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Un britannico di nome Fallow

Questa volta l'esplosione del telefono scatenò la tachicardia, e ogni battito spingeva il sangue alla testa con tale pressione! Un colpo! Stava per avere un colpo! A letto, da solo, nella sua stamberga del grattacielo americano! Un colpo! Il panico destò la bestia. La bestia, il mostro, affiorò immediatamente e mostrò il grugno.

Fallow aprì un occhio e vide il telefono sopra il nido marrone di Streptolon. Era stordito, e non aveva neppure alzato la testa. Grossi grumi gli fluttuavano davanti agli occhi. Il sangue pulsante stava spezzando il tuorlo di mercurio in tanti grumi, e i grumi gli uscivano dall'occhio. Il telefono esplose di nuovo. Chiuse gli occhi. Il grugno del mostro era proprio dietro la palpebra. Quella storia del pedofilo…

Eppure la notte prima era cominciata come una serata normalissima!

Non avendo in tasca più di quaranta dollari per cavarsela nei tre giorni seguenti, aveva fatto la solita cosa. Aveva telefonato a un americano. E cioè Gil Archer, l'agente letterario, sposato con una donna di cui Fallow non ricordava mai il nome. Aveva proposto di incontrarsi al Leicester's per cena, dando l'impressione che avrebbe portato con sé una ragazza. Archer era arrivato con la moglie, mentre lui era solo. Ovviamente, date le circostanze, Archer, pur sempre uno yankee educato, si era accollato il conto. Una serata così tranquilla, una serata così giovane; una serata così di routine per un inglese a New York: un pranzo noioso pagato da un americano. Stava pensando seriamente di alzarsi e di andare a casa. E proprio allora Caroline Heltshank e quel suo amico pittore, un italiano, Filippo Chirazzi, erano entrati, si erano fermati vicino al tavolo e seduti. Archer aveva chiesto se volevano bere qualcosa e lui aveva detto perché non prendere un'altra bottiglia di vino, e così Archer aveva ordinato un'altra bottiglia di vino, l'avevano bevuta, e poi un'altra e un'altra ancora. Oramai il Leicester's si era riempito: c'erano tutte le salite facce; Alex Britt-Withers aveva mandato un cameriere a offrire da bere a spese della casa, il che rappresentava un successo mondano per Archer, uno-che-il-proprietario-conosce, insomma… cosa a cui gli americani tengono moltissimo. Caroline Heltshank si era aggrappata al suo bel giovanotto italiano, Chirazzi, che esibiva il suo bel profilo, quasi che uno dovesse sentirsi privilegiato per il fatto di respirare la stessa sua aria. St. John era venuto da un altro tavolo ad ammirare il giovane signor Chirazzi, con gran dispiacere di Billy Cortez, e il signor Chirazzi aveva detto a St. John che per un pittore era necessario dipingere con «gli occhi di un bambino». St. John aveva detto che anche lui tentava di vedere il mondo con gli occhi di un bambino, al che Billy Cortez. aveva detto: «Ha detto bambino, St. John, non pedofilo». Il signor Chirazzi si era messo ancor più in posa, con il lungo collo e il naso alla Valentino prorompenti da una ridicola camicia blu elettrico da punk con un colletto piccolissimo e una cravatta rosa luccicante, e a quel punto Fallow aveva detto che era più postmoderno per un pittore avere gli occhi di un pedofilo che gli occhi di un bambino, ma che cosa ne pensava il signor Chirazzi? Caroline, che era molto ubriaca, gli aveva detto di non fare lo scemo, in tono molto tagliente, e Fallow si era alzato e aveva buttato indietro la testa, con la sola intenzione di prendere in giro il giovane pittore mettendosi in posa a sua volta, ma aveva perso l'equilibrio ed era caduto a terra. Un sacco di risate. Quando si era rialzato, gli girava la testa e si era aggrappato a Caroline, solo per restare in piedi, ma il giovane signor Chirazzi si era sentito offeso, nel profondo del suo virile onore italiano, e aveva tentato di dare uno spintone a Fallow. Sia Fallow che Caroline erano caduti, e Chirazzi aveva cercato di saltare addosso a Fallow; St. John, per chissà quale motivo, si era buttato addosso al vezzoso italiano, e Billy Cortez si era messo a urlare. Fallow si era alzato a fatica, trascinandosi dietro un peso enorme, e Britt-Withers gli era venuto addosso, gridando: «Per l'amor di Dio!» e poi un mucchio di gente gli stava sopra, e se n'erano usciti tutti a precipizio dalla porta principale sul marciapiede di Lexington Avenue.

Il telefono esplose di nuovo, e Fallow era terrorizzato all'idea di quel che avrebbe potuto sentire se alzava il ricevitore. Non ricordava più niente da quando erano usciti con gran fracasso sul marciapiede… fino a quel momento. Estrasse i piedi dal letto, e dentro la testa c'era gran brusio e ribollire di suoni: tutto il corpo gli faceva male. Strisciò sul tappeto fino al telefono crepitante, e gli si sdraiò accanto. Il tappeto sembrava secco, metallico, sporco, polveroso, contro la sua guancia.

«Pronto?»

«Ehilà, Pete! Come va, come va?»

Era una voce giuliva, una voce yank, una voce nuovayorchese, una voce nuovayorchese particolarmente rozza. Fallow trovò quella voce yank ancora più irritante del Pete. Almeno non era il giornale. Nessuno del giornale l'avrebbe chiamato con una voce tanto giuliva.

«Chi parla?» chiese Fallow. La sua voce pareva quella di un animale nella tana.

«Cristo, Pete, che voce! Un po' di vita, su! Sono Al Vogel.»

La notizia gli fece richiudere gli occhi. Vogel era una di quelle tipiche celebrità americane che sembrano così vivaci, irrefrenabili e moralmente ammirevoli a un inglese che legge di loro sui giornali londinesi. Di persona, a New York, si rivelavano sempre alla stessa maniera. Erano solo yankee, cioè tremendamente noiosi. Vogel era molto conosciuto in Inghilterra e veniva considerato un avvocato americano specializzato in cause politiche impopolari. Difendeva radicali e pacifisti, più o meno come facevano Charles Garry, William Kunstler e Mark Lane. Impopolare, naturalmente, voleva dire soltanto impopolare per la gente comune. Gli assistiti di Vogel erano invece molto popolari per la stampa e gli intellettuali degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto in Europa dove, chiunque fosse difeso da Albert Vogel, aveva ali, alone di gloria, tunica e fiaccola. Pochi tra quei santi dell'ultima ora avevano denaro, comunque, e Fallow si chiedeva spesso come facesse a vivere, in special modo considerando che gli anni Ottanta non erano stati generosi con lui. In questi anni neppure la stampa e gli intellettuali avevano molta attenzione e pazienza per la clientela irascibile, scalmanata, tetra, masochista e violenta in cui si era specializzato. Di recente Fallow si era imbattuto nel grande difensore nelle occasioni più incredibili. Vogel era andato all'inaugurazione di un parcheggio (e Fallow l'aveva visto proprio lì).

«Oh, salv-e-e» disse Fallow in qualcosa che finì in un gemito.

«Prima ho telefonato in ufficio, Pete, e mi hanno detto che non ti avevano visto.»

Male, malissimo, pensò Fallow. Si chiese, quando, dove, perché, e se avesse mai dato il numero di telefono di casa a Vogel.

«Ci sei ancora, Pete?»

«Ummmmmmmmmm» Fallow aveva gli occhi chiusi. Non ce la faceva a muoversi. «Tutto bene. Oggi lavoro a casa.»

«Devo parlarti a proposito di una cosa, Pete. Secondo me, c'è materiale per un pezzo favoloso.»

«Ummmmm.»

«Sì, solo che non vorrei parlarne per telefono. Aspetta. Perché non vieni a pranzo con me? Ci vediamo al Regent's Park, all'una.»

«Ummmm. Non so, Al. Il Regent's Park. Dov'è?»

«In Central Park South, vicino al New York Athletic Club.»

«Ummmmmm.»

Fallow era dilaniato tra due istinti profondi. Da un lato, il pensiero di alzarsi da terra, di spostare una seconda volta il tuorlo di mercurio, solamente al fine di stare a sentire per un paio d'ore un americano noiosissimo e oramai superato… Dall'altro lato, un pasto gratis in un ristorante. Lo pterodattilo e il brontosauro erano avvinghiati in un combattimento mortale sui dirupi del Continente Perduto.

Vinse il pasto gratis, come tanto spesso in passato.

«D'accordo, Al. Ci vediamo all'una. Ripetimi dov'è il ristorante.»

«In Central Park South, Pete, proprio attaccato al New York A. C. È un posto simpatico. Puoi vedere il parco. Puoi guardare una statua di José Marti a cavallo.»

Fallow salutò e si alzò con grave sforzo: il tuorlo sbandava di qua e di là, e lui infilò l'alluce nella rete metallica del letto. Un dolore tremendo, ma servì a mettere a fuoco il sistema nervoso centrale. Fece una doccia al buio. La tenda di plastica della doccia era soffocante. Quando chiuse gli occhi, ebbe la sensazione di svenire. Di tanto in tanto dovette aggrapparsi alla doccia.

Il Regent's Park era un ristorante di New York del tipo preferito da uomini sposati in rapporti intimi con donne giovani. Era grande, sontuoso, luccicante e solenne, con tanto marmo dentro e fuori, uno sfarzo colossale la cui hauteur richiamava soprattutto la gente che stava ai vicini alberghi Ritz-Carlton, Park Lane, St. Moritz e Plaza. Nella storia di New York nessuna conversazione importante era mai cominciata con: «L'altro giorno stavo pranzando al Regent's Park e…».

Fedele alla sua promessa, Albert Vogel si era assicurato un tavolo vicino alla grande finestra. Non era poi così difficile al Regent's Park. E tuttavia, eccolo lì, il parco, nel suo splendore primaverile. E, promessa da Vogel, c'era anche la statua di José Marti. Il cavallo di Marti stava impennandosi, e il grande rivoluzionario cubano pendeva pericolosamente a destra sulla sella. Fallow distolse gli occhi. Una statua equestre sbilenca era troppo difficile da affrontare.

Vogel era del solito umore cordiale. Fallow osservava le sue labbra senza sentire una sola parola. Il sangue gli si ritirò dal viso, e poi dal petto e dalle braccia. Il didietro si fece freddo. Poi un milione di pesciolini bollenti tentarono di fuggire dalle sue arterie e di raggiungere la superficie. Il sudore gli invase la fronte. Si chiese se fosse sul punto di morire. Era così che cominciavano gli attacchi di cuore. Gli pareva di averlo letto su qualche giornale. Si chiese se per caso Vogel sapeva qualcosa sulla rianimazione. Vogel pareva la nonna di qualcun altro. Aveva i capelli bianchi, non grigiobianchi, ma di un puro bianco serico. Era piccolo e tozzo. Nei suoi giorni migliori, era stato sempre tozzo, ma anche di scorza dura. Ora la pelle era rosea e delicata. Aveva mani minuscole, antiche vene filamentose fino alle nocche. Una vecchia donna giuliva.

«Pete» disse Vogel, «che cosa vuoi da bere?»

«Niente» disse Fallow, con enfasi forse eccessiva. Poi al cameriere: «Potrei avere dell'acqua?».

«Io prendo un margarita on the rocks» disse Vogel. «Non vuoi proprio cambiare idea, Pete?»

Fallow scosse la testa. Fu un grave errore. Un tambureggiare insistente cominciò dentro la testa.

«Solo uno per la messa in moto?»

«No, no.»

Vogel appoggiò i gomiti sul tavolo, si chinò in avanti e prese a esaminare la sala; poi gli occhi si appuntarono sopra un tavolo dietro di lui. Al tavolo c'erano un uomo in abito grigio e una ragazza non ancora ventenne con capelli lunghi, lisci, biondi e molto vistosi.

«Vedi quella ragazza?» disse Vogel. «Avrei giurato che faceva parte di un comitato, o come lo chiamano, all'università del Michigan.»

«Quale comitato?»

«Un gruppo di studenti. Si occupano del programma delle conferenze. Ho tenuto una conferenza due sere fa all'università del Michigan.»

E allora? pensò Fallow. Vogel si guardò ancora sopra le spalle.

«No, non è lei. Ma, Cristo, le somiglia moltissimo. Queste maledette ragazze in quelle università… vuoi sapere perché la gente fa il circuito delle conferenze in questo paese?»

No, pensò Fallow.

«Per il denaro, d'accordo. Ma a parte questo, vuoi sapere perché?»

Gli americani ripetevano costantemente domande preliminari.

«Queste maledette ragazze!» Vogel scosse la testa e fissò qualcosa nel vuoto per un attimo, come se fosse stato colpito dal suo stesso pensiero. «Giuro davanti a Dio, Pete, che uno si deve trattenere. Altrimenti, finiresti per sentirti in colpa. Tremendo! Queste ragazze… oggi… Be', ai miei tempi, la cosa più favolosa era che quando si andava all'università, si poteva bere quando se ne aveva voglia. D'accordo? Queste ragazze, invece, vanno all'università per poter scopare quando ne hanno voglia. E chi vogliono portare a letto? Questa è la parte più patetica. Vogliono dei bei ragazzi sani della loro età? No. Vuoi sapere chi? Vogliono… autorità… potere… fama… prestigio… Vogliono venir scopate dai loro insegnanti. I professori impazziscono in quei posti, oggi. Sai, quando il Movimento era forte, una delle cose che cercammo di fare nelle università fu di spezzare il muro di formalismo tra la facoltà e gli studenti, perché era soltanto uno strumento di controllo. Ma adesso. Gesù, chissà. Immagino che quelle ragazze vogliano tutte andare a letto con i padri, se credi a Freud, cosa che io non faccio. Capisci, su questa cosa il movimento delle donne non ha fatto progressi. Quando una donna arriva ai quaranta, ha gli stessi grossi problemi di una volta… e un uomo come me non se l'è mai passata meglio. Non sono vecchissimo, ma, perdio, ho i capelli grigi…»

Bianchi, pensò Fallow, come quelli di una vecchia.

«… eppure non fanno differenza. Un tocco anche piccolo di celebrità e ti cadono addosso. Proprio così, ti cadono addosso. Non mi sto vantando, perché la cosa è così patetica! Tutte queste maledette ragazze sono una più stupenda dell'altra. Mi piacerebbe fare una conferenza su quell'argomento, ma probabilmente non capirebbero di cosa sto parlando. Non hanno punti di riferimento, su qualsiasi cosa. La conferenza che ho fatto l'altra sera era sull'impegno studentesco negli anni Ottanta.»

«Morivo dalla voglia di saperlo» disse Fallow ben dentro la gola senza muovere le labbra.

«Pardon?»

Gli yankee dicono pardon? invece di cosa?

«Niente, niente.»

«Ho raccontato loro com'erano i campus quindici anni fa.» Il viso si oscurò. «Eppure non capisco: quindici anni fa, cinquanta anni fa, cent'anni fa, per loro è lo stesso: non hanno punti di riferimento. Per loro è tutto così remoto. Dieci anni fa… cinque anni fa… Cinque anni fa per loro vuol dire prima dell'era dei walkman. Un passato che non riescono nemmeno a immaginare.»

Fallow smise dì ascoltare. Non c'era modo di deviare Vogel dal suo percorso. Era a prova d'ironia. Fallow guardò la ragazza dai lunghi capelli gialli. A botte per il ristorante… e Caroline Heftshank e lo sguardo spaventato sulla sua faccia. Aveva fatto qualcosa prima che tutti quanti loro finissero fuori della porta? Qualunque cosa fosse stata, lei se l'era meritata. Ma cos'era stato? Le labbra di Vogel erano in movimento. Stava riferendo l'intera sua conferenza. Le palpebre di Fallow si serrarono. Il mostro venne alla superficie, si agitò e lo guardò. A sua volta, lui fissò il grugno immondo. Ora la bestia lo prese. Non riusciva a muoversi.

«… Managua?» chiese Vogel.

«Cosa?»

«Ci sei mai stato?»

Fallow scosse il capo. Il movimento della testa gli fece venire la nausea.

«Dovresti andarci. Tutti i giornalisti dovrebbero andarci. Ha più o meno le dimensioni di… oh, non saprei: East Hampton. Forse neppure. Non ti piacerebbe andarci? Non sarebbe difficile organizzarlo e farti avere l'autorizzazione.»

Fallow non volle scuotere di nuovo la testa. «È questo che volevi farmi sapere?»

Vogel fece un attimo di pausa, come per soppesare l'osservazione e valutarne il sarcasmo.

«No» ammise, «ma non sarebbe una brutta idea. Circa un cinquantesimo di quel che andrebbe detto sul Nicaragua, sì e no, si stampa in questo paese. No, io volevo parlarti di un fatto avvenuto nel Bronx quattro giorni fa. Poteva benissimo essere il Nicaragua, se per caso ci vivi. Comunque… sai chi è il reverendo Bacon?»

«Sì, vagamente.»

«E… be'… hai letto qualcosa su di lui o lo hai visto in tivù, no?»

«Sì.»

Vogel rise. «Vuoi sapere dove l'ho incontrato la prima volta? Nel gigantesco appartamento su due piani di Peggy Fryskamp in Park Avenue, quando lei s'interessava della Fraternità Geronimo. Dava una festa per raccogliere fondi. Eravamo alla fine degli anni Sessanta o al principio degli anni Settanta. C'era quel tipo, Cervo Volante. Che fece il discorso dell'anima, come lo chiamavamo allora. C'era sempre il discorso dell'anima e il discorso dei soldi. Comunque egli fece il discorso dell'anima, il discorso spirituale. Lei non sapeva che quel figlio di puttana aveva fatto il pieno. Aveva pensato che era un modo di parlare indiano, da quanto suonava pazzesco il discorso. Un quarto d'ora più tardi, quello vomitò sul pianoforte Duncan Phyfe da ottantamila dollari di Peggy, su tasti, corde, martelletti, chiavi e tutto il resto. Lei non si riprese mai. Quel buffone si bruciò quella sera. E vuoi sapere chi gli ha reso più dura la vita? Il reverendo Bacon. Già. Si stava preparando a chiedere a Peggy di appoggiare certe sue iniziative, ma, quando Cervo Volante ebbe sparso tutto quanto aveva nello stomaco sul Duncan Phyfe, capì che poteva dire addio a Peggy Fryskamp. Allora cominciò a chiamarlo Servo Volante. Cervo volante? Servo volante, se ne so qualcosa! Cristo, era proprio buffo. Ma lui non cercava di essere buffo. Bacon non cerca mai di esserlo. Insomma, c'è una donna che lavora per lui qualche volta. Annie Lamb, del Bronx. Annie Lamb abita nel complesso di case popolari Edgar Allan Poe con il suo unico figlio, Henry.»

«È nera?» chiese Fallow.

«Sì, è nera. Tutti praticamente in quel complesso sono neri o portoricani. Per legge, incidentalmente, tutti quei complessi dovrebbero essere integrati.» Vogel aggrottò le sopracciglia. «Questa Annie Lamb è una donna non comune.» Vogel narrò la storia di Annie Lamb e della sua famiglia, una storia che culminava con l'investimento e la fuga della Mercedes-Benz che aveva portato il suo promettente figlio, Henry, sulla soglia della morte.

Sfortunati, pensò Fallow, ma dov'è la storia, il pezzo favoloso?

E, come se anticipasse l'obiezione, Vogel disse: «Ora, ci sono due aspetti in questa faccenda, e tutti e due hanno a che fare con quel che succede a un bravo ragazzo come questo se ha la sfortuna di essere nero e di crescere nel Bronx. Insomma, abbiamo un ragazzo che ha fatto bene ogni cosa, secondo giustizia. Se si parla di Henry Lamb, si parla dell'uri per cento che fa esattamente quel che il sistema gli dice di fare. Okay? E allora che cosa succede? Prima cosa, l'ospedale cura il ragazzo per… una frattura al polso! Se fosse stato un ragazzo bianco della classe media, lo avrebbero sottoposto ai raggi X, alla TAC, alla risonanza magnetica nucleare, a tutto quanto è disponibile. Secondo aspetto: la polizia e la Procura distrettuale non intendono muoversi per questo caso. Ed è questo che manda davvero su tutte le furie la madre del ragazzo. C'è un pirata della strada, hanno a disposizione parte della targa e la marca dell'automobile, e non se ne occupano affatto.»

«Perché?»

«Be', sostanzialmente perché a essere investito è un ragazzo del Bronx meridionale. Non vogliono essere seccati per casi del genere. Affermano che non c'erano testimoni a parte la stessa vittima, che è in coma irreversibile, per cui non sarebbe possibile istruire un processo anche se dovessero rintracciare l'auto e il guidatore. Ora, supponi che si tratti di tuo figlio. Lui ha fornito i dati, ma loro non se ne serviranno perché tecnicamente è un'informazione di seconda mano, e non ci sono prove.»

La faccenda fece aumentare il mal di testa di Fallow. Non riusciva a immaginare di avere un figlio, e men che meno un figlio che viveva in una casa popolare del Bronx, quartiere di New York City, Stati Uniti d'America.

«È una situazione incresciosa» disse Fallow. «Ma non sono del tutto convinto che faccia notizia.»

«Presto ci sarà una notizia, e una storia vera, per qualcuno, Pete» disse Vogel. «La comunità è sul sentiero di guerra. Stanno per esplodere. Il reverendo Bacon sta organizzando una dimostrazione di protesta.»

«Per che cosa, esattamente, stanno per esplodere?»

«Sono stufi di venir trattati come se la vita umana nel Bronx non significasse niente! E ti garantisco che, se Bacon prende in mano un caso, quel caso non finisce lì. Non è un Martin Luther King o un vescovo Tutu. Va bene? Non vincerà mai un premio Nobel. Ha un suo modo particolare di agire, un comportamento forse non tanto corretto. Ma una cosa è certa: è efficiente. È quello che Hobsbawm chiamava un rivoluzionario primitivo. Hobsbawm era un inglese, no?»

«Lo è ancora.»

«Pensavo che lo fosse. Aveva la sua teoria sui rivoluzionari primitivi. Ci sono certi capi naturali delle classi subalterne e la struttura del potere considera delittuoso il loro comportamento - e forse lo fa anche in perfetta buona fede - ciò non toglie che siano davvero dei rivoluzionari. E Bacon è così. Io lo ammiro. E mi dispiace per la sua gente. Secondo me c'è una storia, un pezzo favoloso, a parte ogni considerazione filosofica.»

Fallow chiuse gli occhi. Vide il grugno della bestia, illuminato da morbide luci di bistrò. Poi il brivido di ghiaccio. Aprì gli occhi. Vogel lo stava fissando con il sorriso allegro di una vecchia governante. Che paese ridicolo.

«Senti, Pete, alla peggio ci tiri fuori una bella storia umanitaria. E se le cose vanno per il verso giusto, avrai per le mani materiale che scotta. Posso farti avere un'intervista con Annie Lamb. Posso farti avere un'intervista con il reverendo Bacon. Ti posso far entrare nel reparto rianimazione dell'ospedale, dove sta il ragazzo. Voglio dire, è in coma, ma lo puoi vedere.»

Fallow cercò di concepire il trasferimento dell'uovo di mercurio e dei suoi visceri biliosi nel Bronx. Non riusciva neppure a immaginare di poter sopravvivere al viaggio. Dal suo punto di vista il Bronx era come l'Artico. Era a nord, in qualche area indistinta, e la gente non ci andava.

«Non so, Al. Si dice, di solito, che la mia specialità è l'alta società.» Tentò di sorridere.

«Lascia che si dica, Peter. Non ti cacceranno se arriverai con un pezzo favoloso sulla bassa società.»

La parola cacceranno lo svegliò bruscamente. Chiuse gli occhi. Il grugno del mostro non c'era più. Al suo posto vide la faccia di Topo Morto. Vedeva il Topo che in quel momento guardava il suo cubicolo nella sala della cronaca e lo trovava vuoto. Il tenore invase ogni cellula del suo corpo, e si portò il tovagliolo alla fronte.

«Ti spiace se ti chiedo una cosa, Al?»

«Di' pure.»

«Che interesse hai in questa faccenda?»

«Nessuno, se parli d'interessi materiali. Il reverendo Bacon mi ha telefonato e mi ha chiesto un consiglio; io gli ho detto che avrei tentato di aiutarlo: tutto qui. Mi piace, mi piace quel che sta cercando di fare. Mi piace il suo modo di scuotere questa città di merda. Io sono con lui. Gli ho detto che era meglio cercare di far parlare di questo caso i giornali prima di fare le manifestazioni di protesta. Così avrebbe ottenuto più attenzione televisiva e pubblicità. Ti sto dicendo la pura verità. Ho pensato a te perché un'occasione simile ti poteva far comodo, secondo me. Potrebbe risultare utile a te e utile a un sacco di gente perbene che non è mai aiutata dalla fortuna in questa città.»

Fallow ebbe un brivido. Chissà che cosa aveva mai sentito Vogel sulla sua situazione? Tutto sommato non voleva saperlo. Sapeva di venir usato. Nello stesso tempo aveva sottomano un bel pezzo di carne da buttare al Topo.

«Be', forse hai ragione.»

«So di aver ragione, Pete. Sarà comunque una faccenda grossa, in un senso o nell'altro. E tu puoi essere benissimo quello che la tira fuori.»

«Mi puoi portare a vedere quella gente?»

«Oh, certo. Non preoccuparti di questo. C'è un'unica cosa da considerare: non puoi battere la fiacca, Bacon è già pronto a partire.»

«Ummmmmm. Fammi scrivere qualche nome.» Fallow si mise a frugare dentro la tasca interna della giacca. Cristo, non aveva preso con sé nemmeno un taccuino o un pezzo di carta prima di uscire di casa. Dalla tasca estrasse un avviso minaccioso della Con Edison con cui lo si avvertiva che gli sarebbero stati presto tagliati luce e gas per morosità. Neppure su quella cosa poteva scrivere. Era stampata sulle due facciate. Vogel osservò l'intera scenetta e, senza commenti, produsse un blocnotes e glielo porse. Poi gli porse una penna a sfera d'argento. E ripeté i nomi con i relativi particolari.

«Stammi a sentire, Al» disse Fallow. «Adesso vado subito a telefonare alla cronaca.»

Si alzò e inciampò in una sedia del tavolo vicino, dove una vecchia in un abito stile Chanel stava cercando di portare alla bocca un cucchiaio di minestra di acetosella. Lo squadrò sbalordita. «Che cosa vuoi mangiare?» chiese Vogel. «Te lo ordino.»

«Niente. Una zuppa di pomodoro. Una paillard di pollo.»

«Vino?»

«No! Be', solo un bicchiere.»

Il telefono a gettone era nel vestibolo di fronte al guardaroba dove una ragazza carina stava seduta su uno sgabello alto e leggeva un libro. Gli occhi lo sbirciarono da una sinistra ellisse nera disegnata con cura attorno alle ciglia. Fallow chiamò Frank de Pietro, il caposervizio della cronaca cittadina al «City Light». De Pietro era uno dei pochi americani in posizione di rilievo nel giornale. Come capocronaca degli affari metropolitani avevano bisogno di una persona di New York. Gli altri inglesi che ci lavoravano, come lo stesso Fallow, avevano una certa familiarità con un'unica zona di Manhattan, quella che andava dai ristoranti alla moda nel TriBeCa, a sud, ai ristoranti alla moda di Yorkville nelle vicinanze dell'Ottantaseiesima Strada, a nord. Il resto di New York poteva benissimo essere Damasco.

«Sì?» La voce di Frank de Pietro. L'entusiasmo provocato dal ricevere una telefonata di Peter Fallow a quell'ora del giorno era impercettibile.

«Frank» disse Fallow, «conosce un certo posto chiamato Edgar Allan Poe, un complesso di case popolari, credo?»

«Sì. E tu?»

Fallow fu alquanto seccato per il tono d'incredulità e diffidenza nella voce dell'uomo. Ciononostante, proseguì cocciuto, raccontò la storia di Albert Vogel, con qualche abbellimento dov'era necessario e, comunque, senza menzionare Albert Vogel. Lasciò l'impressione di aver già preso contatto con il reverendo Bacon e la madre della vittima, e che la sua prossima comparsa nel Bronx fosse attesa da tutti quanti. De Pietro gli disse di completare le sue indagini. Lo disse, per la verità, senza particolare entusiasmo. Eppure Fallow si sentì il cuore invaso da una gioia del tutto inaspettata.

Tornato al tavolo, sentì Vogel dire: «Ehi, com'è andata? La minestra sta diventando fredda». Le parole uscivano a fatica dalla bocca, ostruita completamente dal cibo.

Una grande scodella di zuppa di pomodoro e un bicchiere di vino bianco stavano davanti al posto di Fallow. Vogel si stava occupando di un pezzo di vitello dall'aspetto orribile.

«Gli piace, eh?»

«Ummrnmmmmmm.» Non l'ha trovato disgustoso, pensò Fallow. La nausea cominciava a passare. Il tuorlo si stava rimpicciolendo. Una certa effervescenza, non dissimile da quella provata dall'atleta sul punto di entrare in competizione, s'insinuò nel suo sistema centrale. Si sentiva… quasi pulito. Era l'emozione, mai descritta in modo acconcio dai poeti, provata da quelli che sentono, per una volta, che stanno guadagnandosi la paga.

Era il turno di Kramer di portare, per dodici ore, il cercapersone alla cintura. Alla sezione Omicidi della Procura del Bronx c'era sempre un sostituto procuratore di servizio. Si voleva avere sempre qualcuno in grado di andare immediatamente sul luogo del delitto, a interrogare i testimoni prima che essi sparissero o perdessero la voglia di parlare del misfatto. Per quelle dodici ore un sostituto procuratore si supponeva collegato a ogni stronzata accaduta nel Bronx che avesse a che fare con un omicidio, ed era appunto una stronzata classica del Bronx che aveva portato Kramer nella sede del distretto locale di polizia. Un sergente di colore, un certo Gordon, stava in piedi vicino al banco d'immatricolazione e gli dava tutti i particolari.

«Lo chiamano il Ruffiano» diceva Gordon, «ma non è un ruffiano. Più che altro è un giocatore, e forse traffica un po' con la droga, ma si veste come un pappa. Lo vedrà tra un minuto. Se ne sta là, nello spogliatoio, con addosso un abito pimpante e un panciotto a doppio petto.» Gordon scosse la testa. «Sta seduto sul bordo di una sedia a mangiare costine di maiale, e le tiene così.» Si chinò in avanti e alzò la mano in un gesto pieno di delicatezza… «In modo che la salsa non gli cada sul vestito. Aveva circa quaranta completi, e quando ti parla dei suoi vestiti del cazzo, ti viene da pensare che gli hanno rapito suo figlio, cazzo!»

Il tutto era accaduto perché qualcuno aveva rubato i quaranta abiti. Ah, davvero una stronzata. Ondate su ondate di infantilismo e violenza senza senso, e Kramer non aveva ancora sentito tutta la storia.

La stanza più grande del posto di polizia era satura dell'odore umidiccio e dolciastro di legno in via di putrefazione per decenni di perdite di vapore dei radiatori sul pavimento. La maggior parte del pavimento di legno era stata sostituita da cemento. Le pareti erano verniciate verde ufficio statale, a parte un vecchio e consunto rivestimento in legno, alto meno di un metro, alla base. L'edificio aveva muri spessi e soffitti alti, adesso attraversati da luci fluorescenti. Più in là, Kramer vedeva le schiene dei due poliziotti di guardia: avevano fianchi enormi per l'ingombrante presenza di armi, e accessori vari, compresi torce, manuali di regolamenti, walkie-talkie e manette. Uno di loro continuava a sollevare le mani in gesti esplicativi verso due donne e un uomo, gente della zona, i cui volti dicevano chiaramente che non credevano a una sola parola.

Gordon diceva a Kramer: «Così quel tipo sta dentro a quell'appartamento, ci sono quattro tizi lì dentro, e uno di loro è questo André Potts che, secondo l'altro, sa chi gli ha portato via i vestiti. André dice che non sa niente di niente, e vanno avanti così per un bel pezzo. Alla fine André ne ha abbastanza, si alza, esce dalla stanza. Cosa avrebbe fatto lei se uno stronzo poco rispettoso si fosse alzato e le avesse voltato la schiena mentre stava facendo indagini sui suoi quaranta vestiti del cazzo? Gli avrebbe sparato nella schiena, no? È quello che ha fatto il Ruffiano. Ha sparato tre volte nella schiena di André Potts con una calibro 38».

«Avete testimoni?» chiese Kramer.

«Oh, sì, li abbiamo impacchettati.»

In quel momento il cicalino alla cintura di Kramer prese a zirlare.

«Posso usare il telefono?»

Gordon fece un gesto verso una porta aperta che portava nell'ufficio degli investigatori, al fianco della stanza principale. All'interno c'erano tre scrivanie metalliche in triste grigio statale. A ogni scrivania stava un uomo di colore sui trenta o sui quaranta. Avevano tutti una tenuta da strade del Bronx, un po' troppo gaglioffa e scalcinata per essere autentica. A Kramer venne in mente che era molto insolito capitare in un ufficio interamente composto da poliziotti neri. Quello alla scrivania più vicina alla porta indossava un gilè imbottito nero e una maglietta nera che metteva in risalto braccia possenti.

Kramer allungò una mano verso il telefono sulla scrivania e disse: «Posso usare il telefono?».

«Ehi, che cazzo, uomo!»

Kramer ritirò la mano.

«Quanto devo stare qui incatenato come un animale di merda?»

Così dicendo, l'uomo sollevò il possente braccio sinistro con un terribile sferragliare. Aveva una manetta al polso e dalla manetta partiva una catena. L'altro capo della catena era assicurato a una gamba della scrivania. Ora anche gli altri due, alle loro scrivanie, avevano sollevato le braccia in aria, con grande sferragliare e grandi lamenti. Erano tutti e tre incatenati alle scrivanie.

«Tutto quello che ho fatto è stato vedere quel leccaculo far fuori quello stronzo; è il leccaculo che ha fatto fuori lo stronzo… e io sono stato legato come un animale di merda, e il leccaculo…» ancora un fracasso tremendo mentre indicava con la mano sinistra una stanza sul retro… «lui sta seduto là dentro a guardare la tivù di merda e a mangiare costine di porco.»

Kramer guardò in fondo alla stanza e, come no?, in una specie di spogliatoio c'era una figura seduta sul bordo di una sedia illuminata dal colore un po' tisico della televisione e intenta a mangiare costine di porco arrostite sulla brace. Si chinava in avanti con autentica grazia. La manica della giacca era tagliata in modo da mostrare un grande polsino bianco con luccicanti gemelli.

Adesso tutti e tre alzavano alti lamenti. Costine del cazzo… catene del cazzo!… tivù del cazzo!

Ma certo! I testimoni. Quando Kramer se ne rese conto tutto, le catene e il resto, ebbero una spiegazione logica.

«Sì, okay, okay» disse all'uomo con una certa impazienza, «mi occuperò di voi tra un minuto. Devo fare una telefonata.»

Costine del cazzo!… catene del cazzo!

Kramer chiamò l'ufficio, e Gloria, la segretaria di Bernie Fitzgibbon, disse che Milt Lubell gli voleva parlare. Lubell era l'addetto stampa di Abe Weiss. Kramer, praticamente, non conosceva Lubell; non ricordava di avergli parlato più di quattro o cinque volte. Gloria gli dette il numero.

Milt aveva lavorato al vecchio «Mirror» di New York quando Walter Winchell teneva ancora la sua rubrica fissa. Aveva conosciuto il grand'uomo non molto a fondo, ma aveva adottato il suo modo di parlare a mitraglia, e lo aveva portato fino agli ultimi giorni del XX secolo.

«Kramer» disse. «Kramer, Kramer, vediamo… Kramer. Sì, sìì, sìì, Okay. Ci sono. Il caso Harry Lamb. Probabile che muoia. Che roba è?»

«Una stronzata!» disse Kramer.

«Be', ho una richiesta dal "City Light", un inglese, si chiama Fallow. Il tipo ha l'accento. Credevo di ascoltare Canale 13. Comunque. Mi legge una dichiarazione del reverendo Bacon sul caso Henry Lamb. Proprio quel che mi ci vuole. Le parole del reverendo Reginald Bacon con accento britannico. Conosce Bacon?»

«Sìì» ammise Kramer. «Ho parlato con la madre di Henry Lamb nell'ufficio di Bacon.»

«Anche quel tipo ha avuto qualcosa da lei, ma più che altro è roba di Bacon. Vediamo, vediamo, vediamo. Dice, ah… bla bla bla, bla bla bla… la vita umana nel Bronx… prevaricazione… classe media bianca… bla bla bla… risonanza magnetica nucleare… Ancora risonanza magnetica nucleare. Ci sono sì e no due macchine in tutto il paese, penso… bla bla bla… fammi vedere, ecco qui. Accusa il procuratore distrettuale di battere la fiacca. Non ci prendiamo la briga di portare avanti il caso perché il ragazzo è un nero che abita nel complesso Poe: troppe seccature.»

«Stronzate!»

«Be', lo so, e tu lo sai, ma io devo telefonare a quell'inglese e dirgli qualcosa.»

Un fracasso tremendo. «Per quanto tempo devo star qui seduto con le catene, uomo!» L'uomo dalle braccia grosse stava di nuovo uscendo di senno. «È contro la legge!»

«Ehi!» disse Kramer, davvero seccato. «Se vuoi andar via di qui, piantala! Non riesco neppure a sentire le cazzate che dico.» Poi a Lubell: «Mi spiace, sono qui al distretto di polizia». Avvolse una mano attorno alla bocca e al ricevitore del telefono e disse a voce bassa: «Qui, in ufficio, ci sono tre testimoni di un omicidio incatenati alle gambe delle scrivanie del cazzo, e stanno perdendo la testa». Si divertì a esporre questo aneddoto di guerra a Lubell con un linguaggio macho di basso livello, anche se non conosceva di persona l'uomo.

«Le gambe delle scrivanie!» disse Lubell, con una sfumatura d'apprezzamento nella voce. «Cristo, questa non l'avevo mai sentita.»

«Comunque» riprese Kramer, «dov'ero rimasto? Okay, abbiamo una Mercedes-Benz con una targa che comincia per R. Tanto per semplificare, non sappiamo neppure se si tratta di una targa dello Stato di New York. Okay? Tanto per cominciare. Ma supponiamo che lo sia. Ci sono duemilacinquecento Mercedes registrate nello Stato di New York con targhe che cominciano per R. Okay. Ora, la seconda lettera pare che possa essere una E o una F, o forse una P o una B o una R, insomma una lettera con una linea verticale sulla sinistra e qualche elemento orizzontale. Supponiamo che ci vada bene così. Parliamo sempre di quasi cinquecento automobili. Allora, che cosa facciamo? Ci mettiamo a indagare su cinquecento automobili? Se avessimo un testimone che ci dicesse come il ragazzo sia stato investito da quest'auto, si potrebbe anche fare. Ma non ci sono testimoni, a parte il ragazzo, che è in coma irreversibile. Non abbiamo notizie precise sul guidatore. Abbiamo soltanto due persone in un'automobile, due bianchi, un uomo e una donna, e il racconto del ragazzo non dice niente di più.»

«Be', che devo dire? Che l'indagine continua?»

«Sì, sì. L'indagine continua. Ma se Martin non trova un testimone, non c'è niente da fare. Anche se il ragazzo è stato investito da un'auto, non c'è stata probabilmente una collisione tale che possa fornire una prova legale efficace, perché il ragazzo non presenta quel tipo di ferite al corpo compatibili con tale collisione… insomma, Cristo, ci sono tanti di quei se in questa storia assurda. Se volete il mio parere, è una stronzata. Il ragazzo sembra perbene, e così la madre, ma, detto tra noi, io credo che si sia messo in qualche pasticcio e si sia inventato questa stupida storia per sua madre.»

«Be', perché sognarsi parte di una targa? Perché non dire che non ha visto la targa?»

«Come posso saperlo? Perché la gente fa quel che fa in questa contea? Pensi che quel tipo, quel giornalista, scriverà veramente qualcosa?»

«Non lo so. Non farò altro che dirgli che noi, naturalmente, ci stiamo dando da fare.»

«Nessun altro ha telefonato per questa faccenda?»

«Noo, Bacon ha pescato questo inglese in qualche modo.»

«Che cosa ci guadagna Bacon?»

«Oh, è uno dei suoi pezzi preferiti. Due pesi e due misure, giustizia bianca, bla bla bla. Sempre all'attacco per mettere in imbarazzo il sindaco.»

«Be'» disse Kramer. «Se ricaverà qualcosa da questa stronzata, è proprio un mago.»

Quando Kramer appese il telefono, i tre testimoni in ceppi avevano ripreso a sferragliare e a protestare. A malincuore, si rese conto che ora doveva sedersi a parlare con i tre vermi presenti e tirar loro fuori qualcosa di coerente a proposito di un uomo detto Ruffiano che aveva ucciso un uomo che conosceva un uomo che forse sapeva e forse no l'odissea dei quaranta abiti. L'intero venerdì sera era ormai fottuto, e lui sarebbe stato costretto a giocare a dadi con il fato e prendere la metropolitana per tornare a Manhattan. Si voltò a guardare dentro lo spogliatoio un'altra volta. Quella straordinaria visione, quell'uomo da copertina del «Gentleman's Quarterly», quell'uomo chiamato Ruffiano, era sempre lì, a mangiare costine e a godersi uno spettacolo alla tivù che gli illuminava la faccia in toni di rosa ustionidi-primo-grado e blu cobaltoterapia.

Kramer uscì dall'ufficio degli investigatori e disse a Gordon: «I suoi testimoni stanno diventando un po' nervosetti là dentro. Ce n'è uno che voleva avvolgere la sua catena attorno alla mia gola».

«Ho dovuto incatenarlo.»

«Lo so. Ma mi dica una cosa. Quel tale Ruffiano, se ne sta lì tranquillo a mangiare costine di porco. Lui non è incatenato.»

«Oh, il Ruffiano non mi preoccupa. Lui non andrà da nessuna parte. Si sta calmando. È tranquillo. Contento. Il suo schifoso vicinato è tutto quel che conosce. Scommetto che non sa che New York è sull'oceano Atlantico. È un casalingo. No, non se ne va via. Lui è soltanto colui che ha commesso il reato. Ma un testimone… ehi, ragazzi, se non metto le catene al testimone, non ci sarà nessu-u-u-unissimo da interrogare. Non lo vedremo più. Qualunque testimone fottuto finirà a Santo Domingo più in fretta del diavolo.»

Kramer tornò nell'ufficio degli investigatori a fare il suo dovere e interrogare i tre cittadini incatenati per cercare di dare un po' di ordine a quest'ultima stronzata.

Dal momento che «The City Light» non pubblicava l'edizione domenicale, c'era un corpo redazionale ridotto all'osso nella sala della cronaca cittadina il sabato pomeriggio. La maggior parte dei presenti era composta da redattori addetti a selezionare il materiale che continuava ad arrivare a spizzichi e bocconi dalle telericeventi dell'Associated Press e della United Press International scegliendo quello che poteva servire per il numero del lunedì. C'erano tre giornalisti in sala più uno al quartier generale della polizia a Manhattan Central, nel caso dovesse succedere un'autentica catastrofe o un misfatto così agghiacciante che i lettori del «City Light» ne potessero essere golosi anche il lunedì. C'era un solitario giornalista praticante, che passava la maggior parte del pomeriggio al telefono, a far vendite sulla linea riservata, un'attività collaterale consistente nel vendere gioielli di certe associazioni universitarie, all'ingrosso, a dirigenti di singole associazioni universitarie, che poi vendevano al minuto gli oggetti, anellini e spille e cose simili, ai confratelli, trattenendo la differenza per sé. La noia e la stanchezza morale di queste sentinelle della stampa non erano suscettibili di esagerazioni.

In quel particolare sabato pomeriggio c'era anche Peter Fallow.

Fallow, per contrasto, era il fervore personificato. Tra i tanti cubicoli ai margini della sala della cronaca, il suo era l'unico in attività. Stava appollaiato sul bordo della sedia con il telefono all'orecchio e una biro in mano. Era talmente concentrato che riusciva a superare i postumi della sbronza quotidiana per arrivare molto vicino alla lucidità di mente.

Sulla sua scrivania stava una guida telefonica della contea di Nassau, a Long Island. Non aveva mai sentito parlare di Nassau, anche se adesso ricordava di esserci passato durante un week-end, quando era riuscito a convincere il capo di St. John al museo, Virgil Gooch III - gli americani morivano dalla voglia di legare numerali romani al nome dei figli - a invitarlo nella sua immensa casa sulla riva dell'oceano, a East Hampton, Long Island. Non c'era stato un secondo invito, ma… ah be', ah be'! Per quanto riguardava la cittadina di Hewlett, nella contea di Nassau, la sua esistenza sulla faccia della terra era una novità per lui, ma da qualche parte, a Hewlett, un telefono stava squillando, e lui sperava disperatamente che qualcuno rispondesse. Alla fine, dopo sette squilli, la cosa avvenne.

«Pronto?» Senza fiato.

«Signor Rifkind?»

«Sì.» Senza fiato, ma vibrante.

«Sono Peter Fallow del "City Light" di New York.»

«Non m'interessa.»

«Mi scusi? Spero che mi perdonerà per averle telefonato un sabato pomeriggio.»

«Non lo speri. Una volta mi abbonai al "Times". Ma lo ricevevo più o meno una volta la settimana.»

«No, no, no. Non sono…»

«O qualcuno lo faceva sparire dalla porta prima che uscissi, o era fradicio o non lo avevano neppure recapitato.»

«No, io sono un giornalista, signor Rifkind. Io scrivo per "The City Light".»

Alla fine riuscì a chiarire il fatto con soddisfazione di Rifkind.

«D'accordo» disse Rifkind, «dica pure, ero appunto davanti a casa a bere un po' di birra e a scrivere IN VENDITA su un cartello da mettere sopra la mia macchina. Non le interessa, per caso, una Thunderbird del 1981?»

«No, mi spiace» disse Fallow con una risatina estasiata, come se Rifkind fosse uno dei più spiritosi incontri del sabato pomeriggio nella sua esperienza. «Per essere chiari, le telefono per farle alcune domande a proposito di un suo studente, Henry Lamb.»

«Henry Lamb. Non mi dice niente. Che cosa ha fatto?»

«Oh, lui niente. È stato ferito in modo molto serio.» Andò avanti a esporre i fatti, seguendo molto da vicino la versione di Albert Vogel e del reverendo Bacon. «Mi hanno detto che era nella sua classe d'inglese.»

«Chi gliel'ha detto?»

«Sua madre. Ho avuto una lunga conversazione con lei. È una donna molto gradevole, e molto sconvolta, come può ben immaginare.»

«Henry Lamb… Oh, sì, adesso mi ricordo. È davvero un peccato.»

«Io cerco di scoprire, signor Rifkind, che tipo di studente è Henry Lamb.»

«Che tipo?»

«Be', secondo lei era uno studente eccezionale?»

«Di dov'è lei, signor… Scusi, mi vuol ripetere il suo nome?»

«Fallow.»

«Signor Fallow. Immagino che lei non sia di New York.»

«Infatti.»

«Quindi è logico che non sappia niente della scuola superiore Colonnello Jacob Ruppert del Bronx. Al Ruppert usiamo dei termini di comparazione, ma eccezionale non rientra tra quelli. Si va da disposto a collaborare a pericolo mortale.» Rifkind prese a ridacchiare. «Per l'amor di Dio, non dica che le ho detto queste cose.»

«Come definirebbe Henry Lamb?»

«Disposto a collaborare. È un bravo ragazzo. A me non ha mai creato problemi.»

«Lo definirebbe un buon studente?»

«Neppure la qualifica di buono si addice molto al Ruppert. Ci si chiede piuttosto: "Frequenta le lezioni o no?".»

«Henry Lamb le frequenta?»

«Per quel che mi ricordo, sì. Di solito è presente. Sì, è di quei pochi su cui si può contare. È un bravo ragazzo, considerato il livello degli altri!»

«C'è qualcosa del programma che fa particolarmente bene… o, diciamo, per cui ha disposizione? Qualcosa in cui riesce meglio che nel resto, insomma?»

«Non direi.»

«No?»

«È difficile da spiegare, signor Fallow. Come dice la massima: Ex nihilo, nihil fit. In quelle classi non c'è un gran fiorire di attività, e perciò non e facile confrontare i risultati. Questi ragazzi e ragazze… be', a volte ci stanno con la testa, ma a volte no.»

«È cosa dice di Henry Lamb?»

«È una brava persona. Educato, attento, non mi dà problemi. Cerca di imparare.»

«Be', deve avere delle qualità. Sua madre mi ha detto che stava pensando di andare all'università.»

«È possibilissimo. Probabilmente parlava del CCNY, ossia del City College di New York.»

«Sì, mi pare che la signora Lamb abbia accennato a questo istituto.»

«Il City College ha una politica di grande apertura. Se uno abita a New York, ottiene la licenza di una scuola superiore e desidera andare al City College, lo può fare.»

«Avrà il diploma Henry Lamb… o meglio, l'avrebbe avuto?»

«Sì, per quel che ne so. Come le ho detto, il suo livello di frequenza è ottimo.»

«Come sarebbe andato all'università, secondo lei?»

Un sospiro. «Non so. Non so immaginare che cosa succede a questi ragazzi quando vanno al City College.»

«Signor Rifkind, mi può dire una cosa qualsiasi sul profitto di Henry Lamb e sulle sue inclinazioni: una cosa qualsiasi?»

«Lei deve capire che mi danno sessantacinque studenti, più o meno, per ogni classe all'inizio dell'anno scolastico, perché sanno che a metà anno saranno scesi a quaranta, e alla fine a trenta. Anche trenta sono troppi, ma le cose stanno così. Non è esattamente quello che definirei un sistema didattico efficiente. Henry Lamb è un giovanotto simpatico che si applica e desidera avere una certa istruzione. Che cosa potrei dirle di più?»

«Le vorrei chiedere un'altra cosa. Come va negli scritti?»

Rifkind si lasciò scappare un gridolino. «Scritti? Al Ruppert non si fanno scritti da quindici anni. Forse da venti! Si fanno dei test con diverse risposte. Lettura e interpretazione è l'attività principale. È tutto quel che pretende il consiglio dell'istruzione.»

«Come andava Henry Lamb in queste attività?»

«Dovrei andare a vedere. Mica male, a occhio e croce.»

«Meglio della maggior parte? O sulla media? O cosa direbbe?»

«Be'… capisco che per lei dev'essere difficile capire, signor Fallow, per lei che viene dall'Inghilterra. Giusto? Lei è inglese, no?»

«Sì.»

«Naturalmente - o perlomeno immagino che sia naturale - lei è abituato a livelli d'eccellenza, eccetera. Ma questi ragazzi non hanno raggiunto il livello in cui vale la pena di mettere in risalto i termini di confronto di cui sta parlando. Noi cerchiamo soltanto di portarli a un certo standard, e poi di fare in modo che non tornino indietro. Lei sta pensando a studenti modello, a eccezionali risultati ottenuti, eccetera, ed è naturale, come ho detto. Ma alla scuola superiore Colonnello Jacob Ruppert, uno studente modello è uno che frequenta i corsi, non è violento, cerca d'imparare e va bene in lettura e matematica.»

«Adoperiamo questi standard. Secondo questi standard, Henry Lamb è uno studente modello?»

«Per questi standard, sì.»

«Mille grazie, signor Rifkind.»

«Niente, niente. Mi spiace sentire queste cose. Mi pareva proprio un bravo ragazzo. Non dovremmo chiamarli ragazzi, pare, ma è quello che sono, poveri ragazzi confusi, con un sacco di problemi. Non parli di me, per l'amor di Dio, o sarò io ad avere un sacco di problemi. Ehi! un momento, è proprio sicuro di non volere una Thunderbird del 1981?»