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Le parole sul pavimento

La borsa di Parigi, la Bourse, era aperta alle contrattazioni solo due ore al giorno, dall'una alle tre del pomeriggio, e cioè dalle sette alle nove antimeridiane di New York. Perciò lunedì Sherman era arrivato alla sala delle contrattazioni obbligazionarie della Pierce & Pierce alle sei e mezzo del mattino. Erano ormai le sette e mezzo ed egli era alla sua scrivania con il telefono all'orecchio sinistro e il piede destro sul supporto portatile di Felix.

Il frastuono provocato dai giovani a caccia di soldi sul mercato delle obbligazioni era già alto in sala, poiché ormai era aperto il mercato internazionale. Non lontano, c'era il giovane signore delle pampas, Arguello, il telefono incollato all'orecchio destro e la mano sinistra all'orecchio sinistro, con ogni probabilità a colloquio con Tokyo. Era in ufficio da almeno dodici ore quando era arrivato Sherman, all'opera attorno a una grossissima vendita di titoli del Tesoro americano al servizio postale giapponese. Come il ragazzo fosse riuscito a mettere mano a un affare simile, sfuggiva all'immaginazione di Sherman, ma così stavano le cose. La borsa di Tokyo era aperta dalle sette e trenta del pomeriggio alle quattro del mattino, ora di New York. Arguello portava un paio di bretelle incredibili con riproduzioni di Tweety Pie, il canarino Titti, personaggio dei cartoni animati; ma non c'era niente da dire. Stava lavorando, e Sherman era soddisfatto.

Felix, l'uomo che lucidava le scarpe, era chino sopra la scarpa destra di Sherman, una New & Lingwood semisportiva, con il suo cencio magico. A Sherman piaceva il modo in cui l'elevazione del piede faceva flettere la gamba, la proiettava in fuori e premeva sull'interno della coscia. Lo faceva sentire atleticamente valido. Gli piaceva come Felix s'ingobbiva a testuggine sul piede, come volesse avviluppare la scarpa con l'anima e il corpo. Vedeva la nuca dell'uomo di colore a non più di mezzo metro dai suoi occhi. Felix aveva una chiazza pelata, perfettamente rotonda, color caramello, sul vertice del cranio, abbastanza strana, visto che i capelli tutt'attorno erano molto folti. A Sherman piaceva quella zona di calvizie perfettamente rotonda. Felix era fidato e divertente, non giovane, permaloso e acuto.

Felix aveva appoggiato una copia del «City Light» sul pavimento accanto alla sua pedana, e la leggeva mentre lavorava. Il quotidiano, ripiegato a metà, era aperto alla seconda pagina che conteneva la maggior parte delle notizie internazionali. Il titolo in alto diceva: BIMBO CADE PER SETTANTA METRI - E SOPRAVVIVE. La località indicata era Elaichori, Grecia. Tutto bene. I giornali non erano ormai più fonte di terrore per Sherman. Erano passati cinque giorni e non c'era stata una sola parola sui vari giornali a proposito di uno spaventoso incidente sulla rampa di entrata di un'autostrada nel Bronx. Proprio come aveva detto Maria. Erano stati trascinati in una lotta nella giungla, avevano lottato e vinto, e la giungla non urlava e non piangeva i suoi feriti. Quella mattina Sherman aveva comperato solo il «Times» alla rivendita della Lexington. Per la verità aveva letto qualcosa sui sovietici, sullo Sri Lanka, e sulle lotte intestine alla Riserva Federale, in taxi, durante la corsa verso il centro, invece di andar subito alle pagine delle notizie metropolitane.

Dopo un'intera settimana di paura, ora poteva concentrarsi sui numeri verde radio che scivolavano attraverso gli schermi neri. Poteva concentrarsi sull'affare in corso: le Giscard.

Bernard Levy, il francese con cui trattava alla Trader Trust Co., era in Francia in quel momento a fare qualche ricerca sulle Giscard prima che la Trader T ci puntasse i suoi trecento milioni di dollari, concludesse l'affare e mettesse nero su bianco… le briciole. Le frasi sprezzanti di Judy gli si insinuarono nella mente, e subito ne uscirono di nuovo. Briciole… e allora? Erano briciole d'oro. Si concentrò sulla voce di Levy dall'altra parte della carambola sul satellite.

«Sherman, ecco come stanno le cose. Le cifre del debito appena dichiarato dal governo tengono tutti sulle spine qui. Il franco cala, ed è destinato a calare ancora, mentre nello stesso tempo, come sai, l'oro scende, anche se per ragioni differenti. Tutti si chiedono dove si andrà a finire, e…»

Sherman lo lasciò parlare. Non era insolito che la gente diventasse un po' querula quand'era sul punto d'impegnare una somma di trecento milioni di dollari. Aveva parlato con Bernard - si chiamavano per nome quasi ogni giorno da sei settimane ormai, eppure non ricordava quasi come fosse fatto. La mia ciambella francese, pensò… e immediatamente gli venne in mente che era una trovata di Rawlie Thorpe, una trovata dettata dal cinismo, dal sarcasmo, dal pessimismo, dal nichilismo di Rawlie, tanti modi per definire la debolezza di Rawlie, e pertanto bandì ciambella come pure briciole dal suo cervello. Quella mattina era una volta di più dalla parte della forza e del destino. Era quasi pronto a far propria, una volta di più, l'idea della padronanza dell'universo. Tutt'intorno a lui risuonava il ruggito dei giovani titani.

«Io sono a sedici, diciassette. Che cosa vuol fare lui?»

«Prendimi venticinque decennali!»

«Mi ritiro!»

Una volta di più fu musica pura. Felix faceva andare lo straccio. La pressione dello straccio sulle ossa del metatarso dava a Sherman un piacere sottile. A pensarci meglio era un minuscolo messaggio al suo ego: l'uomo di colore, grande e grosso, con la chierica nuda, ai suoi piedi, intento a lucidare, ignaro delle leve con le quali Sherman era in grado di muovere un'altra nazione, un altro continente, soltanto con il far carambolare qualche parola via satellite.

«Il franco non è un problema» disse a Bernard. «Possiamo vincolarlo a gennaio o a termine, o in tutti e due i modi.»

Sentì Felix dare un colpetto in fondo alla scarpa destra. Levò il piede dalla pedana e Felix lo portò dall'altra parte della sedia; Sherman sollevò la possente e atletica gamba sinistra e posò la scarpa sinistra sulla pedana metallica per la lucidatura. Felix voltò il giornale, lo ripiegò nel mezzo, lo mise sul pavimento accanto alla pedana e cominciò a lavorare sulla New & Lingwood sinistra.

«Sì, ma per il vincolo bisogna pagare» disse Bernard, «e noi, invece, abbiamo sempre parlato di operazioni semplici e chiare, e…»

Sherman tentò d'immaginare la sua ciambella, Bernard, seduto nel suo ufficio, in uno di quei moderni palazzi civettuoli che i francesi costruiscono, con centinaia di minuscole automobili ronzanti e sfreccianti e strombazzanti nella strada di sotto… di sotto… l'occhio gli cadde per caso sul pavimento e sul giornale…

I peli delle braccia gli si rizzarono. Lesse un titolone sulla terza pagina di «The City Light»:

MAMMA DI STUDENTE MODELLO:

LA POLIZIA NON INDAGA SU UN PIRATA DELLA STRADA

Sopra, nell'occhiello, in lettere più piccole: Mentre giace in punto di morte. Sotto ancora: una esclusiva CITY LIGHT. E poi: a cura di Peter Fallow. Sotto, in formato colonna, una fotografia: testa e spalle di un ragazzo nero sorridente, vestito in modo corretto, giacca nera, camicia bianca e cravatta a strisce. Il volto magro e delicato sorrideva.

«Penso che sarebbe più sensato aspettare di scoprire come evolverà la situazione» disse Bernard.

«Ho l'impressione che tu sopravvaluti il, ehm… ehm…» Quella faccia! «… il, ehm…» Quella faccia magra e delicata! Il ragazzo con camicia e cravatta! Un giovin signore! «… il problema!»

«Lo spero!» esclamò Bernard. «Comunque sia, non ci Farà male aspettare.»

«Aspettare?» Ehi, tu! Hai bisogno di aiuto! Quel viso delicato e spaventato! Una brava persona! Che cosa ha detto Bernard? «Aspettare? Non capisco, Bernard. È tutto a posto!» Non avrebbe voluto sembrare così enfatico, così pressante, ma gli occhi erano fissi sulle parole che leggeva sul pavimento.

Trattenendo a stento le lacrime, una vedova del Bronx ha raccontato ieri a «The City Light» che suo figlio, uno studente modello, è stato investito da una veloce e lussuosa berlina e ha accusato la Procura distrettuale del Bronx di non occuparsi del caso.

La signora Armie Lamb, impiegata all'ufficio matrimoniale cittadino, ha aggiunto che suo tiglio, Henry, diciotto anni, che avrebbe dovuto superare la maturità con lode alla scuola superiore Colonnello Jacob Ruppert la settimana prossima, le aveva dato parte della targa dell'automobile una Mercedes-Benz prima di entrare in coma.

"Ma uno della Procura Distrettuale ha definito l'informazione inutile" ci ha riferito la signora Lamb, in quanto l'unico testimone dell'incidente era la stessa vittima.

I medici del Lincoln Hospital hanno definito il coma "probabilmente irreversibile" e le condizioni del giovane Lamb "molto gravi".

Lamb e sua madre abitano alle Torri Edgar Allan Poe, un complesso di edilizia popolare del Bronx. Lo studente, descritto da vicini e insegnanti come "un giovane esemplare", si preparava a frequentare l'università, in autunno.

L'insegnante di letteratura e composizione di Lamb al Ruppert, Zane J. Rifkind, ha detto a «The City Light»: "È una tragedia. Henry fa parte di quella notevole ma modesta categoria di studenti capaci di superare i molti ostacoli che la vita nel Bronx pone sul loro cammino e di concentrare tutte le loro energie sullo studio, sulle loro potenzialità e sul loro futuro. Ci si può soltanto chiedere che cosa avrebbe potuto fare all'università".

La signora Lamb ha detto che suo figlio era uscito di casa all'inizio della serata di martedì scorso, con ogni probabilità per andare a comprare qualcosa da mangiare. Nell'attraversare il Bruckner Boulevard è stato investito da una Mercedes-Benz con a bordo un uomo e una donna, entrambi bianchi. L'auto non si è fermata. Il vicinato è in larga maggioranza nero e ispanico.

Lamb era in seguito riuscito ad andare in ospedale, dove gli era stato curato un polso fratturato; poi lo avevano rimandato a casa. Il mattino seguente si era lamentato di un forte mal di testa e un senso di stordimento. Al pronto soccorso aveva perso conoscenza. Venne allora accertato che aveva riportato una commozione cerebrale.

Milton Lubell, portavoce del procuratore distrettuale del Bronx Abe Weiss, ha ammesso che alcuni poliziotti e un sostituto procuratore avevano interrogato la signora Lamb e che "un'indagine era in corso", ma che nello Stato di New York ci sono duemilacinquecento Mercedes-Benz registrate con targhe che cominciano con la R, la lettera indicata dalla signora Lamb. Secondo suo figlio, così ha proseguito la signora, la seconda lettera era E, F, B, P o R. "Anche se per ipotesi una di queste fosse la seconda lettera" ha detto Lubell, "siamo sempre nell'ordine delle cinquecento macchine…"

RF! Mercedes-Benz! Quei dati pubblicati su milioni di copie di giornale colpirono Sherman al plesso solare. Avvertì una terribile vibrazione. La sua targa cominciava con le lettere RFH. Preso da una fame spaventosa di notizie sul suo destino, continuò a leggere:

… e non abbiamo né una descrizione del guidatore né un testimone.

Fu tutto quel che riuscì a leggere. Felix aveva ripiegato il giornale in quel punto. Il resto era nella metà inferiore della pagina. Aveva il cervello in fiamme. Moriva dalla voglia di chinarsi e spiegare il giornale… e moriva dalla voglia di non dover mai sapere che cosa quel testo gli avrebbe rivelato. Intanto, la voce di Bernard Levy riemerse dall'altra parte dell'oceano, rimbalzando da un satellite per comunicazioni della AT & T.

«… diciamo novantasei, se è questo che tu intendi per "a posto". Ma così comincia a diventare un po' costoso poiché…»

Costoso? Novantasei? Nessun accenno a un secondo ragazzo! Nessun accenno a un'ostruzione, a una rampa, a una tentata rapina! Il prezzo è fissato da sempre! E se, dopotutto, non fosse stata una tentata rapina! Lui le aveva pagate in media novantaquattro. Solo due punti di scarto! Impossibile abbassarlo! Il ragazzo dall'aspetto gentile sta morendo! La mia automobile! Ma devo far mente locale sulle Giscard! Non posso fallire, dopo tutto il tempo che… e il quotidiano frusciò sul pavimento.

«Bernard…» La bocca era secca. «Stammi a sentire… Bernard!»

«Sì?»

Ma forse era meglio togliere il piede dalla pedana…

«Felix? Felix?» Felix pareva non ascoltarlo. La perfetta chierica marrone caramello in cima alla testa continuava a muoversi mentre lui puliva il gambale delle New & Lingwood a stivaletto.

«Felix!»

«Pronto, Sherman! Che cosa hai detto?» All'orecchio, la voce della ciambella francese, seduta su trecento milioni di obbligazioni garantite dall'oro; negli occhi, la nuca dell'uomo di colore chino sulla pedana a lucidare le scarpe, che sovrastava e inglobava il suo piede sinistro.

«Scusami, Bernard!… Un momento… Felix?»

«Hai detto Felix?»

«No, Bernard! Insomma, un attimo… Felix!»

Felix smise di trafficare sulla scarpa e alzò lo sguardo.

«Mi spiace, Felix, devo stirare un attimo la gamba.»

La ciambella francese: «Pronto, Sherman. Non ti capisco!».

Sherman levò il piede dalla pedana e stese la gamba con visibile ostentazione, come se la sentisse rigida.

«Sherman, ci sei?»

«Sì! Scusami un attimo, Bernard.»

Come sperava, Felix colse l'opportunità per girare «The City Light» in modo da leggere la metà inferiore della pagina. Sherman rimise il piede sulla pedana, Felix s'ingobbì di nuovo sulla scarpa, e Sherman chinò la testa, tentando di mettere a fuoco le parole sul pavimento. Portò la testa tanto vicino a quella di Felix che l'uomo di colore alzò lo sguardo. Sherman ritrasse la testa e sorrise appena.

«Mi spiace!» disse.

«Hai detto "mi spiace"?» chiese la ciambella francese.

«Mi spiace, Bernard, stavo rivolgendomi a un'altra persona.»

Felix scosse il capo in tono di rimprovero, poi l'abbassò e si rimise al lavoro.

«Mi spiace?» ripeté la ciambella francese, sempre perplessa e stupita.

«Lascia perdere, Bernard. Stavo parlando a un'altra persona.» Piano piano Sherman tornò ad abbassare la testa e a fissare lo sguardo sulle pagine stampate, più sotto.

… nessuno sa dirci che cos'è avvenuto, neppure il giovane.

«Sherman, ci sei? Sherman!»

«Sì, Bernard. Mi spiace. Mi vuoi ripetere quel che dicevi sul prezzo? Perché, veramente, Bernard, lo abbiamo già fissato. Lo abbiamo fissato da settimane!.»

«Ripetere?»

«Se non ti spiace, qui mi hanno interrotto.»

Un grande sospiro dall'Europa, via satellite. «Stavo dicendo che qui siamo andati dalla stabilità verso l'instabilità. Non possiamo più stare alle cifre di cui si parlava quando hai fatto la tua proposta.»

Sherman tentò di prestare attenzione a tutte e due le cose contemporaneamente, ma le parole del francese divennero presto una doccia fredda, una doccia fredda via satellite, mentre divorava i caratteri a stampa visibili al di là del cranio del lustrascarpe:

Ma il reverendo Reginald Bacon, presidente dell'associazione sostanzialmente nata e centrata su Harlem, Solidarietà per tutta la gente, l'ha definita: "La solita vecchia storia. La vita umana, se è vita umana nera o vita umana ispanica, non è di grande valore per la struttura del potere. Se Henry Lamb fosse stato uno studente modello bianco di Park Avenue investito da un guidatore nero, non starebbero a gingillarsi con statistiche e impedimenti legali".

Egli ha definito la mancata diagnosi dell'ospedale, a proposito della commozione cerebrale di Lamb, con immediatezza, "incresciosa e oltraggiosa" e ha chiesto un'indagine approfondita.

Intanto nell'appartamentino della signora Lamb, tenuto in perfetto ordine, erano arrivati dei vicini delle Torri Poe, per solidarizzare con lei e confortarla mentre lei rifletteva sui più recenti avvenimenti nella storia tragica della sua famiglia.

"Il padre di Henry era stato ucciso proprio qui fuori sei anni fa" ha raccontato al «City Light», indicando una finestra che dà sull'entrata del complesso edilizio. Monroe Lamb, a quel tempo trentaseienne, è stato assassinato da un rapinatore, una sera, al ritorno dal lavoro: era un meccanico esperto in impianti di condizionamento.

"Se perdo Henry anch'io sarò finita, e nessuno si occuperà più di questa vicenda" ha detto. "La polizia non ha mai scoperto chi uccise mio marito, e non si ha voglia di cercare chi ha investito mio figlio Henry."

Ma il reverendo Bacon ha giurato che terrà sotto pressione le autorità fino a che non sarà fatta giustizia: "Se la struttura del potere ci dice che non importa quel che accade ai nostri giovani migliori, quelli che sono le autentiche speranze di questi nostri quartieri malfamati, allora è tempo di lanciare un messaggio alle strutture del potere: i vostri nomi non sono incisi sulle tavole che scesero dal monte. Presto ci saranno le elezioni, e voi potete essere sostituiti".

Abe Weiss, procuratore distrettuale del Bronx, deve affrontare una dura sfida nelle primarie democratiche di settembre. Il deputato Robert Santiago ha il sostegno di Bacon, del deputato Joseph Léonard e di altri leader neri, come pure il controllo del Bronx centrale e del sud, massicciamente portoricani.

«… e così secondo me lasciamo le cose come stanno per qualche settimana, lasciamo che la situazione si sedimenti. A quel punto sapremo qual è il fondo. Sapremo se stiamo discutendo di prezzi realistici…»

D'un tratto a Sherman fu chiaro di che cosa stesse parlando l'impaurito ranocchio, ciambella francese. Ma lui non poteva aspettare! Non con questa storia incombente. Doveva concludere… subito!

«Bernard, stammi a sentire. Non possiamo aspettare. Abbiamo perso un sacco di tempo a mettere in chiaro tutto quanto. Non c'è bisogno di star qui in attesa che la cosa si sistemi. È già sistemata. Adesso dobbiamo agirei Tu stai creando dei fantasmi. E invece dobbiamo agire subito! Abbiamo già esaminato tutto molto tempo fa! Non importa quel che succede all'oro e al franco su base giornaliera!»

Mentre parlava, proprio in quello stesso momento, sentiva la fretta, l'urgenza fatale nella voce. A Wall Street, un venditore frenetico era un venditore morto. Lo sapeva! Ma non era capace di trattenersi.

«Non posso chiudere gli occhi, Sherman.»

«Nessuno te lo chiede!» Tok. Un colpetto, appena. Un ragazzo alto, sottile, uno studente modello! Il pensiero terribile s'impossessò della sua intera coscienza. Erano soltanto due ragazzi pieni di buona volontà che intendevano aiutare. Ehi, tu! La rampa, il buio. Ma quell'altro… quello grosso? Nessun accenno a un secondo ragazzo. Niente sulla rampa. Non era logico. Forse soltanto una coincidenza! Un'altra Mercedes! Con una targa che cominciava con la lettera R. Ce ne sono duemilacinquecento!

Ma proprio nel Bronx, e proprio quella sera?

Una sensazione di pericolo tenibile, incombente, lo avvolse di nuovo, lo soffocò.

«Mi spiace, ma non possiamo buttarci nella mischia come crociati o legionari romani, Sherman. Dobbiamo rimanere a covare le uova per un po'.»

«Ma cosa stai dicendo? Quanto è per te quell'un po' di cui parli, per l'amor di Dio?» È possibile che riescano a controllare duemilacinquecento automobili?

«La settimana prossima, o quella dopo. Diciamo tre settimane al massimo.»

«Tre settimane!»

«Ci sono parecchie emissioni in arrivo. E non ci possiamo fare niente.»

«Io non posso aspettare tre settimane, Bernard! Stammi a sentire, hai parlato di qualche problema secondario… diavolo, non sono neppure problemi. Ho pensato a prevenirli almeno venti volte, porco cane! Devi agire subito! Tre settimane non sarebbero affatto di aiuto!»

A Wall Street i venditori non dicono neppure devi.

Una pausa. Poi la voce morbida e paziente della ciambella di Parigi, via satellite, disse: «Sherman. Per trecento milioni di obbligazioni, nessuno deve prendere decisioni affrettate».

«Ma certo, ma certo. È solo che so di aver spiegato… so di aver provveduto…»

Sapeva di doversi calmare al più presto possibile, sapeva di dover tornare a essere l'impassibile individuo che operava al cinquantesimo piano della Pierce & Pierce e che la ciambella della Trader T conosceva da sempre, un uomo di cui fidarsi, inossidabile, di grande puissance, ma… era sicuramente la sua automobile. Non c'era via di scampo! Una Mercedes, RF, un uomo bianco e una donna bianca!

Le fiamme impazzavano dentro la sua testa. L'uomo di colore si accaniva sulla sua scarpa. I rumori della sala delle contrattazioni gli calarono addosso come ruggiti di belve:

«Le vede a sei! La tua offerta è cinque!»

«Mi ritiro! I federali stanno invertendo la tendenza!»

«Comprano anche le cedole! Il mercato è esposto!»

«Porca puttana! Mi ritiro!»

C'era molta confusione nell'aula 62, sotto la presidenza del giudice Jerome Meldnick. Kramer osservava lo smarrimento di Meldnick con un certo divertito disprezzo. Sopra il banco, la gran testa pallida di Meldnick pareva una caciotta Gouda. Era china verso quella del suo segretario, Jonathan Steadman. Se mai il giudice Jerome Meldnick aveva un retroterra giuridico fruibile, questo era alloggiato nella testa di Steadman. Meldnick era segretario generale del sindacato insegnanti, uno dei più grandi e consistenti sindacati democratici dello Stato, quando il governatore lo aveva nominato giudice della Corte suprema in riconoscimento del suo potenziale giurisdizionale e dei decenni di lavoro devoto svolto a favore del partito. Non aveva più praticato il diritto dai giorni in cui faceva il galoppino per suo zio, un avvocato che si occupava di successioni, di contratti immobiliari e piazzava assicurazioni in Queens Boulevard.

Irving Bietelberg, l'avvocato di un delinquente che si chiamava Willie Francisco, si ergeva in punta di piedi dall'altra parte del banco, per vedere meglio e cercare di sentire qualcosa. Lo stesso imputato, Francisco, grasso, ventidue anni di età, con un abbondante paio di baffi e una camicia sportiva a righe bianche e rosse, era in piedi e gridava a Bietelberg: «Ehi, tu! Ehi, tu!». Tre agenti giudiziari si erano posti ai lati e dietro Willie, nel caso avesse dato in escandescenze. Sarebbero stati felicissimi di spaccargli la testa, poiché aveva ucciso un poliziotto senza battere ciglio. Il poliziotto lo aveva fermato mentre usciva di corsa da un negozio di ottica con un paio di occhiali da sole in mano. Erano dei Porsche. Gli occhiali da sole Porsche erano molto ambiti nella zona Morrisania del Bronx, perché costavano duecentocinquanta dollari e avevano il nome Porsche inciso in bianco sulla montatura sopra la lente sinistra. Willie era entrato nel negozio con una prescrizione medica falsa per un paio di occhiali e aveva dichiarato che voleva i Porsche. Il commesso gli aveva detto che era impossibile, perché la mutua non avrebbe rimborsato al negozio occhiali così cari. Perciò Willie aveva afferrato i Porsche, era scappato e aveva ucciso il poliziotto.

Il caso era un'altra autentica stronzata, una stronzata da aprire e chiudere subito, e Jimmy Caughey non aveva neppure bisogno di prendersela troppo per vincere. Ma poi accadde l'evento più strano. La giuria si era ritirata il pomeriggio prima e dopo sei ore era tornata senza aver raggiunto un verdetto. Quella mattina Meldnick stava arrancando nello svolgimento delle sessioni di calendario, quando la giuria aveva fatto sapere di aver raggiunto un verdetto. I giurati erano entrati in fila, e il verdetto era stato di colpevolezza. Bietelberg, secondo la procedura consueta, chiese che i giurati si esprimessero uno per volta, «Colpevole», «colpevole», «colpevole», dissero tutti quanti finché il cancelliere non arrivò a un vecchio bianco, molto grasso, Lester McGuigan, che disse anch'egli «colpevole», ma poi guardò negli occhi di Willie Francisco, che non indossava i Porsche, e disse: «Non sono affatto convinto che sia giusto, ma immagino che dovevo dare un voto, e così l'ho dato».

Willie Francisco era balzato in piedi e aveva urlalo: «Processo inficiato!» prima ancora che lo potesse fare Bietelberg… dopo di che ci fu solo una grande confusione. Meldnick si era messo le braccia attorno alla testa e aveva chiamato Steadman in aiuto, e così stavano le cose. Jimmy Caughey non riusciva a crederci. Le giurie del Bronx erano notoriamente imprevedibili, ma Caughey aveva pensato di poter contare su McGuigan. Non soltanto era un bianco, ma era irlandese, un irlandese del Bronx da una vita, che doveva certamente sapere che uno che si chiamava Jimmy Caughey non poteva non essere anche lui un giovane irlandese di valore. Ma McGuigan era in realtà un vecchio con troppo tempo a disposizione, che pensava un po' troppo, che filosofeggiava un po' troppo su persone e cose, perfino su gente come Willie Francisco.

Kramer era divertilo per lo stato di confusione di Meldnick, ma non per quello di Jimmy Caughey. Per Jimmy provava solo compassione. Kramer si trovava nell'aula 62 per un'analoga stronzata da trattare e con simili catastrofi ridicole da temere. Kramer era lì per aspettare una richiesta di rinvio in un'udienza probatoria da parte del difensore, Gerard Scalio, nella causa contro Jorge e Juan Terzio, due fratelli, «una coppia di autentici imbecilli». Avevano tentato di rapinare una drogheria coreana in Fordham Road, ma non avevano assolutamente idea di quale tasto dovevano battere sul registratore di cassa e si erano accontentati di strappare due anelli dalle dita di una cliente. La cosa aveva fatto arrabbiare tanto un altro cliente, Charles Esposito, che gli era corso dietro, aveva allenato Jorge, lo aveva buttato per terra e lo aveva bloccato al suolo, urlandogli: «Sai una cosa? Siete una coppia di autentici imbecilli». Jorge aveva messo una mano dentro la camicia, estratto una pistola e sparato in mezzo alla faccia a Esposito, uccidendolo.

Una vera stronzata.

Mentre la tempesta di cacca diventava sempre più rumorosa e Jimmy Caughey rovesciava sempre di più gli occhi in atteggiamenti disperati, Kramer pensava a un futuro più roseo. Questa sera l'avrebbe incontrata, finalmente, la ragazza dal rossetto marrone.

Maldowny's, il ristorante nell'East Side, all'angolo tra la Terza Avenue e la Settantottesima Strada: pareti di mattoni in mostra, legno chiaro, ottoni, vetri incisi, piante pensili: aspiranti attricette che servono ai tavoli, celebrità, ma ambiente informale e non molto caro, o così almeno aveva sentito dire. Il fitto chiacchierio dei giovani della Manhattan che conta, la Vita, un tavolo per due. E lui che ammira l'incomparabile viso di Shelly Thomas…

Una vocina sommessa lo ammoniva che non doveva farlo, o, perlomeno, non ancora. Il caso era chiuso, almeno per questa fase del processo, e Herbert 92X era stato doverosamente giudicato colpevole e la giuria era stata sciolta. E allora che cosa poteva esserci di male se si vedeva con un giurato per fare domande sulla natura delle decisioni prese in quel caso? Niente… a parte il fatto che la sentenza non era stata ancora emessa, per cui tecnicamente il caso non era definitivamente chiuso. Per prudenza, sarebbe stato meglio aspettare. Ma intanto Shelly Thomas poteva sgonfiarsi, dimenticare quel clima torrido del mondo del crimine, non essere più attratta dal lascino dell'impavido giovane sostituto procuratore distrettuale dalla lingua d'oro e dai possenti muscoli sternocleidomastoidei…

Una voce forte e virile gli chiese se avrebbe continuato a traccheggiare e a comportarsi da vigliacco per il resto della vita. Raddrizzò le spalle. Certo che avrebbe tenuto fede all'appuntamento! Quale eccitazione nella voce di lei! Si sarebbe detto, quasi, che lei stesse aspettando la sua telefonata. Lei era nell'ufficio della Prischker & Bolka, tutto vetrocemento e tubature bianche, nel cuore della Vita, ancora pulsante e trepida per l'incursione pericolosa nella natura vergine del Bronx, ancora eccitata di fronte alla forza e al coraggio di quelli che sono tanto virili da opporsi ai predatori. La vedeva, la vedeva! Serrò gli occhi. I capelli castani folti, il viso di alabastro, il rossetto…

«Ehi, Kramer!» Aprì gli occhi. Era il cancelliere. «Al telefono!»

Sollevò il ricevitore sul tavolo del cancelliere. Sopra, sul banco, Meldnick, costernato, era sempre in consultazione con Steadman. Willie Francisco seguitava a urlare: «Tu! Ehi! Tu!».

«Kramer» disse Kramer.

«Larry, parla Bernie. Hai visto il "City Light" oggi?»

«C'è un articolo a pagina tre sul caso di Henry Lamb. Afferma che i poliziotti battono la fiacca. E anche noi. Dice che tu hai detto alla signora Lamb che le sue informazioni erano inutili. Un grosso articolo.»

«Che cosa?»

«Non fa il tuo nome. Dice solo "uno della Procura distrettuale".»

«Tutte palle, Bernie! Le ho detto esattamente il contrario! Le ho detto che ci dava un ottimo spunto! Solo, che non era sufficiente per aprire un caso giudiziario.»

«Weiss sta dando fuori di matto. È furibondo. Milt Lubell va avanti e indietro ogni tre minuti. Che cosa stai facendo in questo momento?»

«Sto aspettando che cominci l'udienza dei fratelli Terzio, i due imbecilli. Il caso Lamb! Cristo! Milt mi aveva detto l'altro ieri che c'era un tale, un inglese del cazzo, che aveva telefonato dal "City Light", ma Cristo, questo è il colmo! Il caso fa acqua da tutte le parti. Spero che te ne renda conto, Bernie.»

«Sì, ma stammi a sentire, fatti dare un rinvio per i due imbecilli, e vieni subito.»

«Non posso. Tanto per cambiare, Meldnick è sul banco con la testa tra le mani. Un giurato ha appena ritirato il suo verdetto di colpevolezza nel caso di Willie Francisco. A Jimmy sta uscendo fumo dalle orecchie. Qui non accadrà niente fino a che Meldnick non troverà qualcuno che gli dica cosa fare.»

«Francisco? Oh, santo cielo! Chi è il cancelliere? Eisenberg?»

«Sì.»

«Fammi parlare con lui.»

«Ehi, Phil» chiamò Kramer. «Bernie Fitzgibbon vuole parlare con te.»

Mentre Bernie Fitzgibbon parlava con Phil Eisenberg al telefono, Kramer aggirò il tavolo del cancelliere per raccogliere i fogli della pratica Terzio. Non riusciva a crederci. La povera vedova Lamb, la donna per cui perfino Martin e Goldberg provavano tanta compassione… si rivelava una serpe! Dov'era una copia del giornale? Moriva dalla voglia di metterci sopra le mani. Si ritrovò vicino allo stenografo della corte, Sullivan, l'irlandese alto. Sullivan si era alzato dalla sua stenotype, immediatamente sotto il banco del giudice, e stava stirandosi. Sullivan era un uomo di bella presenza, dai capelli stopposi, quarant'anni o poco più, famoso o meglio noto a Gibraltar per l'eleganza del vestire. Quel giorno indossava una giacca di tweed morbida e lussuosa, del colore dell'erica delle Highlands scozzesi, e Kramer sapeva che non avrebbe potuto permettersela per almeno un milione di anni. Alle spalle di Kramer arrivò un vecchio funzionario del tribunale, Joe Hyman, il coordinatore degli stenografi. Si avvicinò a Sullivan e disse: «Il prossimo caso è un omicidio. Finirà in giornata. Ti va?».

Sullivan disse: «Cosa? Su, su, Joe. Ho appena finito con un omicidio. Come faccio a prendermene un altro? Dovrei partecipare al convoglio di carri. Ho i biglietti per il teatro e li ho pagati trentacinque dollari l'uno».

Hyman disse: «D'accordo, d'accordo. E lo stupro? C'è uno stupro da coprire».

«Ma, cazzo, Joe» ribatté Sullivan, «uno stupro… anche per questo ci sarà un convoglio di carri. Perché io? Perché sempre io? E Sheila Polsky che non lavora con una giuria da mesi? Perché non lei?»

«Ha mal di schiena. Non può stare seduta a lungo.»

«Mal di schiena?» disse Sullivan. «Ha ventotto anni, Cristo! È una fannullona, una Iavativa. Ecco quello che è.»

«In ogni modo…»

«Senti, dobbiamo parlarne. Sono stufo di essere sempre io quello che deve sgobbare. Dobbiamo parlare delle designazioni. Bisogna l'are in modo che certi lavativi non si defilino sempre.»

«E va bene» disse Hyman. «Ti faccio una proposta. Tu prendi lo stupro e io ti faccio fare un orario ridotto la settimana ventura. Okay?»

«Non so» disse Sullivan. Aggrottò le sopracciglia, come se dovesse prendere una delle decisioni più importanti della sua vita. «Secondo te, chiederanno molte copie giornaliere per lo stupro?»

«Non lo so. Forse.»

Copie giornaliere. Kramer capì perché gli davano fastidio Sullivan e i suoi vestiti eleganti. Dopo quattordici anni come stenografo di tribunale, Sullivan aveva raggiunto il tetto dell'impiego pubblico di cinquantunomila dollari… quattordicimila dollari più di quanto guadagnava Kramer. Ma questo non era che la base. Oltre a ciò, gli stenografi vendevano le trascrizioni pagina per pagina, a un minimo di quattro dollari e mezzo la pagina. "Copie giornaliere" significava che ogni avvocato della difesa e dell'accusa, oltre alla corte, cioè il giudice, aveva bisogno di copie dei verbali di tutti i giorni del procedimento, che coi diritti di urgenza garantivano un introito di sei dollari o più. Se c'era più di un difensore e nei casi di stupro succedeva spesso - si poteva arrivare a quattordici o quindici dollari la pagina. Si diceva che l'anno prima, in un processo per omicidio che coinvolgeva una banda di trafficanti di droga albanesi, Sullivan e un suo collega si erano spartiti trentamila dollari per due settimane e mezzo di lavoro. Questi personaggi non ci mettevano molto a fare settantacinquemila dollari l'anno, diecimila più del giudice e il doppio dello stesso Kramer. Uno stenografo! Un automa della stenotype! Uno che non poteva neppure aprire la bocca in aula, se non per chiedere al giudice di far ripetere a una data persona una parola o una frase!

Ed ecco lì lui, Larry Kramer, laureato alla facoltà di legge della Columbia, sostituto procuratore distrettuale… che si doveva chiedere se sarebbe stato davvero in grado dì portare una ragazza dal rossetto marrone in un ristorante nell'Upper East Side!

«Ehi, Kramer!» Era Eisenberg, il cancelliere, che gli porgeva il telefono.

«Sì, Bernie?»

«Mi sono messo d'accordo con Eisenberg. Larry. Metterà la causa dei fratelli Terzio alla fine dell'elenco. Vieni subito qui. Dobbiamo assolutamente far qualcosa per questo schifoso caso Lamb.»

«Gli americani costruiscono le loro case popolari in modo che gli ascensori si fermino a piani alterni» disse Fallow, «e puzzano di pipì. Gli ascensori, intendo. Appena ci entri dentro ti assale una zaffata puzzolente di pipì umana.»

«Perché si fermano a piani alterni?» chiese sir Gerald Steiner, avido di sentire questo racconto degli inferi. Il suo redattore capo, Brian Highridge, era in piedi accanto a lui, ugualmente rapito. Nell'angolo del cubicolo l'impermeabile sporco di Fallow era sempre appeso all'attaccapanni di plastica, e la fiaschetta di vodka sempre nascosta nella tasca interna. Ma stamattina lui era in grado con l'attenzione, l'orgoglio e lo spirito gioioso, di dominare i postumi della sbronza.

«Per risparmiare soldi nella costruzione, penso» disse. «O per ricordare ai poveracci che in fondo dipendono dalla carità. Per quelli che abitano ai piani in cui si ferma l'ascensore va tutto bene, ma l'altra metà deve andare al piano di sopra e poi scendere a piedi. In una casa popolare del Bronx questo fatto è rischioso. La madre del ragazzo, la signora Lamb, mi ha detto che ha perduto metà dei mobili quando ha traslocato.» Il ricordo dell'episodio stampò un sorriso sulle labbra di Fallow, quel tipo di sorrisetto storto che dice come si tratti di una storia triste eppure, si deve ammetterlo, anche buffa. «Portò i mobili con l'ascensore al piano sopra il suo. Dovettero portare ogni pezzo di mobilio giù per le scale e, ogni volta che tornavano al piano di sopra, mancava qualcosa. È un uso consolidato! Quando gente nuova trasloca a un piano senza ascensore gli indigeni gli pizzicano la roba nelle vicinanze dell'ascensore!»

Topo Morto e Highridge tentarono di trattenere le risate, dal momento che dopotutto si stava parlando di un sacco di poveri disgraziati. Topo Morto stava seduto sul bordo della scrivania di Fallow, fatto che indicava come egli fosse piuttosto contento per come andavano le cose, tanto da assumere per un attimo quell'atteggiamento confidenziale. L'animo di Fallow si sollevò. Davanti a lui non vedeva più Topo Morto, ma sir Gerald Steiner, l'illuminato magnate dell'editoria britannica che lo aveva fatto venire nel Nuovo Mondo.

«Pare che uno rischi addirittura la vita a scendere le scale» continuò. «La Lamb mi ha detto di non usarle per alcun motivo.»

«Perché no?» chiese Steiner.

«Pare che le scale siano, per un certo verso, i vicoli malfamati delle case popolari. Gli appartamenti sono ammassati gli uni sugli altri in quelle grandi torri, capite, e le torri sono per così e per così» mosse le mani in modo da suggerire la disposizione irregolare, «e in mezzo dovrebbero esserci dei piccoli parchi. Naturalmente non è rimasto in vita un solo filo d'erba, e inoltre non ci sono strade, sentieri, vialetti o cose simili tra gli edifici, soltanto lande desolate. Non ci sono posti dove gli indigeni possano peccare. E così usano i pianerottoli delle scale. Ci fanno di… tutto.»

Gli occhi spalancati di sir Gerald e del suo assistente erano troppo per Fallow. Lo invitarono a un'ondata di licenza poetica.

«Devo confessare che non resistetti alla voglia di dare un'occhiata. Perciò decisi di ripercorrere l'itinerario della Lamb e di suo figlio quando arrivarono per la prima volta nelle Torri Edgar Allan Poe.»

In realtà, dopo l'avvertimento ricevuto, Fallow non aveva osato avvicinarsi alle scale. Ma ora menzogne, menzogne pittoresche, gli si agitavano nel cervello a un ritmo esasperato. Nella sua intrepida discesa delle scale, aveva incontrato ogni sorta di vizio: fornicazione, fumo di crack, iniezioni di eroina, giochi di dadi e gioco delle tre carte, e ancora fornicazioni.

Steiner e Highridge lo fissavano a bocca aperta e con gli occhi fuori della testa.

«Dici sul serio?» disse Highridge. «Che cosa facevano quando ti vedevano?»

«Niente, se non continuare di buona lena. Nel loro stato euforico che cosa poteva rappresentare un giornalista di passaggio?»

«Hogarth, Hogarth puro e semplice» disse Steiner. «Gin Lane. A parte che qui è in verticale.»

Fallow e Highridge risero tutti e due con entusiastico apprezzamento per il paragone.

«Il Gin Lane Verticale» disse Highridge. «Lo sai, Jerry, che non sarebbe una cattiva idea per una serie? Vita-nel-ghetto-sovvenzionato, o qualcosa di simile?»

«Hogarth su per le scale» disse ancora Steiner, indugiando un po' nel suo nuovo ruolo di autore di slogan. «Ma chissà sé gli americani hanno la minima familiarità con Hogarth e Gin Lane.»

«Non penso che sia un grande problema» intervenne Highridge. «Ricordate il nostro pezzo sul Barbablù di Howard Beach? Sono certo che non avevano la più pallida idea di chi fosse Barbablù, ma lo si può spiegare in una frase breve, e in genere sono felici di imparare qualcosa di nuovo. E Peter potrebbe essere il nostro Hogarth!»

Fallow avvertì un lieve segnale d'allarme.

«A pensarci bene» disse Steiner, «non sono certo che sia un'idea tanto buona.»

Fallow si sentì molto sollevato.

«Perché no, Jerry?» chiese Highridge. «Secondo me, avevi trovato qualcosa di buono.»

«Oh, penso che intrinsecamente sia una storia importante. Ma, sapete, qui sono molto sensibili a questa realtà. Se facessimo un articolo sulla vita nelle case popolari per bianchi, andrebbe tutto bene, ma non credo che ci siano case di quel tipo a New York. Ma questo è un settore molto delicato e già mi sta causando delle preoccupazioni. Riceviamo lamentele e malumori da certe organizzazioni che accusano "The City Light" di essere contro le minoranze, per usare la loro terminologia. Ora, va benissimo essere un giornale bianco… che cosa c'è di più bianco del "Times"?… ma acquistare quel tipo di reputazione è tutt'altra cosa. Questo significa mettere a disagio moltissime persone influenti, compresi, direi, gli inserzionisti di pubblicità. Ho ricevuto una spaventosa lettera l'altro giorno da una certa organizzazione che si definisce Lega antidiffamazione del Terzo Mondo.» Tirò fuori il termine Antidiffamazione come se fosse la più ridicola trovata immaginabile. «A che proposito, Brian?»

«I Vandali Ridenti» disse Highridge. «Avevamo messo in prima pagina, la settimana scorsa, la foto di tre ragazzi neri che ridevano in una stazione di polizia. Erano stati arrestati per avere distrutto gli apparecchi per la fisioterapia in una scuola per bambini handicappati. Avevano sparso benzina e poi acceso i fiammiferi. Personcine adorabili. La polizia disse che se la ridevano tutti contenti dopo essere stati portati dentro, e così mandai uno dei nostri fotografi, Silverstein, un americano, un ometto impudente, a fare una foto di quelli mentre ridevano.» Scrollò le spalle, come se fosse stata una normalissima iniziativa giornalistica.

«La polizia si mostrò ben disposta. Li fecero uscire dalla cella e li portarono davanti a Silverstein perché il nostro uomo li potesse riprendere mentre ridevano, ma quando lo videro con la macchina fotografica, non vollero ridere. Allora Silverstein raccontò loro una barzelletta oscena; Una barzelletta oscena!» Highridge cominciò a ridere prima ancora di raccontarla. «Una donna ebrea va a un salari in Africa, viene rapita da un gorilla che la porta sopra un albero e la violenta. E poi continua a violentarla giorno e notte per un mese, fino a quando lei riesce a scappare e a tornare negli Stati Uniti. Racconta tutto a un'altra donna, la sua migliore amica, e poi scoppia in lacrime. L'amica la consola: "Su su su, adesso va tutto bene". E l'altra ribatte! "Per te è facile dirlo. Non sai come mi sento io. Lui non scrive… non telefona!". I tre ragazzi cominciano a ridere, probabilmente perché imbarazzati da quella tremenda barzelletta, e Silverstein scatta la foto, e noi la pubblichiamo.»

Steiner esplose. «Oh, stupendo! Forse non dovrei ridere. Oh, Dio! Come si chiama quel tipo? Silverstein?»

«Silverstein» disse Highbridge. «Non puoi sbagliare. Va sempre in giro con dei tagli in viso. Mette pezzetti di carta igienica sui tagli per fermare il sangue. Insomma, ha sempre della carta igienica appiccicata alla faccia.»

«Tagli? Che tipo di tagli?»

«Di rasoio. Pare che il padre, morendo, gli abbia lasciato un vero rasoio. E lui insiste nell'usarlo. Non riesce a maneggiarlo bene. E si taglia a fette tutti i giorni. Per fortuna, le foto le sa fare.»

Steiner era senza fiato per l'ilarità. «Questi americani! Santo Dio, li amo! Raccontargli una barzelletta. Dio santo, Dio santo… mi piace un tipo che ha fegato. Prendi nota, Brian. Dagli un aumento di stipendio. Venticinque dollari la settimana. Ma per l'amor di Dio, non dirgli, e non dirlo a nessuno, il perché. Andargli a raccontare una barzelletta! Violentata da un gorilla

L'amore di Steiner per il giornalismo a sensazione, il suo rispetto reverenziale per quel tipo di coraggio che permette di compiere simili prodezze, era così genuino che Fallow e Highridge non poterono far a meno di ridere a loro volta. La piccola faccia di Steiner era molto, molto diversa da quella di un Topo Morto in quel momento. Il tremendo piacere che provava per le imprese di questo fotografo americano, Silverstein, gli ridava vita e perfino un aspetto radioso.

«Ma, ora, torniamo al problema che questa foto ci pone» disse Steiner, fattosi serio.

«Secondo me, eravamo ampiamente giustificati» disse Highridge. «La polizia ci aveva assicurato che ci avevano riso sopra anche loro. È stato il loro avvocato, uno di quei difensori d'ufficio, o simili, che ha scatenato un. putiferio ed è stato lui, probabilmente, a rivolgersi a questa associazione chiamata Lega antidiffamazione.»

«Purtroppo i fatti non contano» disse Steiner. «Dobbiamo alterare un certo modo di percepirli, e secondo me la storia del pirata della strada è adattissima per cominciare quest'operazione di recupero. Vediamo un po' che cosa possiamo fare per quella famiglia, per quei poveri Lamb. Pare che abbiano già un certo appoggio. Quel tale Bacon.»

«I poveri Lamb» disse Brian Highridge. «Sì.» Steiner sembrava perplesso: la sua frase non era stata articolata bene.

«Ora, lascia che ti chieda una cosa, Peter» disse Steiner. «La madre, la signora Lamb, ti ha fatto l'impressione di essere una persona credibile?»

«Oh, sì!» disse Fallow. «Si presenta bene, parla bene, è sincera. Ha un lavoro, veste in modo decoroso. Insomma quelle case popolari sono posti davvero squallidi, ma il suo appartamentino è in ordine: quadri alle pareti, divano-col-suo-bravo-tavolinetto, per dire il tipo di casa, perfino il tavolino nell'ingresso.»

«E il ragazzo… non ci rovinerà tutto, eh? È uno studente modello, vero?»

«Per i livelli della sua scuola. Ma non so che cosa combinerebbe alla scuola di Holland Park.» Fallow sorrise. Era una scuola di Londra. «Non ha mai avuto guai con la polizia. È una cosa tanto insolita in quelle case, che ne parlano come se uno dovesse rimanere impressionato.»

«Che cosa dicono di lui i vicini?»

«Oh! Che è un ragazzo carino, che si comporta bene» disse Fallow. In realtà Fallow era andato direttamente nell'appartamento di Annie Lamb insieme ad Albert Vogel e a uno degli uomini del reverendo Bacon, un uomo alto con un orecchino d'oro, aveva intervistato Annie Lamb e se n'era ripartito. Ma ormai la sua posizione d'intrepido esploratore degli inferi, versione Bronx, era così alta agli occhi del suo nobile datore di lavoro che non ci pensò neppure a far marcia indietro proprio allora.

«Benissimo!» esclamò Steiner. «Che cosa abbiamo come seguito?»

«Il reverendo Bacon, come lo chiamano tutti, organizza una grande manifestazione per domani. Una manifestazione di protesta.»

In quel momento suonò il telefono di Fallow.

«Pronto?»

«Ehilà, Pete!» L'inconfondibile voce di Albert Vogel. «Le cose stanno bollendo. Un ragazzo, un ragazzo che lavora alla Motorizzazione, ha appena telefonato a Bacon.» Fallow cominciò a prendere degli appunti. «Questo ragazzo ha letto il tuo articolo e ha preso l'iniziativa di usare il computer. Afferma di aver ristretto la rosa a centoventiquattro auto.»

«Centoventiquattro? La polizia può farcela?»

«Come no! Se vuole! Le possono controllare in pochi giorni se mettono a disposizione gli uomini necessari.»

«Chi è quell'individuo?»

«Soltanto un ragazzo che lavora là, un ragazzo che pensa che i Lamb siano trattati, al solito, ingiustamente. Ti ho detto quel che mi piace di Bacon. Galvanizza la gente che vuole sfidare la struttura del potere.»

«Come posso mettermi in contatto con questo ragazzo?»

Vogel gli fornì tutti i particolari, poi disse: «Pete, stammi a sentire. Bacon ha letto il tuo pezzo e gli è piaciuto moltissimo. Tutti i giornali e le stazioni tivù seguitano a telefonargli, ma lui riserva l'informazione della Motorizzazione per te. È una tua esclusiva. Okay? Ma devi lavorarci subito. Devi darti da fare. Capisci quello che dico?».

«Sì, capisco.»

Dopo aver riappeso, Fallow sorrise a Steiner e Highridge, che erano tutt'orecchi, annuì con aria smaliziata, e disse: «Sìììì! Ci siamo, credo. C'è stata una soffiata, dalla Motorizzazione, dove registrano le immatricolazioni di tutte le targhe automobilistiche».

Proprio come aveva sognato. Sì, esattamente così, e tratteneva il fiato per paura che l'incantesimo potesse rompersi. Lei lo guardava negli occhi, dalla distanza minima creata dalla larghezza di un minuscolo tavolino. Era assorta nelle sue parole, attratta nel suo campo magnetico, tanto che egli ebbe l'impulso di muovere le mani attraverso il tavolo e far scivolare le punte delle sue dita sotto quelle di lei soltanto venti minuti dopo averla incontrata. Quanta elettricità! Ma non bisognava anticipare i tempi, non bisognava distruggere la squisita serenità di quel momento.

Sullo sfondo c'erano i mattoni in rilievo, la dolce lucentezza degli oggetti d'ottone, gli intagli a cascata nei vetri incisi, le voci dei giovani e prestanti avventori. Sullo sfondo, la gran criniera dei suoi capelli scuri, lo splendore d'autunno nel Berkshire delle sue guance! Per la verità, si rese conto, anche nel bel mezzo dell'incantesimo, che lo splendore autunnale era opera probabilmente del trucco. Di certo gli arcobaleni malva e porporini sulle sopracciglia e le orbite occipitali erano dovuti al trucco… ma questa era la natura della perfezione contemporanea. Dalle labbra della fanciulla, umide di desiderio, scintillanti di rossetto marrone, uscirono le parole:

«Ma gli era così vicino e in pratica gli urlava in faccia, mentre lanciava occhiate così omicide… Insomma, non aveva paura che saltasse in piedi e… non so come dirlo. Quell'uomo, insomma, non aveva l'aria di una persona perbene!»

«Ehiiii!» esclamò Kramer, levandosi di dosso un pericolo mortale con una semplice scrollata di spalle e una distensione dei possenti muscoli sternocleidomastoidei. «Questi personaggi sono al novanta per cento soltanto scena; ma anche il restante dieci per cento va tenuto d'occhio. Ah, ah, sì! Quello che più mi importava era mettere in evidenza il lato violento di Herbert, perché tutti potessero vederlo. Il suo avvocato, Al Teskowitz, inutile ripeterlo, non è il più grande oratore del mondo, ma ciò non sempre conta in un processo penale. Il diritto penale è importante in sé; qui non sono in gioco i soldi, ma la vita umana e la libertà, e, me lo lasci dire, questo esclude un sacco di emozioni irrazionali. Teskowitz, mi creda o no, può anche essere un genio nel confondere, nel manipolare i cervelli di una giuria. Sembra così triste, dimesso, e invece tutto è calcolato. Come no! Sa benissimo come suscitare compassione in favore di un cliente. Per metà è - come si dice - linguaggio corporale, mi pare che lei lo definirebbe così. Forse sarà soltanto cattivo teatro, ma lo sa fare molto bene, e io non potevo permettere che passasse l'idea di Herbert come buon padre di famiglia! Figuriamoci! Impossibile lasciare che quell'immagine di Herbert si librasse in aria, come un dirigibile bello da vedere. E quindi ho pensato di…»

Le parole fluivano, torrenziali, magnificando le sue doti di coraggio e il suo talento per la mischia giuridica, anche perché non aveva altri con cui vantarsene. Certo non poteva parlarne con Jimmy Caughey o Ray Andriutti o, a questo punto, neppure con sua moglie, per la quale il fascino del crimine, sinistro o no, era morto e sepolto. Ma Shelly Thomas… diciamo la verità!… Beveva tutto con voluttà. Che occhi! Che labbra marrone lucenti! La sua sete di parole era inesauribile, e meno male, in quanto, purtroppo non beveva altro che acqua. Kramer aveva preso un bicchiere di vino bianco e cercava di trattenersi dall'esaurirlo in pochi sorsi, perché oramai aveva capito che il locale non era poi economico come aveva creduto. Cristo! Il suo maledetto cervello girava su due piste a cento all'ora! Era come un nastro a due piste. Su di una pista snocciolava il resoconto di come aveva condotto il processo…

«… con la coda dell'occhio vedevo che stava per scoppiare. Il filo era tesissimo! Non sapevo neppure se sarei riuscito ad arrivare a finire le mie conclusioni, ma ero deciso a…»

Mentre sulla seconda pista pensava a lei, al conto (e non avevano neppure ordinato il pasto, ancora), a dove avrebbe potuto portarla (se!) e alla folla che gremiva il ristorante. Cristo! Quello là non era John Rector, il conduttore di Canale 9, a un tavolo vicino alla parete di mattoni. Ma no! Ora non gli pareva più lui. C'era spazio soltanto per una sola celebrità qui dentro - egli stesso - il vincitore - colui che aveva conquistato la vittoria su Herbert 92X e sull'intelligente Al Teskowitz. Una folla giovane, elegante, il locale era zeppo, non avrebbe potuto trovare di meglio. Shelly Thomas, lo aveva finalmente saputo, era greca. Piccola delusione. Avrebbe voluto… non sapeva cosa, esattamente. Thomas era il cognome del patrigno che fabbricava contenitori di plastica a Long Island City. Il padre naturale si chiamava Choudras. Lei abitava a Riverdale con il patrigno e la madre, lavorava da Prischker & Bolka, non si poteva permettere un appartamento a Manhattan, ne voleva uno disperatamente. Impossibile trovare "un buco a Manhattan" (proprio a lui lo veniva a dire!)…

«Le giurie nel Bronx sono molto imprevedibili. Le potrei raccontare cos'è successo a uno dei miei colleghi stamattina in tribunale! Ma lei, probabilmente, ha capito di cosa sto parlando. Voglio dire, c'è gente che entra nel box della giuria con in mente - come dire? un'idea preconcetta. Come se noi e loro fossimo dall'una e dall'altra parte di una barricata. E quel noi sta per polizia e pubblica accusa… ma lei probabilmente lo ha intuito.»

«No, onestamente, no. Tutti i giurati erano molto attenti e impegnati. Mi pareva proprio che volessero fare quello che ritenevano giusto. Non sapevo cosa aspettarmi da questa esperienza, ma sono stata gradevolmente sorpresa.»

Forse questa ragazza pensa che io abbia dei pregiudizi. «No, non voglio dire che… c'è un sacco di brava gente nel Bronx, ma c'è qualcuno che ha voglia di attaccar briga, e succedono cose molto particolari, strane.» Meglio abbandonare questo terreno. «Poiché siamo in vena di sincerità, le spiace se le confesso che ero molto preoccupato che lei fosse nella giuria?»

«Io!» Sorrise e parve arrossire sotto tutto quel trucco smagliante, lusingatissima di essere stata un fattore importante nel piano strategico della Corte suprema del Bronx.

«Sì! È la verità! Capisce, in un processo penale si impara a guardare ai fatti da una prospettiva diversa. Forse è una prospettiva distorta, ma è così. In un caso come il nostro… lei è… lei mostra di essere troppo intelligente, troppo colta, troppo lontana dal mondo di un personaggio come Herbert 92X, e di conseguenza, qui sta l'ironia del caso, troppo in grado di capire i problemi e, quindi, come dicono i francesi, rischia di capire tutto e perdonare tutto.»

«Per la verità…»

«Non dico che è onesto e giusto, ma è così che s'impara a guardare alle cose in casi simili. Non lei, ma qualcuno come lei, può risultare troppo sensibile.»

«Ma lei non mi ha… ricusato. Si dice così?»

«Be', sì. Non l'ho fatto, no. Secondo me non è giusto chiedere l'esclusione di un giurato perché lui è… perché lei è intelligente e istruita. Insomma, lei avrà notato che non c'era nessun altro di Riverdale nella giuria durante il voir dire. Tutti si lamentano sempre per il fatto che non abbiamo giurati più istruiti nel Bronx, e poi quando ce ne capita uno… sarebbe come buttar via un patrimonio. E poi chiederne la ricusazione solo perché pensi che possa essere sensibile. Inoltre…» Doveva osare. Osò. «Io, per essere onesto, la volevo in quella giuria.»

Fissò quanto più profondamente poté quei grandi occhi dall'arcobaleno malva, inalberò l'espressione più onesta e aperta che conosceva, e sollevò il mento, perché lei potesse vedere la pienezza dei suoi sternocleidomastoidei.

Lei abbassò gli occhi e arrossì di nuovo vistosamente, nonostante i colori dell'autunno nel Berkshire. Poi sollevò gli occhi e lo guardò con grande intensità.

«Avevo notato che mi guardava parecchio.»

Io e tutti gli altri abituali frequentatori di quell'aula! Era però inutile farglielo sapere.

«Davvero? Speravo che non fosse così ovvio! Oh, Dio, spero che gli altri non l'abbiano notato.»

«Hah hah! Penso di sì, invece. Sa quella signora che era seduta vicino a me, una signora di colore? Una persona molto simpatica. Lavora da un ginecologo: è molto dolce, molto intelligente. Le ho chiesto il suo numero di telefono, e le ho detto che l'avrei chiamata. Vuol sapere, comunque, che cosa mi ha detto?»

«Cosa?»

«Ha detto: "Secondo me, tu piaci a quel procuratore distrettuale, Shelly. Mi ha chiamato subito Shelly. Abbiamo legato fin dall'inizio. "Non riesce a levarti gli occhi di dosso."»

«Ha detto proprio così?» Si aprì in un sorriso.

«Sì!»

«Le ha dato fastidio? Voglio dire, oh Dio, non pensavo che fosse così ovvio!»

«No, secondo lei era molto carino. Alle donne piace quel tipo di cose.»

«Era proprio evidente, eh?»

«Per lei, sì!»

Kramer scosse la testa, come se fosse in imbarazzo, ma intanto riversava i suoi occhi in quelli dì lei, e lei riversava i suoi di rimando in quelli di lui. Ormai avevano scavalcato il fossato, tutto sommato senza grande sforzo. Sapeva, sapeva!… di poter spingere le mani al di là del tavolino e prendere le punte delle dita di lei tra le sue: lei lo avrebbe lasciato fare, e tutto sarebbe avvenuto senza che i loro occhi si lasciassero, ma si trattenne. Era tutto così perfetto e andava tutto bene, troppo, per correre il minimo rischio.

Continuò a scuotere la testa e a sorridere, sempre più allusivo. In realtà, era imbarazzato, sì, ma non per il fatto di essersi fatto notare da tutti per quanto era stregato dalla ragazza in tribunale. Dove andare? Questo lo imbarazzava davvero. Lei non aveva un appartamento, e naturalmente non era assolutamente possibile, per lui, portarla nel formicaio. Un albergo? Troppo volgare, e inoltre, come cavolo avrebbe potuto permetterselo? Anche un albergo di seconda categoria costava almeno cento dollari. Dio solo sapeva quanto gli sarebbe costato il pasto. Il menu era scritto a mano in stile disinvolto, per nulla elaborato, e questo metteva in allarme il sistema nervoso centrale di Kramer: soldi. In qualche modo sapeva, malgrado una scarsissima esperienza, che questa stronzata faux-casual puzzava di soldi.

Proprio in quel momento tornò la cameriera. «Avete avuto il tempo di decidere?»

Anche lei era un prodotto perfettamente confezionato. Giovane, bionda, capelli ricci, occhi azzurri luminosi, il tipico esemplare dell'aspirante attrice, con fossette e un sorriso che diceva: "Be', vedo che voi due qualcosa lo avete deciso!". O che invece dicesse: "Sono giovane, carina e attraente, e mi aspetto una bella mancia quando pagherete il conto"?

Kramer le guardò il volto scintillante, e poi guardò quello di Shelly Thomas. Si dibatteva tra sensazioni di libidine e miseria.

«Shelly» disse, «che cosa ti piacerebbe mangiare?»

Era la prima volta che si concedeva tanta confidenza.

Sherman stava seduto sul bordo di una delle sedie di legno ricurvo. Era chino in avanti, le mani strette tra le ginocchia, la testa bassa. La copia malefica, incriminante del «City Light» stava sul tavolo dal piedistallo di quercia, come se fosse un oggetto radioattivo. Maria era seduta sull'altra sedia, più composta, ma anche lei non proprio disinvolta come al solito.

«Lo sapevo» disse Sherman, senza guardarla. «Lo sapevo già allora. Avremmo dovuto far rapporto alla polizia immediatamente. Non riesco a credere di essere… non riesco a credere che siamo in questa situazione.»

«Ormai è troppo tardi, Sherman.»

Lui si raddrizzò e la guardò. «Forse non è troppo tardi. Basta che tu dica… che tu dica che non sapevi di aver investito una persona finché non l'hai letto sul giornale.»

«Oh, sicuro!» disse Maria. «E come racconto che è successa quella cosa che non sapevo neppure che fosse successa, tanto per cominciare?»

«Di' solo… quel che è successo davvero.»

«Ah, sì, avrà un bellissimo effetto. Due ragazzi ci hanno fermato, tu hai lanciato uno pneumatico contro uno di loro, e io sono partita come un razzo, ma non sapevo di aver investito qualcuno.»

«Ma è proprio quello che è successo, Maria.»

«E chi ci crederà? Hai letto l'articolo, no? Quel ragazzo, lo chiamano uno studente modello. Un santo. Dell'altro, neanche una parola. Non parlano neppure di una rampa. Parlano solo dì un piccolo santo che andava a procurare cibo alla famiglia.»

La tremenda alternativa si fece luce ancora una volta. E se i due ragazzi avessero realmente cercato soltanto di essere di aiuto?

Maria se ne stava seduta là con una maglia leggera di jersey che anche in quel momento di tensione metteva in risalto i suoi seni perfetti. Indossava una gonna a scacchi, corta, le gambe lucenti erano accavallate e una delle scarpette scollate pendeva dalla punta del piede.

Dietro a lei c'era il letto, e sopra il letto c'era adesso un secondo quadretto a olio, con una donna nuda che teneva in braccio un piccolo animale. La pennellata era così rozza e approssimativa che lui non riusciva a capire quale specie di animale fosse. Magari un topo, ma anche un cane. La sua disperazione lo fece indugiare sul dipinto.

«Ah, l'hai notato!» disse Maria, abbozzando un sorriso. «Stai migliorando. Me lo ha dato Filippo.»

«Straordinario!» A questo punto, che un pittore da strapazzo potesse essere tanto generoso verso Maria non interessava affatto Sherman. Il mondo si era alquanto ristretto. «E allora cosa pensi che dovremmo fare?»

«Secondo me, dovremmo respirare profondamente dieci volte e rilassarci. Secondo me.»

«E poi?»

«E poi niente, magari. Sherman, se gli diciamo la verità, quelli ci ammazzano. Lo capisci? Ci faranno a pezzettini. Adesso non sanno di chi era l'automobile, non sanno chi guidava, non hanno testimoni, il ragazzo è in coma e non pare che… tornerà mai in sé.»

Tu guidavi, pensò Sherman. Non scordartelo. Questo particolare lo rassicurava. Poi un soprassalto di paura: supponiamo che lo neghi e dica che era lui alla guida? Ma l'altro ragazzo sapeva, dovunque fosse finito.

Si limitò a dire: «E l'altro ragazzo? Supponiamo che si faccia vivo».

«A quest'ora, si sarebbe già fatto vivo. Non si farà vivo, perché è un criminale.»

Sherman si chinò in avanti e abbassò di nuovo la testa. Si sorprese a fissare le punte lucide delle sue scarpe New & Lingwood. La vanità colossale delle sue scarpe inglesi prodotte artigianalmente lo fece star male. Che cosa giova a un uomo… Non riuscì a ricordare la citazione. Ora vedeva la povera luna bruna sulla nuca di Felix… Knoxville! Perché non si era trasferito a Knoxville molto tempo prima? Perché non era andato a vivere in una modesta casa georgiana con un porticato…

«Non so, Maria» disse, senza alzare lo sguardo. «Non so se siamo capaci di superarli in astuzia. Forse dovremmo andare da un avvocato.» Due avvocati, disse una vocina ben dentro al suo cervello, dal momento che io non conosco questa donna e forse non saremo dalla stessa parte per sempre. «E farci vivi, e dire quel che sappiamo.»

«E ficcare le nostre teste nella bocca della tigre, questo vuoi dire, no?» La lenta parlata del Sud che fluiva dalla bocca di Maria cominciava a dare sui nervi a Sherman. «Ero io che guidavo, Sherman, e perciò credo che spetti a me decidere.»

Ero io che guidavo! L'aveva detto lei stessa! Si rianimò un poco. «Non sto cercando di convincerti» disse. «Sto solamente pensando ad alta voce.»

L'espressione di Maria si fece più dolce. Gli sorrise in modo caldo, quasi materno. «Sherman, fammi dire una cosa. Ci sono due tipi di giungla. Wall Street è una giungla. Lo hai sentito dire, no? In quella giungla però sai come arrangiarti.» La brezza del Sud gli riempiva le orecchie… ma era vero, no? Si rinfrancò un altro po'. «E poi c'è l'altra giungla. Quella dove ci siamo persi, l'altra notte, il Bronx. E tu hai combattuto, Sherman! Sei stato magnifico!» Si trattenne dal congratularsi con se stesso. «Ma tu non vivi in quella giungla, Sherman, e mai ci hai vissuto. Sai che cosa c'è in quella giungla? Gente che va continuamente avanti e indietro, avanti e indietro, su e giù da questa parte della legge e dall'altra, dentro e fuori, dentro e fuori. Tu di questo modo di vivere non sai niente. Hai avuto una buona educazione, una bella infanzia. La legge per te non ha mai rappresentato una minaccia. Era la tua legge. Sherman, era legge fatta da gente come te e come la tua famiglia. Io, invece, sono cresciuta in un mondo diverso. Stavamo sempre in bilico, vacillando su quella linea di demarcazione tra bene e male, come gli ubriachi, perciò io so e questo non mi spaventa. E fammi dire un'altra cosa. Laggiù, sulla linea, sul confine, tutti sono animali… la polizia, i giudici, i criminali, tutti.»

Continuava a sorridergli con calore, come una madre che ha appena rivelato al figlio una grande verità. Si domandò se lei sapeva davvero di che cosa stesse parlando, oppure se si stava solo crogiolando in una specie di snobismo sentimentale alla rovescia.

«Perciò cosa decidi?» chiese.

«Ti dico che dovresti fidarti del mio istinto.»

Proprio allora bussarono alla porta.

«Chi è?» chiese Sherman, già in stato di allarme rosso.

«Non preoccuparti» disse Maria. «È Germaine. Le ho detto che saresti venuto qui.»

«Non le avrai detto quello che è successo?»

«No! Naturalmente!»

Aprì la porta. Non era Germaine. Era un uomo gigantesco vestito in modo esotico, molto diverso da Germaine. Entrò con passo deciso, come se l'appartamento fosse suo, lanciò una rapida occhiata per la stanza, esaminò Sherman, le pareti, il pavimento e, quindi, Maria.

«Lei è Germaine Boll?» Sbuffava, forse perché aveva fatto le scale a piedi. «O Bowl?»

Maria era senza parole. Anche Sherman. Il gigante era giovane, bianco, con una grande barba nera riccia, un'enorme faccia rosso-apoplettica lucida di sudore, una lobbia nera a tesa del tutto piatta, una lobbia troppo piccola appollaiata sull'immensa testa, una camicia bianca sgualcita, abbottonata fino alla gola, ma niente cravatta, e un abito a doppio petto nero, lucido e logoro, con la parte destra della giacca che si sovrapponeva alla sinistra, nel modo in cui sono fatte di solito le giacchette da donna. Un ebreo chassidico. Sherman aveva visto spesso degli ebrei chassidici nel Diamond District, tra la Quarantaseiesima e la Quarantasettesima Strada e la Quinta e la Sesta Avenue, ma non ne aveva mai visto uno così enorme. Era alto almeno un metro e novantacinque, pesava centoventi o più chili: grasso, certo, ma ben costruito, possente, traboccante, pelle bruna del colore di un Bratwurst. Si tolse la lobbia. I capelli si erano appiccicati al cranio per il sudore. Si dette una lisciata sulla testa con la mano, come se intendesse rimettere a posto la capigliatura. Poi si rimise il cappello in testa. Era talmente precario lassù in cima, che pareva poter cadere in ogni momento. Il sudore colava lungo la fronte del gigante.

«Germaine Boll? Bowl? Bull?»

«Non sono io» disse Maria. Si era ripresa. Era stizzita, già pronta al contrattacco. «Non c'è. Che cosa vuole?»

«Abita qui lei?» Aveva una vocina alta, strana per un omone simile.

«La signorina Boll in questo momento non c'è» disse Maria, ignorando la domanda.

«Ci vive lei o l'altra qui?»

«Senta, abbiamo da fare.» Una pazienza visibilmente ostentata. «Perché non prova più tardi?» Poi, in tono di sfida: «Come ha fatto a entrare in questo palazzo?».

Il gigante infilò la mano nella tasca di destra della giacca ed estrasse un enorme mazzo di chiavi. Parevano una quantità infinita. Fece scorrere un grasso indice attorno al grande anello di chiavi, si fermò su una di quelle e la sollevò con delicatezza con l'indice e il pollice.

«Con questa. Proprietà Winter.» Aveva un leggero accento yiddish.

«Se vuole parlare con la signorina Boll le conviene tornare più tardi.»

Il gigante non si mosse. Si guardò di nuovo attorno. «Lei non abita qui?»

«Stia a sentire…»

«Va bene, va bene. Qui daremo una mano di pittura.» E con questo il gigante protese entrambe le braccia, come fossero ali, e come se fosse sul punto di spiccare il tuffo a rondine, poi si avvicinò a una delle pareti e vi si fermò davanti. Premette la mano sinistra contro il muro, si mosse lateralmente, sollevò la mano sinistra, premette la mano destra su quel punto, e si spostò alla sua sinistra finché non fu di nuovo nella posizione del tuffo a rondine.

Maria guardò Sherman. Lui sapeva di dover fare qualcosa, ma non riusciva a immaginare che cosa. Si avvicinò al gigante. Con la voce più gelida e imperiosa possibile, proprio come avrebbe fatto il Leone di Dunning Sponget, disse: «Un momento. Che cosa sta facendo?».

«Misurazioni» disse il gigante, sempre muovendosi lungo la parete nella posizione del tuffo a rondine. «Qui dobbiamo pitturare.»

«Be', mi dispiace molto, ma adesso noi non abbiamo tempo per questa storia. Dovrà farlo in qualche altro momento.»

L'immenso giovanotto si girò lentamente e mise le mani sui fianchi. Fece un lungo respiro, in seguito a cui parve gonfiarsi fino a ben oltre duecento chili. Sulla faccia aveva l'espressione di una persona che si trova costretta a trattare con un fastidioso parassita. Sherman ebbe l'angosciosa sensazione che quel mostro fosse avvezzo a confronti di questo tipo e che, tutto sommato, li gradisse. Ma ormai la battaglia tra maschi era in corso.

«Lei abita qui?» chiese il gigante.

«Ho detto che non abbiamo tempo per questa storia» disse Sherman, tentando di mantenere il tono di freddo comando del Leone. «Ora, faccia il bravo, se ne vada e torni a fare le sue pitture un'altra volta.»

«Abita qui?»

«Per essere chiaro, io non abito qui, ma sono ospite, e non…»

«Lei non abita qui e lei non abita qui. Che cosa ci fate?»

«Non sono fatti suoi!» disse Sherman, incapace di controllare l'ira ma sentendosi sempre più disperato di secondo in secondo. Indicò la porta e disse: «Su, faccia il bravo e se ne vada!».

«Voi non siete di qui. Okay? È un bel problema.» Una pausa. «Qua dentro ci sta la gente sbagliata, che non c'entra. Questo è un palazzo con l'affitto bloccato e gli inquilini si danno, in genere, da fare e subaffittano il loro appartamento ad altre persone per mille, duemila dollari al mese. E loro lo pagano solo trecentotrentuno dollari al mese. Capite? Germanie Boll! Non la vediamo mai qui. Quanto pagate voi, eh?»

Che insolenza! La battaglia tra uomini! Che fare? In quasi tutte le situazioni Sherman si sentiva alto e forte, fisicamente, ma vicino a quella creatura esotica… Non era in grado di sfiorarlo. Non era in grado di fargli paura. I freddi comandi del Leone non avevano effetto. Sotto sotto, se ne rendeva conto, le vere fondamenta erano d'argilla. Si sentiva moralmente in difetto. Sì, non aveva il diritto di star lì. Aveva un sacco di cose da nascondere. E se per caso questo incredibile mostro non fosse realmente uno delle proprietà Winter?

Per fortuna Maria intervenne: «La signorina Boll sarà qui tra poco. Intanto…».

«Okay! L'aspetto.»

Il gigante prese a camminare per la stanza come un druido ondeggiante. Si fermò al tavolo di quercia con piedistallo, e con stupenda naturalezza lasciò cadere il suo tremendo peso su una delle sedie di legno ricurvo.

«E va bene!» disse Maria. «Adesso basta!»

La reazione del gigante fu d'incrociare le braccia, chiudere gli occhi e lasciarsi andare indietro, nell'atto apparente di sistemarsi lì per l'eternità. In quel momento Sherman si rese conto di dover veramente intervenire, poco importava come, per non venir degradato e spogliato di ogni virilità. La battaglia tra i maschi! Cominciò ad avanzare.

Craaaaccccckkkkk! All'improvviso il mostro fu a terra, steso sulla schiena, mentre la rigida tesa della lobbia stava rotolando sul tappeto.

Una gamba della sedia si era praticamente spezzata in due, e s'intravedeva il legno leggero più chiaro sotto il rivestimento esterno. La sedia era crollata sotto il terribile peso.

Maria urlava. «Guarda un po' cos'hai combinato, spaccalegna! Brutta scrofa! Barile di lardo!»

Con grande spreco di ansimi, il gigante si raddrizzò e cercò di rimettersi in piedi. Il suo atteggiamento arrogante pareva scosso. Era rosso in viso, e il sudore era tornato a scorrere copioso. Si chinò a prendere il cappello e perse quasi l'equilibrio.

Maria continuò l'assalto. Indicò i resti della sedia. «Ti rendi conto che dovrai pagare per questo, eh?»

«Checcavolo, checcavolo» disse il gigante. «Non è roba vostra!» Ma stava battendo in ritirata. I pesanti rimproveri di Maria e lo stesso suo impaccio erano troppo per la sua sopportazione.

«Ti costerà cinquecento dollari e una… e una causa in tribunale!» disse Maria «Violazione di domicilio e danneggiamento, credo!»

Il gigante esitò presso la porta e guardò in cagnesco, ma era davvero troppo per lui. Uscì caracollando, in piena confusione mentale.

Appena lo sentì scendere pesantemente le scale, Maria chiuse la porta a chiave. Si voltò e guardò Sherman, poi scoppiò in una risata incontrollata.

«Lo hai visto! Sul pavimento!» Rideva con tanta violenza che non riusciva quasi a parlare.

Sherman la fissò. Era vero! Lei aveva ragione. Erano due animali di specie diversa. Maria aveva fegato, sapeva affrontare qualsiasi situazione. Sapeva lottare e lo faceva con gusto! La vita per lei era una continua lotta su quella linea di demarcazione, su… quella frontiera tra il bene e il male di cui aveva parlato. E allora? Lui voleva ridere. Avrebbe voluto condividere la gioia animale che provava la donna per la scena ridicola a cui avevano assistito. Ma non ne era capace. Non era neppure capace di sorridere. Percepiva però che la sua posizione d'isolamento nel mondo si stava sfaldando. Questa gente incredibile, ora, poteva entrare nella sua vita.

«Craaaassssssssshhh!» fece Maria, ridendo fino alle lacrime. «Oh Dio! vorrei averlo registrato!» Poi colse lo sguardo perplesso sul volto di Sherman. «Che cosa c'è?»

«Secondo te, cosa c'era di mezzo?»

«Cosa vuoi dire con "cosa c'era di mezzo"?»

«Secondo te, cosa ci faceva qui?»

«L'ha mandato il padrone. Non ti ricordi la lettera che ti ho fatto vedere?»

«Ma non è un po' strano che…»

«Germaine paga soltanto trecentotrentuno dollari al mese, e io le do settecentocinquanta dollari. È effettivamente un affitto semibloccato. Non vedono l'ora di cacciarla.»

«Ma non ti sembra strano che abbiano deciso di fare un controllo, qui dentro, proprio adesso?»

«Proprio adesso?»

«Forse sono pazzo, ma oggi, proprio dopo che è uscita quella notizia sul giornale?»

«Sul giornale?» Allora capì di cosa stava parlando lui, e si aprì in un sorriso. «Sherman, sei pazzo. Paranoico. Lo sai?»

«Forse è vero. Ma mi sembra una strana coincidenza.»

«Ma chi l'avrebbe mandato qui, secondo te, se non è stato il padrone di casa? La polizia?»

«Be'…» Rendendosi conto che quell'idea era davvero piuttosto folle, sorrise appena.

«Secondo te potrebbe essere stata la polizia a mandare qui quel folle, un po' cretino, ma gigantesco e chiacchierone, a spiarci?»

Sherman lasciò cadere il suo imponente mento Yale sul collo. «Hai ragione.»

Maria gli si avvicinò, gli sollevò il mento con l'indice e lo guardò negli occhi mentre le labbra le si schiudevano nel sorriso più adorabile che lui avesse mai visto.

«Sherman!» Shahman. «Come ti può venire in mente che il mondo intero se ne stia sveglio pensando a te? Credimi: il mondo intero non ti sta dando la caccia. Lo faccio solo io.»

Gli prese la faccia tra le mani e lo baciò. Finirono sul letto, ma questa volta gli ci volle un bel po' per fare il suo dovere. Capita, quando si è spaventati quasi a morte.