13
L'anguilla sgargiante
Kramer e i due investigatori Martin e Goldberg arrivarono alle Torri Edgar Allan Poe con una berlina Dodge non ufficiale alle quattro e un quarto circa. La manifestazione era programmata per le cinque. Il complesso edilizio era stato costruito durante l'era dell'Erba Verde, nell'ambito di un progetto cittadino inteso a risanare i bassifondi. L'idea alla base consisteva nel costruire caseggiati d'abitazione in mezzo a un'ampia zona verde dove i giovani potessero giocare e i vecchi sedere sotto alberi ombrosi, lungo sentieri sinuosi. In realtà, i giovani ruppero, tagliarono o sradicarono subito le giovani piante destinate a divenire ombrose, e i vecchi abbastanza sciocchi da sedersi lungo i sentieri sinuosi rischiarono di fare la stessa fine. Il complesso era adesso un sudicio insieme di alti edifici posti su di uno strato di cenere e sporcizia calpestate. Le assi di legno erano sparite da lunga pezza e i sostegni di cemento delle panchine parevano rovine antiche. Le maree alte e basse nel mercato del lavoro umano in città non sfioravano neppure le Torri Edgar Allan Poe, dove il tasso di disoccupazione era di almeno il settantacinque per cento. Il posto non era più animato alle quattro e un quarto di quanto non fosse a mezzogiorno. Kramer non vide anima viva, a parte un piccolo branco di ragazzini che correvano lungo la fascia dei graffiti alla base degli edifici. I graffiti non parevano fatti con entusiasmo. I mattoni sporchi, con tutti i condotti di scolo di malta, deprimevano perfino i ragazzoni muniti di bombolette spray.
Martin rallentò fino quasi a fermarsi. Erano nello spiazzo principale, davanti all'edificio A, dove doveva svolgersi la manifestazione. Lo spazio era deserto, c'era solo un ragazzo allampanato che trafficava in mezzo alla strada sulla ruota di un'auto. L'auto, una Camaro rossa, stava in un'area di parcheggio lungo il bordo del marciapiede. La parte posteriore sporgeva sulla strada. Il ragazzo portava jeans neri, una maglietta nera e scarpe da ginnastica a strisce. Era accovacciato con una chiave inglese in mano.
Martin fermò l'automobile più o meno a tre metri da lui e spense il motore. Il ragazzo, sempre accovacciato, fissò la Dodge. Martin e Goldberg erano nei sedili anteriori, Kramer dietro. Martin e Goldberg rimasero seduti, con lo sguardo fisso in avanti. Kramer non riusciva a immaginare che cosa stessero facendo. Poi Martin scese. Indossava una giacca a vento scura su una polo e un paio di pantaloni grigi evidentemente poco costosi. Si avvicinò al ragazzo, si fermò davanti a lui: «Che cosa fai?» gli chiese, e non lo disse con molta gentilezza.
Sconcertato, il ragazzo rispose: «Niente. Aggiusto un coprimozzo».
«Aggiusti un coprimozzo?» chiese Martin, in tono di voce molto sospettoso.
«Sììììììì…»
«Parcheggi sempre così, in mezzo a questa strada del cazzo?»
Il ragazzo si alzò. Era sul metro e ottantacinque. Aveva braccia lunghe e muscolose e mani molto forti, una delle quali teneva la chiave inglese. A bocca aperta, chinò lo sguardo su Martin che improvvisamente sembrò un nano. Le spalle strette di Martin sotto la giacca a vento parevano inesistenti. Non aveva il distintivo o altri segni di riconoscimento. Kramer non riusciva a credere a quello che stava osservando. Eccoli lì nel Bronx meridionale, a mezz'ora da una manifestazione di protesta per le deficienze della Giustizia Bianca, e Martin gettava il guanto di sfida a un ragazzo nero due volte più grande di lui e con una chiave inglese in mano.
Martin piegò da un lato la testa e fissò il viso incredulo del ragazzo senza batter ciglio. Anche il ragazzo parve colpito dalla stranezza della cosa, poiché non si mosse né disse una parola. Lanciò un'occhiata alla Dodge e si trovò a fissare la faccia carnosa di Goldberg, con le fessure al posto degli occhi e i baffi neri all'ingiù. Poi tornò a guardare Martin e inalberò un'espressione coraggiosa e arrabbiata.
«Aggiusto un coprimozzo. E basta, campione. Non ho proprio niente da spartire con te.»
Prima di arrivare alla parola te si stava già allontanando da Martin con quel che doveva passare per un passo lento. Aprì la portiera della Camaro e buttò la chiave inglese sul sedile posteriore, poi sempre a passi lenti girò intorno alla macchina fino ad arrivare al posto del guidatore, entrò, mise in moto, fece manovra e se ne andò. La Camaro sparì con un boato gutturale. Martin tornò alla Dodge e si rimise al volante.
«Ti proporrò per un premio per i rapporti intercomunitari, Marty» disse Goldberg.
«Il ragazzo è stato fortunato: non ero in giro per controllo» disse Martin. «Inoltre, questo è l'unico posto dove si può parcheggiare in tutta questa zona del cazzo.»
E poi si chiedono perché la gente del ghetto li odia, pensò Kramer. Eppure proprio in quel momento si era meravigliato… meravigliato! Lui, Kramer, era abbastanza grande e forte da lottare con il ragazzo con la chiave inglese, e anche, presumibilmente, di batterlo. Ma avrebbe dovuto essere costretto a farlo. Se avesse dovuto affrontare il ragazzo sarebbe subito venuto alle mani. Martin, invece, sapeva tin dal principio che non sarebbe successo. Sapeva che qualcosa nei suoi occhi avrebbe l'atto intuire al ragazzo che aveva davanti a sé il "poliziotto irlandese che non molla". Certo, il fatto di avere Goldberg lì seduto con l'aria dell'"autentico criminale crudele" non guastava, e non guastava neppure avere una calibro 38 sotto la giacca. Tuttavia, Kramer sapeva che non avrebbe potuto lare quel che aveva l'atto quello sfrontato campione dei pesi piuma, e per la cinquantesima volta nella sua carriera di sostituto procuratore distrettuale del Bronx, pagò un muto tributo al più misterioso e ambito tra gli attributi maschili: il machismo irlandese.
Martin parcheggiò la macchina nello spazio lasciato libero dal ragazzo e tutti e tre si sedettero più comodamente e attesero.
«Regna la cacca» disse Martin.
«Ehi! Martin» disse Kramer, fiero di essere ormai in termini confidenziali con quell'esemplare, «voialtri avete scoperto chi ha passato la scheda al "City Light"?»
Senza voltarsi, Martin disse: «Uno dei fratelli» usando una versione irlandese dell'accento dei neri. Girò appena la testa e storse le labbra per indicare che era più o meno quello che ci si poteva aspettare e che non c'era niente da fare.
«Controllerete tutte le centoventiquattro auto o quante sono?»
«Sì. Weiss ci ha pensato tutto il giorno.»
«Quanto ci vorrà?»
«Tre o quattro giorni. Ha distaccato sei uomini. Regna la cacca.»
Goldberg si girò e disse a Kramer: «Come va Weiss? Crede veramente a tutte le stronzate che legge sui giornali?».
«Ci crede eccome!» affermò Kramer. «E tutto quello che ha un risvolto razziale lo fa diventare matto. Ve l'ho già detto: si prepara alla rielezione, se gli sarà possibile.»
«Sììì, ma cosa gli fa pensare che troveremo dei testimoni a questa dimostrazione, che è una grossa stronzata?»
«Non lo so. Ma è quello che ha detto a Bernie.»
Goldberg scosse la testa. «Non abbiamo neppure un'indicazione precisa di dove è avvenuto il fatto. Marty e io siamo andati su e giù per il Bruckner Boulevard e mi venisse un colpo se abbiamo potuto decidere dov'è successo. È un'altra cosa che il ragazzino ha dimenticato di dire alla mamma quando è venuto fuori con la stronzata della targa: dov'è successo quel cazzo di storia!»
«A proposito» disse Kramer, «come fa un ragazzo delle case popolari a sapere com'è fatta una Mercedes?»
«Oh, questo lo sanno» disse Martin, senza voltarsi. «I pappa e i furbacchioni viaggiano in Mercedes.»
«Come no!» rincarò Goldberg. «Non guardano più le Cadillac. 1 ragazzini girano con aggeggi rubati alle Mercedes attorno al collo.»
«Se un ragazzetto di queste parti s'inventa qualche stronzata a proposito di una macchina» riprese Martin, «la prima che gli viene in mente è la Mercedes. Bernie lo sa.»
«Be', Weiss sta addosso anche al caso di Bernie» disse Kramer. Si guardò ancora attorno. Il grande complesso edilizio era tranquillo in modo inquietante. «Sei sicuro che è il posto giusto, Marty? Qua non c'è nessuno.»
«Niente paura» disse Martin. «Arriveranno. Qui regna la cacca.»
Poco dopo, un piccolo furgone di colore bronzeo si fermò quasi davanti a loro. Ne scesero una dozzina di uomini. Tutti neri. La maggior parte indossava tute da lavoro. A occhio e croce erano tra i venti e i trent'anni. Uno di loro spiccava tra gli altri per la statura. Aveva un profilo marcato, un gran pomo d'Adamo e un orecchino d'oro. Disse qualcosa agli altri e quelli presero a tirare fuori dal furgone lunghi pezzi di legno che si rivelarono essere aste per striscioni e cartelli. Li ammucchiarono sul marciapiede. Alcuni degli uomini si appoggiarono al furgoncino e presero a chiacchierare tra loro fumando sigarette.
«Ho già visto quel coglione, ma non ricordo dove» disse Martin.
«Anche a me pare di averlo già visto» disse Goldberg. «Ma sì, cazzo, sì. È una delle facce di merda di Bacon, quello che chiamano Buck. C'era a quella faccenda di Gun Hill Road.»
Martin si raddrizzò a sedere. «Hai ragione, Davey. È proprio quella faccia di merda.» Piantò gli occhi sull'uomo dall'altra parte della strada. «Ah, come vorrei…» Parlava con aria sognante. «Ti prego, faccia di merda, ti prego di fare qualche sciocchezza, faccia di merda… Adesso scendo.»
Martin scese dalla Dodge, si fermò un attimo sul marciapiede e con grande ostentazione prese a muovere braccia e spalle, come un pugile in fase di riscaldamento. Poi scese Goldberg. E così fece anche Kramer. I manifestanti al di là della strada cominciarono a volgere lo sguardo verso di loro.
Uno del gruppo, un giovanotto molto robusto, in tenuta da lavoro, jeans e camicia blu, attraversò la strada con un lento e molleggiato Rollio del Pappone e si avvicinò a Martin.
«Tu!» disse. «Sei della tivù?»
Martin abbassò il mento e scosse la testa, molto lentamente, in un modo che esprimeva minaccia pura.
L'uomo di colore lo squadrò con gli occhi e disse: «Allora da dove vieni, Jack?».
«Incazzatura City, bimba» disse Martin.
Il giovanotto tentò una smorfia torva, poi un sorriso, e non trovò alcuna reazione in entrambi i casi, se non un'espressione colma di disprezzo irlandese. Si voltò e riattraversò la strada, disse qualcosa agli altri, e quel tale Buck fissò gli occhi su Martin che gli ritornò uno sguardo in cui lampeggiava una radiazione laser a forma di quadrifoglio d'Irlanda. Buck distolse gli occhi e radunò quattro o cinque degli altri attorno a lui in consultazione. Di tanto in tanto lanciavano occhiate verso Martin.
Questa posizione di stallo stava andando avanti da qualche minuto quando arrivò un altro furgone. Ne scesero alcuni giovani bianchi, sette uomini e tre donne. Sembravano universitari, con l'eccezione di una donna dai lunghi capelli biondo-grigi.
«Ehi, Buck!» gridò questa. Si avvicinò all'uomo alto con l'orecchino d'oro, protese tutte e due le mani e fece un largo sorriso. Lui le prese le mani, anche se non lo fece certo con molto entusiasmo, e disse: «Ehi, come ti va, Reva?». La donna l'attirò a sé, lo baciò su una guancia e poi sull'altra.
«Oh, fatemi respirare aria pulita» disse Goldberg. «Quella troia!».
«La conosci?» chiese Kramer.
«So chi è. È una comunista di merda.»
Poi la donna bianca, Reva, si voltò e disse qualcosa: un uomo bianco e una donna bianca tornarono al furgone e ne estrassero altri cartelli.
Arrivò un terzo furgone. Scesero nove o dieci bianchi, maschi e femmine, quasi tutti giovani. Tirarono fuori dal furgone un gran rotolo di stoffa e lo spiegarono. Era uno striscione. Kramer riuscì a cogliere le parole: FORZA D'URTO GAY CONTRO IL RAZZISMO.
«Cosa diavolo è?» chiese.
«Lesbiche e finocchi» disse Goldberg.
«Cosa ci fanno qui?»
«Vengono sempre a queste manifestazioni. Si vede che a loro piace l'aria fresca. Si danno da fare.»
«Ma qual è il loro interesse in questa faccenda?»
«Non chiederlo a me. L'unità degli oppressi, dicono loro. Quando uno di questi gruppi ha bisogno di rinforzi, si danno una mano!»
E così adesso c'erano all'inarca due dozzine di manifestanti bianchi e una dozzina di neri, che bighellonavano, chiacchieravano e ammucchiavano cartelli e striscioni.
Arrivò un'automobile, ne scesero due uomini. Uno di loro portava due macchine fotografiche assicurate con cinghie attorno al collo e una borsa con il logo THE CITY LIGHT. L'altro era un uomo alto tra i trenta e i quaranta, con un naso lungo e i capelli biondi che fluivano dall'attaccatura a punta sulla fronte. La carnagione chiara era chiazzata di rosso. Indossava una giacca blu di taglio inconsueto e, agli occhi di Kramer, straniero. Senza ragione apparente d'un tratto sbandò sulla sinistra. Pareva essere in pessime condizioni. Ora stava impalato sul marciapiede, con un grande bloc-notes infilato sotto il braccio; chiuse gli occhi e si premette entrambe le mani sulle tempie, le massaggiò a lungo, poi aprì gli occhi, trasalì, sfarfallò le palpebre, si guardò attorno.
Martin prese a ridere. «Guarda quella faccia. Sembra una tinozza di malto irlandese in ebollizione. Il tipo è così sbronzo che tra un po' ci finisce dentro.»
Fallow sbandò di nuovo a sinistra. Continuava a sbandare a sinistra. Qualcosa non funzionava proprio nel suo sistema vestibolare. Questa volta stava veramente male, gli pareva di avere il cervello avvolto in spaghi membranosi e filamentosi, simili ai filamenti di un'arancia, e ogni contrazione del cuore stringeva gli spaghi e il veleno veniva strizzato nel sistema. Aveva avuto mal di testa lancinanti in precedenza, ma questo era un mal di testa tossico, velenoso oltre ogni dire.
Dov'erano le folle? Erano venuti nel posto sbagliato? A occhio e croce c'erano un pugno di persone di colore e forse venti studenti bianchi, non di più. Un enorme striscione diceva FORZA D'URTO GAY. Forza d'urto gay? Il pensiero del rumore e della confusione l'aveva spaventato, ma ora cominciava a preoccuparsi per il silenzio.
Sul marciapiede, poco più avanti, c'era lo stesso uomo di colore alto con l'orecchino d'oro che aveva portato lassù lui e Vogel due giorni prima. Chiuse gli occhi. Vogel lo aveva portato a cena al Leicester's la sera precedente per festeggiare (o magari pagare?) l'articolo. Aveva bevuto una vodka Southside, poi un'altra. Il grugno della bestia illuminato da un chiarore bluastro! Tony Stalk e Caroline Heftshank erano arrivati e si erano seduti, Fallow aveva cercato di scusarsi per quel che era successo con il suo giovane amico, Chirazzi, il pittore, e Caroline, dopo avergli fatto uno strano sorriso, gli aveva detto di non preoccuparsi. Poi aveva bevuto un'altra vodka Southside, Caroline aveva continuato a bere Frascati e a chiamare con una vocetta stridula e molto buffa Britt-Withers, che alla fine era venuto; lei gli aveva sbottonato la camicia e poi tirato con tale forza i peli sul petto che lui aveva lanciato una bestemmia; poi Fallow e Caroline erano nell'ufficio di Britt-Withers di sopra, dove Britt-Withers teneva alla catena un bull terrier dagli occhi acquosi, e Caroline continuava a guardare Fallow con il suo strano sorriso; lui aveva cercato di sbottonarle la camicetta, lei aveva riso e lo aveva sculacciato sul sedere, sdegnosa, ma l'aveva fatto arrabbiare e - un'increspatura! - la bestia si era mossa nelle gelide profondità! Lei aveva piegato il dito e lo aveva invitato con un piccolo gesto. Pur sapendo che lo stava prendendo in giro, aveva attraversato ugualmente l'ufficio. C'era una macchina, o qualcosa di simile, e un chiarore blu radio - si agita! si dirige verso la superficie! - un battito come di gomma, quasi lo poteva vedere adesso, quasi! Lei lo prendeva in giro, ma lui non le badava, lei continuava a spingere qualcosa, il chiarore blu radio dall'interno, e c'era un ronzio come un digrignare di denti, e lei si era chinata e l'aveva raccolto, glielo aveva fatto vedere, quasi lo poteva vedere… impossibile trattenerlo -emerse alla superficie e lo guardò direttamente in faccia, con il suo grugno schifoso - ed era come un blocco di legno rilevato in un'aura di radio contro uno sfondo nero, e la bestia continuava a guardarlo dall'alto del suo grugno e lui voleva aprire gli occhi per mandarla via, ma non ci riusciva, e il bull temer aveva preso a ringhiare e Caroline non lo guardava più, neppure per mostrargli il suo disprezzo, e così l'aveva toccata sulla spalla, ma all'improvviso lei si era mostrata indaffaratissima, e la macchina continuava a ronzare e digrignare e ronzare e digrignare in un chiarore blu radio, e poi lei aveva un pacchetto di fotografie in mano, era corsa giù per le scale fino al ristorante mentre lui era rimasto rovesciato su un fianco, in precario equilibrio, finché non gli era venuto in mente un pensiero tremendo. Allora era corso giù per le scale, una spirale stretta, il che lo aveva stordito ancora di più. Laggiù nel ristorante, tante facce rombanti e denti frementi!, e Caroline Heftshank, in piedi, vicino al bar, mostrava la fotografia a Cecil Smallwood e Billy Cortez e c'erano fotografie sparse dappertutto, e lui si era agitato tra i tavoli e la gente per afferrare qua e là le foto.
Aprì gli occhi e tentò di tenerli aperti. Il Bronx, il Bronx, era nel Bronx. Si avvicinò all'uomo dall'orecchino d'oro, Buck. Continuava a sbandare a sinistra. Era stordito. Si chiese se per caso non aveva avuto un colpo.
«Salve!» disse a Buck. Nelle intenzioni doveva essere un saluto pieno di allegria, ma ne uscì un rantolo. Buck lo guardò senza dar segno di riconoscerlo. Perciò aggiunse: «Peter Fallow, del "City Light"».
«Ohilà, come vai, fratello?» Il tono dell'uomo di colore era amichevole ma non entusiastico. L'autore dei brillanti scoop su «The City Light» si era aspettato entusiasmo. Il nero riprese la conversazione con la donna.
«Quando comincia la manifestazione?» chiese Fallow.
Buck alzò lo sguardo, distratto. «Appena arriva Canale 1.» Mentre diceva la parola Uno, stava già guardando di nuovo la donna.
«Ma dov'è la gente?»
Fissò Fallow e fece una pausa, come se stesse cercando di inquadrarlo. «Arriverà: appena arriverà Canale 1.» Si serviva del tono di voce di cui ci si serve con uno perbene ma tonto.
«Capisco» disse Fallow, che non capiva affatto. «Be', ah, sarà come dici, quando arriva Canale 1, ah! E che cosa succede a quel punto?»
«Dagli il comunicato stampa, Reva» disse Buck. Una donna bianca, cupa e dall'aria folle, frugò in fondo a una borsa della spesa in vinile sul marciapiede vicino ai suoi piedi e gli porse due fogli di carta spillati assieme. I fogli, che erano fotocopiati - Xerox! Blu radio! Il grugno! - portavano l'intestazione dell'Alleanza del popolo americano. Un titolo, in caratteri maiuscoli, diceva: IL POPOLO ESIGE AZIONE NEL CASO LAMB.
Fallow cominciò a leggere, ma le parole gli si mescolavano come gulasch davanti agli occhi. In quel momento si materializzò un giovane bianco robusto. Indossava una giacca di tweed di un cattivo gusto spaventoso.
«Neil Flannagan del "Daily News"» disse l'uomo robusto. «Che cosa succede?»
La donna, Reva, tirò fuori un altro comunicato stampa. Neil Flannagan, come lo stesso Fallow, era accompagnato da un fotografo. Il robusto Flannagan non aveva nulla da dire a Fallow, ma i due fotografi presero subito a confidarsi. Fallow li sentì lamentarsi dell'incarico avuto. Il fotografo di Fallow, un ometto odioso con un berretto in testa, continuava a usare l'espressione "tutte palle". I fotografi dei giornali americani parevano parlare solo di una cosa in ogni possibile occasione, e cioè del loro disappunto di venir invitati a lasciare l'ufficio per fare delle fotografie. I pochi manifestanti, intanto, non erano affatto eccitati dalla presenza dei rappresentanti di due quotidiani cittadini, «The City Light» e «Daily News». Continuavano a ciondolare intorno al furgone, contenendo con successo la loro rabbia, ammesso che ci fosse, per le ingiustizie patite da Henry Lamb.
Fallow tentò ancora di leggere il comunicato stampa ma dovette presto rinunciarvi. Si guardò attorno. Le Torri Poe erano sempre silenziose, perfino innaturalmente silenziose, considerate le dimensioni. Dall'altra parte della strada c'erano tre uomini bianchi: uno era piccolo e indossava una giacca a vento, l'altro, grande e porcino con un paio di baffoni spioventi, era in giubbotto, e il terzo, un uomo stempiato dai lineamenti piatti, portava un abito grigio malfatto oltre a una cravatta a strisce molto yankee. Fallow si chiese chi fossero. Ma, soprattutto, aveva voglia di dormire. Si chiese se sarebbe stato capace di dormire in piedi, come un cavallo.
Sentì la donna, Reva, dire a Buck: «Penso che siano loro». Tutti e due guardavano in fondo alla strada. I manifestanti si svegliarono.
Un grosso furgone bianco stava risalendo la strada. Su un fianco, a grandi caratteri, c'era l'iscrizione: LA DIRETTA I. Buck, Reva e i dimostranti presero a marciargli incontro. Neil Flannagan, i due fotografi e, alla fine, lo stesso Fallow si accodarono. Canale 1 era arrivato.
Il furgone si fermò e dal sedile di fianco al guidatore scese un giovane con una gran testa di capelli soffici e ricciuti, giacca blu e pantaloni scuri.
«Robert Corso» disse Reva, in tono reverenziale.
Si aprirono le portiere laterali del furgone e due giovanotti in jeans maglioni e scarpe da corsa saltarono giù. Il guidatore rimase al volante. Buck si mise a correre.
«Yo-o-o-o-o! Robert Corso! Come va, uomo!?» D'un tratto Buck ebbe un sorriso che illuminò la strada.
«Okay!» disse Robert Corso, cercando a sua volta di sembrare in preda all'entusiasmo. «Okay!» Era evidente che non aveva la più pallida idea di chi fosse quel nero con l'orecchino d'oro.
«Cosa vuoi che facciamo?» chiese Buck.
Il giovanotto robusto s'intromise. «Ehi! Corso. Sono Neil Flannagan, del "Daily News".»
«Oh! salve.»
«Cosa vuoi che noi…»
«Dove eravate, ragazzi?»
«Cosa vuoi che…»
Robert Corso guardò l'orologio. «Sono solo le cinque e dieci. Andremo in diretta alle sei. Abbiamo un sacco di tempo.»
«Sììì, ma io alle sette devo assolutamente rientrare.»
«Cosa vuoi che facciamo?» insistette Buck.
«Be'! ehi!» disse Robert Corso. «Non so. Che cosa fareste se io non fossi qui?»
Buck e Reva lo guardarono sogghignando divertiti, come se lui stesse scherzando.
«Dove sono il reverendo Bacon e la signora Lamb?» chiese Robert Corso.
«Nell'appartamento della signora» disse Reva. Fallow ci restò male. Nessuno si era preso la briga d'informarlo.
«Ehi, quando ce lo dici?» disse Buck.
Robert Corso scosse la grande testa vaporosa. Borbottò: «Be', diavolo, non posso mandare avanti questa cosa per voi!». Poi, a Buck: «Avremo bisogno di un po' di tempo per sistemarci. Mi pare che il marciapiede sia il posto migliore. Voglio riprendere le case sullo sfondo».
Buck e Reva si misero al lavoro. Cominciarono a fare dei gesti e a dare istruzioni ai dimostranti, che tornarono verso i loro furgoni a prendere cartelli e striscioni ammucchiati sul marciapiede. Qualche persona aveva cominciato a uscire dalle Torri Poe e ad avvicinarsi.
Fallow lasciò perdere Buck e Reva e si avvicinò a Robert Corso. «Mi scusi» disse. «Sono Peter Fallow, del "City Light". Mi pare di aver sentito dire che il reverendo Bacon e la signora Lamb sono qui, vero?»
«Fallow?» disse Robert Corso. «Sei quello che ha scritto i pezzi?» Tese la mano e strinse quella di Fallow con entusiasmo.
«Sì, temo di sì.»
«Sei la ragione per cui siamo in questo posto del cavolo!» Lo disse con un sorriso di compiacimento.
«Oh, mi spiace!» Fallow si sentì avvampare dentro. Era una specie di tributo che si aspettava da un pezzo, ma non si aspettava di riceverlo da uno della tivù.
Robert Corso si fece serio. «Credi che questa volta Bacon si comporti onestamente? Be', immagino di sì!»
«Tu no?» chiese Fallow.
«Oh, diavolo, non si sa mai con Bacon. È piuttosto imprevedibile. Ma quando ho intervistato la Lamb, be', lei mi ha impressionato, per dirti la verità. Mi è sembrata una brava persona: è intelligente, ha un buon lavoro, ha un appartamentino carino, in ordine. Sì, mi ha fatto una buona impressione! Insomma, le credo. Cosa ne pensi?»
«L'hai già intervistata? Pensavo che ti preparassi a farlo qui.»
«Sì, certo, ma solo per le aggiunte. Le aggiunte dal vivo alle sei.»
«Aggiunte dal vivo… Non credo di capire cosa siano le aggiunte dal vivo.»
L'americano, comunque, non percepì l'ironia. «Be', noi facciamo così. Io sono venuto qui questo pomeriggio, presto, appena è uscita la tua storia. Mille grazie, a proposito! I servizi sul Bronx mi piacciono davvero. Comunque, ho intervistato la Lamb e un paio di vicini. Poi abbiamo preso qualche metro del Bruckner Boulevard, del posto dove venne ucciso il padre del ragazzo I e così via, più qualche foto del ragazzo. Così abbiamo preparato quasi tutta la registrazione che dura qualche minuto. Ora, durante la manifestazione, faremo le riprese dal vivo, poi metteremo insieme il nastro, montandolo con degli spezzoni della diretta. Ecco tutto.»
«Ma che cosa farete vedere? Qui non c'è nessuno, a parte questo gruppetto. E sono quasi tutti bianchi.» Fallow indicò Buck e Reva.
«Oh, niente paura. Ci sarà un sacco di gente appena salirà il nostro telescopio.»
«Il telescopio?
«Il nostro trasmettitore in esterni.» Robert Corso guardò in direzione del furgone. Fallow seguì i suoi occhi. Vide i due della troupe in blue-jeans all'interno del mezzo.
«Il trasmettitore. A proposito, dove sono i vostri concorrenti?»
«I nostri concorrenti?»
«Le altre televisioni.»
«Ah! Ci è stata promessa l'esclusiva.»
«Davvero? Da chi?»
«Bacon, immagino. È questo che non mi piace. Bacon è un fottuto maneggione. Ha un filo diretto con il mio produttore, Irv Stone. Conosci Irv?»
«Temo di no.»
«Avrai sentito parlare di lui.»
«Ehm! Per la verità, no.»
«Ha avuto un sacco di premi.»
«Ehm!»
«Irv è… be', Irv è a posto, ma è uno di quei vecchi bastardi che negli anni Sessanta facevano gli estremisti all'università, al tempo delle manifestazioni contro la guerra e tutto il resto. E per lui Bacon è un romantico eroe del popolo. Secondo me, invece, è un maneggione del cazzo. Io la penso così. Ma, comunque, ha promesso a Irv un'esclusiva se manda in onda il servizio in diretta, alle sei.»
«Molto gentile! Ma perché l'esclusiva? Perché non vuole avere qui tutte le televisioni?»
«Perché in quel modo potrebbe non avere niente del tutto. Scommetto che ogni giorno ci sono venti o trenta manifestazioni a New York, e c'è una fierissima concorrenza tra loro per la ripresa tivù. Così, lui sa che noi gli daremo un bel risalto. Se ci prendiamo la briga di mandar fuori un mezzo per la ripresa diretta, e riteniamo di avere un'esclusiva, il servizio andrà in onda al centro del notiziario. Dal vivo, in diretta, con gran risalto. Allora domani, il 5, il 7, il 2 e tutti gli altri si sentiranno obbligati a dar spazio alla storia, anche loro.»
«Capisco» disse Fallow. «Hmmmmmm… Ma come fa a garantirvi un'esclusiva, come dici? Che cosa impedirà alle altre stazioni di venire qui?»
«Niente, salvo che lui non comunica l'ora e il luogo.»
«Non è stato altrettanto delicato con me, vero?» disse Fallow. «Mi pare che il "Daily News" abbia saputo dell'ora del luogo.»
«Già!» ammise Robert Corso, «ma hai avuto l'esclusiva per due giorni. Adesso deve far intervenire gli altri giornali.» Fece una pausa. All'improvviso la sua bella e giovane faccia americana coronata da capelli soffici e vaporosi parve immalinconirsi. «Ma, secondo te, la storia è fondata, vero?»
«Oh, assolutamente!» esclamò Fallow.
Corso disse: «Questo Henry Lamb è… era… è un bravo ragazzo. Uno studente modello, niente precedenti di polizia, un giovane tranquillo, a cui i vicini vogliono bene. È così che la vedi, no?».
«Oh, non c'è dubbio!» disse colui che aveva contribuito a creare lo studente modello.
Reva si avvicinò. «Siamo pronti. Avvisaci quando dobbiamo entrare in azione.»
Robert Corso e Fallow guardarono il punto del marciapiede dove i trenta o quaranta componenti del picchetto si erano allineati in qualche modo. Portavano le aste dei cartelli e degli striscioni sulle spalle, come fucili di legno.
Robert Corso chiese: «Bacon è pronto? E la signora Lamb?».
Reva disse: «Parla con me o con Buck. Il reverendo Bacon non intende scendere con la signora Lamb e poi starsene qui ad aspettare, ma è pronto».
«Okay!» disse Robert Corso. Si rivolse verso il furgone di Canale 1. «Ehi, Frank! Ragazzi, siete pronti?»
Dall'interno del furgone: «Quasi!».
Si levò un forte ronzio. Dal tetto del furgone si alzò un'asta argentea, cilindrica. In cima al cilindro era attaccato uno stendardo o una bandierina arancione. No, era un cavo, un cavo fortemente isolato, largo ma piatto, come un'anguilla elettrica. La sgargiante anguilla arancione era avvolta attorno all'asta a spirale. L'asta argentea e la spirale arancione continuarono a salire, a salire, a salire. L'asta era in più sezioni, come un telescopio, e saliva, saliva, saliva mentre il furgone ronzava, ronzava, ronzava.
La gente cominciò a emergere dalle torri silenziose del complesso, che non era più silenzioso. Un ribollio, il ribollio prodotto da molte voci, sorse dalla landa desolata. Arrivarono uomini, donne, frotte di ragazzi, di bambini, gli occhi incollati alla spirale argentea e arancione ascendente e al gagliardetto arancione radiante.
Ora l'asta, con l'anguilla arancione avvolta attorno, era salita fino all'altezza di due piani e mezzo rispetto al livello stradale. Strada e marciapiede non erano più vuoti. Una gran folla allegra si stava radunando per la gran baraonda. Una donna gridò: «Robert Corso!». Canale 1! L'uomo dai capelli soffici e vaporosi della tivù!
Robert Corso guardò le persone del picchetto che avevano formato un ovale pigro sul marciapiede e cominciavano a marciare. Buck e Reva erano pronti. Buck aveva in mano un megafono. Teneva gli occhi incollati su Robert Corso. Allora Robert Corso guardò i suoi uomini. Il cameraman era a due metri di distanza. La camera pareva piccolissima vicino al furgone e all'asta prodigiosa, ma la folla era stregata dal suo occhio profondo, profondo come una cataratta. La camera non era neppure in azione, ma ogni volta che il cameraman si voltava a parlare al tecnico del suono, e il grande occhio si spostava, un mormorio percorreva la folla, come se l'apparato avesse un suo potere cinetico invisibile.
Buck guardò Robert Corso e alzò una mano, palma in su, che pareva chiedere: "Quando?". Robert Corso scrollò le spalle e poi, stancamente, puntò il dito verso Buck. Buck portò il megafono alla bocca e gridò: «Che cosa vogliamo?»
«Giustizia!» intonarono le tre dozzine di fedelissimi. Le loro voci parvero tremendamente sottili ed esili sullo sfondo della folla e delle torri, e la magnifica lancia di DIRETTA I.
«CHE COSA ABBIAMO?»
«Raz-zismo!»
«CHE COSA VOGLIAMO?»
«Giustizia!» A voce un po' più alta, ma non troppo.
«CHE COSA ABBIAMO?»
«Raz-zismo!»
Sei o sette ragazzini si davano spallate e spintoni ridacchiando, in lotta per entrare nella linea di ripresa della telecamera. Fallow stava di fianco a Robert Corso, il divo, ma fuori campo; Robert Corso aveva in mano il microfono, ma non parlava. L'uomo con il megafono avanzò verso l'ovale degli attivisti, la folla ondeggiò e si agitò per reazione. Cartelli e striscioni si sollevarono, LA GIUSTIZIA DI WEISS È BIANCA… LAMB: MASSACRATO DALL'INDIFFERENZA… FORZA D'URTO GAY CONTRO IL RAZZISMO… LA GENTE GRIDA: VENDICHIAMO HENRY!… MUOVITI, ABEL. GAY E LESBICHE DI NEW YORK CHIEDONO GIUSTIZIA PER IL NOSTRO FRATELLO HENRY LAMB… CAPITALISMO + RAZZISMO = ASSASSINIO LEGALIZZATO… PIRATERIA PER LA STRADA E MENZOGNE PER LA GENTE!… AGIRE SUBITO!…
«Che cosa vogliamo?»
«Giustizia!»
«Che cosa abbiamo?»
«Raz-zismo!»
Buck rivolse il megafono verso la folla. Voleva registrare in diretta le voci della gente che manifestava.
«CHE COSA VOGLIAMO?»
Non ci fu reazione. Di ottimo umore, la gente osservava compiaciuta lo spettacolo.
Buck rispose alla propria domanda: «GIUSTIZIA».
«CHE COSA ABBIAMO?»
Niente.
«RAZ-ZISMO!»
«OKAY! CHE COSA VOGLIAMO?»
Niente.
«FRATELLI E SORELLE» disse Buck, il megafono rosso davanti alla faccia. «Il nostro fratello, il nostro vicino, Henry Lamb, è stato abbattuto da un pirata della strada: è in ospedale! Non fanno niente per lui. I poliziotti e il procuratore distrettuale non si lasciano turbare. Henry è in punto di morte… e loro se ne fregano! Henry! Uno studente modello! E loro si limitano a esclamare: "E allora?". Perché è povero, è un ragazzo che abita in una casa popolare! Perché è nero! E allora perché siamo qui, fratelli e sorelle? Perché Chuck faccia quello che è giusto!»
Questo provocò qualche risata d'apprezzamento da parte della folla.
«Per avere giustizia per il nostro fratello Henry Lamb!» Buck proseguì. «Okay! Quindi: CHE COSA VOGLIAMO?»
«Giustizia!» dissero alcune voci tra la folla.
«E CHE COSA ABBIAMO?»
Risate e sguardi fissi.
Le risate venivano da sette o otto ragazzini che si davano spallate e spintoni nella lotta per piazzarsi proprio dietro a Buck, perché così si sarebbero trovati in linea con l'occhio della telecamera, la cui ipnotica luce rossa adesso era accesa.
«Chi è Chuck?» chiese Kramer.
«Chuck è Charlie» disse Martin, «e Charlie è l'Uomo, il sindaco. E, a proposito dell'Uomo, mi piacerebbe mettere le mani addosso a quel grandissimo stronzo di merda.»
«Vedete quei cartelli?» chiese Kramer, «LA GIUSTIZIA DI WEISS È BIANCA» e «MUOVITI, ABE!»
«Sìììì.»
«Se li fanno vedere in tivù, Weiss dà fuori di matto,»
«Sta già dando fuori di matto, per me» precisò Goldberg. «Guardate che roba!»
Dalla posizione di Kramer, Goldberg e Martin, la scena dall'altro lato della strada si presentava come un curioso palcoscenico a pianta circolare. La commedia riguardava i mezzi di comunicazione. Sotto la svettante guglia di un furgone della tivù, trentasei figuranti, per due terzi bianchi, incedevano in formazione ovoidale, con cartelli e striscioni. Undici persone, due di colore, nove bianche, li seguivano, al fine di portare le loro deboli voci e i messaggi sommessi a una città di sette milioni di persone; un uomo con un megafono, una donna con la borsa della spesa, un capelluto inviato della tivù, un cameraman e un tecnico del suono collegati al furgone da cordoni ombelicali, due tecnici visibili dietro le portiere scorrevoli del furgone, il conducente, due fotografi di quotidiani e due inviati di quotidiani con i taccuini in mano, uno dei quali seguitava, di tanto in tanto, a sbilanciarsi verso sinistra. Un pubblico di due o trecento persone si serrava attorno a loro e si godeva lo spettacolo.
«Okay!» disse Martin. «È tempo di parlare con i testimoni.» Cominciò ad attraversare la strada, in direzione della folla.
«Ehi, Marty» disse Goldberg. «Vacci piano. Okay?» Era come se avesse tirato fuori le parole dalla bocca di Kramer. Non era il posto ideale per dare al mondo una dimostrazione di machismo irlandese. Ebbe un'orrenda visione di Martin che prendeva il megafono all'uomo con l'orecchino d'oro e cercava d'infilarglielo nella gola davanti agli abitanti lì radunati delle Torri Poe.
Loro tre, Kramer, Martin e Goldberg, erano in mezzo alla strada quando gli attivisti e il resto della folla all'improvviso furono colti da un raptus religioso. Cominciarono a fare un immenso baccano. Buck muggiva qualcosa dentro il megafono. La proboscide tecnologica del cameraman oscillava di qua e di là. Da un punto imprecisato era apparsa un'alta figura, un uomo vestito di nero, con un impressionante colletto inamidato e una cravatta nera a strisce bianche. Insieme a lui c'era una piccola donna di colore che indossava un abito scuro con qualcosa di lucido: seta o satin. Erano il reverendo Bacon e la signora Lamb.
Sherman era al centro del pavimento di marmo dell'ingresso quando vide Judy, seduta in biblioteca, nella poltrona a schienale alto, con una rivista in grembo. Guardava la televisione. Sollevò lo sguardo su di lui. Che tipo di sguardo era? Di sorpresa, non di affetto o di calore. Se gli avesse dato un minimo segno di calore, lui sarebbe entrato senza indugi e… e glielo avrebbe detto! Ah, sì? E che cosa? Le avrebbe detto… della tremenda débàcle in ufficio, di come gli aveva parlato Arnold Parch e, peggio ancora, di come l'aveva guardato! E anche gli altri! Come se… Evitò di mettere in parole quello che dovevano aver pensato di lui. La sua sparizione, il crollo dell'affare da lui proposto con le obbligazioni garantite dall'oro… e poi le avrebbe detto anche il resto? Le avrebbe forse chiesto se aveva letto sul giornale un articolo su una Mercedes… RF…? Ma non c'era il benché minimo accenno di calore in lei. Soltanto sorpresa. Erano le sei. Era un bel po' di tempo che non veniva a casa così presto! C'era soltanto sorpresa in quella faccia triste, minuta, incoronata da soffici capelli castani.
Le si avvicinò. Andava in biblioteca, dopotutto. Si sarebbe seduto nell'altra poltrona a guardare anche lui la televisione. Su questo si era silenziosamente convenuto. Loro due si potevano sedere in biblioteca, insieme, a leggere o guardare la televisione. In questo modo potevano eseguire i gesti e i movimenti canonici di una famiglia, per il bene di Campbell più che altro, senza doversi parlare.
«Papà!»
Si voltò. Campbell gli veniva incontro dalla porta che portava in cucina. Aveva un sorriso radioso in viso. Quasi gli spezzò il cuore.
«Ciao, tesoro.» Le infilò le mani sotto le ascelle, la sollevò di peso e poi l'abbracciò. Lei gli mise le braccia attorno al collo e le gambe attorno alla vita, poi disse: «Papà! Indovina cosa ho fatto!».
«Cosa?»
«Un coniglio.»
«Davvero? Un coniglio?»
«Adesso te lo faccio vedere.» Cominciò ad agitarsi per farsi mettere a terra.
«Me lo fai vedere?» Non voleva vedere il suo coniglio, non ora, ma l'obbligo di apparire entusiasta lo sopraffece. La fece scivolare al suolo.
«Vieni!» Lo prese per mano e cominciò a tirarlo con forza insospettabile. Gli fece perdere quasi l'equilibrio.
«Ehi! Dove vuoi andare?»
«Su, vieni! In cucina!» Nel trascinarlo verso la cucina, adesso lei stava tanto piegata in avanti che quasi tutto il peso del corpo era sostenuto dalla mano di lui che stringeva la sua.
«Ehi! Attenta. Finirai per cadere, tesoro.»
«Su… vieni!» Le veniva dietro esitante, schiacciato tra le sue paure e l'amore per una bimba di sei anni che voleva fargli vedere un coniglio.
La porta dava in un breve corridoio, con una serie di mobiletti su entrambi i lati, e quindi in un office, con mobili a vetri contenenti cristalleria a non finire, e con lavelli di acciaio inossidabile. I mobiletti, pieni di guarnizioni, montanti, riquadri, cornici - non ricordava neppure la terminologia esatta - erano costati migliaia… migliaia… Che passione ci aveva messo Judy in questo arredamento! Quanti soldi avevano speso! Un'emorragia di denaro.
E adesso erano nella cucina. Altri mobili e mobiletti, cornici, acciaio inossidabile, piastrelle, formelle, faretti, piccoli e grandi elettrodomestici in quantità. Tutto quanto di meglio l'indefessa attività di Judy avesse potuto rintracciare, e tutto infinitamente caro, emorragia su emorragia… Bonita era vicino alla cucina Vulcan.
«Salve, signor McCoy.»
«Salve, Bonita.»
Lucille, la cameriera, era seduta su di uno sgabello vicino a un bancone e beveva una tazza di caffè.
«Signor McCoy.»
«Ehi, salve, Lucille.» Non la vedeva da secoli, non era mai a casa così presto. Avrebbe dovuto dirle qualcosa dal momento che era passato tanto tempo, ma non riusciva a pensare ad altro che alla gran tristezza della situazione. Loro andavano avanti nel solito tran-tran, nella convinzione che tutto sarebbe andato com'era sempre andato.
«Qua, qua, papà» Campbell seguitava a tirarlo. Non voleva che si distraesse, chiacchierando con Bonita e Lucille.
«Campbell!» disse Bonita. «Non tirare il tuo papà così!»
Sherman sorrise e si sentì inutile, debole. Campbell ignorò Bonita. Poi però smise di tirare.
«Bonita lo cuocerà nel forno per me. Così sarà bello duro.»
Ed ecco il coniglio. Stava su un tavolo dal piano di formica. Sherman sgranò gli occhi. Quasi quasi non ci credeva.
Era un coniglio di creta fatto sorprendentemente bene. L'esecuzione era un po' rozza, ma la testa era piegata da un lato e le orecchie disposte ad angoli espressivi; le gambe erano divaricate in una posa niente affatto convenzionale, per i coniglietti infantili, la compattezza e le proporzioni delle cosce erano eccellenti. L'animale pareva spaventato.
«Tesoro! L'hai fatto tu?»
Molto fiera: «Sì».
«Dove?»
«A scuola.»
«Tutto da sola?»
«Sì. Davvero!»
«Be', Campbell, è un coniglio stupendo! Sono molto fiero di te! Hai molto talento!»
Molto sommessa: «Lo so».
D'un tratto gli venne da piangere. Un coniglio spaventato. Solo a pensare quel che voleva dire poter desiderare, in questo mondo, di fare un coniglietto e poi farlo davvero in tutta ingenuità, nella piena fiducia che il mondo lo avrebbe accolto con amore, tenerezza e ammirazione. Solo a pensare a quel che lei dava per scontato a sei anni, cioè che il mondo era così e che papà e mamma - il suo papà! - l'avevano fatto così e non avrebbero mai permesso che fosse in un'altra maniera.
«Facciamolo vedere alla mamma» disse lui.
«L'ha già visto.»
«Scommetto che le è piaciuto tantissimo.»
La vocina sommessa: «Eh, sì!».
«Be', andiamo tutti e due a farglielo vedere.»
«Bonita lo deve far cuocere nel forno. Così sarà bello duro.»
«Voglio dire alla mamma quanto è piaciuto a me.»
Con un'esibizione di entusiasmo, sollevò Campbell tra le sue braccia fin sopra le spalle. Lei lo prese come un gioco bellissimo.
«Papà!»
«Campbell, stai diventando così grande! Presto non sarò più capace di portarti come un sacco di farina. Abbassare il ponte! Passiamo sotto la porta.»
Con tanti gridolini e risolini, la portò attraverso il pavimento di marmo fino alla biblioteca. Judy alzò uno sguardo severo.
«Campbell, non farti più portare da papà. Ormai sei troppo grande per questo gioco.»
Con una punta di sfida: «Non sono stata io a chiedere di portarmi».
«Stavamo solo giocando» disse Sherman. «Hai visto il coniglio di Campbell? Non è bello?»
«Sì, è carino» disse lei, tornando a voltarsi verso il televisore.
«Io sono davvero impressionato. Secondo me, abbiamo per le mani una ragazzina con un grande talento.»
Nessuna risposta.
Sherman tirò giù Campbell dalle spalle e la prese tra le braccia, come se fosse una bambina piccola piccola, poi si sedette sulla poltrona e se la mise in grembo. Campbell si sistemò un poco per essere più comoda, si rannicchiò contro di lui, e Sherman l'abbracciò. Guardarono insieme lo schermo televisivo.
Il notiziario. La voce di un annunciatore. Una visione confusa di facce nere. Un cartello di protesta: AGIRE SUBITO!
«Cosa stanno facendo, papà?»
«Sembra una manifestazione, tesoro.»
Un altro cartello: LA GIUSTIZIA DI WEISS È BIANCA.
Weiss?
«Che cos'è una manifestazione?» Campbell si raddrizzò tra le sue braccia e lo guardò mentre faceva la domanda, togliendogli la visione dello schermo. Lui cercò di guardare di sbieco.
«Che cos'è una manifestazione?»
Distrattamente, mentre cercava di tenere un occhio sullo schermo: «Ah… è una… qualche volta la gente si arrabbia per qualche evento, fa qualche cartello e marcia portandoselo dietro».
PIRATERIA PER LA STRADA E MENZOGNE PER LA GENTE!
Pirateria!
«Perché si sono arrabbiati?»
«Un momento, tesoro.»
«Per che cosa si sono arrabbiati, papà?»
«Le ragioni sono sempre tante!» Sherman era ora tutto proteso verso sinistra per vedere lo schermo. E doveva trattenere con forza Campbell in vita per impedirle di cadere.
«Ma questa volta?»
«Lasciami vedere!»
Campbell girò la testa verso lo schermo, ma subito dopo la girò dall'altra parte. C'era solo un uomo che parlava, un uomo nero, molto alto, vestito con una giacca nera e una camicia bianca e una cravatta a strisce, che stava vicino a una donna nera magra con un vestito scuro. C'era un mucchio enorme di facce nere dietro a loro. Dietro di lui ragazzi con sorrisetti furbi sulla faccia continuavano a saltare per farsi notare e a guardare nella telecamera.
«Quando un giovane come Henry Lamb» diceva l'uomo, «uno studente modello, un giovane eccezionale, quando un giovane come Henry Lamb arriva in un ospedale con una commozione cerebrale e lo curano per un polso fratturato… Mi capite? Quando la madre dà alla polizia e al procuratore distrettuale la descrizione dell'auto che lo ha investito, la descrizione dell'auto… capite… e nessuno fa niente, e nessuno muove un dito…»
«Papà, torniamo in cucina. Bonita mi farà cuocere il coniglio.»
«Tra un secondo!»
«Polizia e Procura non fanno niente per la nostra gente. Sembra che dicano: "Non ce ne importa nulla. I vostri giovani, i vostri studenti modello, le vostre speranze non contano, non interessano". Capite? Questo è il loro messaggio! Ma a noi interessa, non ce ne staremo fermi, non ce ne staremo zitti. Se la struttura del potere non vuole agire…»
Campbell sgusciò via dal grembo di Sherman e gli afferrò il polso destro con tutt'e due le mani e prese a tirare. «Su, vieni, papà.»
Il volto della donna nera e sottile riempiva lo schermo. Lungo le guance scorrevano le lacrime. Un giovane bianco dai capelli vaporosi era adesso sullo schermo con un microfono alle labbra. C'era un numero sterminato di facce nere dietro di lui e tanti ragazzini che si affannavano per farsi riprendere dalla telecamera.
«… la tuttora non identificata berlina MercedesBenz con una targa che comincia per RE, RF, RB o RP. E, mentre il reverendo Bacon sostiene che a questa comunità arriva un messaggio da parte delle autorità, questa gente che protesta ha a sua volta un messaggio per loro: "Se non farete voi un'indagine esauriente, la faremo noi, per conto nostro". Qui, Robert Corso, in diretta, dal Bronx.»
«Papà!» Lo stava tirando così forte che la sedia prese a inclinarsi.
«RF?» Judy aveva voltato la testa per guardare Sherman. «La nostra comincia per RF, no?»
Adesso! Dille tutto!
«Papà! Vieni! Voglio cuocere il coniglio nel forno!»
Sul volto di Judy non c'era traccia di preoccupazione. Era soltanto sorpresa per la coincidenza, così sorpresa da aver iniziato una conversazione.
Adesso!
«Papà, vieni!»
A cuocere il coniglio nel forno.