23
Dentro la cavità
«Eccoti lì, Larry» disse Abe Weiss con un largo sorriso. «Ti hanno certo fatto una testa molto lucida.»
Poiché Weiss lo invitava esplicitamente, Kramer fece quel che voleva fare da quarantacinque secondi, e cioè allontanarsi da Weiss e guardare la serie di apparecchi televisivi inseriti nel muro.
E c'era davvero, lui.
La videocassetta era arrivata al punto in cui, nella trasmissione di Canale 1 della sera precedente, un disegno eseguito dalla caricaturista mostrava la scena in aula. Il sonoro era basso, ma Kramer riuscì a percepire la voce del telecronista, Robert Corso, come se fosse proprio dentro la sua testa: «Il sostituto procuratore distrettuale Lawrence Kramer presentò la petizione al giudice Samuel Auerbach e disse: "Vostro Onore, la gente del Bronx…"». Nel disegno, la nuca era del tutto calva, cosa non realistica e ingiusta, perché lui non era calvo, ma solamente di pelo rado. E tuttavia, c'era. Non era una di "quelle persone che vediamo in tivù", ma proprio lui, e se mai c'era stato un possente guerriero difensore della Giustizia, quello era lui, su quel piccolo schermo. Il collo, le spalle, il torace, le braccia erano enormi, come se stesse lanciando il peso da cinque chili alle Olimpiadi, invece che agitare pochi fogli di carta davanti a Sammy Auerbach. Certo, una delle ragioni per cui sembrava così grande e grosso stava nel fatto che il disegno era un po' sproporzionato, ma forse era proprio così che l'aveva visto l'artista: più grande che al naturale. L'artista era una ragazza italiana molto appetitosa: labbra come pesche nettarine, seni gradevoli sotto una maglia lucida di jersey. Lucy Dellafloria, si chiamava. Se non ci fosse stato tanto movimento e confusione, sarebbe stato facilissimo, la cosa più facile del mondo. Dopotutto lei era seduta là, nell'aula del tribunale, concentrata su di lui al centro della scena, tutta presa dal suo aspetto, dalla sua passione nel presentare i fatti, dalla sicurezza della sua esibizione sul campo di battaglia. Lei era stata presa come artista e come donna - quelle labbra piene da "ragazza italiana sporcacciona" - da lui.
Troppo presto, così, in un attimo, il disegno era sparito e Weiss era sul teleschermo con una selva di microfoni che lo circondava. I microfoni stavano su bassi supporti metallici sopra la sua scrivania, per la conferenza stampa successiva all'udienza. Ne aveva data un'altra questa mattina. Oh, sì. Lo spettatore televisivo medio avrebbe concluso che la scena era tutta di Weiss e che il sostituto procuratore distrettuale che aveva presentato il caso nell'aula, quel Larry Kramer, era soltanto uno strumento dell'ingegno strategico di quell'Abe Weiss dalla voce stridula. Weiss effettivamente non si era mai presentato di persona in aula per tutto il tempo in cui era stato in carica, e cioè da quasi quattro anni. Ma Kramer non si risentiva per questo, o meglio, non troppo. Era un dato di fatto. Così funzionavano le cose. Era così in ogni Procura distrettuale, non solo in quella di Weiss. No, in questa particolare mattina il capitano Ahab era a posto per quanto riguardava Kramer. I notiziari televisivi e i quotidiani avevano fatto il nome di Lawrence Kramer parecchie volte, e lei, la voluttuosa Lucy Dellafloria, la sexy Lucy Fiore Delicato, aveva fatto il suo ritratto e catturato la possente struttura di Kramer. No, andava tutto bene. E Weiss si era addirittura preso il disturbo di farglielo notare, mettendo la cassetta. Il messaggio implicito era: "D'accordo, io mi faccio protagonista, divo assoluto, perché sono io il responsabile di questo ufficio e sono io che devo affrontare la rielezione. Ma, vedi, non ti lascio fuori. Hai una buona parte di spalla".
E così i due uomini guardarono il resto del servizio di Canale 1 sull'apparecchio televisivo nella parete a pannelli. C'era Thomas Killian in piedi fuori dal palazzo del Tribunale penale con tanti microfoni davanti alla faccia di lui.
«Guarda che vestito del cazzo» borbottò Weiss. «Mi pare ridicolo, al massimo.» Il cervello di Kramer fu invece attraversato dall'interrogativo: quanto poteva costare?
Killian continuava a parlare di "arresto da circo" e di "chiamata in giudizio da circo". Pareva davvero molto arrabbiato.
«Ieri avevamo raggiunto un accordo con il procuratore distrettuale per cui il signor McCoy si sarebbe presentato qui nel Bronx pacificamente, di sua volontà, per la chiamata in giudizio, e il procuratore distrettuale ha deciso di violare quell'accordo e di portare dentro il signor McCoy come un pericoloso delinquente, come un animale… e perché? Per le vostre telecamere e i voti.»
«Vattene via» disse Weiss rivolto allo schermo.
Killian seguitava a dire: «Il signor McCoy non solo respinge i capi d'accusa, ma è ansioso che vengano alla luce i fatti relativi a questo caso e in quel momento vedrete che lo scenario messo in piedi per questo caso è del tutto privo di fondamento».
«Bla bla bla» fece Weiss allo schermo.
La telecamera si spostò su una figura in piedi subito alle spalle di Killian. Era McCoy. Aveva la cravatta abbassata e spostata da una parte. La camicia e la giacca sgualcite. I capelli arruffati. Sembrava semiannegato. Gli occhi si levavano al cielo. Non pareva del tutto presente.
Ora la faccia di Robert Corso riempiva tutto lo schermo e parlava di McCoy, McCoy, McCoy. Non si trattava più del caso Lamb. Il grande Wasp di Wall Street dal profilo aristocratico aveva conferito al caso un certo sex appeal. La stampa e gli altri media ne andavano pazzi.
La scrivania di Weiss era ricoperta di giornali. C'era ancora una copia di «The City Light» del pomeriggio precedente in cima alla pila. La prima pagina diceva in caratteri cubitali:
VIP
DI WALL STREET
DENTRO
PER PIRATERIA STRADALE
Le parole erano raggruppate attorno a una fotografia alta e stretta di McCoy, inzuppato d'acqua, con le mani protese davanti a sé e la giacca dell'abito ripiegata sopra le mani, ovviamente per nascondere le manette. Teneva il mento grande e bello all'insù, e un fiero cipiglio dardeggiava lungo il naso fino alla telecamera. Pareva che dicesse: "Sìì, e allora?". Perfino il «Times» aveva il caso in prima pagina stamattina, ma era «The City Light» a essere letteralmente impazzito. Il titolo, quella mattina, diceva:
CERCATE
LA RAGAZZA
MISTERIOSA:
UNA BRUNETTA
UN PO' "LENZA"
Un titolo più piccolo, in occhiello, diceva: Team Mercedes: lui investe, lei scappa. La foto era quella della rivista mondana «w», quella del riconoscimento di Roland Auburn, quella con McCoy in smoking, sorridente, insieme alla moglie composta e bruttina. La didascalia diceva: "Il testimone ha descritto la compagna di McCoy più giovane, più lenza, più arrapante della moglie quarantenne, Judy, qui insieme al maritino a una festa di beneficenza". Una riga in caratteri chiari sopra una riga nera in fondo alla pagina diceva: "I contestatori chiedono: 'Prigione, non cauzione' per il Mago di Wall Street. Vedi a pag. 3". E: "A casa McCoy e a casa Lamb: due città. Fotografie alle pagine 4 e 5". A pagina quattro e cinque fotografie del grande appartamento di McCoy a Park Avenue, quelle tratte da «Architectural Digest», da una parte, e fotografie del minuscolo appartamento dei Lamb nella casa popolare dall'altra. Una lunga didascalia cominciava così: "Due New York molto diverse vengono a scontrarsi quando la Mercedes-Benz da cinquantamila dollari del finanziere Sherman McCoy investe lo studente modello Henry Lamb. McCoy abita in un appartamento di quattordici locali, su due piani, del valore di tre milioni di dollari a Park Avenue. Lamb in un alloggio da duecentoquarantasette dollari al mese di tre stanze in un complesso di case popolari nel Bronx".
Weiss si godeva ogni parola del servizio. Era riuscito a eliminare ogni accenno a "giustizia bianca" e a "Johannesbronx" da parte dei media. Non erano riusciti a far salire la cauzione di McCoy fino a duecentocinquantamila dollari, ma ci avevano provato con molta aggressività. Aggressività? Kramer sorrise. Gli occhi di Sammy Auerbach si erano aperti come un paio di ombrelli quando lui gli aveva sventolato in faccia la petizione. Sì, forse era stato un poco offensivo, ma aveva avuto il suo effetto. La Procura distrettuale del Bronx era in contatto con la gente. E comunque avrebbero continuato a esigere una cauzione più alta.
No, Weiss era compiaciuto. La cosa era ovvia. Era addirittura la prima volta che Kramer era stato convocato nell'ufficio di Weiss da solo, senza Bernie Fitzgibbon.
Weiss premette un pulsante e il televisore si spense. Disse a Kramer: «Hai visto che aria aveva McCoy là fuori? Aveva un aspetto disastroso. Milt mi ha detto che era così quando è entrato in aula ieri. Aveva un aspetto terribile. Per quale ragione?».
«Be'!» spiegò Kramer. «Direi perché pioveva. Si era infradiciato mentre stava in fila fuori dall'ufficio Immatricolazione. Lo hanno fatto aspettare in coda come tutti gli altri, secondo quanto era stato stabilito: non concedergli alcun trattamento particolare.»
«D'accordo» disse Weiss, «ma santo Dio, finalmente portiamo Park Avenue in aula, e Milt mi dice che quel tale pareva appena ripescato dal fiume. Anche Bernie mi ha dato un bel po' di fastidi. Tanto per cominciare, non voleva farlo passare dall'Immatricolazione centrale.»
«Non aveva poi un'aria così malconcia, signor Weiss» disse Kramer.
«Chiamami pure Abe.»
Kramer annuì, ma decise di far passare un intervallo di tempo decente prima di tentare il suo primo Abe. «Non aveva un aspetto diverso da chiunque altro venga fuori dai recinti.»
«E poi c'è anche Tommy Killian che cerca di sollevare un gran polverone.» Fece un gesto in direzione degli apparecchi televisivi.
Kramer pensò: finalmente ti decidi a far la voce grossa con quei due asini. Bernie c'era rimasto male, a dire poco, quando Weiss l'aveva scavalcato e aveva ordinato a Kramer di richiedere che la cauzione di McCoy fosse portata da diecimila dollari a duecentocinquantamila dollari dopo che Bernie si era messo d'accordo con Killian per diecimila. Weiss aveva detto a Bernie che lo faceva solo per placare gli arrabbiati membri della comunità, certi che a McCoy sarebbe stato certamente assicurato un trattamento speciale, sicuro com'era, del resto, che Auerbach non avrebbe mai accettato di fissare una cauzione così alta. Ma per Bernie era stata una violazione del contratto, un affronto alla Banca dei Favori e le sue regole, per il codice sacro di lealtà di un irlandese verso un altro irlandese nell'ambiente della giustizia penale.
Kramer vide una nuvola passare davanti alla faccia di Weiss, e poi questi disse: «Lasciamo pure che Tommy starnazzi. C'è da diventare pazzi se si cerca di accontentare tutti quanti. Dovevo prendere una decisione e una decisione l'ho presa. A Bernie piace Tommy, e va bene. Anche a me Tommy piace. Ma Bernie gli vuole cedere troppo! Con le promesse fatte a Tommy, McCoy doveva arrivare qui passeggiando tranquillo come il principe Carlo. Quant'è rimasto nei recinti McCoy?».
«Oh, circa quattro ore.»
«Diavolo, è abbastanza normale, no?»
«Più o meno. Ho visto degli imputati traghettati da una camera di sicurezza di un Distretto a un'altra, e poi all'Immatricolazione centrale e poi magari a Rikers Island, quindi di nuovo all'Immatricolazione centrale, e poi finalmente in giudizio. Se vengono arrestati il venerdì pomeriggio, possono anche perdere tutto il fine settimana in giro. Allora sì che vedi gente in condizioni disastrose; McCoy neppure ha dovuto cominciare da una stazione di polizia di distretto, ed essere trasportato con il furgone all'Immatricolazione centrale.»
«Allora non capisco tutti questi mal di pancia. È successo qualcosa nei recinti, per caso? Cos'è tutto questo chiasso?»
«Non è successo niente. Il computer si era guastato, credo. E così c'è stato un po' di ritardo. Ma anche questo succede continuamente. È normale.»
«Vuoi sapere cosa penso? Penso che Bernie, senza accorgersene… non fraintendermi, Bernie mi piace e lo rispetto… ma penso che lui, senza accorgersene, ritenga che uno come McCoy dovrebbe ricevere un trattamento speciale, di favore, perché è bianco e perché è conosciuto. Ora, questo è un particolare sottile. Bernie è irlandese, proprio come Tommy, e gli irlandesi hanno una certa dose di quella che gli inglesi chiamano deferenza, di rispetto insomma, ben piantata dentro di sé, e non lo sanno neanche. Sono impressionati dai tipi Wasp, come McCoy, anche se a livello di coscienza possono agire e pensare come se fossero membri dell'IRA. Non è importante, ma un uomo come Bernie deve fare i conti con quel senso di deferenza, l'inconscio irlandese, e neppure lo sa. Ma noi non rappresentiamo gli Wasp, Larry. Mi chiedo se c'è un solo Wasp che viva nel Bronx. Ce n'è forse uno a Riverdale.»
Kramer ridacchiò.
«No, dico sul serio» disse Weiss. «Questo è il Bronx. Questo è il "laboratorio delle relazioni umane". E così che lo chiamo io: il "laboratorio delle relazioni umane".»
Era vero: lui lo chiamava il Laboratorio delle Relazioni Umane. Lo diceva tutti i giorni, come se ignorasse il fatto che chiunque fosse mai entrato nel suo ufficio, glielo aveva sentito dire. Ma Kramer era nello stato d'animo adatto per perdonare il lato fatuo di Weiss. Più che perdonare… capire… e apprezzare la verità sostanziale presente sotto il modo pagliaccesco di presentare le cose. Weiss aveva ragione. Non si poteva amministrare la giustizia penale nel Bronx fingendo di stare in una specie di Manhattan decentrata.
«Vieni qui» disse Weiss. Si alzò dall'ampia poltrona e si portò alla finestra alle sue spalle, poi chiamò con un cenno Kramer. Da lassù, al sesto piano, in cima alla collina, la vista era grandiosa. Erano sufficientemente in alto perché tutti i particolari sordidi finissero in secondo piano per cedere all'orografia gradevolmente ondulata del Bronx. Posarono lo sguardo sullo Yankee Stadium e sul John Mullaly Park, che da lassù sembrava davvero verde e silvano. In lontananza, proprio di fronte, al dì là dell'Harlem River, stava il profilo imponente della Manhattan alta, dove si ergeva il Columbia Presbyterian Medical Center, che da lì sembrava pastorale, come in quei vecchi quadri di paesaggi dove sullo sfondo venivano dipinti alcuni alberi ricciuti e qualche morbida nuvola grigia.
Weiss disse: «Guarda le strade qui sotto, Larry. Checcavolo vedi? Chiccavolo vedi?».
Per la verità Kramer vedeva soltanto alcune sagome minuscole che camminavano lungo la Centosessantunesima Strada e la Walton Avenue. Erano così lontane che sembravano insetti.
«Tutti neri e portoricani» disse Weiss. «Non si vede neppure più un vecchio ebreo passeggiare laggiù o un italiano, del resto, e siamo nel centro civico del Bronx. Questa è come Montague Street a Brooklyn o City Hall Plaza a Manhattan. D'estate, gli ebrei si sedevano sul marciapiede, di sera, proprio lassù al Grand Concourse, solo per guardare passare le auto. Oggi non riuscirai a vedere nemmeno Charles Bronson seduto là fuori. Oggi è l'era moderna, e nessuno lo capisce ancora. Quand'ero piccolo, erano gli irlandesi che amministravano il Bronx. E l'hanno fatto per molto tempo. Ricordi Charlie Buckley? Charlie Buckley, il deputato del Congresso? No, sei troppo giovane. Charlie Buckley, il Boss del Bronx, irlandese come pochi. Fino a una trentina di anni fa era ancora il capo del Bronx. E adesso loro sono finiti, e allora chi comanda nel Bronx? Ebrei e italiani.
«Ma per quanto tempo ancora? Non ce n'è nessuno laggiù in strada, e per quanto tempo resteranno quassù, nel palazzo? Questo è il Bronx, il "laboratorio delle relazioni umane". Così lo chiamo io, il "laboratorio delle relazioni umane". È povera gente quella che vedi laggiù, Larry, e nella povertà cova il delitto, e il delitto, il crimine in questo quartiere… be', è inutile che te lo dica. Io sono un po' un idealista. Voglio trattare ogni caso su base individuale e ogni persona singolarmente. Ma con il mare di casi che abbiamo per le mani? Ehiiiiiiii! L'altra parte di me sa invece quel che dobbiamo fare veramente: siamo come un piccolo drappello di cow-boy che governa una mandria. Con una mandria la cosa migliore che si può sperare di fare è di tenerla insieme, unita…» e fece un largo gesto circolare con le mani, «sotto controllo, sperando di non perdere troppi animali lungo la strada. Oh, verrà il giorno, e magari piuttosto presto, che quella gente laggiù avrà i suoi capi e le sue organizzazioni: saranno loro il Partito democratico del Bronx e tutto il resto, mentre noi non saremo più in questo palazzo. Ma per il momento hanno bisogno di noi e noi dobbiamo fare quel che è giusto per loro. Dobbiamo far loro sapere che non siamo lontani da loro e che fanno parte di New York proprio come noi. Dobbiamo inviare i segnali giusti. Dobbiamo far loro sapere che magari li trattiamo con durezza quando sgarrano, ma non perché sono neri, ispanici o poveri. Dobbiamo far sapere a tutti questi poveracci che la giustizia è veramente uguale per tutti. Dobbiamo far sapere che, se sei bianco e ricco, tutto funziona allo stesso modo. Questo è un segnale molto importante. È più importante di qualsiasi eccezione specifica o interpretazione della legge. È per questo che esiste il nostro ufficio, Larry. Noi non siamo qui per trattare casi. Siamo qui per creare speranze. È quello che Bernie non capisce.» Il procuratore distrettuale parlava con estrema correttezza di lingua e accento, a testimonianza di quanto fossero elevati i suoi pensieri in quel momento. «Bernie sta ancora facendo della politica irlandese» proseguì Weiss, «come a suo tempo faceva Charlie Buckley, ma è una cosa superata. Finita. Ora siamo nell'era moderna, nel "laboratorio delle relazioni umane", e abbiamo il sacro dovere di rappresentare la gente che stai vedendo qui sotto.»
Kramer sbirciò di sotto, diligentemente, gli insetti. Quanto a Weiss, l'altezza dei suoi sentimenti gli aveva colmato la voce e la faccia di emozione. Concesse a Kramer uno sguardo sincero e un sorriso stanco, il tipo di sguardo che dice: "Questa è la vita vera, una volta che si faccia piazza pulita delle considerazioni meschine".
«Non avevo mai visto le cose in questo modo finora, Abe» disse Kramer, «ma hai assolutamente ragione,» Gli era sembrato il momento adatto per lanciare il primo Abe.
«All'inizio questo caso McCoy mi preoccupava» ammise Weiss. «Pareva che Bacon e gli altri stessero forzando la situazione e che noi non facessimo altro che reagire in qualche modo. Ma pazienza, niente di male. Anzi, si è rivelata una buona cosa. Come trattiamo un pezzo grosso di Park Avenue? Come chiunque altro! Viene arrestato, ammanettato, immatricolato, gli vengono prese le impronte digitali, aspetta nei recinti, esattamente come quelli laggiù in strada! Insomma, secondo me tutto ciò lancia un magnifico segnale. Un segnale chiaro. Fa sapere a quella gente che noi li rappresentiamo e che anche loro sono parte di New York City.»
Weiss guardò con amore giù alla Centosessantunesima Strada, come un pastore farebbe con il suo gregge. Kramer fu lieto di essere l'unico testimone presente. Se ci fosse stato qualcun altro, si sarebbe diffuso un pesante cinismo. Non si sarebbe pensato ad altro se non al fatto che Abe Weiss tra cinque mesi avrebbe dovuto affrontare le elezioni, e che il settanta per cento degli abitanti del Bronx erano neri e latini. Ma poiché in realtà non c'erano altri testimoni, Kramer fu in grado di arrivare al cuore dell'evento, e cioè a concludere che la creatura maniaca davanti a lui, il capitano Ahab, aveva ragione. «Ieri hai fatto un ottimo lavoro, Larry» disse Weiss, «e voglio che continui ad applicarti. Non ti fa sentir bene usare il tuo talento per un caso che significa qualcosa? Cristo, tu sai quanto guadagno?» Kramer, questo, lo sapeva, ottantaduemila dollari l'anno. «Almeno una dozzina di volte avrei potuto prendere la palla al balzo, e andarmene a guadagnare tre volte, cinque volte tanto con la pratica privata. Ma per quale fine? Tu passi soltanto una volta di qui, Larry. Per che cosa vuoi essere ricordato? Perché avevi una casa del cazzo a Riversale o Greenwich o Locust Valley? O perché tu hai fatto la differenza? A me spiace per Tommy Killian. Era un buon sostituto procuratore, ma Tommy voleva far soldi, e adesso sta facendo un po' di soldi, ma come? Tiene per mano e soffia il naso a un mucchio di furfantelli, psicotici e spacciatori. Un tipo come McCoy gli dà lustro. Non ha visto un tipo simile in tutti gli anni di pratica da che se n'è andato via da qui. No, io preferisco mandare avanti il "laboratorio delle relazioni umane". Io la penso così. Preferisco fare la differenza.»
Ieri hai fatto un ottimo lavoro. E voglio che continui ad applicarti.
«Cristo, chissà che ore sono!» esclamò Weiss. «Mi sta venendo fame.»
Kramer guardò subito l'orologio. «Quasi mezzogiorno e un quarto.»
«Perché non resti qui per colazione? Viene il giudice Tonneto, e quel tale del "Times", Overton, credo, non mi ricordo mai, si chiamano tutti Overton o Clifton o un simile nome del cazzo. Verranno anche Bobby Vitello e Lew Weintraub. Conosci Lew Weintraub? No? Resta qua. Imparerai qualcosa.»
«Be', se sei certo che…»
«Naturalmente!» Weiss indicò il gigantesco tavolo da seduta, come per dire che c'era un sacco di posto. «Basta solo ordinare qualche panino in più.»
Lo disse come se fosse uno di quegli spuntini improvvisati lì per lì, per cui si ordina qualcosa in ufficio invece di uscir fuori, come se lui o qualsiasi altro pastore dell'isola-fortezza osasse mai avventurarsi tra il gregge e pranzare nel centro civico del Bronx.
Ma Kramer bandì ogni traccia di cinismo da quattro soldi dai suoi pensieri. A pranzo con gente come il giudice Tonneto, Bobby Vitello, Lew Weintraub, l'agente immobiliare, Overton o simile, un Wasp del «New York Times», e il procuratore distrettuale in persona!
Stava emergendo dal fango dell'anonimato.
Grazie, o Dio, per il Grande Imputato Bianco. Grazie, o Dio, per il signor Sherman McCoy.
Con un lampo di curiosità, si fece delle domande su McCoy. McCoy non era molto più vecchio di lui. Che effetto faceva su di un Wasp, che aveva avuto dalla vita tutto quel che voleva e nel modo che voleva, quel breve e gelido tuffo nel mondo reale? Ma fu soltanto un lampo, appunto.
Gli indiani Bororo, una tribù primitiva che vive lungo il fiume Vermelho nella giungla brasiliana, credono che non esista l'individuo. I Bororo considerano la mente come una cavità aperta, come una caverna, una galleria o un porticato, se volete, nella quale l'intero villaggio abita e la giungla cresce. Nel 1969 José M.R. Delgado, l'eminente neurofisiologo spagnolo, dichiarò che i Bororo erano nel giusto. Per quasi tre millenni i filosofi occidentali avevano considerato l'io come una cosa unica e irripetibile, una cosa chiusa nel cranio di ognuno, per così dire. Questo io profondo doveva venire in contatto e imparare qualcosa dal mondo esterno, naturalmente, e magari lo taceva male. E tuttavia, nel profondo di se stessi, si pensava che ci fosse qualcosa d'inviolabile e d'inviolato. Non è così, affermò Delgado. "Ogni persona è un composto transitorio di materiali presi in prestito dall'ambiente circostante." La parola rilevante era transitorio, e non parlava di anni, ma di ore. Citava esperimenti nei quali studenti universitari in piena salute sdraiati sopra il letto in stanze ben illuminate ma isolate acusticamente, con dei guanti per ridurre il senso del tatto e occhiali protettivi semitrasparenti per non vedere i dettagli, cominciavano ad avere allucinazioni entro poche ore. Senza l'intero villaggio, l'intera giungla, a occupare la cavità, erano rimasti privi di una mente.
Non parlò di indagini sul caso opposto, comunque. Non parlò di quel che succede quando un individuo - o quel che si suppone sia un individuo - non è una mera cavità aperta al mondo esterno, ma è divenuto improvvisamente un parco di divertimenti dove tutti, todo el mundo, tout le monde, vengono correndo e sgambettando, saltando e gridando, nervi frementi di piacere, lombi in fiamme, pronti a tutto: risate, gemiti, lacrime, mugolìi di paura, rantoli, orrori, tutto… e quanto più è agghiacciante, tanto più è allegro. Come a dire che egli non ci ha detto niente sul cervello di una persona al centro di uno scandalo nell'ultimo quarto del XX secolo.
All'inizio, nelle settimane che seguirono l'incidente nel Bronx, Sherman McCoy aveva considerato la stampa come un nemico che gli dava la caccia là fuori. Temeva i quotidiani e i notiziari televisivi come un uomo temerebbe le armi di ogni nemico imprecisato e invisibile, o le bombe che cadono o i proiettili vaganti. Perfino il giorno prima, fuori dall'Immatricolazione centrale, nella pioggia e nella sporcizia, quando vedeva il bianco dei loro occhi e il giallo dei loro denti, mentre lo minacciavano, lo schernivano e lo provocavano, quando avevano fatto tutto salvo che calpestarlo o sputargli addosso, erano sempre il nemico là fuori. Gli si erano fatti sotto per la mattanza, lo avevano ferito e umiliato, ma non avevano potuto arrivare al suo inviolabile ego, a Sherman McCoy, all'interno di quel crogiolo che era il suo cervello.
Gli erano venuti addosso per ucciderlo. E lo avevano ucciso.
Non ricordava se era morto mentre era ancora in fila all'esterno, prima che la porta dell'Immatricolazione centrale si aprisse oppure mentre era nei recinti. Ma al momento di lasciare l'edificio, e quando Killian aveva tenuto la sua improvvisata conferenza stampa sui gradini, era morto e risorto. Nella sua nuova reincarnazione la stampa non era più un nemico e non era più là fuori. La stampa e gli altri mass media erano adesso una rnalattia, come il lupus eritematoso o la granulomatosi di Wegener. Tutto il suo sistema nervoso centrale era adesso strettamente collegato al vasto, imprecisabile circuito di radio, televisione e giornali, e il suo corpo fluttuava, bruciava e ondeggiava nella corrente elettrica della stampa e la curiosità di quelli che essa raggiungeva, e cioè di tutti, dal vicino più vicino all'estraneo più annoiato e lontano stuzzicato per un attimo dalla sua disgrazia. A migliaia, no, a milioni, arrivavano sgambettando nella cavità di quello che aveva ritenuto essere l'intimo se stesso, Sherman McCoy. Non era in grado di impedir loro di entrare nella sua stessa pelle, più di quanto potesse non far entrar l'aria nei polmoni. (O meglio avrebbe potuto tenerli fuori solo se fosse stato in grado di non far entrare l'aria nei polmoni, una volta per tutte. Tale soluzione gli era venuta in mente più di una volta durante quel lungo giorno, ma aveva lottato contro quel pensiero morboso, lottato, lottato, lottato, lui che era già morto una volta.)
Era cominciato qualche minuto dopo che lui e Killian erano riusciti a svincolarsi dalla folla di manifestanti, giornalisti, fotografi e troupe televisive, e a entrare nella berlina che Killian aveva noleggiato. Il conducente ascoltava una stazione radio di "facile ascolto", ma ben presto era andato in onda il breve notiziario che intervallava la musica ogni mezz'ora e subito Sherman aveva sentito il suo nome, il suo nome e le parole chiave, che poi avrebbe sentito e visto di nuovo e di nuovo per il resto della giornata: Wall Street, uomo di mondo, pirata della strada, studente modello del Bronx, una compagna non identificata… e aveva visto gli occhi dell'autista nello specchietto retrovisore che fissavano la cavità aperta nota come Sherman McCoy. Quando arrivarono allo studio di Killian, l'edizione di mezzogiorno di «The City Light» era già lì, e la sua faccia stravolta lo fissava dalla prima pagina: chiunque a New York era libero di entrare attraverso quei suoi occhi pieni di orrore. Più tardi, nel pomeriggio, quando era tornato a casa in Park Avenue aveva dovuto sfuggire a un piccolo gruppo di giornalisti e di troupe televisive per entrare nel suo palazzo. Lo avevano chiamato "Sherman", allegramente o in tono sprezzante oppure imperioso, a piacimento, ed Eddie, il portiere, lo aveva guardato negli occhi e aveva immesso la testa ben dentro la cavità. A peggiorare le cose, era stato costretto a salire in ascensore insieme ai Morrissey, che abitavano nell'appartamento dell'attico. Non avevano detto una parola. Avevano soltanto infilato i loro lunghi nasi nella cavità e annusato e ancora annusato la sua vergogna, fino a che i loro volti non si erano irrigiditi per il lezzo. Aveva ritenuto che un numero di telefono non riportato sulla guida fosse per lui un utile rifugio, ma la stampa aveva già risolto il problema quando lui aveva messo piede in casa, e Bonita, la gentile Bonita, che aveva gettato una rapida occhiata nella cavità, aveva dovuto setacciare le chiamate. Aveva telefonato ogni organo d'informazione possibile, e c'erano anche state alcune telefonate per Judy. E per lui? Chi avrebbe mai potuto mancare in modo clamoroso di dignità, chi poteva essere così privo d'imbarazzo, da fare una telefonata personale a questa grande galleria pubblica, a questo recipiente di vergogna e fifa, che era Sherman McCoy? Soltanto sua madre, suo padre e Rawlie Thorpe. Be', almeno Rawlie ce l'aveva fatta. Judy… che vagava per la casa assente e in stato di shock. Campbell era sconcertata, ma non in lacrime, non ancora. Aveva ritenuto di non essere in grado di affrontare lo schermo televisivo, eppure lo aveva acceso. Il vilipendio straripò da ogni canale. Finanziere di Wall Street molto in vista, uomo al vertice nella Pierce & Pierce, noto in società, scuola privata, Yale, figlio viziatissimo di un ex associato di spicco nello studio legale Dunning Sponget & Leach di Wall Street, nella sua Mercedes sportiva da sessantamila dollari (ora diecimila dollari in più), con una brunetta piccante, una lenza, che non era sua moglie e non le assomigliava affatto, che anzi faceva sembrare sciatta e bruttina la moglie al confronto, investe il figlio esemplare di gente povera ma meritevole, uno studente modello cresciuto in un complesso di case popolari, e poi fugge nella sua automobile di lusso senza neppure un attimo di compassione, non diciamo con l'intenzione d'aiutare la sua vittima, che ora giace in punto di morte. Il fatto strano, paradossale, era… e assurdo gli era parso quando si era seduto davanti al televisore… era che non aveva provato shock e irritazione per le notevoli deformazioni e le menzogne manifeste. Al contrario, si era sentito pieno di vergogna. A notte piena, esse erano state ripetute tanto spesso per il vasto circuito a cui pareva collegata ormai proprio la sua pelle, che avevano assunto il peso della verità, in quanto, a milioni, ormai avevano visto Sherman McCoy, questo Sherman McCoy, sullo schermo, e sapevano che era lui l'uomo che aveva commesso un atto spietato. Essi erano qui, adesso, in folle enormi, rabbiosi, urlanti e forse intenti a guardare con occhio ancor più incattivito nel portico pubblico che una volta aveva pensato fosse l'essenza intima e profonda di Sherman McCoy. Tutti quanti, ogni essere vivente che lo guardasse, con la probabile eccezione di Maria, se Maria fosse mai tornata a guardarlo, avrebbe riconosciuto in lui la persona sulla prima pagina di due milioni, tre milioni, quattro milioni di copie di giornali, e sul teleschermo di Dio solo sapeva quanti milioni di apparecchi televisivi. L'energia elettrica delle loro accuse, sostenuta e alimentata dal vasto circuito dei mezzi di comunicazione, collegato al suo sistema nervoso centrale, ronzava e bruciava attraverso la sua pelle e faceva montare la sua adrenalina. Aveva il polso costantemente rapido, e tuttavia non era più in stato di panico. Era subentrato un tristissimo senso di torpore. Non riusciva a concentrarsi su niente, non riusciva nemmeno a farlo per quel tanto che poteva bastare per sentirsi triste. Aveva pensato ai danni che questa situazione poteva recare a Campbell e a Judy, eppure non sentiva più le tremende fitte avvertite altre volte, prima… prima di morire. Quest'assenza di reazione lo mise in allarme. Aveva guardato la figlia e tentato di avvertire le fitte, ma era stato un esercizio intellettuale. Era tutto solo così triste e pesante, pesante, pesante.
L'unica emozione che provava veramente era la paura. La paura di tornare laggiù.
La notte prima, esausto, era andato a letto pensando di non riuscire a dormire. Invece si era addormentato quasi subito e aveva fatto un sogno. Era il crepuscolo. Stava risalendo la Prima Avenue in autobus. Strano, perché erano almeno dieci anni che non prendeva un autobus a New York. Prima di rendersene conto, l'autobus era all'altezza della Centodecima Strada, ed era buio. Aveva perso la sua fermata, anche se non ricordava affatto quale fosse la sua fermata. Ora si trovava in una zona di colore. Per la verità avrebbe dovuto essere una zona ispanica, cioè la Harlem ispanica, e invece c'erano solo neri. Scese dall'autobus, temendo che, rimanendo a bordo dell'autobus, le cose potessero solo peggiorare. Sulle soglie, sui gradini, sui marciapiedi, vedeva sagome nell'oscurità, ma loro ancora non l'avevano visto. Si affrettò lungo le strade nell'oscurità, tentando di trovare una via che lo portasse a ovest. Il buon senso gli suggeriva di risalire senza deviazioni la Prima Avenue, e invece pareva tremendamente importante andare in direzione ovest. Si accorgeva ora che le sagome camminavano in circolo. Non dicevano niente e non si avvicinavano troppo… non ancora. Avevano tutto il tempo che volevano a disposizione. Lui si affrettò nell'oscurità, cercando di evitare le sagome, e gradualmente le ombre si avvicinavano: gradualmente, poiché avevano a disposizione tutto il tempo che volevano. Si era svegliato bruscamente in preda al panico più spaventoso, sudato, il cuore che pareva saltargli disordinatamente in petto. Non aveva dormito neppure due ore.
Di primo mattino, quando il sole era salito nel cielo, si sentì più forte. Il ronzio e il calore bruciante cessarono, e lui prese a chiedersi: sono libero da questa orrenda condizione fisica? Naturalmente non aveva capito una cosa. Il grande circuito era fuori servizio soltanto durante la notte. I milioni di occhi accusanti erano chiusi. Per ogni evenienza decise: sarò forte. Aveva altre scelte possibili? No, nessuna; poteva solo morire di nuovo, lentamente o in fretta, e davvero. Fu questo atteggiamento mentale che lo spinse a decidere di non rimanere imprigionato nel suo appartamento. Avrebbe vissuto la sua vita nel miglior modo possibile, e mostrato il volto duro alla folla. Tanto per cominciare, avrebbe accompagnato come sempre Campbell alla fermata del bus.
Alle sette Tony, il portiere, citofonò scusandosi, per dire che sei o sette giornalisti e fotografi si erano accampati all'esterno, sul marciapiede e dentro le automobili. Bonita trasmise il messaggio, e Sherman squadrò la mascella, protese il mento e decise di trattare con loro come si tratterebbe il cattivo tempo. Loro due, Sherman nel suo abito pettinato pied-de-poule ineccepibilmente inglese e Campbell nella sua uniforme scolastica del Taliaferro, uscirono dall'ascensore e si avvicinarono al portone, mentre Tony diceva, con simpatia genuina: «Buona fortuna. Sono dei villani». Fuori, sul marciapiede, il primo di loro era un uomo molto giovane, addirittura d'aspetto infantile, che si avvicinò con una parvenza di educazione per dire: «Signor McCoy, vorrei chiederle…».
Sherman prese Campbell per mano, sollevò il mento Yale e disse: «Non ho commenti da fare. E ora, se mi vuol scusare».
All'improvviso cinque, sei, sette di loro lo circondarono e circondarono Campbell, e nessuno disse più "signor McCoy".
«Sherman! Un minuto! Chi era la donna?»
«Sherman! Un secondo! Una fotografia e basta!»
«Ehi! Sherman! Il tuo avvocato dice…»
«Ferma! Ferma! Ehi! Come ti chiami, carina?»
Uno di loro chiamava Campbell carina! Spaventato e infuriato, si girò verso la voce. Lo stesso, con i ciuffi ribelli schiacciati sul cranio e, ora, due brandelli di carta igienica sulla guancia.
Sherman tornò a voltarsi verso Campbell. Un sorriso forzato, turbato sul volto. Le macchine fotografiche! Le fotografie erano sempre state occasione di felicità.
«Come si chiama, Sherman?»
«Ehi, carina, come ti chiami?»
Quello sporco individuo con la carta igienica in faccia si era chinato sulla bambina e parlava con voce untuosa da zio sporcaccione.
«Lasciala stare!» disse Sherman. Vedeva la paura affiorare sul volto di Campbell, insieme al suo stesso tono di voce acuto.
D'un tratto si trovò davanti al naso un microfono che gli ostruiva la vista.
Una giovane donna alta e robusta, larga di mascelle: «Henry Lamb è all'ospedale in punto di morte e tu passeggi per Park Avenue. Cosa provi per Henry?».
Sherman mosse il braccio in modo da allontanare con violenza il microfono dal suo volto. La donna cominciò a gridare:
«Ehi, grosso bastardo!» Ai colleghi: «Avete visto, no! Mi ha colpito! Il figlio di puttana mi ha colpito! L'avete visto, no? Ti farò arrestare per aggressione aggravata, figlio di una troia!».
Il branco si strinse attorno a loro. Intorno a Sherman. Intorno alla bambina. Lui si chinò e passò un braccio attorno alle spalle di Campbell cercando di attirarla a sé, per camminare velocemente verso l'angolo della strada.
«Su su, Sherman! Solo un paio di foto e ti lasciamo andare!»
Dietro, la donna stava ancora urlando e lamentandosi: «Ehi, hai preso una foto della cosa? Voglio averla! È una prova! Me la devi far vedere!». Poi lungo la strada: «A te non interessa chi colpisci, vero, razzista di merda!».
Razzista di merda! La donna era bianca.
Il viso di Campbell era pietrificato da paura e sgomento.
Scattò il verde, e la muta seguì i due, ronzando e grufolando intorno a loro per tutta la strada lungo Park Avenue. Sherman e Campbell, mano nella mano, avanzavano a stento, mentre i giornalisti e fotografi che li circondavano saltellavano avanti e indietro e di fianco, come granchi.
«Sherman!»
«Sherman!»
«Guardami, carina!»
Genitori, bambinaie e bambine in attesa del bus del Taliaferro alla fermata arretrarono. Non intendevano prendere parte alla rivoltante baraonda che si stava avvicinando a loro: sciame rumoroso di vergogna, colpa, umiliazione e tormento. D'altra parte, gli adulti non volevano che i loro pargoli perdessero il bus che intanto si stava avvicinando. Così fremettero, ma si ritirarono di circa un metro, in gruppo compatto, come se fossero stati spinti tutti insieme dal vento. Per un attimo Sherman pensò che qualcuno forse sarebbe accorso in suo aiuto, non tanto per il suo bene, ma per quello di Campbell; ma si sbagliò. Alcuni avevano uno sguardo vacuo, come se non sapessero chi era. Altri distolsero gli occhi. Sherman studiò i loro volti. L'adorabile piccola signora Lueger! Teneva tutt'e due le mani sulle spalle della sua bambina, che sgranava gli occhioni, a suo modo affascinata. La signora Lueger lo guardava come se fosse stato un vagabondo dell'Armory della Sessantasettesima Strada.
Campbell, nella sua uniforme rosso amaranto, arrancò per i gradini fin dentro il bus e poi si voltò a gettargli un ultimo sguardo. Le lacrime le scorrevano lungo il viso, senza il minimo suono.
Uno spasmo gli attraversò il plesso solare. Sherman non era ancora morto. Non era ancora morto per la seconda volta; non ancora. Il fotografo con i pezzi di carta igienica in faccia gli era proprio alle spalle, a meno di mezzo metro, con il suo orribile strumento incastrato nell'occhiaia.
Adesso, prendilo! Infilagli quel coso nel cervello! «Ehi, carina!» osi dire alla mia carne e al mio sangue…
Ma a che scopo? Essi non erano più il nemico là fuori, vero? Erano parassiti dentro la sua stessa pelle. Ricominciavano il ronzio e il bruciore del giorno.
Fallow gironzolava per la cronaca cittadina e lasciò che ammirassero la sua figura imponente. Si teneva indietro lo stomaco e aveva raddrizzato la schiena. Domani avrebbe dato inizio a un serio programma di esercizi fisici. Non c'era ragione perché non dovesse avere un fisico mirabile, da eroe. Andando in centro, si era fermato da Herzfeld, un negozio di abbigliamento maschile sulla Madison Avenue che aveva cose europee e inglesi in particolare, e aveva comperato una cravatta blu a pallini di seta granatina. I pallini, minuscoli, erano ricamati in bianco. Se l'era messa subito nel negozio, lasciando al commesso il suo colletto staccabile. Aveva addosso la migliore camicia, fatta da Bowring, Arundel & Co., Savile Row. Erano una camicia vera e una cravatta vera. Se solo si fosse potuto permettere una giacca nuova, con ampi risvolti fino all'addome non logori e lustri. Ah, be', ohibò… ma presto, presto! Si fermò al bordo del bancone e prese una copia di «The City Light» da un mucchio di copie dell'edizione del mattino destinate all'uso del personale, CERCATE LA RAGAZZA MISTERIOSA: UNA BRUNETTA UN PO' LENZA. Ancora un servizio in prima pagina di Peter Fallow. Il resto del materiale stampato fluttuava nella nebbia davanti alla sua faccia. Ma continuò a fissarlo, come per dare agli altri l'opportunità di godersi la presenza di Peter Fallow… Guardate, guardate, poveri scribacchini, curvi sopra le vostre macchine elettroniche, i computer, ciarlando e cicalando e borbottando sui vostri "cento bigliettoni". All'improvviso si sentì così grandioso che si mise a pensare quale gesto di grande effetto sarebbe stato andare dal povero Goldman a dargli i suoi cento dollari. Be', per ora quell'idea era bene metterla in un angolo della memoria.
Quando arrivò al suo cubicolo, c'erano già cinque o sei messaggi sulla scrivania. Li sfogliò, con la vaga speranza che ce ne fosse uno di qualche produttore cinematografico.
Sir Gerald Steiner, un tempo Topo Morto, stava avvicinandosi, senza giacca e con un paio di bretelle rosso vivo sopra la camicia a strisce. Sfoggiava un sorriso sulla faccia, un sorriso affascinante, un sorriso suadente, al posto dello sguardo da lupo malvagio di qualche settimana prima. La borraccia di vodka era sempre nascosta nella tasca dell'impermeabile, a sua volta sempre appeso all'attaccapanni di plastica nell'angolo. Forse avrebbe anche potuto tirarla fuori e buttar giù un sorso potente proprio davanti al Topo. Che cosa sarebbe successo? Niente, a parte un probabile sorriso d'intesa, se conosceva bene il suo Topo.
«Peter!» disse Steiner. Peter, non più Fallow come un preside delle superiori. «Vuoi vedere una cosa che ti rischiarerà la giornata?»
Steiner schiaffò una foto sulla scrivania di Fallow. Mostrava Sherman McCoy con un fierissimo cipiglio in faccia che dava un manrovescio al volto di una donna alta con in mano una specie di bacchetta che, in realtà, a un esame più accurato, risultava essere un microfono. Con l'altra mano, lui stringeva la mano di una ragazzina in uniforme scolastica. La ragazzina osservava l'obbiettivo con sguardo interrogativo e stupefatto. Sullo sfondo c'erano la tenda di un palazzo residenziale e un portiere.
Steiner ridacchiò. «La donna - tremenda, a dire il vero - lavora per una stazione radio e telefona cinque o sei volte ogni ora. Dice che farà arrestare McCoy per aggressione. Vuole la foto. L'avrà, come no! In prima pagina, nella prossima edizione.»
Fallow prese la fotografia e la studiò. «Mmmmm! Una ragazzina molto carina. La vita non sarà facile per lei con un padre che continua a prendersela con le minoranze: ragazzi neri, donne. Hai mai notato che gli yankee si riferiscono alle donne come a una minoranza?»
«Povera madre lingua» disse Steiner.
«Una fotografia meravigliosa» disse Fallow del tutto sincero. «Chi l'ha presa?»
«Silverstein. Quell'uomo ha grinta. Ce l'ha davvero.»
«Silverstein è in attesa di grosse novità? È libero?» chiese Fallow.
«Oh, sì!» disse Steiner. «Adora quel tipo di cose. Sai, Peter» - Peter - «io ho un rispetto, forse un rispetto un po' strano, ma autentico per uomini come Silverstein. Sono i contadini del giornalismo. Amano il suolo ricco e fertile in sé e per sé, non per la paga. Amano tuffare le mani nel lerciume.» Steiner fece una pausa, sconcertato. Veniva regolarmente travolto dal suo modo di giocare con le parole.
Oh, come sir Gerald, il figlioletto del Vecchio Steiner, avrebbe desiderato essere capace di sguazzare in quella sporcizia con abbandono dionisiaco come un uomo di grinta e fegato. Gli occhi erano colmi di una calda emozione: amore, forse, o meglio, nostalgia per il fango.
«I "vandali ridenti"» disse Steiner, con un gran sorriso e scuotendo la testa alle rinnovate imprese di SilverStein, quel fotografo di gran fegato. Questo ricordo, a sua volta, gli arrecò una più larga fonte di soddisfazione.
«Ti voglio dire una cosa, Peter. Non so se l'apprezzerai a fondo oppure no, ma tu hai scovato una storia davvero importante quando hai svelato il caso Lamb e McCoy. Un caso sensazionale! Ma, anche, qualcosa di più. Hai sollevato una questione di coscienza. Pensaci. Un dramma. Una questione di coscienza. Hai accennato alle minoranze. Mi rendo conto che scherzavi, ma già stiamo sentendo la voce di queste minoranze, di quelle organizzazioni nere e altre, proprio quelle organizzazioni che ci avevano definiti razzisti e ci avevano lanciato contro le solite altre calunnie. Ora, invece, si congratulano con noi e ci considerano una specie di… faro. Un bel cambiamento in un tempo così breve. La Lega antidiffamazione dei Terzo Mondo, proprio quella che si era tanto infuriata per i "vandali ridenti", be', mi hanno appena inviato la più entusiastica professione di stima. Ora siamo i grandi vessilliferi dell'idea liberal e dei diritti civili. E, comunque, ti ritengono un genio. Quell'uomo, il reverendo Bacon, come viene chiamato, è, pare, il responsabile della lega. Ti darebbe il Nobel, se potesse. Dirò a Brian di farti vedere la lettera.»
Fallow non disse niente. Forse gli idioti non lo erano poi tanto.
«Quel che cerco di spiegarti, Peter, è che questo è un passo molto significativo per la crescita del giornale. I nostri lettori non si curano troppo della rispettabilità, dell'autorevolezza. Ma gli inserzionisti sì. Ho appena messo Brian al lavoro per vedere se per caso non si possa avere qualche gruppo di colore disposto a esternare in forma ufficiale la loro nuova opinione su "The City Light", con dichiarazioni, premi o… non saprei, ma Brian saprà come cavarsela. Spero che troverai il tempo per prendere parte a quel che escogiterà. Staremo a vedere quel che ne verrà fuori.»
«Oh, sicuramente» disse Fallow. «Certo, certo. So bene quanto sono forti i sentimenti di quella gente. Lo sai che il giudice che ha rifiutato di aumentare la cauzione di McCoy ieri ha ricevuto minacce di morte?»
«Minacce di morte? Stai scherzando!» Il Topo vibrava tutto per l'eccitazione.
«Te lo assicuro!» lui le prende molto sul serio.»
«Gran Dio!» disse Steiner. «Che paese sorprendente!» Fallow intuì che era il momento adatto per suggerire a sir Gerald un passo significativo di ben altra natura: un anticipo di mille dollari, che a sua volta poteva suggerire all'eminente Topo anche un aumento di stipendio.
Ed ebbe ragione su entrambi i versanti. Appena pronta la nuova giacca, avrebbe bruciato questa: con immenso piacere.
Neppure un minuto dopo l'uscita di Steiner, il telefono di Fallow suonò. Era Albert Vogel.
«Ehi, Pete! Come va? Qui le cose bollono, bollono, bollono. Pete, mi devi fare un piacere. Devi darmi il numero di telefono di McCoy. Non è sulla guida.»
Senza sapere esattamente perché, Fallow trovò la richiesta sorprendente. «Perché mai vuoi il suo numero di telefono, Al?»
«Sono stato assunto da Annie Lamb, che intende far causa civile nell'interesse del figlio. Due cause, per la verità: una contro l'ospedale per colpa grave; e una contro McCoy.»
«E vuoi il numero telefonico di casa? Perché?»
«Perché? Forse dovremo contrattarlo.»
«Non capisco perché non telefoni al suo avvocato.»
«Cristo! Pete» la voce di Vogel si era fatta impaziente. «Non ti ho chiamato per avere un parere legale. Voglio soltanto il numero telefonico del cazzo. Ce l'hai questo numero o no?»
Il buon senso di Fallow gli suggeriva di negare. Ma la sua vanità non gli permetteva assolutamente di dire a Vogel io, Fallow, titolare del caso McCoy, non sono stato capace di procurarmi il numero di telefono di McCoy.
«D'accordo, Al, ti propongo uno scambio. Tu mi dai i particolari delle azioni civili e un giorno di vantaggio sugli altri, e io ti darò il numero di telefono.»
«Senti, Pete, voglio indire una conferenza stampa sulle azioni civili. Io ti chiedo soltanto uno stupido numero di telefono.»
«Puoi sempre farlo. Ma avrai più gente e più interesse dopo che io avrò scritto il pezzo.»
Una pausa. «Okay, Pete.» Vogel ridacchiò, ma non di cuore. «Penso di aver creato un mostro quando ti ho dato in pasto la vicenda di Henry Lamb. Chi credi di essere, Lincoln Steffens?»
«Lincoln chi?»
«Lascia perdere. Non penso che t'interessi. Okay, la storia del cazzo è tua. Non ti sei stufato di tutte le esclusive? Be', dammi il numero.»
E lui glielo diede.
A pensarci bene, che differenza poteva mai fare avere o no il numero?