ben conoscendo chi le avrebbe lette. Il reggente di Hannrinn, un uomo così avaro di mano e di cuore da essere entrato nella leggenda. Rinnion, l’uomo più influente delle terre attraversate dal lungo fiume Hann.

“Sarà una bella gatta da pelare per te, vecchio mio” pensò sorridendo cinicamente. Adraman aveva insistito fino alla nausea per occuparsi di persona della faccenda.

“Proprio come ha fatto Mordraud… è vero che un po’ si somigliano.”

Adraman sarebbe partito la mattina dopo con una piccola delegazione di cavalieri di Eld, tutti quelli che avevano anche solo una stilla di sangue nobile nelle vene. Retaggi annacquati da generazioni, portatori di stemmi e antiche amicizie che forse potevano avere ancora un peso. Molto leggero, ma pur sempre meglio di niente.

“Almeno sono riuscito a convincerlo a non usare il cavallo… sarà divertente vederlo partire in carrozza, uno spettacolo ridicolo!”

Con quella gamba malridotta, Adraman non poteva seguire i suoi uomini nel modo che più gli si confaceva, cavalcando in testa alla delegazione. Avrebbe dovuto seguirli trascinato su un cigolante carretto coperto, ed Eldain a fatica non rideva al pensiero di quante bestemmie il suo amico avrebbe lanciato, comodamente seduto su una pila di cuscini.

Era tutto molto divertente, ma l’amarezza restava. Eldain sarebbe voluto andare di persona a Hannrinn, ma tutti, nessuno escluso, gli avevano fatto capire che non era una buona idea. Solo Berg aveva però osato dire le cose come stavano, senza cercare di girarci intorno.

«Noi siamo sacrificabili, voi no. Se i Rinn catturano Adraman, noi possiamo anche lasciarlo là e continuare. Ma se mettono le mani sul capo dell’alleanza… cosa che quelle rane di fiume non vedono l’ora di fare, dico io!»

Che potesse diventare una trappola, Eldain non aveva dubbi. Proprio per quel motivo, mal sopportava l’idea di mandare Adraman al posto suo. Giocare con la vita delle persone era sempre stata la cosa più difficile, da quando si era accollato il peso di tutti i nobili ribelli contro Cambria. L’aveva dovuto fare così tante volte che ormai ne aveva veramente abbastanza.

«Non mi prenderanno, guarda come sono ridotto!» gli aveva detto Adraman aprendo le braccia. Aveva la faccia tutta graffiata e tumefatta, una gamba steccata dall’anca al piede, ed era dimagrito vistosamente. Sembrava un pezzente, più che un cavaliere.

«Sanno bene che non ti fermeresti a trattare solo per me, per tutti sei un uomo duro come l’acciaio.»

Tanto duro non si sentiva, a leggere quella dannata pergamena. Era uno sproloquio di complimenti, di rassicurazioni, di promesse. Se la famiglia Rinn avesse ritirato l’appoggio al fronte, la guerra si sarebbe potuta già dire persa. L’inverno maledetto stava costando assai caro alla causa dei ribelli. I soldati erano allo stremo, ma almeno qualcosa ancora mangiavano. Per la maggior parte dei civili non si poteva fare più niente, ormai. La legna era agli sgoccioli, il cibo finito da un pezzo, e le strade non riuscivano a restare pulite per più di un giorno. I paesi erano diventati cimiteri abitati da vivi. Ancora per poco.

«Chiedete pure, tanto non vi daranno ascolto» aveva detto Ghiaccio l’ultima volta che si erano visti, al consiglio. «Hanno troppa paura del vostro freddo, e soprattutto Hannrinn è già sotto pressione, con i confini dell’Hann presi di mira sempre più spesso da Cambria.»

Eldain sperava solo che Ghiaccio non stesse facendo qualche sporco doppio gioco. I Rinn non erano propriamente dei campioni, in fatto di lealtà. Ma arrivare a immaginare qualche legame con l’impero… no, se si fosse messo a scervellarsi su quelle congetture, sapeva che non ne sarebbe mai venuto a capo. Poteva solo sperare che Adraman riuscisse almeno a ritardare il ritiro delle truppe. E se Mordraud dimostrava di aver ragione, allora le cose si sarebbero potute sistemare.

Eldain piegò la pergamena, sciolse la cera per apporre il suo sigillo, una torre circondata da spighe di grano, e prese il timbro. La mano gli tremava leggermente, come al solito. Ma quella sera anche il braccio fremeva, incapace di dare forza alla presa. Eldain digrignò i denti dal fastidio e completò l’opera. La luce era scarsa, e i suoi occhi così deboli, che fece fatica a vedere il servo all’angolo della porta. Quando lo notò, gli consegnò la missiva e lo allontanò con un gesto. Sentiva il petto sobbalzare, e se avesse parlato in quel momento, il domestico se ne sarebbe potuto accorgere. La sua voce sarebbe stata tremolante e interrotta, la voce di un vecchio malandato e stanco. Eldain non poteva mai abbandonare i panni dell’uomo dal pugno di ferro. Tutto il suo corpo chiedeva disperatamente il contrario. Aveva bisogno di un po’ di riposo, di restare a letto qualche giorno, di rilassarsi. Tutte cose che non faceva da anni. Da decenni.

E forse, non le avrebbe mai più fatte.

«Adraman, vedi di stare attento» borbottò tossendo dopo che il servo era già andato via «e anche tu, Mordraud… datti una mossa, per gli Dei!»

Mordraud, Libro Primo
titlepage.xhtml
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_000.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_001.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_002.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_003.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_004.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_005.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_006.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_007.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_008.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_009.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_010.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_011.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_012.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_013.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_014.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_015.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_016.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_017.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_018.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_019.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_020.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_021.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_022.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_023.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_024.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_025.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_026.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_027.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_028.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_029.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_030.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_031.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_032.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_033.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_034.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_035.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_036.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_037.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_038.html
CR!0SBTX2ARFN5W9A25W3XGP9797B1A_split_039.html