VII

 

 

 

 

 

 

 

«Anche tu sei nuovo?»

Dunwich stava camminando a passo spedito lungo il vialetto di ghiaia bianca, immerso nel ripasso della lezione del giorno prima. Applicare le terne emotive e scegliere i giusti ponti armonici. Interessante l’esempio di un passaggio in minore usato per introdurre un cambio drastico a una scala maggiore Cambriana, l’effetto risultante era una vibrazione incontrollata dei metalli nobili. Un bell’argomento, dove poteva mettere molto del suo. Inizialmente non si rese neppure conto che la domanda fosse rivolta a lui, e non accennò a rallentare. Solo quando una mano gli si posò sulla spalla i suoi pensieri saltarono, e si voltò per vedere chi lo voleva a tutti i costi disturbare. Quasi ogni giorno qualcuno gli chiedeva se si fosse perso, o se stesse aspettando un fratello o il padre. Dunwich imprecò per l’ennesima volta contro quel maledetto corpo da bambino che si ritrovava.

«No, non mi sono perso! Sto andando a lezione» esclamò stizzito senza degnare di uno sguardo lo scocciatore.

«Ma io ti ho chiesto se sei nuovo, non se ti sei perso!»

Dunwich scosse la testa per riordinare le idee e alzò gli occhi. Non solo aveva frainteso la domanda, non aveva neanche riconosciuto lo scocciatore.

Era una scocciatrice.

«No, cioè sì… sono iscritto da tre anni, ma frequento i corsi superiori…»

Odiava parlare con qualunque essere umano, ma soprattutto con le ragazze. I maschi lo prendevano in giro, lo sbeffeggiavano o se ne andavano intimoriti e rabbiosi quando scoprivano la sua posizione nell’Arcana. Le donne invece lo trattavano come un pupazzetto carino e adorabile. “Ma che bravo, come sei intelligente…” era la frase tipica che usciva dalle loro bocche ben disegnate dal trucco. La cosa grave era che lui vedeva quelle labbra con gli occhi di un quindicenne molto sveglio, intrappolato però nel corpo di un marmocchio.

«Allora tu sei Dunwich! Ho sentito tanto parlare di te!»

“Ecco che inizia” pensò frustrato. “Bene, posso anche scappare via.”

«Ti ammiro molto, sai? Dicono in giro che tu sia un genio!»

Dunwich perse tutte le parole a disposizione nel suo elenco di scuse pronte all’uso.

«Beh, ecco… grazie, sono… sono…» balbettò timidamente «onorato, sì ecco…»

«Onore mio! Scusa se ti ho scambiato per un novizio!» una mano si allungò verso di lui. Era curata, liscia e magra. Dunwich la afferrò fra le sue piccole dita da moccioso. «Mi chiamo Lisea. Sono arrivata da poco dalla scuola di alchimia di Calhann.»

«Sei qui per affinare le arti erboristiche?»

«Sì, qui a Cambria vivono gli specialisti più rinomati di tutto il Nord, anche se… avrei desiderato frequentare l’Arcana, ma alle donne non è concesso.»

«Una vera ingiustizia…» rispose Dunwich annuendo gravemente. Non che gli interessasse particolarmente l’argomento. Finché poteva frequentarla lui, l’Arcana, il resto aveva poca importanza. In effetti era curioso che le donne venissero preventivamente scartate. Raggiungere le risonanze era molto difficile, pochi ne erano in grado. Lui non riteneva che fosse esclusivamente una prerogativa maschile.

Ma non voleva di certo perdersi quel piccolo momento di celebrazione, così raro in mezzo a un mare di scherno.

«Già… è la tradizione, purtroppo.»

Carina, constatò Dunwich cercando di non arrossire. Magra e alta, con capelli biondi raccolti sul capo e fermati da un punzone di legno. Occhi nocciola, ciglia lunghe. Naso leggermente affilato. L’esempio vivente di una donna che mai al mondo avrebbe potuto interessarsi a lui.

«C’è qualcosa che non va? Ho un’acconciatura troppo vistosa? Non sapevo com’era la moda nella capitale… è la prima volta che la visito…»

Lisea si portò una mano fra i capelli corrucciando la bocca in un’espressione squisita. Stava d’incanto con quella pettinatura. Dunwich mugolò fra sé. Arrossire non era più il suo primo problema. Si mosse a disagio e incrociò leggermente le gambe.

«No no! È che non sono abituato a… non mi capita spesso di…»

Ecco un altro vuoto nella sua mente, pensò allarmato. Si stava comportando in modo disastroso. «Notavo solo che mi superi in altezza di una spanna, o forse di più…»

Dunwich avrebbe già voluto conoscere un ottimo canto per sparire nella terra. Un’armonia istantanea per fondersi con il basamento della strada. Lisea lo stava fissando interdetta.

«Lascia stare… è un’idiozia.»

«Beh, mi ha fatto piacere conoscerti, Dunwich!» disse lei cambiando discorso. «Magari uno di questi giorni, se ti va, potremmo mangiare insieme, così mi racconti un po’ di cose su Cambria e sulla scuola! Io sto nei dormitori destinati agli stranieri, tu immagino nelle dimore dell’Arcana…»

«No, dormo fuori dal parco. Mi ospita un insegnante, si chiama Seneo» rispose Dunwich, chiedendosi nel frattempo se lei si fosse offesa per il commento sulla sua altezza. Come ci si doveva comportare con una ragazza? Cosa volevano sentire? Non era molto preparato sull’argomento. Quando ci fantasticava era decisamente più semplice.

«Addirittura! Devi essere proprio bravo… a presto allora!»

Lisea lo salutò con un sorriso e corse via. Dunwich restò fermo in mezzo al vialetto a lungo, finché non sentì i primi canti alzarsi dalle sale di prova. Doveva fare il solista di nuovo. Ma non vedeva l’ora che fosse sera.

Per incontrarla di nuovo all’uscita.

 

***

 

I mesi passarono, fra noiose sedute di prova dove non imparava nulla di nuovo e lunghe sedute di allenamento personale. Ogni volta che Dunwich approcciava un nuovo punto di vista interessante, lo divorava e restava in snervante attesa che anche gli altri alunni fossero in grado di padroneggiarlo. Stava iniziando a manipolare le prime risonanze ma il resto dei suoi compagni non erano in grado di sorreggerlo. Per cui doveva sempre esercitarsi da solo. Non perdeva occasione di balzare avanti negli studi, frequentando come uditore gli altri cori dell’Arcana, elaborando a casa le sue personali evoluzioni, ma dopo aver conosciuto Lisea ebbe per la prima volta l’occasione di passare un po’ di tempo con altri ragazzi senza dover essere massacrato di insulti. La ragazza di Calhann si era integrata bene fra i suoi coetanei, e grazie a lei anche Dunwich venne preso in simpatia da alcuni giovani novizi che lo consideravano un esempio di bravura a cui tendere, e che avevano espresso il desiderio di conoscerlo. I suoi studi notturni ne risentirono, ma il suo umore sempre acido e nervoso ne trasse grande giovamento.

Anche se il primo approccio non fu dei migliori.

«Ragazzi, vi presento Dunwich. Ricordate? Vi ho parlato di lui l’altra sera…»

Il suo primo incontro ufficiale con il resto dell’umanità ebbe luogo nel parco dell’Arcana, una fresca sera d’autunno. Lisea aveva insistito con lui fino allo sfinimento, vincendo la sua corazzata ritrosia dopo tanti pranzi passati insieme a chiacchierare. Per sua fortuna era lei a cercarlo, e non il contrario. Dunwich non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi avanti. Sentiva sempre la sgradevole sensazione di somigliare a un bambino impegnato a dar fastidio agli adulti.

«Il prodigio?! È un piacere conoscerti, mi chiamo Ronio» esclamò con voce squillante un ragazzo basso dallo sguardo brillante «lei è Silia, praticante di scienze mediche, e lui invece è Denor. Lisea ci ha parlato spesso di te… vieni, raccontaci un po’ come sono gli allenamenti superiori. Dicono che siano estremamente ostici. È vero? Hai già imparato qualcosa di utile?!»

«Piacere di conoscervi!» esclamò agitato Dunwich. «Ma cosa intendi per utile?»

«Risonanze di guerra, modi per deformare un terreno… o per gonfiare le fiamme! Dicono anche che si possa giungere a cantare con due voci… ma è vero?!»

Dunwich prese a camminare in mezzo a loro cercando di tenere il passo. Dovevano avere tutti vent’anni, più o meno. Ragazzi svegli, già filtrati dai rigidi parametri di accesso alle prestigiose scuole di Cambria. Silia era bassa e robustella, ma aveva un viso gradevole. Denor era il più alto di tutti, ed era parecchio robusto. Un armadio pronto a imbracciare scudo e spada. Un filo di barba gli donava l’aspetto di un uomo con una certa esperienza.

«Sì, ho già sperimentato qualche risonanza… certo, cantare a voci molteplici devo ancora provarlo… ma il resto non è molto difficile» esordì Dunwich, ma subito si rese conto che rischiava di essere frainteso. «Intendo in generale, non per me… bisogna applicarsi, ma niente di proibitivo… imparare a memoria lunghi e intricati canti, saper sillabare correttamente, lavorarci sopra, cercare la concentrazione necessaria…»

«Certo, ma bisogna anche saper sopportare l’urto di una dissonanza» esclamò Ronio. «Quando la concentrazione entra in simbiosi con il canto… la difficoltà sta tutta lì!»

«No, non credo proprio. Il canto domina su tutto. L’armonia può far male solo quando sbagli. È sufficiente non sbagliare mai

«Lo dici come se fosse un gioco!» ridacchiò Lisea. «Tu da quanto pratichi il canto?»

«Ecco, direi… tre anni, più o meno.»

«TRE ANNI?!» tuonò Denor, il sontuoso uomo barbuto. «Sembra impossibile… io studio da più di dieci anni e non riesco ancora a collegare mente e canto per produrre più di una fottuta fiammetta da una candela morente…»

«Ma tu sei un grosso ritardato, Denor… infatti dovevi andare a fare il militare, non l’artista!» disse Ronio con una linguaccia. «Il canto è per le menti fini…»

«Io voglio essere una Lancia, cantante da strapazzo!» ringhiò il ragazzo. Sembrava molto minaccioso ma Dunwich si rese conto che quei due stavano solo scherzando. Era un evento raro. Non era lui quello in mezzo agli insulti. La cosa gli diede un coraggio nuovo e sconosciuto.

«Se non ti dispiace, ti andrebbe di farmi sentire come canti?»

Dunwich usò il suo tono migliore per non sembrare aggressivo, e con un sospiro di sollievo si accorse di esserci riuscito. Il piccolo gruppo si fermò. Denor si schiarì la voce respirando lentamente, per tranquillizzarsi. Il parco era immerso nella frizzante aria della sera, e una leggera brezza solleticava le fronde rossastre dei grandi alberi disposti lungo il viale.

«Non sono abituato a farlo così all’improvviso…»

«Beh, ti ci dovrai abituare se vuoi farlo mentre cavalchi con una spada in mano!»

La sua frecciata generò qualche risatina divertita da parte di Silia e Ronio. Dunwich fece finta di niente. Voleva sembrare il più autorevole possibile in quel momento, e non un giullare. Il suo proposito di mantenere controllata l’aggressività era stato soppresso dal primo sorriso ammirato di Lisea.

Denor intonò un paio di arpeggi, e mosse le mani aprendo e chiudendo le braccia come in un lento applauso. Aveva una bella voce, ma era ruvida e poco precisa nei passaggi. Sillabava strisciando troppo la s. La piccola fiamma ardente apparve fra i suoi palmi chiusi a formare una capanna con le dita, ma dopo troppo tempo e uno sforzo eccessivo.

«Prendili come semplici consigli, ma…» esordì Dunwich avvicinandosi a lui. Di fronte alla sua stazza sembrava ancora più piccolo, ma evitò di pensarci. Altrimenti non avrebbe mai avuto il coraggio di dire quello che stava per dire. «Prima di tutto, sbarazzati dell’accento campagnolo e studia alla perfezione le sillabe. Poi… ti manca l’immaginazione… prova a immaginarti un fuoco da campo acceso fra le tende disposte al fronte… l’odore della terra smossa dai cavalli, la puzza di acciaio arrugginito… così…»

Dunwich iniziò a cantare sommessamente. La melodia era totalmente diversa da quella di Denor, la solita cantata che insegnavano durante il noviziato. Sembrava la triste nenia di un vecchio soldato, ricca di passaggi melodici semplici e ingenuamente struggenti. Dunwich aveva lavorato sulla sua voce in modo maniacale, plasmandola e torchiandola per darle flessibilità ed estensione. Le sue mani si mossero solo una volta come per pulire una mela dalla polvere, e la fiamma apparve subito a scaldargli le dita. Aveva gli occhi di tutti piantati addosso.

“È il mio momento, finalmente! Dov’è Lisea? Mi starà ammirando anche lei?”

Quando la cercò con lo sguardo, la vide stretta al braccio di Denor. Lo stava accarezzando, gli occhi rapiti dalla fiamma.

Che imbecille che era stato a crederci, pensò.

«Odore del sangue, carne sventrata, piedi mozzati!» urlò ferocemente continuando a modulare il suo canto passando dalla malinconia alla furia. Infilò le parole fra sillabe sempre più dure e aspre, martellanti. Un passaggio estremamente raffinato.

«Il nemico che avanza e uccide i tuoi amici!» esclamò, mentre le sue mani si allontanavano e la fiamma si alzava sempre di più.

«Ecco, ti sono addosso!»

Dunwich allargò le piccole braccia magre e una colonna di fuoco esplose sorvolando le teste dei ragazzi che lo circondavano. La notte sparì per un istante, lasciando il posto alla scena di un incendio devastante. Le fiamme svanirono solo quando le sue mani si richiusero, e lui vide troppo tardi il puro terrore negli occhi dei suoi nuovi amici. Lisea era stretta a Denor e singhiozzava, il ragazzo tirava su con il naso cercando di vincere l’emozione che lo aveva travolto ascoltando la sua trascinante melodia. Ronio era arretrato di qualche passo bianco in volto, portando con sé Silia che invece lo stava fissando con una strana luce negli occhi. Proprio lui.

“Perché mi guarda così?” si chiese Dunwich fra i morsi di vergogna per quello che aveva appena fatto. La situazione gli era sfuggita totalmente di mano. Ma almeno aveva ottenuto qualcosa.

Sembrava una morbosa attrazione, quella che balenava nello sguardo della giovane novizia.

«Scusate… non volevo…»

«Per gli Dei, sei… potente…» balbettò Denor mentre tranquillizzava Lisea al suo fianco. «Incredibilmente forte…»

«Penso che sia ora per me di andare a casa» disse Dunwich mentre stava già arretrando, allontanandosi dai ragazzi.

«Cercherò di ricordare come hai fatto!» gridò Denor alle sue spalle.

Dunwich sperava di no. Per la prima volta aveva conosciuto qualche persona simpatica, e forse aveva già rovinato tutto. Ma aveva anche imparato qualcos’altro. Un particolare nuovo e vergognosamente eccitante.

Lisea abbracciata a quel ragazzo alto e muscoloso lo aveva fatto infuriare. Aveva sentito l’odio scorrergli nelle vene.

E grazie a quella rabbia era diventato improvvisamente molto, molto più potente.

 

***

 

Per sua fortuna, il piccolo gruppo di amici di Lisea non sembrò serbare rancore per la sua incauta dimostrazione di forza. Le serate che passava con loro divennero il ritmo con cui Dunwich teneva il tempo dei mesi di studio, lo sfiato alle pressioni che si sentiva costantemente addosso. Denor migliorò vistosamente grazie ai suoi consigli, e così anche Ronio. Dunwich divorò letteralmente gli anni dell’Arcana, superando in tecnica anche diversi insegnanti di canto. Solo Seneo ancora gli riusciva a tenere testa, anche se in alcune occasioni Dunwich provava a spingersi oltre le capacità tecniche del suo maestro. Era in grado di entrare in risonanza in tempi talmente brevi da non essere quasi notati. Era come se cantasse dentro di sé, a una velocità che esulava dall’esperienza di ascolto. Le voci su di lui giravano incontrollabili. In molti sussurravano che a breve si sarebbe affiancato a Raelin, il più vecchio ed esperto cantore di Cambria, che in quel periodo svolgeva i suoi compiti sotto il diretto controllo dell’Imperatore Loralon, coordinando nel frattempo tutte le attività dell’Arcana.

Dunwich era a un passo dal diventare il successore di Raelin, e aveva meno di vent’anni. Aveva anche l’appoggio incondizionato di Seneo, che vide accrescere la sua fama di insegnante ai livelli degli storici fondatori del canto di Cambria. Dunwich passava il suo tempo all’Arcana ma non partecipava ai cori. Spesso li guidava, muovendo le mani imbastendo il ritmo e indicando, con i segni dei cantori, quali note e quali movimenti compiere. Oppure stava semplicemente ore ad ascoltarli per comprenderne gli errori.

Vedeva spesso i suoi amici, gli era stata concessa apposta una porzione generosa della casa di Seneo. Gli altri ragazzi che avevano studiato con lui erano stati cacciati, solo per fargli posto. Lui non perse un istante a dispiacersi. Dunwich scoprì senza un fremito che poteva tranquillamente fottersene di quattro o cinque disgraziati. Nessuno avrebbe recriminato. Era lui al centro delle attenzioni di tutti.

Un giorno, mentre stava uscendo dal palazzo dell’Arcana, invece che puntare verso il parco per incontrare gli altri ragazzi, Dunwich si fermò a parlare con Raelin. Il cantore personale di Loralon. Ogni tanto scambiavano quattro chiacchiere formali, non erano ancora vicini a sufficienza per trattarsi in modo più amichevole. L’anziano cantore non era particolarmente contento di avere già un potenziale sostituto, e Dunwich non amava comportarsi in modo sottomesso. Presero a discutere sul suo futuro nell’Arcana.

«Non credo tu abbia ancora molto da imparare qui» esordì senza giri di parole il maestro. «Dovresti intraprendere una carriera in città. L’arte si impara con la pratica… tu non hai più bisogno di teoria.»

«Secondo il mio tutore, la teoria non basta mai…» rispose stupito Dunwich. Pensava che Raelin fosse molto più contento a vederlo chiuso nell’Arcana, più che lanciato a vele spiegate in un mare di proposte di lavoro. Non si aspettava una sua spinta in merito.

«Penso tu sia troppo preparato per restare qui. Non hai più margini per crescere.»

Da quando in qua gli interessava, pensò. Dunwich aveva raggiunto una notorietà meritata senza averla cercata attivamente. Era stato sufficiente mettere in mostra le sue capacità. “E il bello è che ancora nessuno ha visto il frutto dei miei allenamenti solitari…” pensò. Neppure Seneo era al corrente dei suoi progressi nella ricerca delle risonanze. Non si era fermato alle semplici manipolazioni della realtà che venivano insegnate ai coristi dell’Arcana. Plasmare il fuoco o l’acqua, il vento. Dunwich era passato oltre.

Aspettava solo il momento per dimostrarlo. Non lo credeva tanto vicino.

Raelin l’aveva anticipato.

«Maestro, avete qualcosa di preciso in mente?»

«Mh, forse» accennò Raelin. Dunwich si guardò perplesso intorno. I suoi amici avevano notato la sua assenza e si erano avvicinati al viale che conduceva alla scalinata dell’Arcana. Inspiegabile come fossero cambiate le cose in pochi mesi, si disse. In mezzo a loro, lui sembrava un bambino insipido. Molto carino ed elegante, con i suoi capelli neri e spessi e gli occhi blu. Ma davvero troppo piccolo per girare con ragazzi così grandi.

Difficile credere che lui fosse diventato il loro punto di riferimento per tutto. Chi riusciva a girargli appresso, poteva sperare in una spinta in più per la propria carriera. Dunwich era un carro solido lanciato a folle velocità.

In discesa.

«Sono d’accordo con Seneo; domani sera ha organizzato una cena a cui parteciperò anch’io, insieme a un potenziale cliente. Il tuo primo… ed è molto importante.»

«Una cena? Elegante?» chiese Dunwich. Il giorno dopo. Non avrebbe avuto nemmeno il tempo di elaborare la fine del suo percorso di studi all’Arcana. Le infinite lezioni di armonia. Le esercitazioni del coro dove lui sembrava l’unico in grado di mostrare un po’ di gusto per il ritmo.

Non vedeva l’ora che fosse il giorno dopo.

«No, Seneo ha piacere che vengano anche i tuoi amici. Sarà una festa, vedrai. Considerando il cliente che mi ha chiesto di poterti parlare, è un po’ come se tu avessi superato un esame… anche se non te ne sei accorto.»

 

***

 

«Ehi Seneo, penso che tu debba cambiare il servizio di cristallo…» esclamò Dunwich rosso in volto, picchettando con il dito sul fondo del bicchiere. «Il mio… è bucato!»

Raelin aveva detto la verità. La cena che Seneo aveva organizzato non era il solito simposio di noiosi puristi dell’Arcana. C’era la musica in un angolo, due viole da gamba e un flauto che suonavano piuttosto bene. Erano nella sala principale, la più grande della casa. Il lungo tavolo era apparecchiato in modo semplice ed era stato caricato di battilarde di salumi, formaggi, pesce marinato e piccole forme di pane ai cereali. Dunwich aveva i suoi amici seduti intorno, lui era a capotavola. Dall’altra parte conversavano Seneo, Raelin e qualche altro maestro dell’Arcana. Curioso, pensò frastornato dal vino. Si erano presentati a cena solo i più intimi amici del suo tutore. Molti altri insegnanti non erano stati invitati.

Dunwich non aveva ancora capito il perché di quella festa, una via di mezzo fra un evento di gala e una sorta di compleanno.

«Vacci piano con il vino, ragazzino! Non hai il fisico per queste cose!» gridò Ronio battendo la mano sul tavolo. Le posate e i piatti in porcellana tintinnarono fra le risate di tutti i presenti. Lisea e Denor sedevano vicini e sghignazzavano, Silia invece si era piazzata accanto a Dunwich e di tanto in tanto lo fissava, applaudendo a ogni sua battuta. Lui era in gran forma. Il vino gli stava dando una mano. Seneo rideva e scherzava con i suoi autorevoli ospiti, che si stavano divertendo a vedere quel branco di giovani scalmanati prendersi in giro e festeggiare.

«Allora genio… non ci hai ancora detto qual è il motivo di questa magnifica tavola!» urlò Denor alzando il calice mezzo vuoto, che venne subito riempito da un servitore.

«Seneo!» Dunwich si alzò lottando per liberarsi dal lembo della tovaglia bianca. «Mi chiedono a gran voce un motivo per festeggiare! Sai che vorrei saperlo anch’io?»

«Manca ancora un ospite, mettiti comodo e vedrai» rispose Raelin al posto del suo maestro. Si scambiarono un’occhiata che Dunwich non ebbe la malizia di interpretare. Sembrava che stessero facendo apposta a farlo bere. Era una serata davvero assurda, pensò. Si stava comportando come un idiota di fronte a colui che gli aveva donato un tetto sulla testa, in compagnia del cantore più importante di tutto l’impero. Più svariate altre comparse di cui a lui non fregava assolutamente niente.

«Escono tutti in questo modo dall’Arcana?!» chiese a Ronio. Lui frequentava l’accademia da più tempo di lui, ma non aveva mai dato motivo di credere che si fosse stancato di frequentarla.

«No, di solito i migliori vengono presi e messi sotto le dipendenze di qualche nobile importante» gli rispose lui con tono più sommesso. Ronio si stava contenendo molto, probabilmente perché stava cercando un modo per risaltare agli occhi del direttore dell’Arcana. Dunwich lo lasciò fare. Per quanto si potesse sforzare, i fatti parlavano da soli. Ronio era molto meno dotato di lui. Come tutti gli altri, pensò immerso in un orgoglio liquido.

«E tu, Denor?! Cosa mi dici, vogliamo darci una mossa?! Passano gli anni e tu invecchi…» lo punzecchiò Dunwich. Lui si sporse come per mollargli un pugno in bocca, lo mancò di un soffio e lo abbracciò ridendo. Una scena surreale. Un gigante che tentava di non stritolare un marmocchio strafottente.

«Quando sarò Lancia giuro che userò tutta la mia paga per comprare i tuoi servizi… e ti faccio cantare mentre vado in latrina a cagare! Sai, mi stimoli come niente al mondo.»

«Quando sarò Lancia, quando sarò Lancia» bofonchiò Dunwich ridendo scomposto. «Parli tanto ma ancora non lo sei! Ti va di vedere una fiamma in risonanza come si deve?!»

Denor rise in risposta ma quando vide che Dunwich stava veramente per mettersi a cantare, perse il sorriso e gli prese una mano. «Lascia stare, ora non è il momento…» disse preoccupato da quello che avrebbero potuto pensare le eminenze all’altro lato del tavolo. Anche lui non voleva fare brutta figura. E Dunwich si stava comportando da bastardo, per quanto ubriaco fosse.

Lui riuscì a sfilare la mano, scolò il fondo del bicchiere e si spinse all’indietro sulla sedia. Restò in equilibrio su due gambe con le dita strette fra loro, la fronte corrucciata come se stesse premendo i palmi con forza sovrumana.

« Dove sei, fottuta fiammella…» ringhiò sbuffando in modo ridicolo. «Dove sei, piccola lurida puttanella…»

Seneo rise e diede una pacca sulla spalla a uno degli altri insegnanti. Un tizio con cui Dunwich non aveva mai praticato. Sembravano tutti molto felici e molto contenti. Anche troppo. Raelin invece si era incupito senza che lui avesse notato il cambiamento. Forse il suo maestro e lui si erano detti qualcosa di spiacevole, pensò Dunwich. Vedeva un po’ troppa gente seduta intorno al tavolo. Anzi, i tavoli. Erano due. Ben distinti. Seneo picchiettò il coltello su un calice e richiamò l’attenzione di tutti. Dunwich restò immobile e in equilibrio sulla sedia, le mani giunte come in preghiera, la bocca mezza aperta come un ritardato.

«Ragazzi, ora un po’ di contegno!» esclamò il maestro. «Sono arrivati altri ospiti.»

«E chi, di grazia?! Ci siete voi, ci sono i miei… amici… chi manca?» berciò Dunwich oscillando sulla sedia. Silia allungò una mano per sistemargli i capelli neri che gli erano caduti sugli occhi. Gentile da parte sua, pensò lui. La squadrò un istante. Non era splendida. Ma in quel momento lui ne vedeva quattro o cinque contemporaneamente, per cui gli piacque lo stesso.

«Il capitano delle Lance Imperiali… Asaeld.»

Subito Denor scoppiò a tossire, rassettandosi la morbida camicia di velluto porpora che aveva indossato per la serata. Dunwich si guardò intorno disorientato. Si erano tutti irrigiditi. Lui non colse assolutamente l’importanza del visitatore.

«CHI?!»

Due uomini erano entrati in sala da pranzo, entrambi con indosso l’armatura delle Lance. Nera e lucida con dettagli in oro. Esseri partoriti da un incubo alcolico. Sontuosi e terribili, fu l’impressione che ebbe Dunwich.

Sontuosi e terribili.

«Lascia stare, Seneo… si sta gustando la serata. Mi sembra giusto.»

Asaeld era l’uomo più imponente che Dunwich avesse mai visto. Alto, robusto, con una mascella che sembrava fusa nel piombo. Gli occhi erano svegli e indagatori. Incuteva un timore anomalo, come se intorno a lui pesasse una nebbia invisibile di autorità raddensata. Ma il modo con cui parlava, con cui si guardava intorno, lasciarono Dunwich spiazzato. Quello era un vero uomo di potere, pensò. Ma era anche un compagno di guerra che sapeva come farsi amare, e soprattutto rispettare. Doveva avere circa cinquant’anni ma ne dimostrava meno. Le altre Lance al suo fianco sembravano ragazzini denutriti al confronto.

«Scusate… non sapevo che…» balbettò Dunwich. Fece per tornare a sedersi normalmente ma aveva completamente perso il senso dell’equilibrio. Piombò rovinosamente indietro. Dunwich visse un istante scandalosamente lungo in cui si sentì un completo imbecille.

“No.”

La sedia impattò sul pavimento di cotto.

Tutti i presenti videro distintamente Dunwich immergersi e sparire sotto terra.

Aveva cantato d’istinto, centrando la risonanza con precisione e velocità impossibili. Appena il tempo della caduta. Poche sillabe mormorate a denti stretti. Il suo corpo si era fuso con la sedia, l’aveva attraversata ed era affondato nel pavimento. Un’immagine che spense le parole all’intera tavolata. Seneo e Raelin fissavano interdetti il posto vuoto. I suoi amici erano sbiancati ed erano balzati in piedi terrorizzati.

Asaeld era l’unico con un sorriso involontario che gli schiariva il volto.

Dunwich riemerse a pochi passi dalla sedia crollata. Si issò sopra le larghe piastrelle di cotto come se stesse faticando per scalare oltre un gradino. Sfilò i piedi e la superficie del pavimento si increspò. La materia solida intorno al suo corpo si comportava come se fosse un liquido in cui lui poteva muoversi a piacimento. Si rialzò malfermo in piedi, mollò un rutto sommesso e si passò le mani fra i capelli scompigliati.

«Ma per tutti gli Dei benedetti…» esclamò sconvolto Seneo. «Cos’hai fatto?!»

«Era una sorpresa che tenevo in serbo per… boh, un momento migliore» rispose semplicemente Dunwich. Anche i musicisti lo stavano fissando basiti. La stanza era immersa nel silenzio più assoluto. Seneo fece loro segno di riprendere subito a suonare. Tutti ritornarono seduti a tavola. Asaeld prese posto vicino a Raelin. I suoi amici guardavano i maestri presenti in attesa di una sfuriata, di un rimprovero che non arrivò.

«Non ho nemmeno sentito il canto… com’è riuscito a entrare in risonanza…» mormorò Denor. Lisea scosse il capo perplessa. Silia lo fulminò con lo sguardo e si strinse vicino a Dunwich.

La sua mano gli scivolò sulla gamba.

Dunwich accolse il suo gesto con una risatina compiaciuta. La sbronza sembrava essere svanita all’istante. Tutti lo stavano guardando intimoriti, incapaci di riprendere a conversare in tranquillità. Raelin parlottava fitto con Seneo. Gli altri maestri si stavano interrogando su come fosse possibile portare in risonanza il proprio corpo con il terreno, soprattutto in pochi istanti come era riuscito a fare quel ragazzino sbarbato.

Asaeld, inaspettatamente, alzò un calice e propose un brindisi. «Volevo farlo prima, in onore di ciò che si dice di te in città, caro Dunwich… ma ora so che non è una leggenda. Un brindisi è troppo poco.»

«Mi state lusingando» rispose Dunwich con tono pacato. Fissava Asaeld dal basso verso l’alto, in un misto contorto di timore reverenziale e desiderio di prevalere su di lui. Voleva dimostrare a quell’uomo tutto ciò che era in grado di fare. E non voleva aver paura di lui, come aveva notato in tutti gli altri presenti in sala. No, desiderava essere un suo pari.

La mano di Silia era un incentivo notevole. Uno degli infiniti vantaggi del potere.

Asaeld rispose modellando magistralmente la voce in un rombo cubo e bassissimo, vibrante. Un tono splendido. Un comando che aveva scagliato orde di uomini contro il nemico.

«Ho una proposta da farti.»

Un servitore sparecchiò all’istante il posto del comandante. Divenne inequivocabilmente chiaro che fosse Asaeld il cliente che aveva organizzato la cena. Seneo gli offrì una pipa d’argento e noce, e una saccoccia di tabacco chiaro. Asaeld ringraziò e accettò l’offerta, caricando il camino della pipa con cura. Dunwich si rodeva lo stomaco dalla curiosità ma tratteneva un’espressione imperturbabile. Non era agitato o spaventato, aveva solo fretta di andare avanti. I musicisti abbassarono il tono per non infastidire il silenzio dei presenti. Denor era tanto teso che si sarebbe potuto spezzare in due tronconi. Lisea si era stretta al suo braccio e gli accarezzava lentamente il collo. Dunwich riusciva a sentire le dita di Silia tremargli sulla coscia. Affatto spiacevole, pensò.

«Ti propongo di entrare nel corpo delle Lance Imperiali. Ovviamente con l’obiettivo di diventare mio capitano» concluse Asaeld dopo la prima appagante boccata di fumo denso.

«Mi sembra un ottima idea…» sussurrò Raelin annuendo ampiamente. Dunwich colse infastidito quel gesto untuoso. Chiaro che fosse contento, si disse. La sua preoccupazione era che uno ambisse al suo posto. Ma con Dunwich nelle Lance, quello che doveva preoccuparsi era solo Asaeld. «Il ragazzo ha grandi potenzialità, questo è certo. Abbiamo ammirato una risonanza assolutamente perfetta poco fa… potrebbe fare molto, molto bene fra le Lance…»

Dunwich non seppe subito cosa rispondere. Lui adorava i canti di guerra, sapeva di avere ancora molto da offrire in quel campo. Ma essere una Lancia Imperiale era qualcosa di diverso.

«Dovrai essere perfettamente addestrato nel combattimento individuale, nel cavallo, nella strategia militare. Una Lancia deve essere in grado da sola di combattere, cantare, e studiare le mosse del nemico per controbatterle. È roba per pochi» concluse Asaeld sbuffando fumo di nuovo.

«È un’opportunità mostruosa…» sibilò sconvolto Denor. Il suo sogno impossibile. Essere convocato da Asaeld in persona.

Ma Dunwich non sapeva nulla di scherma o di lotta. Non aveva ancora fatto le sue valutazioni su un futuro nell’esercito. Più probabilmente come cantore, magari. Ma come soldato sul campo? A rischiare la pelle armato della spada e delle sue risonanze?

«Dove potrei arrivare?»

La domanda spiazzò completamente Asaeld. Seneo aprì la bocca come per tacciarlo di insolenza ma non si permise di intromettersi. Dunwich si chiese quanto potesse guadagnare da quell’affare. Una cifra considerevole. O forse importanti favori. Lui ambiva a qualcosa di più. Il denaro, certo. Portare la sua famiglia a Cambria, possibile.

La mano di Silia scivolò un po’ più giù lungo la coscia.

Dunwich notò con la coda dell’occhio Lisea stretta a Denor. Gli stava accarezzando la nuca. Un gesto lieve. Lei era attraente da morire. Ma con quel corpo che lo intrappolava non aveva speranze.

Con lei.

«Tu dove vorresti arrivare?» gli chiese Asaeld di rimando. Lo stava fissando senza espressione. Attendeva come se dovesse emettere una condanna.

Al potere, pensò Dunwich. Quello di avere una donna come Lisea addosso, o di attrarre Silia. Di poter comandare altra gente. Di mettere in pratica le infinite possibilità del canto.

Il potere di vincere sempre.

«Voglio arrivare… fin dove Cambria mi vuole.»

Asaeld sorrise, sbuffando una nuvola di fumo bianco dall’angolo della bocca.

«Mi sembra equo.»

Seneo passava lo sguardo da Raelin a Dunwich. Denor fu il primo a scattare. Mollò un pugno sulla spalla dell’amico e gli strinse la mano. Subito si scatenarono i commenti dei commensali.

«Devo chiedere adesso cosa mi serve per iniziare?»

Asaeld si alzò chinando la testa come un soldato verso il suo capitano.

«Non ce n’è bisogno. Avrai già tutto ciò che desideri.»

 

***

 

I ragazzi se ne erano andati da un pezzo, e Dunwich dormiva da ore sulla grande poltrona di cuoio piazzata di fronte al camino nel salotto dei ricevimenti. Dopo la breve e fulminante incursione delle Lance Imperiali, la festa era ripresa. Denor aveva sfiancato Dunwich a furia di vino, dopo che gli altri ospiti se ne erano andati. Seneo aveva cambiato sala insieme ad Asaeld. Riusciva a vederlo dall’altra parte del corridoio, attraverso la porta aperta. Un ragazzino sdraiato scomposto su una poltrona. Lo osservava sfumacchiando distrattamente dalla pipa. L’aroma di tabacco leggero e legnoso volteggiava nell’aria risucchiata dalle basse fiamme del fuoco.

«Non riesci proprio ad accettarlo, vero?»

Asaeld era seduto di fronte a lui, su una sedia. Si era tolto l’armatura e aveva indossato gli abiti civili che il servitore si era portato appresso. Sembrava molto meno imponente e autoritario, un tranquillo cinquantenne dai modi raffinati. Il volto era l’unico dettagli duro che stonava. Squadrato, marcato. Anche lui stava fumando da una pipa lunga e curva. Il braciere era coperto da una cupola d’argento traforata resa opalescente dall’uso assiduo e dal calore. La classica pipa di un soldato, pensò Seneo distraendosi un istante dai suoi ragionamenti. Adatta a fumare al fronte, mentre pioveva o tirava vento.

«Proprio non ti capisco, Asaeld. Per quanto sia un cantore eccezionale, cosa ti dice che saprà anche come maneggiare una spada? Può darsi che sia negato.»

«Non so, è una questione di pelle» rispose la Lancia con un filo di voce. «Spero di essere stato abbastanza chiaro l’altro giorno. Puntare solo alla posizione di Raelin è troppo poco. Ho già dei rapporti con lui. Piuttosto… proficui.»

«Così ho lavorato inutilmente» concluse irritato Seneo. «Io l’ho addestrato per diventare un grande cantore. Non a fare il soldato.»

«Ti sbagli. Non hai buttato via neppure un giorno. Ora le Lance hanno un debito con te, e vedrai che ti tornerà assai utile. Oppure devo ricordarti il motivo per cui ti conviene accettare sempre una mia proposta?»

«No, direi che non ce n’è bisogno» esclamò Seneo sprofondando di schiena nella gonfia poltrona. Dunwich nell’altra stanza stava ancora dormendo pesantemente. «Un po’ mi dispiace, sarebbe stato grandioso come mio successore…»

«Il tuo… successore… come miri in basso, amico mio» sussurrò Asaeld sorridendo maliziosamente. «C’è di meglio, e mi stupisce che tu non l’abbia ancora notato.»

«E cosa, che sia il tuo successore?! Non è molto gentile da parte tua» rispose Seneo soppesando le parole.

«Tu volevi educare un maestro. Mentre, permettimi di dire, potresti anche aver cresciuto un possibile… Imperatore…»

La pipa di Seneo gli si piegò sulle labbra. Imperatore. Era un’assurdità, un’ipotesi impossibile. “Dunwich non è un discendente della famiglia Loren, come potrebbe… Imperatore…”

«Non è un’ipotesi impossibile» proseguì Asaeld «Loralon non ha figli, ha tentato diverse volte… ma è sterile. Non sto qui a elencarti cosa io abbia visto e sentito, dalla mia posizione vedo molte cose. Ma ci ha provato in ogni modo. In ogni modo.»

«Ma… ha dei cugini, dei parenti… sparsi nelle altre regioni conquistate come governatori o comandanti! Ci sono loro in diretta linea di successione.»

«Oh, certo! Ma questo è un problema futuro, molto lontano. Le Lance vogliono ricevere finalmente la gratificazione che spetta loro. Loralon dovrebbe saperlo che, senza di noi, la guerra sarebbe già stata perduta.»

«Quindi…» sussurrò terrorizzato Seneo «stai parlando di… non vorrai dire che…»

«Complotto?!» esclamò Asaeld sinceramente inorridito. «Ma stai scherzando? Per gli Dei, non bisognerebbe neppure pensarlo. Un’idea abominevole, la tua. No, io parlavo di successione naturale. Dunwich potrebbe essere perfetto.»

«E perché?! È proprio questo che non capisco!»

«Oh, è semplice!» la voce di Asaeld si ammorbidì in un tono ammirato. «Tenace, estremamente dotato, di umili origini, grande carisma, faccia tosta a volontà… deve solo imparare a governare con saggezza. Il coraggio di farlo ce l’ha già. Loralon potrebbe notarlo, tenerlo in considerazione… dopotutto, anche se lui non è il più scaltro dei Loren, sa che per guidare un impero ci vuole una persona di polso, che abbia dalla sua parte il rispetto dell’esercito. Dunwich potrebbe diventare tutto questo.»

«Spero tu abbia ragione» concluse Seneo inspirando attentamente dalla pipa. Si era spenta, ma era solo un gesto involontario. Qualcosa nei suoi occhi era cambiato. Interesse. La delusione era un’ombra fugace.

«Fidati di me. Lo fanno in tanti… basta che lo faccia anche tu» rispose Asaeld sorridendo lieve.

Mordraud, Libro Primo
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