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Il cielo incandescente di Santa Monica inondava il giardino di Alan Levy di una luce così intensa da far scintillare la piscina. Il consigliere Nobel Wilts e il capo Marx erano accanto a me ai margini del roseto sul retro della casa. Trentadue varietà di rose erano state accuratamente rimosse e ammonticchiate in fondo al giardino. Non sarebbero state ripiantate. Quando la polizia avesse terminato il suo lavoro, sarebbero state gettate via.

Marx chiamò con un cenno della mano Sharon Stivic, l'investigatrice capo del coroner incaricata di sovrintendere al ritrovamento.

«Quanto ci vorrà ancora?»

«È uno scavo piuttosto grande. Bisogna fare attenzione. Non vogliamo perdere qualcosa d'importante.»

I cadaveri erano stati localizzati usando un sensore di rilevamento gas che individuava le insolite concentrazioni di metano generate dai tessuti in decomposizione. La posizione esatta era stata determinata grazie a un sonar a scansione laterale e adesso gli uomini del medico legale stavano scavando a mano.

«Devono essere la moglie e le figlie, vero?» disse Wilts.

Marx annuì. Il sonar ne aveva definito forma e dimensioni.

«Non lo sapremo per certo finché non saranno state identificate, ma si tratta di un adulto e di due bambini.»

«Cristo, credo di averla conosciuta. Sono quasi certo di averla incontrata. È stato un po' di tempo fa.»

Wilts arricciò il volto, nello sforzo di ricordare se avesse realmente incontrato la moglie di Alan Levy o meno, ma alla fine si arrese. Si asciugò la fronte, poi alzò gli occhi al cielo con espressione torva.

«Affanculo. Io mi tolgo da questo sole.»

Lo osservammo andare verso la casa che brulicava di tecnici della Scientifica, detective e giornalisti. La strada era invasa da così tanti furgoni delle reti televisive, veicoli del coroner e curiosi che ero stato costretto a lasciare la macchina tre isolati più in là. Quando era stata ammazzata Yvonne Bennett non si era visto neanche un giornalista, ma Yvonne non era un noto penalista che aveva assassinato la famiglia. Yvonne era soltanto una poveraccia che un tempo aveva protetto la sorella.

Quella mattina Marx mi aveva chiamato per informarmi che la notte precedente erano stati localizzati i corpi. Mi aveva chiesto di essere presente al recupero e così avevo fatto, anche se di cadaveri ne avevo visti fin troppi. Non ne volevo vedere altri, ma speravo di trovare delle risposte. Sia per me che per i Repko.

Indicai la montagna di terra smossa.

«È possibile che troviate il palmare di Debra Repko là dentro.»

«È possibile.»

«O magari in casa.»

«Se siamo fortunati.»

«O delle altre foto.»

«Spero proprio di no.»

«L'autopsia di Levy ha evidenziato qualcosa?»

«Niente. Il cervello era sano. Niente tumori, cisti o lesioni. Niente tracce di droghe. Gli esami del sangue erano normali. Cosa si può dire?»

«E le persone che lavorano allo studio?»

«Scioccati, come tutti. Levy aveva detto che la moglie lo aveva lasciato e se n'era andata portandosi via le figlie. È successo sette anni fa, prima dell'omicidio Frostokovich.»

«Qualche novità dai vicini?»

«La maggior parte non lo aveva neppure mai incontrato. Ci metteremo mesi a ricostruire questo casino.»

Non c'era altro da dire. È meglio prenderli vivi, se si vogliono delle risposte. Perché lo hai fatto? Sono solo sette o ne hai uccise altre? Invece, ci ritrovavamo con delle domande che non avrebbero mai avuto risposta. Perché Jonna Hill lo aveva ucciso?

Dalla casa ci giunse una risata fragorosa. Marx e io ci voltammo e vedemmo Wilts in compagnia di una bella reporter di una televisione locale. Wilts le stava palpando il sedere.

«Sa che sospettavate di lui?» chiesi.

«No. Non c'era motivo di dirglielo.»

Marx era andato dai Repko e dalle altre famiglie per spiegare perché le aveva ingannate, ma non aveva rivelato che il suo sospettato era Wilts. Un risolutore fino alla fine, aveva voluto tenere Wilts fuori dalla vicenda. Ammiravo il suo coraggio nell'aver affrontato le famiglie.

Due uomini con delle pale dalla lama piatta e tozza erano dentro una buca grande un metro per due. Grattavano via la terra poco per volta. Si bloccarono tutti e due nello stesso momento, poi uno si chinò per toccare qualcosa. Indossavano guanti di gomma.

«Io me ne vado, capo. Non voglio vederle.»

Marx tenne lo sguardo abbassato per un momento.

«Pensa che davvero lo abbia registrato, quando lui le ha consegnato le foto?»

«Se l'è inventato. Si è inventata un sacco di cose. Sua sorella era uguale.»

«Se quel nastro esiste davvero, mi piacerebbe trovarlo.»

«Avete la sua deposizione.»

«Ascoltarlo potrebbe esserci utile. Non solo per quello che ha detto quel figlio di puttana, ma per come lo ha detto. Potrebbe spiegare un sacco di cose, rispondere a tanti interrogativi.»

«Se lo trova, me lo faccia sapere.»

Speravo che avesse ragione.

Lo lasciai lì, in piedi davanti alla buca nel giardino di Alan Levy, e mi avviai verso la folla ferma in strada. Il cielo era di uno splendido blu cristallino, scintillante come non lo avevo mai visto, ma esistevano tenebre in grado di offuscare il cielo anche in pieno giorno.

Le tenebre abitavano Alan Levy. Un'ombra scura si era posata su Jonna Hill ben prima che sua sorella venisse uccisa. Debra Repko aveva sfiorato le tenebre e non era mai più tornata. Perché era andata a passeggiare con lui? Perché lui l'aveva uccisa quella notte e non in un'altra? Non lo avremmo mai saputo.

Temo l'oscurità, ma ancor di più temo ciò che provoca in noi. Forse è il motivo per cui faccio questo lavoro. Scaccio le tenebre per far posto alla luce.

 

FINE