Aspettavo da solo fuori dalla sala degli interrogatori, sorseggiando un caffè da trentacinque centesimi preso alla macchinetta in fondo al corridoio. Il caffè era amaro e così bollente che mi scottò la lingua. Lo bevvi comunque. Il dolore era una distrazione piacevole.
Il tintinnio delle monetine dentro la macchinetta attirò la mia attenzione. Marx infilò i soldi, poi, mentre aspettava che la tazza si riempisse, mi vide. Si avvicinò con il suo caffè. Bevve un sorso e fece una smorfia.
«È terribile.»
«Orrendo.»
«Non capisco. Alla Centrale abbiamo una macchinetta che fa il miglior caffè del mondo. Stessa macchina, stessi trentacinque centesimi, quello è ottimo, questo fa schifo.»
Continuò comunque a berlo. Forse anche lui aveva bisogno di una distrazione, come me.
«Abbiamo messo la sua abitazione sotto sorveglianza. Non si è visto, ma i ragazzi la tengono d'occhio comunque. La madre della ragazza per questa notte la teniamo alla stazione di Foothill, poi dovremo sistemarla da qualche parte, magari in un motel. Lo prenderemo, quel bastardo.»
Erano solo parole, ma ne avevo bisogno. Forse aveva capito perché mi stavo scottando la lingua.
«Lei non è stato l'unico» disse Marx abbassando la voce. «Pensi come si sentiranno tutti quei pezzi grossi dello studio Barshop.»
Risi alla sua battuta e il faccione di Marx si aprì in un sorriso. Non lo avevo mai visto sorridere prima, e avrei scommesso che noi due non avremmo mai riso insieme.
«Sa cos'è che mi dà più fastidio?» dissi.
«Credo di saperlo.»
«Levy mi ha coinvolto nel suo piano. Mi ha reso suo complice.»
«Se vuole vederla in questo modo, allora sono stati coinvolti anche il giudice, Crimmens e tutti gli altri, ma per me è una stronzata. Lei ha fatto soltanto il suo lavoro. Levy ha visto un'occasione e l'ha colta. Abbiamo a che fare con un figlio di puttana estremamente furbo. Scommetto che ha pianificato tutto nel momento in cui ha saputo che qualcuno era stato incriminato per l'omicidio di Yvonne Bennett.»
«Spero tanto che avremo la possibilità di chiederglielo.»
Probabilmente Marx aveva ragione. Yvonne Bennett era la quinta vittima. Alan Levy aveva commesso altri quattro omicidi in precedenza, per i quali non era stato effettuato nessun arresto e non c'era neppure un sospettato. Doveva essere molto soddisfatto di se stesso. Quasi certamente aveva cercato notizie degli omicidi sui giornali, e probabilmente di quando in quando si era informato con discrezione sull'andamento delle indagini. Aveva senso... in qualità di eminente penalista, Levy aveva molti contatti nell'ambiente. Probabilmente era rimasto sorpreso nell'apprendere che era stato arrestato tale Lionel Byrd. Chissà se era divertito all'idea che qualcun altro si stesse prendendo tutta la colpa o, piuttosto, arrabbiato perché qualcun altro si stava prendendo il merito. Forse avrei avuto modo di chiedergli anche questo. Quando aveva visto i suoi precedenti e le accuse raffazzonate messe insieme da Crimmens, aveva capito che Lionel Byrd era l'elemento perfetto da far uscire di galera. Anche libero, Byrd sarebbe rimasto un sospettato, l'uomo che era stato accusato dell'omicidio di Yvonne Bennett e un potenziale asso nella manica per lui. Se Byrd era stato sospettato una volta, poteva essere sospettato ancora.
Io ero probabilmente un di più, tirato dentro alla cosa solo perché in quel momento gli faceva comodo.
«Perché sorride?» chiese Marx.
«Mi stavo chiedendo cos'avrebbe fatto Levy se io avessi scoperto la verità indagando sul caso Bennett.»
«L'avrebbe uccisa. Probabilmente aveva già pronta anche quella parte del piano.»
Annuii, pensando che se fosse andata così Lupe Escondido e Debra Repko sarebbero ancora vive. E io probabilmente morto.
«È stata quell'agente della Squadra Artificieri, vero?» disse Marx, fissandomi.
«Quale agente? Intende Starkey?»
«Sì. È stata lei ad aiutarla, vero?»
«Non so di cosa stia parlando. Starkey non mi ha aiutato, e neanche Poitras. Sì, ho ricevuto un aiuto dall'interno, ma non da loro.»
«Starkey era arrabbiata perché l'abbiamo tagliata fuori e così l'ha aiutata. Guardi che anch'io sento quello che si dice in giro, proprio come lei.»
«Pensi pure quello che vuole, ma Starkey non c'entra niente.»
Marx fece per ribattere quando il suo cellulare squillò. Guardò il numero e sollevò un dito per dirmi di fare silenzio.
«È il mio contatto alla Barshop...»
La conversazione durò meno di un minuto, poi Marx mise via il telefono. Pareva pallido sotto le luci al neon.
«Levy ha partecipato alla cena?»
«Sì. Non era atteso, ma è arrivato sul presto. È rimasto non più di quindici, venti minuti e se n'è andato prima che la cena iniziasse. Sembrava agitato.»
«Voleva vedere Debra.»
«Fanno tre su tre, Cole. I conti cominciano a tornare.»
Probabilmente Levy aveva già deciso di ucciderla, ma solo lui avrebbe potuto confermarcelo. Perché aveva scelto Debra Repko e perché tutte le altre? Cosa lo aveva spinto a ucciderla, quella sera, due mesi prima del previsto, mentre in passato era sempre stato così prudente? Volevo scoprirlo. Le accuse contro Levy stavano prendendo sempre più consistenza, ma avrebbero tenuto solo se Torma Hill avesse deciso di collaborare.
Bastilla svoltò l'angolo del corridoio portando le foto che aveva preparato. Pike e Munson avrebbero osservato tutto da dietro il vetro.
Quando ci vide insieme, Bastilla parve sorpresa. Si rivolse a Marx.
«Capo, quando vuole sono pronta.»
«Andiamo.»
Bastilla entrò nella sala degli interrogatori. Marx la seguì, poi esitò un istante e si voltò verso di me.
«Per quanto può valere, sono contento che lei non abbia fatto marcia indietro, Cole.»
«Grazie, capo. Anch'io.»
«E anche Starkey. Glielo riferisca.»
Annuii e Marx entrò nella stanza.