«Esattamente!» Fu un sibilo.
Freddy, confuso: «Be'! Perché non mi racconti quel che è successo?».
Solo quando Freddy ebbe detto quelle parole, Sherman si rese conto che moriva dalla voglia di farlo! Moriva dalla voglia di confessarlo a qualcuno! A chiunque! Perfino a questo Turnvereiner della nicotina, a questo zerbinotto omosessuale che era un socio di suo padre! Non aveva mai osservato Freddy con tanta chiarezza. Sì, lo vedeva. Freddy era un incantatore sottile, svettante; nel suo ufficio, uno studio legale di Wall Street della grandezza della Dunning Sponget, scaricava tutte le vedove, e i legatari, come in fondo era anche lui, che si presumeva avessero più soldi che problemi. E tuttavia era l'unico confessore a disposizione.
«Ho un'amica che si chiama Maria Ruskin» disse. «Moglie di un certo Arthur Ruskin che ha fatto un sacco di soldi Dio sa come.»
«Ne ho sentito parlare» ammise Freddy, annuendo.
«Io ho…» Sherman si fermò. Non sapeva come dire la cosa. «Ho visto… da un po' di tempo mi sto vedendo con la Ruskin.» Strinse le labbra e fissò Freddy. Il messaggio inespresso a parole era: "Sì, precisamente. È il solito caso sordido di libidine a buon mercato".
Freddy annuì.
Sherman esitò di nuovo, poi si tuffò nei particolari del viaggio in automobile nel cuore del Bronx. Studiava la faccia di Freddy per scoprire segni di disapprovazione o - peggio! - di divertimento! Non vi trovò nulla se non un amichevole interesse preoccupato e punteggiato dagli anelli di fumo. Sherman non provava più alcun risentimento nei suoi confronti. Che sollievo! Il vile veleno stava uscendo a fiotti! Oh, il mio confessore!
Mentre snocciolava il racconto, prese coscienza di un altro sentimento: una gioia irrazionale. Era il personaggio principale di un racconto emozionante. E di nuovo provò orgoglio - uno stupido orgoglio! - per aver combattuto e trionfato nella giungla. Si presentava sul proscenio. Era un divo! L'espressione di Freddy era progressivamente divenuta da amichevole e interessata a… rapita!
«E così eccomi qui» Sherman disse, alla fine. «Non so decidermi sul da farsi. Sarebbe stato meglio andare subito alla polizia.»
Freddy si lasciò andare sulla poltroncina, guardò lontano, fece una tirata, poi si girò e rivolse a Sherman un sorriso rassicurante.
«Be', da quel che mi hai detto, non sei responsabile delle ferite del giovanotto.» Mentre parlava, il fumo inalato fuoriusciva dalla bocca in languidi zampilli. Erano anni che Sherman non vedeva una persona farlo. «Avevi forse il dovere, come proprietario dell'automobile, di denunciare l'incidente, e potrebbe crearti qualche fastidio anche il fatto di aver lasciato la scena dell'incidente senza prestare soccorso. Dovrei dare un'occhiata alla giurisprudenza. Immagino che potrebbero formulare un'imputazione di aggressione, per aver lanciato lo pneumatico, ma non penso che reggerebbe, dal momento che tu avevi ogni diritto di ritenerti in pericolo di vita. Per la verità, non è una circostanza poi così rara, come potresti pensare. Conosci Clinton Danforth?»
«No.»
«È il presidente del consiglio d'amministrazione della Danco. Lo rappresentai in una causa contro la Tripla A, l'American Automobile Association. In particolare, direi, l'Automobile Club di New York. Lui e la moglie… non hai mai visto Clinton?»
Visto? «No.»
«Tipico. Davvero tipico. Sembra uno di quei capitalisti che una volta gli autori di cartoon disegnavano con cappello a cilindro. Comunque sia, Clinton e la moglie stavano tornando a casa in macchina…» Si era lanciato in un racconto a proposito dell'auto del suo illustre cliente che si era rotta nell'Ozone Park di Queens. Sherman soppesava le sue parole per vedere se gli davano qualche oncia di speranza. Poi si accorse che si trattava soltanto di una specie di riflesso dovuto al fascino di Freddy che era entrato in funzione. L'essenziale per un affascinante uomo di mondo era avere da raccontare un aneddoto, preferibilmente un aneddoto che avesse, qualunque fosse la circostanza, come protagonisti, nomi del Bel Mondo. In venticinque anni di pratica legale, quello doveva essere l'unico caso passato per le mani di Freddy in qualche modo collegato con le strade di New York.
«… un uomo di colore con un cane poliziotto al guinzaglio.»
«Freddy» lo interruppe Sherman, di nuovo, con voce sibilante. «Non m'importa un bel niente del tuo amico ciccione Danforth.»
«Che cosa?» Freddy, sconcertato, urtato.
«Non ho tempo per quella faccenda. Ho i miei problemi.»
«Ah! Ti prego. Perdonami.» Freddy in toni sommessi, cauti, perfino tristi, come si può parlare a un lunatico che si sta irritando. «Credimi, cercavo soltanto di farti capire…»
«Lascia perdere, non m'importa. Spegni quella sigaretta e dimmi quel che ne pensi.»
Senza distogliere gli occhi dal viso di Sherman, Freddy spense la sigaretta nel portacenere Lalique. «D'accordo, adesso ti dirò quel che ne penso.»
«Non vorrei essere brusco, Freddy, ma santo cielo!»
«Capisco, Sherman!»
«Ti prego, fuma pure se vuoi, ma non divaghiamo.»
Le mani svolazzarono a indicare che il fumo non era importante.
«D'accordo!» disse Freddy. «Ecco come la vedo. Per me tu sei fuori del capo d'imputazione maggiore, e cioè le ferite personali. Ragionevolmente potresti venir incriminato per abbandono del luogo dell'incidente, omissione di soccorso e mancata notificazione alla polizia. Come ho detto, farò una ricerca in merito. Ma secondo me non è un'ipotesi da prendere in seria considerazione, ammesso che si possa stabilire la sequenza degli avvenimenti come me l'hai indicata.»
«Cosa intendi per "stabilire"?»
«Be', quello che più mi preoccupa di quell'articolo di giornale è che lì i fatti siano così diversi da come me li hai esposti tu.»
«Ah, lo so!» disse Sherman. «Non si parla dell'altro… dell'altro individuo, quello che mi si è avvicinato per primo. Non c'è una sola parola sull'ostruzione, e neppure sulla rampa di entrata. Dicono che la cosa è avvenuta in Bruckner Boulevard. E invece non è avvenuta in Bruckner Boulevard o in un altro Boulevard qualsiasi. Affermano che quel ragazzo, quello… studente modello, esemplare… quel santo di colore… stava attraversando la strada, badando ai suoi affari, e che un bianco reazionario in una "automobile di lusso" gli è arrivato addosso, lo ha investito e poi se ne è andato. È folle! Continuano a chiamarla una "automobile di lusso", e in fondo è solo una Mercedes. Cristo, una Mercedes, ora, è come la Buick di una volta!»
Le sopracciglia alzate e arcuate di Freddy dicevano: "Non esattamente!". Ma Sherman proseguì subito.
«Posso chiederti una cosa, Freddy? Il fatto che…» stava per dire Maria Ruskin, ma non volle sembrare troppo ansioso di scaricare su di lei tutta la colpa… «il fatto che non ero io alla guida quando venne investito il ragazzo, mi scagiona dal punto di vista giuridico?»
«Per quanto riguarda le ferite del giovane, a me pare di sì. Te lo ripeto, voglio riguardare le norme e la giurisprudenza. Ma permettimi di farti una domanda. Qual è la versione della tua amica, la signora Ruskin, su quel che è accaduto?»
«La sua versione?»
«Secondo lei come è stato investito il ragazzo? Ammette di essere stata lei alla guida?»
«Ammette di essere stata alla guida? Era alla guida!»
«Sì, ma supponi che intuisca la possibilità di venir incriminata se ammette di essere stata lei alla guida?»
Sherman restò un attimo senza parole. «Non riesco a pensare che lei…» mentirebbe era la parola che avrebbe voluto dire, ma non lo fece, proprio, perché, in Tondo, non era del tutto al di là di ogni immaginazione. L'idea lo colpì, lo sconvolse. «Posso solo dirti che ogni volta che ne parliamo, lei ripete le stesse cose. Usa sempre la stessa espressione: "Dopo tutto ero io quella che guidava". La prima volta che le ho suggerito di andare alla polizia, subito dopo il fatto, lei disse: "Ero io quella che guidava. Perciò sono io che devo decidere". Insomma, tutto può succedere, ma… Dio onnipotente!»
«Non sto cercando di seminare dubbi, Sherman. Voglio soltanto che tu sappia con certezza come lei sia l'unica persona in grado di corroborare la tua versione… con un certo rischio per se stessa.»
Sherman si afflosciò sulla sedia. La voluttuosa amazzone che aveva lottato al suo fianco nella giungla e poi, tutta lucente, aveva fatto l'amore con lui sul pavimento…
«Perciò se vado adesso alla polizia» disse, «e dico cos'è successo, e lei non mi appoggia, posso anche finire in una situazione peggiore di quella in cui mi trovo, ora?»
«È possibile. Senti, io non insinuo che lei non ti appoggerà, che non confermerà la tua versione. Voglio solo che tu sia conscio di… della tua situazione.»
«Secondo te, cosa dovrei fare, Freddy?»
«Con chi ne hai parlato?»
«Con nessuno. Soltanto con te.»
«E con Judy?»
«No, no! Meno che meno con Judy, se vuoi proprio sapere la verità.»
«Be', per il momento non parlarne con nessuno, forse neppure con Judy, a meno che non ne possa fare a meno. Anche in questo caso, dovresti farle capire la necessità di non fame parola in giro. Saresti sorpreso se sapessi quanto le cose che dici possano essere prese e girate contro di te, se c'è qualcuno che lo vuole fare. Ho visto succedere cose simili un sacco di volte.»
Sherman aveva dei dubbi in proposito, ma si limitò ad annuire.
«Intanto, con il tuo permesso, parlerò della situazione a un altro avvocato che conosco, un tale che lavora esclusivamente in quel campo.»
«Non uno della Dunning Sponget!»
«No!»
«Perché non sopporterei l'idea che la faccenda circolasse per i corridoi di questo maledetto posto.»
«Non temere, si tratta di tutt'altro studio legale.»
«Quale?»
«Dershkin, Bellavita, Fishbein & Schlossel.»
Quel torrente di sillabe gli pareva avere cattivo odore.
«Che razza di studio è?»
«Oh! Fanno un po' di tutto, ma sono conosciuti soprattutto per la loro attività in campo penale.»
«Penale?»
Freddy ebbe un pallido sorriso. «Non preoccuparti. I penalisti assistono anche persone che non sono criminali veri e propri. Ci siamo già serviti di quell'individuo. Si chiama Thomas Killian. È molto in gamba. Ha più o meno la tua età. E stato a Yale, tanto per dire o almeno è stato alla scuola di specializzazione legale di Yale. È l'unico irlandese laureato a Yale, ed è l'unico di loro a esercitare il diritto penale. Esagero, naturalmente.»
Sherman si afflosciò di nuovo sulla sedia e cercò di assorbire senza traumi il termine diritto penale. Vedendo che era di nuovo il Grande Avvocato padrone della situazione, Freddy estrasse il portasigarette d'argento e avorio, liberò una Senior Service dal fermaglio d'argento, l'aggiustò picchiettandola, l'accese e aspirò con profonda soddisfazione.
«Voglio sapere cosa ne pensa lui» proseguì Freddy, «soprattutto perché, a giudicare dall'articolo del giornale, il caso sta assumendo un risvolto politico. Tommy Killian è in grado di darci una interpretazione molto più esatta della mia in questo campo.»
«Dershkin, Qualcosa & Schloffel?»
«Dershkin, Bellavita, Fishbein & Schlossel» ripeté Freddy. «Tre ebrei, un italiano, e Tommy Killian che è irlandese. Ti dico una cosa, Sherman. La pratica legale si fa sempre più specializzata a New York. Come se ci fossero un sacco di piccoli… clan… di furfanti da difendere. Ti faccio un esempio. Se venissi citato in giudizio per un incidente d'auto, non vorrei assolutamente essere difeso da qualcuno della Dunning Sponget. Andrei da uno di quegli avvocati dalle parti di Broadway che trattano solo quei casi. Sono al fondo della piramide nella professione legale. Sono tutti dei Bellavita e degli Schlossel. Sono rozzi, grezzi, per niente sottili, scostanti… non puoi nemmeno immaginarti come sono. Eppure io andrei proprio da uno di quelli. Conoscono tutti i giudici, i cancellieri, gli altri avvocati… sanno trattare. Se un Bradshaw o Famsworth dello studio Dunning Sponget & Leach si facesse vedere nel loro settore, lo farebbero secco. Lo saboterebbero. Con il diritto penale è la stessa cosa. I penalisti non sono quello che chiamerei dei boute en train, neppure loro, ma in certi casi te ne devi servire. Data la tua situazione, Tommy Killian è un'ottima scelta.»
«Cristo!» disse Sherman. Tra tutte le cose dette da Freddy, solo le parole diritto penale avevano attecchito in lui.
«Non avere quell'aria abbattuta, Sherman!»
Diritto penale.
Di ritorno nella sala delle contrattazioni della Pierce & Pierce, Muriel, l'assistente alle vendite, gli riservò uno sguardo severo.
«Dove sei stato, Sherman? Ho cercato di rintracciarti.»
«Ero…» Cominciò a ripetere la bugia, con qualche abbellimento, ma il viso di lei diceva chiaramente che non faceva altro se non peggiorare le cose. «E va bene! Cos'è che non va?»
«C'è stata un'emissione subito dopo che te ne sei andato: duecento milioni di Fidelity Mutuals. Così ho telefonato da Polsek & Fragner, ma non eri lì, e mi hanno detto che non ti aspettavano neppure. Arnold non è affatto contento, Sherman. Ti vuole vedere.»
«Vado.» Si girò e prese a marciare verso la sua scrivania.
«Un secondo» disse Muriel. «Anche quel tale a Parigi ha cercato di parlare con te. Ha chiamato almeno quattro volte. Già, quel Levy. Ha detto che aspettava una tua telefonata. Ha detto anche di farti sapere che sono a novantatré. "È definitivo" ha detto. Ha detto anche che tu avresti capito cosa intendeva dire.»