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L'ultimo dei grandi fumatori

Dopo un sonno irregolare, intermittente, Sherman arrivò alla Pierce & Pierce alle otto. Era esausto e la giornata non era ancora cominciata. La sala delle contrattazioni era allucinante. Dal porto una luce abbacinante, in sala sagome in agitazione, cifre verde radioattivo che schizzavano impazzite sugli schermi di un numero infinito di terminali… i giovani Padroni dell'Universo, totalmente ignari d'altro, abbaiavano freneticamente al telefono:

«Due, pago due!»

«Già, ma l'emissione?»

«Due tick di meno!»

«Accidenti! Non devi incazzarti!»

Perfino Rawlie, il povero smorfiato Rawlie, in piedi, il telefono attaccato all'orecchio, le labbra che gli si muovevano a velocità pazzesca, picchiettava freneticamente la scrivania con una matita. Il giovane Arguello, signore delle pampas, allungato sulla poltroncina, le gambe divaricate, il telefono all'orecchio, le bretelle moiré sfavillanti, aveva un largo sorriso sulla faccia da giovane gigolò. Il giorno prima, in Giappone, con i buoni del Tesoro aveva fatto un bel colpo. Tutta la sala ne stava ancora parlando. Sorridendo e sogghignando, sorridendo e sogghignando, il figlio di puttana assaporava ancora il trionfo.

Sherman moriva dalla voglia di andare allo Yale Club, fare un bagno turco o una sauna, sdraiarsi su una di quelle tavole ricoperte di pelle e l'arsi fare un bel massaggio rinvigorente, per poi andare a dormire.

Sulla sua scrivania un messaggio, con timbro: URGENTE, diceva di chiamare Bernard Levy a Parigi.

Quattro terminali più in là, Felix stava lavorando sulla scarpa destra di un allampanato e sgradevole giovanotto, un piccolo mago di nome Ahlstrom, sfornato da Wharton, da solo poco più di un paio d'anni. Quell'Ahlstrom era al telefono. Glo glo glo, eh, Ahlstrom? Felix… «The City Light». Ormai doveva essere in edicola. Voleva vederlo: aveva una tremenda paura di vederlo.

Non del tutto consapevole di quel che faceva, Sherman si portò il telefono all'orecchio e compose il numero della Trader T di Parigi. Si appoggiò alla scrivania su tutti e due i gomiti. Non appena Felix avesse finito con il giovane Ahlstrom, lo avrebbe fatto venire da lui. Solo una parte del suo cervello era in ascolto quando la ciambella francese, Bernard Levy, disse:

«Sherman, dopo che ci siamo parlati ièri, mi sono messo in contatto con New York, e sono tutti d'accordo con te. Inutile aspettare.»

Grazie a Dio.

«Ma» continuò Bernard, «a novantasei è impossibile.»

«A novantasei è impossibile?»

Stava ascoltando parole infauste, eppure non riusciva a concentrarsi. I giornali del mattino, il «Times», il «Post», il «News», che aveva letto in taxi arrivando in centro, riportavano stralci del resoconto del «City Light», oltre ad altre dichiarazioni di quel tale di colore, il reverendo Bacon. Denunce scottanti contro l'ospedale dove il ragazzo era ancora in coma. Pei- un attimo Sherman si era rianimato. Stavano scaricando tutte le colpe sull'ospedale! Poi si rese conto che era una pia illusione. Avrebbero scaricato tutto… Era lei che guidava. Se si fosse chiarito tutto, se le indagini fossero arrivate al nocciolo… era lei alla guida. Lei. Si aggrappò disperatamente a questo particolare.

«No, novantasei non è più realistico» affermava Bernard. «Ma a novantatré siamo pronti.»

«Novantatré!»

Sherman si raddrizzò sulla sedia. Non poteva essere vero. Tra pochi minuti, certamente, Bernard gli avrebbe detto che aveva tentato il colpo e, nella peggiore del-, le ipotesi, avrebbe offerto novantacinque. Sherman le aveva pagate novantaquattro. Seicento milioni di obbligazioni a novantaquattro! A novantatré la Pierce & Pierce avrebbe perso sei milioni di dollari.

«Non puoi aver detto novantatré!»

«Novantatré, Sherman! Secondo noi è un prezzo più che giusto. Comunque, è quello che offriamo.»

«Dio onnipotente! Ci devo pensare un attimo. Sta' a sentire, ti richiamo. Sei sempre lì?»

«Certo.»

«D'accordo, ti richiamo subito.»

Riappese e si fregò gli occhi. Cristo! Ci deve ben essere un modo per rimediare. Il giorno prima si era lasciato andare con Bernard. Fatale. Bernard aveva avvertito il panico nella sua voce e aveva giocato al ribasso. Animo! Riprendi coraggio! Concludi questa faccenda! Non è possibile lasciare che crolli tutto dopo tanto lavoro! Richiamalo e agisci da quel che sei, il miglior venditore della Pierce & Pierce! Padrone… Gli mancò il cuore. Più cercava di farsi coraggio, più s'innervosiva. Guardò l'orologio. Guardò Felix. Felix stava appunto abbandonando la scarpa del bambino prodigio, Ahlstrom. Gli fece un gesto con la mano. Tirò fuori il portamonete dalla tasca dei pantaloni, si sedette, lo mise tra le ginocchia per non farlo vedere, sfilò un biglietto da cinque dollari, lo infilò in una busta, poi si alzò mentre Felix stava arrivando.

«Felix, qui dentro ci sono cinque dollari. Va' di sotto a comprare una copia del «City Light», d'accordo? Il resto è per te.»

Felix lo guardò, poi gli fece uno strano sorrisetto e disse: «Sì, okay, ma la volta scorsa mi hanno trattenuto un sacco di tempo all'edicola, l'ascensore non arrivava mai, e io ho perso molto tempo. Sono cinquanta piani Mi costa un sacco di tempo». Non si muoveva.

Pazzesco! Gli stava facendo capire che, in quanto lustrascarpe, cinque dollari per andare a comperare un giornale da trentacinque centesimi gli riducevano i margini di guadagno! Aveva il legato d'imbrogliarlo… ahhhhhhhhh… proprio così. Un certo radar dei poveri gli aveva detto che, se si nascondeva un giornale dentro una busta, si trattava di contrabbando, quindi il suo cliente era alla disperazione, e la gente disperata paga.

Trattenendo a malapena la rabbia, Sherman estrasse un altro biglietto da cinque dollari e lo gettò all'uomo di colore, che lo prese al volo, gli rivolse un'occhiata annoiata e se ne andò con la busta.

Richiamò Parigi.

«Bernard?»

«Sì?»

«Sherman. Ci sto ancora pensando. Dammi altri quindici o venti minuti.»

Una pausa. «D'accordo.»

Sherman riappese e guardò verso la grande finestra posteriore. Le sagome si agitavano intrecciando figure pazzesche. Se fosse disposto ad arrivare a novantacinque… In un attimo l'uomo di colore fu di ritorno. Gli porse la busta senza una parola o un'espressione in qualche modo decifrabile.

La busta era gonfia del giornale. Era come se, dentro, ci fosse qualcosa di vivo. La mise sotto la scrivania, il fruscio gli parve un fracasso enorme.

Se ci rimetteva una parte del suo utile… Prese a buttare giù cifre su un pezzo di carta. La vista di quei calcoli gli parve senza significato! Il nulla assoluto! Avvertiva penosamente il suo respiro profondo. Prese la busta e si diresse verso i gabinetti degli uomini.

Nel cubicolo, i pantaloni dell'abito da duemila dollari fatto in Savile Row a ingentilire il nudo sedile della toilette, le nuove scarpe New & Lingwood appoggiate alla tazza di porcellana, Sherman aprì la busta ed estrasse il giornale. Ogni crepitio della carta lo accusava. In prima pagina: SCANDALO DEL VOTANTE FANTASMA A CHINATOWN: di nessun interesse. Aprì il giornale: pagina due, pagina tre, una fotografia del padrone di un ristorante cinese. Ma in fondo alla pagina un titolo agganciò il suo sguardo.

SCHEDA SEGRETA

PER L'INCIDENTE DEL BRONX

Sopra il titolo, in caratteri chiari più piccoli sottolineati in nero: "Nuova bomba nel caso Lamb". Sotto il titolo, sempre sottolineato in nero: esclusiva di «The City Light». Il pezzo era sempre di Peter Fallow:

"Sono stufo delle lentezze burocratiche" ha dichiarato ieri una fonte all'interno dell'ufficio della Motorizzazione e ha fornito al «City Light» una stampala di computer che restringe a centoventiquattro il numero delle automobili che potrebbero essere state coinvolte nell'atto di pirateria avvenuto nel Bronx la settimana scorsa ai danni dello studente modello Henry Lamb. La fonte, che nel passalo ha collaborato con la polizia in casi simili, ha detto: "Sono in grado di controllare centoventiquattro veicoli in pochi giorni. Ma prima ci vuole naturalmente la volontà politica di farlo. Basta mettere gli uomini al lavoro. Quando la vittima viene dai quartieri più popolari, non c'è sempre questa volontà politica".

Lamb, che abita insieme alla madre vedova nelle Torri Edgar Allan Poe, un complesso di case popolari nel Bronx, è in coma presumibilmente irreversibile. Prima di perdere conoscenza, ha potuto dire alla madre la prima lettera - una R - e cinque ipotesi per la seconda lettera - E, F, B, R, P - della targa della lussuosa Mercedes-Benz che lo ha investito sul Bruckner Boulevard e poi si è data alla fuga. La polizia e la Procura distrettuale del Bronx hanno obiettato che quasi cinquecento Mercedes-Benz registrate nello Stato di New York hanno targhe che iniziano con quelle lettere, troppe per giustificare un controllo veicolo per veicolo in un caso in cui l'unico testimone noto, lo stesso Lamb, potrebbe non riprendere mai coscienza.

Ma la fonte del «City Light» alla Motorizzazione dice: "Certo, ci sono cinquecento possibilità, ma solo centoventiquattro sono davvero probabili. Il Bruckner Boulevard, dove il giovane è stato investito, non è esattamente un luogo d'attrazione turistica. È ragionevole quindi ritenere che il veicolo appartenga a una persona di New York City o di Westchester. Se si accetta questa ipotesi - e in altri casi ho visto che la polizia l'accettava - restringiamo il novero a centoventiquattro".

Questa rivelazione ha provocato nuove istanze da parte di un leader di colore, il reverendo Reginald Bacon, il quale chiede un'indagine approfondita su questo incidente.

"Se la polizia e la Procura non la faranno, ci penseremo noi" ha detto. "Le strutture del potere lasciano che la vita di questo brillante giovane venga distrutta e si limitano a sbadigliare. Noi non lo tollereremo. Abbiamo ora le schede della Motorizzazione; andremo noi, da soli, a controllare quelle auto, se sarà necessario!"

Il cuore di Sherman sussultò nel petto.

Nel Bronx meridionale, i vicini, tutto il quartiere, sono "in armi" e "ribollenti di rabbia" per l'episodio e per l'asserita riluttanza delle autorità a muoversi per risolvere il caso.

Un portavoce dell'amministrazione ospedaliera ha dichiarato che una "indagine interna" era in corso. La polizia e l'ufficio del procuratore distrettuale del Bronx Abe Weiss hanno confermato che le indagini "continuano". Hanno rifiutato di commentare la selezione del numero dei veicoli, ma un portavoce della Motorizzazione, Ruth Berkowitz, riferendosi al materiale pervenuto a «The City Light» ha detto: "La consegna non autorizzata di dati sulla proprietà in un caso tanto delicato è una violazione grave e irresponsabile delle regole di questo dipartimento".

Questo era quanto. Sherman, seduto sulla tazza, fissava le colonne di stampa. Il cappio si stava stringendo! La polizia non sembrava prestare molta attenzione! Sì, ma supponiamo che questo… questo Bacon, insieme a un mucchio di neri assatanati, in armi, si mettano a controllare personalmente le automobili… Cercò di immaginare il quadro. Troppo per la sua immaginazione! Alzò lo sguardo verso la porta grigiobeige del camerino. La porta dei gabinetti maschili si stava aprendo. Poi si aprì un battente interno a un paio di camerini di distanza. Lentamente chiuse il giornale, lo piegò, lo fece scivolare nella grossa busta aziendale. Sempre con estrema lentezza si alzò dalla tazza, sempre con grande calma aprì la porta del cubicolo, sempre furtivo sgattaiolò attraverso il locale centrale dei gabinetti maschili, mentre il cuore galoppava all'impazzata.

Tornato nella sala delle contrattazioni, riprese in mano il telefono. Devo chiamare Bernard. Devo chiamare Maria. Tentò di assumere l'espressione di una persona concentrata sugli affari. Le telefonate personali nella sala delle contrattazioni obbligazionarie della Pierce & Pierce non erano affatto gradite. La chiamò a casa sua, nella Quinta Avenue. Una donna dall'accento spagnolo gli rispose che la signora Ruskin era uscita. Telefonò al loro rifugio formando il numero con estrema attenzione. Nessuna risposta. Si lasciò andare all'indietro sulla sedia. Lo sguardo si perse in lontananza… il chiarore, le sagome che s'agitavano, il fragore…

Uno schioccare di dita sulla testa. Alzò lo sguardo. Era Rawlie.

«Sveglia. Non è permesso pensare da queste parti.»

«Stavo solo…» Non si curò di finire la frase, tanto Rawlie era già lontano.

Chino sulla scrivania rimase a osservare le cifre verde radioattivo che passavano veloci attraverso lo schermo.

Lì per lì decise di andare a consultare Freddy Button.

Cosa raccontare a Muriel, l'assistente alle vendite? Le avrebbe detto che andava da Mel Troutman, da Polsek & Fragner, a proposito dell'emissione della Medicart Fleet. Sì, le avrebbe dato questa scusa: ma il farlo lo faceva star male. Una delle massime del Leone era: "Una bugia può imbrogliare un'altra persona, ma a te dice una verità: che sei un debole!".

Non ricordava il numero di telefono di Freddy Button. Era passato tanto tempo dall'ultima volta che gli aveva telefonato. Lo trovò nella sua rubrica.

«Sono Sherman McCoy. Vorrei parlare con l'avvocato Button.»

«Mi spiace, signor McCoy, ma l'avvocato conferisce con un cliente. La faccio richiamare?»

Sherman attese un attimo. «Gli dica che è urgente.»

La segretaria fece a sua volta una pausa. «Aspetti!»

Sherman era chino sulla sua scrivania. Guardava, ai suoi piedi, la busta con il giornale. No! E se la segretaria l'avesse chiamato per interfono e un altro avvocato, uno che conosceva suo padre, avesse sentito dire: «Sherman McCoy, è urgente»?

«Mi scusi. Un secondo! Non importa… c'è ancora?» Stava gridando dentro il telefono. Lei era andata via. Non c'era più.

Sherman abbassò lo sguardo sulla busta. Scribacchiò delle cifre su un pezzo di carta, in modo da sembrare occupatissimo. Poi, subito dopo, sentì la voce sempre carezzevole, sempre nasale di Freddy Button.

«Sherman, come stai? Che succede?»

Nell'uscire, Sherman disse la sua brava bugia a Muriel e si sentì debole e meschino.

Come molte altre vecchie famiglie solide e protestanti di Manhattan, i McCoy si erano sempre preoccupati di preporre soltanto altri protestanti alla cura dei loro affari e dei loro corpi. Adesso, però, le cose non erano così semplici. Dentisti e contabili protestanti erano rari, e non era neppure facile trovare medici protestanti. Di avvocati protestanti, comunque, ce n'erano ancora in abbondanza, almeno a Wall Street, e Sherman era diventato cliente di Freddy Button come, da bambino, era entrato nei Knickerbocker Greys, il gruppo elitario dei ragazzini. Aveva fatto tutto suo padre. Quando Sherman era all'ultimo anno di Yale, il Leone aveva pensato che fosse tempo per lui di fare testamento, per ragioni d'ordine e di prudenza, nel processo di maturazione della persona. E così lo aveva affidato a Freddy, allora socio nuovo di zecca alla Dunning Sponget. Sherman non si era mai dovuto preoccupare che Freddy fosse un buon avvocato o no. Era andato da lui per esigenze d'ordine: per il testamento, rifatto dopo il matrimonio con Judy e dopo la nascita di Campbell; per contratti di acquisto relativi all'appartamento di Park Avenue e alla casa di Southampton. L'acquisto dell'appartamento gli aveva creato qualche dubbio. Freddy sapeva che lui aveva preso in prestito un milione e ottocentomila dollari, più di quanto volesse far sapere a suo padre (tecnicamente socio di Freddy). Freddy non ne aveva parlato al padre. Ma in una faccenda disgustosa come questa, con i giornali in piena bagarre, non era possibile che per… una questione procedurale… una pratica aziendale… una qualsiasi cosa potesse circolare tra gli altri soci… fino all'anziano Leone stesso.

La Dunning Sponget & Leach occupava quattro piani di un grattacielo di Wall Street, a tre isolati dalla Pierce & Pierce. Quando era stato costruito, alla fine degli anni Venti, in stile moderno, aveva rappresentato l'ultimo grido in fatto d'architettura, ma ora aveva assunto quel livido squallore tipico di Wall Street. Gli uffici della Dunning Sponget assomigliavano a quelli della Pierce & Pierce. In tutti e due i casi, interni moderni erano stati rivestiti di pannelli inglesi del XVIII secolo e arredati con mobilio inglese della stessa epoca. Su Sherman ciò non aveva alcun effetto. Per lui, alla Dunning Sponget, qualsiasi cosa era da venerare come il padre.

Con suo grande sollievo, la ragazza alla ricezione non lo riconobbe e non fece neppure caso al nome. Ormai, naturalmente, il Leone non era altro che uno dei vecchi soci rugosi che, tutti i giorni, infestavano per qualche ora i corridoi. Sherman si era appena seduto in una poltrona quando comparve la signorina Zilitsky, segretaria di Freddy Button. Era una di quelle donne sulla cinquantina dall'aria leale e fidata. Lo accompagnò lungo un atrio silenzioso.

Freddy, alto, sottile, elegante, fascinoso, gran fumatore, lo aspettava in piedi vicino alla porta del suo studio.

«Cia-o, Sherman!» Un pennacchio di fumo di sigaretta, un magnifico sorriso, una stretta di mano calorosa, una simpatica esibizione di piacere alla sola vista di Sherman McCoy. «Mio Dio, mio Dio, come stai? Siediti. Vuoi un caffè? Signorina Zilitsky!»

«No, grazie. Per me no.»

«Come sta Judy?»

«Bene.»

«E Campbell?» Ricordava sempre il nome di Campbell, cosa che Sherman apprezzò perfino nella situazione attuale.

«Oh! sta venendo su bene.»

«Va al Taliaferro, no?»

«Sì. Come l'hai saputo? Te l'ha detto mio padre?»

«No, mia figlia Sally. È uscita dal Taliaferro due anni fa. Le piaceva moltissimo. Si tiene ancora in contatto. Adesso è al Brown.»

«Si trova bene al Brown?» Dio santo, perché mai glielo chiedo? Ma, in realtà, sapeva perché. La solida, rapida, imprecisabile ondata di fascino di Freddy lo stava sommergendo. L'interlocutore, travolto, era spinto a dire le solite banalità.

Fu un errore. Freddy partì subito in quarta con un aneddoto sul Brown e i dormitori delle ragazze. Sherman non si preoccupò di ascoltarlo. Per dare enfasi a un passaggio, Freddy fece scattare le sue lunghe mani all'insù in un gesto languido, effeminato. Parlava sempre di famiglie: la sua famiglia, la tua, quella di altri, eppure era un omosessuale. Senza alcun dubbio possibile. Freddy aveva più o meno cinquant'anni, era alto più di un metro e ottanta, slanciato, un po' goffo nel portamento, ma vestito con eleganza di linea e stile inglesi. I suoi capelli biondo chiaro, ora smorzati nel tono da un'incipiente invasione di grigio, erano tirati all'indietro alla moda degli anni Trenta. Con un certo languore si sistemò nella poltrona, davanti a Sherman, dietro alla scrivania, sempre chiacchierando e fumando. Aspirò a lungo la sigaretta e fece uscire il fumo sia dalla bocca in volute che dalle narici in due spesse colonne. Un tempo si diceva che quello era "aspirare alla francese" e Freddy Button, l'Ultimo dei Grandi Fumatori, lo praticava ancora. Emise anelli di fumo. Aspirò alla francese ed emise grandi anelli di fumo, e poi piccoli anelli rapidissimi che attraversavano quelli più grandi. Di tanto in tanto, non teneva la sigaretta tra le due prime dita, ma tra il pollice e l'indice, verso l'alto, come una candela. Come mai gli omosessuali fumano tanto? Forse perché sono autodistruttivi. Ma la parola autodistruttivi era al limite estremo della comprensione psicanalitica di Sherman, per cui i suoi occhi presero a vagare per l'ambiente. L'ufficio di Freddy era "fatto", nel senso che Judy dava a un arredamento troppo elaborato. Pareva uscito da una di quelle abominevoli riviste: velluti rosso borgogna, cuoio sangue di bue, legno levigatissimo, ottone qua e là e soprammobili d'argento. All'improvviso Freddy, il suo fascino, il suo gusto, gli parvero di una noia infinita.

Freddy doveva avere intuito la sua irritazione, poiché mise fine al racconto e disse: «Mi hai detto che era successo qualcosa a te e alla tua macchina».

«Purtroppo! Puoi addirittura leggerlo su questo giornale, Freddy.» Sherman aprì la borsa, tirò fuori la grossa busta della Pierce & Pierce da cui estrasse la copia del «City Light» che aprì alla pagina tre, poi la allungò all'altro capo della scrivania. «L'articolo in fondo alla pagina.»

Freddy prese il giornale con la mano sinistra, e con la destra spense la sigaretta in un portacenere Lalique con una testa di leone scolpita sul bordo. Si protese verso un fazzoletto di seta che debordava con negligenza e voluttà dal taschino della giacca e ne estrasse un paio di occhiali cerchiati in corno. Poi mise il giornale sulla scrivania e inforcò gli occhiali servendosi di tutt'e due le mani. Dalla tasca interna della giacca, tirò fuori un portasigarette di argento e avorio, lo aprì e sfilò una sigaretta da sotto un fermaglio. La picchiettò sul portasigarette, l'accese con un accendino alto e sottile d'argento, poi prese il giornale e cominciò a leggerlo, o meglio a leggerlo e a fumare. Gli occhi fissi sul giornale, portò la sigaretta alle labbra nella posizione della candela, tra il pollice e l'indice, aspirò una grande boccata, roteò le dita e… paf! La sigaretta spuntò tra le nocche dell'indice e del medio. Sherman era stupito. Come l'aveva fatto? Poi s'infuriò. Si mette a fare giochetti di abilità con quella sua sigaretta nel bel mezzo della tua crisi!

Freddy finì di leggere l'articolo e depose con grande cura la sigaretta sul portacenere, poi si tolse gli occhiali e li ripose dietro allo sgargiante fazzoletto di seta, riprese in mano la sigaretta e tirò un'altra profonda boccata.

Sherman disse, sputando le parole: «È della mia macchina che hai appena finito di leggere».

La rabbia nella sua voce sorprese Freddy. Con circospezione, come fosse in punta di piedi: «Tu hai una Mercedes con una targa che comincia con R? R e qualcosa?».