25 Noi la giuria

«Nient'altro che l'Establishment a difesa di se stesso» disse il reverendo Bacon. Era quasi sdraiato sulla poltrona dietro la scrivania e parlava al telefono, ma in tono ufficiale. Infatti, parlava alla stampa. «È la Struttura di Potere che fabbrica e semina in giro le sue menzogne con la connivenza assoluta dei suoi lacchè nei mezzi di comunicazione di massa. Ma si tratta di menzogne trasparenti.»

Edward Fiske III, per quanto giovane, riconobbe la retorica del movimento dei tardi anni Sessanta e dei primi anni Settanta. Il reverendo Bacon fissava il ricevitore del telefono con uno sguardo di giusta rabbia. Fiske si lasciò andare un poco di più sulla sedia. Il suo sguardo saltò dalla faccia del reverendo Bacon ai sicomori giallo palude nel cortile al di là della finestra e poi tornò rapidamente al reverendo Bacon e infine di nuovo ai sicomori. Non sapeva decidere, a quel punto, se un contatto di occhi diretto con quell'uomo fosse saggio o no. Anche se quel che aveva provocato l'ira del reverendo non aveva niente a che fare con la visita di Fiske. Bacon era su tutte le furie per l'articolo del «Daily News» di quella mattina in cui si insinuava l'ipotesi che Sherman McCoy potesse star sfuggendo a un tentativo di rapina quando la sua automobile aveva investito Henry Lamb. Il «Daily News» insinuava che il complice di Lamb fosse un delinquente in galera, un certo Roland Auburn, e che tutta la costruzione del procuratore distrettuale contro Sherman McCoy fosse basata su una storia confezionata in qualche modo da quell'individuo, alla ricerca di un compromesso che lo alleggerisse di una pesante accusa per traffico di droga.

«Dubiti che possano arrivare tanto in basso?» esclamò il reverendo Bacon al telefono. «Dubiti che possano essere così vili? E ora, invece, li vedi cadere tanto in basso: essi cercano d'infamare il giovane Henry Lamb. Ora li vedi calunniare la vittima, quel ragazzo che giace mortalmente ferito e non può difendersi. Insinuare che Henry Lamb è un rapinatore… questo è l'atto criminale! Mi capisci? È questo l'atto criminale. Ma così è la mente distorta della Struttura di Potere, questa la mentalità razzista che ci sta sotto. Poiché Henry Lamb è un giovane maschio nero. Loro pensano di poterlo bollare come criminale! Mi capisci? Pensano di poterlo infamare in questo modo. Ma si sbagliano. La vita di Henry Lamb smentisce le loro menzogne. Henry Lamb è esattamente quello che la Struttura di Potere dice che dev'essere un giovane nero, ma quando le esigenze di uno di loro lo impone, mi capisci'? Uno di loro!, non ci pensano due volte a fare dietrofront e a cercare di distruggere il buon nome di questo giovane. Che cosa? Mi chiedi: "Chi sono?. Pensi forse che Sherman McCoy sia solo? Pensi che faccia tutto da sé? È uno degli uomini più potenti della Pierce & Pierce, e la Pierce & Pierce è una delle grandi potenze di Wall Street. Io conosco la Pierce & Pierce. Capisci? Io so quel che possono fare. Hai sentito parlare di capitalisti. Hai sentito parlare di plutocrati. Se dai un'occhiata a Sherman McCoy, tu vedi un capitalista, tu vedi un plutocrate.»

Il reverendo Bacon sviscerò l'offensivo articolo del giornale. Il «Daily News» era un ben noto servitore e galoppino degli interessi dei grandi monopoli. Il giornalista che aveva scritto quel mucchio di menzogne, Neil Flannagan, era un lacchè tanto svergognato da offrire il proprio nome a una campagna così rivoltante. Le sue fonti di cosiddette informazioni, sommariamente definite "fonti vicine al caso in questione", erano ovviamente McCoy e la sua cricca.

Il caso McCoy non interessava affatto Fiske, se non come un pettegolezzo qualsiasi, anche se conosceva quell'inglese che per primo aveva messo in luce la situazione, una persona molto intelligente, un certo Peter Fallow, un autentico maestro nell'arte della conversazione. No, l'unico interesse di Fiske stava nell'accertare fino a che punto il coinvolgimento di Bacon in quella faccenda avrebbe complicato il suo compito, che consisteva nel recuperare trecentocinquantamila dollari o almeno una parte di quella somma. Nella mezz'ora da che era seduto lì dentro, la segretaria di Bacon aveva passato telefonate di due giornali, l'Associated Press, un deputalo al Congresso del Bronx, il segretario generale della Forza d'urto del pugno gay, e tutte a proposito del caso McCoy. E ora il reverendo Bacon stava parlando con un certo Irv Stone, di Canale 1. Ma dietro la minacciosa facondia del reverendo Bacon, lui cominciava a intravedere una sua vivacità, una jote de combat. Il reverendo Bacon amava quanto stava accadendo. Guidava la crociata. Era nel suo elemento. In un modo tuttora imprecisato, alla fine, se coglieva il momento giusto, Edward Fiske III avrebbe anche potuto trovare uno spiraglio attraverso il quale recuperare i trecentocinquantamila dollari della chiesa episcopale dal promiscuo mucchio di schemi del "divino crociato".

Il reverendo Bacon stava dicendo: «C'è la causa e c'è l'effetto, Irv, mi capisci! E noi abbiamo tenuto una manifestazione al complesso edilizio Poe, dove abita Henry Lamb. Questo è l'effetto, mi capisci, vero? Quel che è successo a Henry Lamb è l'effetto. Be', oggi risaliremo alla causa. Andremo a Park Avenue. A Park Avenue, capisci, da dove hanno inizio le menzogne… da dove hanno inizio le menzogne. Cosa? Esatto! Henry Lamb non può parlare in sua difesa, ma avrà una voce davvero possente. Avrà la voce della sua gente, e tale voce sarà udita in Park Avenue».

Fiske non aveva mai visto la faccia del reverendo Bacon tanto animata. Prese a chiedere a Irv Stone questioni tecniche. Chiaro, non poteva garantire a Canale 1 un'esclusiva, questa volta. Ma poteva contare ugualmente su di un servizio dal vivo? Quand'era il momento d'ascolto migliore? Lo stesso di prima? E così via all'infinito. Alla fine appese il telefono. Si volse a Fiske, lo guardò con immensa concentrazione e disse:

«L'energia.»

«L'energia?»

«L'energia! Non ricorda che le ho già parlato di energia?»

«Oh, sì. Ricordo.»

«Be', ora vedrà l'energia giunta al culmine. L'intera città la vedrà. Proprio a Park Avenue. La gente pensa che l'incendio sia finito. Pensa che la rabbia sia cosa del passato. Non sa che è stata soltanto messa in bottiglia. Ma è proprio quando è imbrigliata che si scopre quel che può fare. Mi capisce, vero? È allora che ti accorgi che sono guai per te e la tua banda. Alla Pierce & Pierce sanno soltanto come maneggiare un tipo di capitale. Non conoscono questo genere di energia. Non sono capaci di maneggiarla.»

Fiske individuò un minuscolo spiraglio.

«A proposito, reverendo Bacon, proprio l'altro giorno parlavo di lei con uno della Pierce & Pierce. Un certo Lindwood Talley, della divisione sottoscrizioni.»

«Sì, mi conoscono là» disse il reverendo Bacon. Sorrise, ma un poco sardonico. «Conoscono me. Non conoscono l'energia.»

«Il signor Talley mi parlava della Investimenti urbani garantiti. Mi ha detto che ha avuto ottimi risultati.»

«Non posso lamentarmi.»

«Il signor Talley non è entrato in particolari, ma immagino che sia stata…» cercò* l'eufemismo adatto «di buon profitto fin dall'inizio.»

«Ammmmmmmmm!» Il reverendo Bacon non pareva incline a sbottonarsi troppo.

Fiske non disse altro e tentò di sostenere lo sguardo del reverendo Bacon con il suo, nella speranza di creare uno spazio propizio alla conversazione a cui il "grande crociato" non potesse resistere. La verità sulla Investimenti urbani garantiti, quel che Fiske aveva in realtà appreso da Lindwood Talley, era che il governo federale aveva di recente concesso all'impresa duecentocinquantamila dollari sotto forma di "sottoscrittore di una minoranza" nell'emissione di sette miliardi di dollari di obbligazioni municipali garantite dal governo federale. La cosiddetta legge sul risparmio esigeva la presenza e la partecipazione delle minoranze nella vendita di quei titoli, e la Investimenti urbani garantiti era stata creata per aiutare a soddisfare tali esigenze della legge. Non si esigeva che l'organismo della minoranza vendesse davvero i titoli obbligazionari o perfino che li ricevesse. I legislatori non avevano voluto caricare di troppi vincoli i beneficiari. L'organismo, quindi doveva soltanto partecipare all'emissione. La partecipazione era definita a grandi linee. Nella maggior parte dei casi, e la Investimenti urbani garantiti era soltanto una delle molte ditte sparse per il paese, partecipare voleva dire ricevere un assegno dal governo federale, depositarlo, e poco più. La Investimenti urbani garantiti non aveva impiegati, né strutture: solamente un recapito (dove si trovava ora Fiske), un numero di telefono e un presidente: Reginald Bacon.

«Così mi è appunto venuto in mente, reverendo Bacon, a proposito delle nostre conversazioni precedenti, e per quel che riguarda l'interesse naturale della diocesi, oltre a quanto ancora resta da elaborare, se vogliamo risolvere ciò che io sono certo lei vuole risolvere proprio come lo vuole il vescovo che, devo proprio dirglielo, ha molto insistito con me su questo punto…» Fiske fece una pausa. Come spesso gli accadeva nei suoi conversari con il reverendo Bacon, non riusciva a ricordare come aveva iniziato la frase. Non sapeva più che tempi usare, non ricordava più i predicati giusti. «… insistito con me su questo punto e, ehm ehm, il fatto è che, forse, si è pensato che lei potrebbe essere in grado di spostare certi fondi in un conto diverso di cui già abbiamo parlato, un conto vincolato per il Centro assistenziale diurno del Piccolo Pastore, soltanto fino a che non saranno risolti i problemi della licenza.»

«Non la seguo» disse il reverendo Bacon.

Fiske ebbe la triste sensazione di dover pensare a un altro modo di esprimere la cosa.

Ma il reverendo Bacon lo esentò. «Sta dicendo che dovremmo spostare del denaro dalla Investimenti urbani garantiti al Centro assistenziale diurno del Piccolo Pastore?»

«Non proprio in quel modo, reverendo Bacon, ma se i fondi sono disponibili e svincolati…»

«Ma è illegale! Sta parlando di una commistione di fondi! Non possiamo passare denari di una società a un'altra solo perché pare che una delle due ne abbia più bisogno.»

Fiske guardò la roccia dell'equità e probità fiscale, quasi aspettandosi una strizzatina d'occhio, anche se sapeva che il reverendo Bacon non era uno facile agli ammiccamenti. «Be', la diocesi ha sempre voluto usare una certa flessibilità con lei, reverendo Bacon, nel senso che, se era possibile trovare spazio a un'interpretazione larga delle norme, quale ad esempio quella al tempo in cui lei e il consiglio di amministrazione della Società di ristrutturazione della famiglia nella città interna faceste un viaggio a Parigi e la diocesi lo pagò con i fondi della Società missionaria…» Una volta ancora stava affogando nella minestra sintattica, ma poco male.

«Niente da fare!» affermò il reverendo Bacon.

«Be', se non proprio così, tuttavia…»

La voce della segretaria del reverendo Bacon si fece sentire all'interfono. «Il signor Vogel è in linea.»

Il reverendo Bacon si portò al telefono sulla credenza: «Al? Sìì, l'ho visto. Quella gente trascina il nome del ragazzo nel fango senza pensarci due volte».

Il reverendo Bacon e il suo interlocutore andarono avanti per qualche tempo a commentare l'articolo del «Daily News». Questo signor Vogel ricordò evidentemente al reverendo Bacon che il procuratore distrettuale, Weiss, aveva detto al «Daily News» che non c'erano prove a sostegno della teoria di un tentativo di rapina.

«Non dipende da lui» disse il reverendo Bacon. «Lui è come il pipistrello. Sai la favola del pipistrello? Gli uccelli e le bestie erano in guerra. Quando stavano vincendo gli uccelli, il pipistrello diceva di essere un uccello, perché sapeva volare. Quando vincevano le bestie, il pipistrello diceva di essere una bestia, perché aveva i denti. Per questo il pipistrello non si fa vedere di giorno. Nessuno vuole guardare le sue due facce.»

Il reverendo Bacon restò in ascolto per un po', poi disse: «Sì, Al. Qui con me, in questo momento, c'è un signore della diocesi episcopale di New York. Vuoi che ti richiami? Ah-haah! Uh-haah. Dici che il suo appartamento vale tre milioni di dollari?». Scosse la testa. «Mai sentita una cosa simile. Secondo me è tempo che Park Avenue senta la voce delle strade. Ah-haaah! Ti richiamo per parlarne ancora. Prima di telefonarti, ne parlerò con Annie Lamb. Quando pensi alla citazione? Sempre lo stesso, più o meno, ieri, quando ho parlato con lei. È tenuto in vita artificialmente. Non dice una parola e non riconosce nessuno. Se si pensa a quel giovane, non c'è cifra che possa ripagare, vero? Be', ti richiamo appena possibile.»

Dopo aver riappeso il telefono, il reverendo Bacon scosse la testa tristemente, ma poi alzò lo sguardo con un bagliore negli occhi e l'accenno di un sorriso. Con prontezza atletica si alzò dalla sedia e aggirò la scrivania con la mano protesa, come se Fiske avesse appena annunciato che se ne doveva andare.

«Mi fa sempre piacere vederla!»

Soprappensiero, Fiske gli strinse la mano, dicendo contemporaneamente: «Ma, reverendo Bacon, non abbiamo…».

«Ne riparleremo. Ho un sacco di cose da fare. La manifestazione in Park Avenue per aiutare Lamb a citare Sherman McCoy per cento milioni di dollari di danni…»

«Ma, reverendo Bacon, non posso andar via senza una sua risposta. La diocesi vuole concludere… insomma, loro insistono per…»

«Dica alla diocesi che va tutto bene. La volta scorsa le dissi che questo è il miglior investimento che abbiate mai fatto. Dica loro che hanno un'opzione. Si stanno comperando il futuro con un bello sconto. Dica che vedranno cosa intendo dire molto presto, praticamente subito.» Pose un braccio sulle spalle di Fiske con un gesto cameratesco e lo spinse verso l'uscita, dicendo: «Non c'è niente di cui preoccuparsi. Lei sta andando bene, capisce. Proprio bene. Presto diranno: "Quel giovane ha rischiato, ma ha vinto il primo premio alla lotteria"».

Completamente stordito, Fiske venne sbattuto fuori da un'ondata di ottimismo e dalla pressione di un braccio molto forte sulla sua schiena.

Il rumore del megafono e le urla di rabbia si elevavano per dieci piani da Park Avenue nel calore di giugno. Dieci piani! Agevolmente! Quasi riescono ad arrivare fin quassù! E il pandemonio sottostante parve far parte dell'aria che respirava. Il megafono muggiva il suo nome! La C dura di McCoy passava attraverso il rombo della folla e si innalzava sulla vasta distesa di odio, in basso. Si sporse dalla finestra della biblioteca e si arrischiò a guardare in giù. E se mi vedono! I manifestanti si erano sparpagliati per la strada da entrambi i lati della striscia floreale mediana e avevano bloccato il traffico. La polizia stava tentando di riportarli sui marciapiedi. Tre poliziotti stavano inseguendo un gruppo, quindici o venti elementi almeno, tra i tulipani gialli della striscia mediana. Correndo, i manifestanti tenevano alto un lungo striscione: SVEGLIA, PARK AVENUE! NON PUOI NASCONDERTI ALLA GENTE! I tulipani gialli venivano abbattuti via via: i dimostranti si lasciavano alle spalle una scia di fiori calpestati, e i poliziotti calpestavano a loro volta quella scia. Sherman li fissava, inorridito. La vista degli stupendi tulipani gialli primaverili di Park Avenue che cadevano ai piedi della folla lo paralizzava di paura. Una troupe televisiva si affannava a seguirli e a rimanere al passo con i dimostranti. Quello che portava la telecamera sulle spalle inciampò, e cadde a terra, con telecamera e tutto. I cartelli e gli striscioni della folla si muovevano a scatti e ondeggiavano come vele in un porto ventoso. Un enorme striscione diceva, inesplicabilmente: IL PUGNO GAY CONTRO LA GIUSTIZIA DI CLASSE. Le due S di CLASSE erano svastiche. Un altro… Cristo! Sherman trattenne il fiato. In lettere gigantesche diceva:

SHERMAN McCOY:

NOI LA GIURIA

TI VOGLIAMO!

Poi c'era un disegno approssimativo di un dito indice che puntava sul TI come nei vecchi manifesti zio SAM TI VUOLE. Sembrava che lo tenessero a una certa angolazione perché lui potesse leggerlo da dove si trovava. Lasciò di corsa la biblioteca e si andò a sedere in fondo al soggiorno su una poltrona, una delle adorate bergère Luigi Qualcosa di Judy, o quello era invece un fauteuil? Killian marciava avanti e indietro, tuttora esultante per l'articolo sul «Daily News», evidentemente per tirarlo su di morale, ma Sherman ormai non lo stava più a sentire. Sentiva invece la brutta voce bassa di una delle guardie del corpo che stava nella biblioteca a rispondere al telefono. «Ficcatelo in faccia.» Ogni volta che arrivava per telefono una delle tante minacce, la guardia del corpo, un uomo basso e scuro di colorito, un certo Occhioni, diceva: «Ficcatelo in faccia». Da come lo diceva, suonava peggio di una qualsiasi delle più classiche volgarità. Come avevano trovato il suo numero d telefono? Forse attraverso la stampa. E tutti ad approfittare della "cavità" aperta! Erano qui a Park Avenue di sotto, al portone. Erano al telefono! Quanto mancava a che irrompessero in casa, dall'entrata, e arrivassero di corsa attraversando il solenne pavimento di marmo verde? L'altra guardia del corpo, McCarthy, era nell'entrata, seduto su una delle poltrone Thomas Hope tanto amate da Judy, e a che cosa sarebbe servito? Sherman si lasciò andare all'indietro, gli occhi (issi in basso sulle gambe sottili di un tavolo Sheraton Pembroke, un mobile favolosamente costoso che Judy aveva trovato da uno degli antiquari della Cinquantasettesima Strada. Favolosamente costoso!… favolosamente… Occhioni diceva: «Ficcatelo in faccia» a chiunque telefonasse per minacciare morte. Duecento dollari per otto ore di lavoro: altri duecento dollari per l'impassibile McCarthy da raddoppiare per le due guardie del corpo a casa dei suoi genitori nella Settantatreesima Est, dove Judy, Campbell, Bonita e la signorina Lyons erano andate a stare: insomma, ottocento dollari per otto ore di lavoro. Tutti ex poliziotti di New York City, ora appartenenti a un'agenzia nota a Killian. In tutto duemilaquattrocento dollari al giorno: un'emorragia di denaro MCCOY!… MCCOY!… dalla strada un terribile ruggito. E ora non stava già più pensando al tavolo Pembroke o alle guardie del corpo. Stava fissando il vuoto con sguardo privo di espressione e pensava, al fucile. Com'era grosso? Lo aveva usato tante volte, e di recente alla caccia del Leash Club l'autunno scorso, ma non riusciva a ricordare com'era grosso. Era grosso, certo, perché era un calibro 12 a due canne. Era forse troppo grosso per entrare in bocca? No, non poteva essere così grosso, ma cosa si provava? Cosa si provava quando toccava la parte superiore della bocca? E che sapore aveva? Avrebbe avuto dei problemi a respirare abbastanza a lungo prima di… Come avrebbe premuto il grilletto? Vediamo, avrebbe portato decisamente le canne in bocca con una mano, la sinistra… ma com'era lunga la canna? Era lunga… Ce la faceva ad arrivare al grilletto con la destra? Forse no! L'alluce! Aveva letto, chissà dove, di un tale che si era levato la scarpa e aveva premuto il grilletto con l'alluce. Dove l'avrebbe fatto? Il fucile si trovava nella casa di Long Island… ammettendo che fosse in grado di arrivare a Long Island, di uscire dal palazzo, di fuggire da Park Avenue assediata, uscir vivo da… NOI SIAMO LA GIURIA. L'aiuola dietro il capanno degli attrezzi. Judy la chiamava sempre l'aiuola da tagliare. Si sarebbe seduto lì. Se anche avesse fatto uno scempio, poco male. Ma se fosse stata Campbell a trovarlo?! Il pensiero non lo gettò in lacrime come aveva pensato… sperato addirittura. Lei non avrebbe trovato suo padre. Lui non era più suo padre… non era più quell'essere che tutti avevano conosciuto come Sherman McCoy. Lui era soltanto una cavità che si riempiva in fretta di odio vile e violento.

Nella biblioteca suonò il telefono. Sherman s'irrigidì. Ficcatelo in faccia? Invece sentì soltanto il brontolio della voce normale di Occhioni. L'uomo infilò la testa nel soggiorno e disse: «Ehi! signor McCoy, c'è una tale che si chiama Sally Rawthrote. Vuole parlarci o no?».

Sally Rawthrote? Era la donna seduta vicino a lui dai Bavardage, la donna che aveva perso subito ogni interesse in lui e che lo aveva escluso per tutto il resto del pranzo. Perché gli voleva parlare adesso? Perché mai lui doveva parlarle? O voleva? Lui non voleva, ma una minuscola fiammella di curiosità si era accesa nella sua cavità, e così si alzò, guardò Killian, scrollò le spalle, andò in biblioteca, si sedette alla scrivania e sollevò il telefono.

«Pronto?»

«Sherman! Sono Sally Rawthrote.» Sherman. Il più vecchio amico del mondo. «Spero che non sia un brutto momento?»

Un brutto momento? Da basso un terribile boato si levò e il megafono strillò e muggì: e lui sentì il suo nome. McCOY! MCCOY!

«Be', naturalmente è un brutto momento» disse Sally Rawthrote. «Che cosa dico mai? Ma mi è venuto in mente di rischiare, di telefonare e vedere se posso essere d'aiuto in qualche modo.»

D'aiuto? Mentre parlava, il suo volto tornò in mente a Sherman, quel volto sgradevole, quegli occhi miopi che si mettevano a fuoco vicinissimo al suo naso.

«Be', grazie» disse Sherman.

«Già, io abito a pochi isolati. Dalla stessa parte della strada.»

«Oh, sì.»

«Sto sull'angolo di nord-ovest. Se uno decide di abitare a Park Avenue, secondo me non c'è nulla di paragonabile all'angolo di nord-ovest. C'è tanto di quel sole! Certo, anche lì da voi è carino. Nel suo palazzo ci sono alcuni tra i migliori appartamenti di New York. Nel vostro ci sono stata solo quando era dei McLeod. Ci stavano prima dei Kittredge. Comunque, dalla mia camera, che è d'angolo, riesco a vedere Park Avenue fino a casa vostra. Anche adesso sto guardando, e quella folla… è una vergogna! Un'autentica vergogna! Mi sento così male per lei e per Judy, che ho dovuto telefonare per vedere se c'è qualcosa che posso fare. Spero di non essere inopportuna, eh?»

«No no, lei è molto gentile. A proposito, dove ha trovato il mio numero di telefono?»

«Ho telefonato a Inez Bavardage. Non ho fatto bene?»

«Per essere franco, a questo punto non cambia un accidente di niente, signora Rawthrote.»

«Sally.»

«In ogni caso, grazie.»

«Come dico, se posso essere d'aiuto, me lo faccia sapere. Per l'appartamento, voglio dire.»

«L'appartamento?»

Un altro brontolio: un ruggito: MCCOY! MCCOY!

«Se dovesse decidere di far qualcosa dell'appartamento, io lavoro alla Bennyng Sturtevant, come forse sa, e so che spesso in situazioni simili la gente trova vantaggioso disporre di una buona liquidità. Ha, ha, non spiacerebbe neppure a me! Comunque, è una constatazione, e io le assicuro… le assicuro… che le posso farle avere tre e mezzo per il suo appartamento. Così, sull'unghia. Glielo garantisco.»

La spudoratezza della donna era stupefacente. Al di là del bene e del male, al di là del buon gusto! Stupefacente. Tanto da spingere Sherman al sorriso; e non pensava di poter sorridere.

«Be', be', be', be', Sally, ammiro davvero la sua preveggenza. Lei ha guardato fuori dalla finestra di nordovest e ha visto un appartamento in vendita.»

«Per niente! Ho solo pensato…»

«Be', purtroppo arriva un po' tardi, Sally. Dovrà parlarne con un tale Albert Vogel.»

«Chi sarebbe?»

«È l'avvocato di Henry Lamb. Mi ha citato per cento milioni di dollari, e non so se posso vendere un solo tappeto a questo punto. Be', forse un tappeto sì. Vuole vendere per mio conto un tappeto?»

«Ha, ha! No. Di tappeti non so assolutamente nulla. Non capisco come possano bloccare i suoi capitali. Mi sembra del tutto sleale, ingiusto. Insomma, lei è la vittima, dopotutto, non è vero? Ho letto l'articolo sul "Daily News", oggi. Di solito leggo solamente Bess Hill e Bill Hatcher, ma mentre lo sfogliavo… ecco la sua foto! Mi sono detta: "Dio mio, è Sherman!". E così ho letto tutta la storia… e, insomma, lei ha cercato solo di evitare una rapina. È così ingiusto!» Continuava a ciarlare. Era a prova di bomba. Inutile tentare di prenderla in giro.

Dopo aver riappeso, Sherman fece ritorno nel soggiorno.

Killian chiese: «Chi era?».

Sherman disse: «Un'agente immobiliare. L'ho conosciuta a una cena. Voleva vendere il mio appartamento.»

«Ha detto quanto potrebbe fare?»

«Tre milioni e mezzo di dollari.»

«Be', vediamo» disse Killian. «Se prende il suo sei per cento di commissione, sono duecentodiecimila dollari. Vale la pena di far la figura dell'opportunista marcia, immagino. Ma devo marcare un punto a suo favore.»

«E cioè?»

«Ti ha fatto sorridere. Non è poi così cattiva.»

Altro ruggito, il più forte fino a quel momento: MCCOY! MCCOY! Loro due rimasero fermi al centro del soggiorno ad ascoltare per un attimo.

«Gesù, Tommy» disse Sherman. Era la prima volta che lo chiamava per nome, anzi per diminutivo, non si soffermò a pensarci. «Non riesco a credere di essere qui mentre sta accadendo questo finimondo. Io sono rintanato nel mio appartamento e Park Avenue è occupata da una folla che vuole uccidermi. Uccidermi!»

«Oooooooh! per l'amor di Dio, è l'ultima cosa che vogliono. Morto non vali una cicca per Bacon, e lui invece pensa che da vivo varrai un sacco di soldi per lui.»

«Per Bacon? Che cosa ne ricava?»

«Lui pensa di ricavarne milioni e milioni. Non lo posso provare, ma sono certo che questa baraonda è legata all'azione civile.»

«Ma è Henry Lamb a citarmi in giudizio. O sua madre, immagino, per suo conto. Come fa a ricavarne qualcosa Bacon?»

«E va bene. Chi è l'avvocato che rappresenta Henry Lamb? Albert Vogel. E come ha fatto la madre di Henry Lamb ad arrivare ad Albert Vogel? Perché ha tanto ammirato la sua brillante difesa dei quattro di Utica e degli otto di Waxahachie nel 1969? Non ci pensare neanche. E Bacon che la spinge verso Vogel: loro due sono culo e camicia. Di tutto quello che i Lamb possono ricavare dall'azione civile, Vogel ne terrà almeno un terzo, e stai pur certo che farà a metà con Bacon, o si troverà una folla infuriata che gli corre dietro. C'è una cosa di questo mondo che conosco dalla A alla Z, e cioè gli avvocati e da dove viene e dove va il loro denaro.»

«Ma Bacon aveva già dato vita alla campagna per Henry Lamb anche prima di sapere che c'ero di mezzo io.»

«Oh, al principio se la sono presa solo con l'ospedale con l'accusa di grave negligenza. Citavano in giudizio la città. Se Bacon riusciva a montare molto il caso sulla stampa e alla tivù, una giuria gli avrebbe concesso quel che voleva. Una giuria in un caso civile con un risvolto razziale? Aveva un buon colpo in canna.»

«Lo stesso vale per me, no?» disse Sherman.

«Non voglio prenderti in giro. È proprio così. Ma, se riesci a cavartela nel caso penale, è più che sicuro che non ci sarà un procedimento civile.»

«E se non me la cavo nel penale, del procedimento civile non m'importerà un bel niente!» esclamò Sherman, con aria particolarmente tetra.

«Be', devi ammettere però» disse Killian con un tono di voce incoraggiante, «che questa faccenda ti ha reso un gigante a Wall Street. Un mostruoso gigante, fratello. Hai visto come ti ha chiamato Flannagan sul "Daily News"? Il favoloso venditore capo delle obbligazioni alla Pierce & Pierce. Favoloso. Una leggenda vivente. Sei il figlio dell'aristocratico John Campbell McCoy, un tempo alla testa dello studio Dunning Sponget & Leach. Sei il favoloso genio delle banche d'investimenti, per di più sei un aristocratico. Probabilmente Bacon pensa che tu hai metà delle ricchezze del mondo.»

«Se vuoi sapere la verità» disse Sherman, «non so neppure dove andare a trovare i soldi per pagare…» fece un gesto verso la biblioteca dove stava Occhioni. «In quell'azione civile si parla di tutto. Si parla perfino della quota trimestrale degli utili, che secondo loro dovrei percepire mensilmente. Non riesco neppure a immaginare come fanno a saperlo. Si riferiscono a quegli utili con la denominazione gergale interna alla società, cioè li chiamano la "torta B". Evidentemente conoscono qualcuno della Pierce & Pierce.»

«La Pierce & Pierce si prenderà cura di te, no?»

«Ah! Io per la Pierce & Pierce non esisto più. Non c'è niente di simile alla lealtà, alla solidarietà, in Wall Street. Forse c'era una volta. Mio padre ne parla sempre come se ci fosse ancora, ma ora non c'è più. Ho ricevuto una sola telefonata dalla Pierce & Pierce, e non da Lopwitz, ma da Arnold Parch. Voleva sapere se potevano fare qualcosa per me, e poi ha chiuso in fretta e furia la comunicazione, per paura che io riuscissi a pensare a qualcosa. E comunque non so perché dovrei prendermela con la Pierce & Pierce, e basta. I nostri amici si sono comportati tutti allo stesso modo. Mia moglie non riesce neanche a combinare delle piccole feste per nostra figlia. Ha sei anni e…»

Si arrestò. All'improvviso non se la sentì di sviscerare i suoi problemi personali davanti a Killian. Il maledetto Garland Reed e sua moglie! Non lasciavano neppure che Campbell andasse a giocare con MacKenzie! Con scuse davvero pietose. Garland non aveva telefonato neanche una volta, eppure lo conosceva da una vita. Solo Rawlie aveva avuto il fegato di telefonare. Aveva chiamato tre volte. Forse avrebbe avuto perfino il fegato di andarlo a trovare se NOI LA GIURIA avessero mai abbandonato Park Avenue. Sì, forse l'avrebbe fatto.

«Ti fa davvero pensare a come tutto avvenga in gran fretta» disse a Killian. Non avrebbe voluto sbilanciarsi così, ma non poté farne a meno. «Tutti i legami che hai, tutta la gente con cui sei stato a scuola e all'università, la gente che è iscritta ai tuoi stessi club, la gente con cui esci a cena… un unico filo, Tommy, i legami che fanno la tua vita, ma quando il filo si spezza… è finita! È finita! Mi spiace tanto per mia figlia, la mia bambina. Lei piangerà per me, per il suo papà, il papà che ricorda, senza sapere che è già morto.»

«Di cosa cavolo stai parlando?» disse Killian.

«Non hai mai passato cose simili. Sì, non dubito che ne hai viste un sacco, ma non ci sei mai passato di persona. Non so come spiegare la sensazione. Ti posso soltanto dire che sono già morto, o meglio che lo Sherman McCoy della famiglia McCoy, di Yale, Park Avenue e Wall Street, è morto. Anche tu… non so come spiegarlo, ma se, Dio non voglia, ti dovesse capitare qualcosa di simile, saprai che cosa voglio dire. Tu… vuol dire gli altri, tutta la gente a cui sei legato, ed è soltanto un filo.»

«Ehiiiii! Sherman!» esclamò Killian. «Dacci un taglio. Non fa bene mettersi a filosofale nel bel mezzo di una guerra.»

«Che razza di guerra…»

«Per l'amor di Dio, checcavolo checcavolo? Quel pezzo sul "Daily News" è importantissimo per te. Weiss dev'essere impazzito. Gli abbiamo fatto a pezzi quel suo teste teppista di terza categoria, Roland Auburn. E adesso abbiamo la nostra teoria su quel che è successo. Adesso la gente ha delle buone basi per sostenerci. Abbiamo lanciato l'idea che tu eri la vittima predestinata di una trappola, di una rapina. Questo cambia completamente il quadro per quel che ti riguarda, senza comprometterti in alcun modo.»

«È troppo tardi.»

«Checcavolo vuoi dire, troppo tardi? Dai tempo al tempo, Cristo. Quel Flannagan del "News" farà quel che vorremo. L'inglese, Fallow, quello del "City Light", si sta facendo il culo con questa storia. Perciò ascolterà volentieri tutto quel che gli darò. Questa storia del cazzo che ha appena scritto non sarebbe venuta meglio se gliela avessi dettata io. Non solo identifica Auburn, ma si serve della foto segnaletica di Quigley!» Killian era al settimo cielo. «E sottolinea il fatto che due settimane fa Weiss definì Auburn il re del Crack di Evergreen Avenue.»

«Che differenza fa?»

«Non fa una buona impressione. Se tu hai un tizio in galera per un reato grave, e lui viene fuori all'improvviso a testimoniare in cambio del ritiro dell'imputazione o di una grossa derubricazione, non fa buona impressione. Non fa buona impressione a una giuria, e non fa buona impressione alla stampa. Se fosse nei pasticci per una contravvenzione o un delitto minore, non farebbe tanta differenza, perché si riterrebbe che non gli importi tanto, visto che comunque non dovrebbe scontare una condanna lunga.»

Sherman disse: «C'è una cosa che mi domando da sempre, Tommy. Perché Aubum, quando ha raccontato la sua versione… perché ha detto che guidavo io l'automobile? Perché non Maria, che stava veramente al volante quando Lamb fu investito? Che differenza faceva per Auburn?».

«Doveva metterla in quel modo. Non sapeva se altri testimoni avevano visto la tua auto prima che Lamb venisse urtato o subito dopo il fatto, e in qualche modo doveva spiegare che tu eri alla guida fino a quando avvenne il fatto e lei da quel momento in poi. Se lui diceva che ti eri fermato, che poi vi eravate scambiati di posto, che lei era ripartita e aveva investito Lamb, a quel punto la domanda più logica sarebbe stata: "Perché si sono fermati?" e la risposta più logica: "Perché un malvivente come Roland Auburn aveva bloccato la strada e cercato di derubarli".»

«Quel, come si chiama… Flannagan… non ha parlato di queste cose.»

«Esatto. Noterai che non gli ho detto niente di una donna in automobile o al volante. Quando sarà il momento, vogliamo Maria dalla nostra parte. Noterai anche che Flannagan ha scritto il suo pezzo del cazzo senza neppure insistere troppo sulla "donna misteriosa".»

«Un tipo molto servizievole. Perché mai?»

«Oh, io lo conosco. È un altro asino, come me, che cerca di far strada in America. Fa i suoi bravi depositi nella Banca dei Favori. L'America è un paese meraviglioso.»

Per un attimo il morale di Sherman si alzò di un paio di centimetri, ma poi si afflosciò ancora di più. Era l'ovvia euforia di Killian a provocarlo. Killian esultava per il suo genio strategico nella "guerra". Aveva guidato una specie di sortita con successo. Per Killian era un gioco. Se vinceva, stupendo. Se perdeva… be' alla prossima guerra. Per lui, Sherman, non c'era niente da vincere. Aveva già perso quasi tutto, irrimediabilmente. Nella migliore delle ipotesi, poteva soltanto evitare di perdere tutto.

Il telefono squillò in biblioteca. Sherman chiamò raccolta le ultime forze, e presto Occhioni ricomparve sulla porta.

«C'è un tale che si chiama Pollard Browning, signor McCoy.»

«Chi è?» chiese Killian.

«Abita in questo palazzo. È il presidente del consiglio di condominio.»

Andò in biblioteca e prese il telefono. Dalla strada, un altro ruggito, altre urla belluine nel megafono: MCCOY! MCCOY!

Senza dubbio si dovevano sentire anche chez Browning. S'immaginava quel che doveva pensare Pollard.

Ma la sua voce era abbastanza amichevole. «Come ti senti, Sherman?»

«Ma, bene, direi.»

«Mi piacerebbe fare un salto su da te, ma non vorrei sembrarti troppo invadente.»

«Sei a casa?» chiese Sherman.

«Appena arrivato. Non è stato facile entrare nel palazzo, ma ce l'ho fatta. Allora, non ti disturbo?»

«No, no. Vieni pure.»

«Vengo dalla scala antincendio, se ti va. Eddie è molto indaffarato al portone d'ingresso. Forse non sentirebbe neppure il cicalino.»

«Ti vengo incontro là dietro.»

Disse a Killian che andava in cucina per fare entrare Browning.

«Ehiiii!» disse Killian. «Visto? Non si sono dimenticati di te.»

«Lo vedremo» disse Sherman. «Stai per incontrare Wall Street nella sua più pura essenza.»

Nella grande cucina silenziosa, con la porta aperta, Sherman sentì Pollard avanzare rumorosamente per i gradini metallici della scala di sicurezza. Presto fu in vista, sbuffante, per essersi arrampicato lungo due intere rampe, ma sempre impeccabile. Pollard era uno di quei quarantaduenni rotondetti che hanno un aspetto più gradevole ed elegante di ogni atleta della stessa età. Le sue guance lisce spiccavano su una camicia bianca di cotone peruviano lucido. Un abito grigio pettinato, tagliato e confezionato su misura, si adagiava su ogni centimetro quadrato del suo corpo burroso senza fare una grinza. Portava una cravatta blu scuro con lo stemma dello Yacht Club e un paio di scarpe nere tanto ben fatte da far sembrare minuscoli i suoi piedi. Era lustro come un castoro.

Sherman lo fece uscire dalla cucina e lo condusse nell'atrio d'ingresso, dove l'irlandese, McCarthy, stava seduto nella poltrona Thomas Hope. La porta che conduceva in biblioteca era aperta e Occhioni era abbondantemente visibile là dentro.

«Guardie del corpo» Sherman si sentì costretto a dire a Pollard, a voce bassa. «Scommetto che non avresti mai pensato di conoscere uno con delle guardie del corpo.»

«Uno dei miei clienti… conosci Cleve Joyner della United Carborundum?»

«Non lo conosco.»

«Sono sei o sette anni che ha delle guardie del corpo. Vanno con lui dappertutto.»

Nel soggiorno Pollard lanciò una rapida occhiata agli indumenti sgargianti di Killian e sulla faccia gli apparve uno sguardo triste, pieno di acre disappunto. Pollard disse: «Come sta?» e Killian disse: «Come va?». Le narici di Pollard si contrassero lievemente, come quelle del padre di Sherman nel sentire i nomi di Dershkin, Bellavita, Fishbein & Schlossel.

Sherman e Pollard andarono a sedersi in una delle aree di conversazione organizzate da Judy al fine di riempire l'ampio locale. Killian uscì e andò in biblioteca a parlare con Occhioni.

«Be', Sherman» disse Pollard, «sono stato in contatto con tutti i membri del comitato esecutivo, a parte Jack Morrissey, e voglio farti sapere che hai il nostro sostegno, e faremo tutto quel che possiamo. So benissimo che dev'essere una tremenda situazione per te, Judy e Campbell.» Scosse la testa liscia e rotonda.

«Grazie, Pollard. Non è troppo piacevole, no.»

«Ora, ho avuto un contatto anche con l'ispettore del Diciannovesimo Distretto, e penseranno loro a sorvegliare la porta d'ingresso, perché noi si possa entrare e uscire, ma ha detto che non può tenere lontano dal palazzo i manifestanti. Pensavo che li potessero tenere a centocinquanta metri almeno, ma lui sostiene che non può farlo. Secondo me, è una vergogna, onestamente. Quel mucchio di…» Sherman riuscì a vedere Pollard che si frugava la testa liscia in cerca di un modo aggraziato di esprimere un insulto razziale. Poi abbandonò lo sforzo: «… quella folla!». Scosse ancora a lungo la testa.

«È un football politico, Pollard. Io sono un football politico. Quello che vive sopra la tua testa.» Sherman tentò di abbozzare un sorriso. Contro tutti i suoi istinti migliori, voleva piacere a Pollard e avere la sua simpatia. «Spero che tu abbia letto il "Daily News" di oggi, Pollard.»

«Non leggo praticamente mai il "Daily News". Ho letto il "Times".»

«Leggi l'articolo sul "Daily News", se puoi. È il primo pezzo che dà un'idea precisa di quel che è realmente accaduto e sta accadendo.»

Pollard scosse il capo ancora più tristemente. «La stampa è peggio dei manifestanti, Sherman. Sono di una prepotenza inaudita. Ti abbordano, ti sequestrano. Abbordano chiunque cerchi di entrare qui dentro. Ho dovuto passare sotto le forche caudine proprio un momento fa per entrare nel mio palazzo. E poi si sono buttati tutti addosso al mio autista! Sono insolenti! Sono un branco di sporchi piccoli negri.» Negri? «E naturalmente la polizia non ha alcuna voglia di intervenire. È come se tu dovessi essere un bersaglio facile solo perché sei abbastanza fortunato da abitare in un palazzo come questo.»

«Non so che cosa dire. Mi spiace tantissimo per tutto, Pollard.»

«Sfortunatamente…» Lasciò cadere la frase. «Non c'è mai stato niente del genere in Park Avenue, Sherman. Voglio dire, una dimostrazione mirata a Park Avenue, come zona residenziale. È intollerabile. È come se, poiché questa è Park Avenue, ci siano negati la quiete e il rifugio nelle nostre case. E il nostro palazzo è al centro di tutto.»

Sherman avvertì un allarme neurale a proposito di quel che avrebbe potuto dire, ma non ne fu certo. Prese a scuotere la testa all'unisono con quella di Pollard, per far vedere che il suo cuore era al posto giusto.

Pollard disse: «Pare che intendano venire qui tutti i giorni e rimanerci ventiquattr'ore su ventiquattro, finché… finché non so cosa». La testa stava andando davvero forte.

Sherman si adeguò al nuovo ritmo, muovendo la sua testa. «Chi te l'ha detto?»

«Eddie.»

«Eddie, il portiere?»

«Sì. Anche Tony, che era di servizio prima che arrivasse Eddie, alle quattro. Ha detto a Eddie la stessa cosa.»

«Non riesco a credere che lo faranno, Pollard.»

«Fino a oggi come avresti potuto credere che un branco di… che avrebbero tenuto una manifestazione davanti al nostro palazzo di Park Avenue, no? Insomma, eccoci qua.»

«È vero.»

«Sherman, siamo amici da tanto tempo. Siamo stati insieme al Buckley. Bei tempi, vero?» Fece un sorrisetto stanco. «Mio padre conosceva tuo padre. Perciò ti parlo da vecchio amico che intende fare per te quello che è possibile. Ma sono anche presidente del consiglio di condominio del palazzo, e ho delle responsabilità nei confronti degli altri che devono avere la precedenza sulle mie amicizie personali.»

Sherman si sentì arrossire violentemente. «E questo cosa vuol dire, Pollard?»

«Be', solo questo. Non riesco a immaginare che questa sia una situazione comoda per te, tenuto virtualmente prigioniero in questo palazzo. Non hai preso in considerazione… un cambio di residenza? Fino a che le cose non si calmino un po'?»

«Oh, ci ho pensato, sì. Judy, Campbell, la nostra donna e la governante adesso sono dai miei genitori. Francamente mi terrorizza già che quei bastardi là fuori lo possano venire a sapere, ci vadano, e facciano chissà che cosa: quella casa unifamiliare è completamente indifesa. Ho pensato di trasferirmi a Long Island, ma tu hai visto la nostra casa. È praticamente aperta, porte-finestre dappertutto. Non sarebbe possibile tener fuori uno scoiattolo. Ho pensato a un albergo, ma in un albergo la sicurezza è inesistente. Ho pensato di stare al Leash, ma anche lì abbiamo una casa isolata, Pollard. Sto ricevendo minacce di morte. Minacce di morte. Oggi ci sono state almeno una dozzina di telefonate.»

Gli occhietti di Pollard vagavano rapidi per la stanza, come se loro potessero arrivare anche dalle finestre. «Be', francamente… è una ragione di più, Sherman.»

«Una ragione per che cosa?»

«Dovresti prendere in considerazione… fare qualcosa! Vedi, non rischi tu soltanto. Tutti in questo palazzo rischiano, Sherman. Mi rendo conto che non è colpa tua, non direttamente, certo, ma ciò non altera i fatti.»

Sherman sapeva di avere il volto in fiamme. «Alterare i fatti! I fatti sono che la mia vita è minacciata, e che questo è il posto più sicuro a mia disposizione, e si dà il caso che sia casa mia. Se posso ricordarti questo fatto.»

«Lascia che io ricordi a te e, di nuovo, lo faccio soltanto perché ho responsabilità più alte, lascia che ti ricordi che hai una casa qui perché sei socio di una cooperativa edilizia. Si chiama cooperativa per una sola ragione, e certi obblighi, da parte tua e da parte del consiglio, derivano dal contratto che hai posto in esecuzione quando hai acquistato le tue quote. Non posso assolutamente alterare quei fatti.»

«Io mi trovo nella situazione più critica della mia vita, e tu tiri in ballo il diritto contrattuale?»

«Sherman…» Pollard abbassò lo sguardo e protese in alto le braccia, con grande tristezza. «Io non devo pensare solo a te e alla tua famiglia, ma alle altre tredici famiglie di questo palazzo. E noi non ti chiediamo di fare una cosa in via definitiva.»

Noi! Noi la giuria: dentro le mura di casa!

«Perché non sei tu ad andartene, Pollard, se hai tanta paura? Perché non te ne vai insieme a tutto il comitato esecutivo? Sono certo che il vostro luminoso esempio ispirerà gli altri, e se ne andranno anche loro, e nessuno rischierà qui, nel vostro adorato palazzo, a parte gli esecrabili McCoy che hanno creato tutti questi problemi!»

Occhioni e Killian sbirciavano dalla porta della biblioteca, e McCarthy guardava invece dall'atrio d'ingresso. Ma lui non riuscì a trattenersi.

«Sherman…»

«Andarmene via? Hai un'idea di che razza di assurdo e tronfio babbeo sei? Tu che vieni qui, spaventato a morte, a dirmi che il consiglio nella sua infinita saggezza ritiene giusto che io… me ne vada?»

«Sherman, so che sei nervoso…»

«Andarmene via? L'unica persona che va via, Pollard, sei tu! Tu vai via dal mio appartamento e subito! E te ne vai da dove sei venuto, dalla porta di servizio!» Puntò un braccio e un indice rigido in direzione della cucina.

«Sherman, sono salito qui in assoluta buona fede.»

«Oooooh, Pollard! Eri un ridicolo sbruffone grasso al Buckley e sei un ridicolo sbruffone grasso adesso. Ho già abbastanza guai per la testa senza la tua buona fede. Addio, Pollard.» Lo prese per il gomito e cercò di trascinarlo verso la cucina.

«Non mettermi le mani addosso!»

Sherman gli tolse la mano di dosso. Fremente di rabbia: «Allora, vattene!».

«Sherman, non ci lasci altra scelta se non applicare la norma che riguarda le "situazioni inaccettabili".»

L'indice rigido e teso si appuntò sulla cucina e Sherman disse in tono smorzato: «Cammina, Pollard. Se sento ancora una tua parola tra qui e le scale antincendio, si verificherà davvero una situazione inaccettabile, puoi giurarci».

La testa di Pollard s'inturgidì in modo pericolosamente apoplettico. Poi l'uomo si voltò e marciò rapidamente attraverso l'entrata fino alla cucina. Sherman lo seguì, facendo tutto il rumore possibile.

Pollard, una volta arrivato sul sicuro rifugio delle scale antincendio, si voltò e, su tutte le furie, disse: «Ricorda, Sherman. Sei tu che hai acceso le polveri».

«Acceso le polveri! Stupendo. Che straordinaria dialettica, Pollard!» Chiuse con fragore la vecchia porta metallica della cucina.

Quasi subito si pentì. Tornando in soggiorno, sentì il cuore battergli violentemente. Tremava. I tre uomini, Killian, Occhioni e McCarthy, bighellonavano con simulata aria di noncuranza.

Sherman si costrinse a sorridere, tanto per far vedere che andava tutto bene.

«Un tuo amico?» disse Killian.

«Sì, un vecchio amico. Siamo andati a scuola insieme. Mi vuole buttare fuori dal palazzo.»

«Con il cavolo» disse Killian. «Lo possiamo bloccare secco per i prossimi dieci anni.»

«Senti, voglio confessarti una cosa» disse Sherman. Si costrinse di nuovo a sorridere. «Fino a che non si è fatto vivo quel figlio di puttana, stavo pensando di farmi saltare le cervella. Adesso non mi sogno affatto di farlo. Gli risolverei tutti i suoi problemi; ci si farebbe bello per un mese di fila e nello stesso tempo si sentirebbe un santo. Direbbe a tutti come siamo cresciuti insieme, e scuoterebbe il suo testone rotondo. Penso di invitare quei bastardi di sotto» fece un segno verso le strade «a venire quassù e a ballare la mazurca proprio sopra quel suo testone tondo.»

«Ehiiiii!» esclamò Killian. «Così va bene. Adesso stai diventando un irlandese del cazzo. Gli irlandesi vivono da milleduecento anni di sogni di rivincita. Adesso sì che parli bene, fratello.»

Un altro ruggito si levò da Park Avenue nel calore di giugno MCCOY! MCCOY! MCCOY!