7

 

Il sole stava tramontando mentre risalivo la strada tutta curve che da Mulholland Drive porta a casa mia. Vivo in una casa abbarbicata a un ripido pendio che domina Los Angeles. È una casa piccola sull'orlo di un canyon che divido con coyote, falchi, puzzole, cervi dalla coda nera, opossum e serpenti a sonagli. Tornare a casa mi ha sempre dato l'impressione di lasciare la città, anche se certe cose è impossibile lasciarsele alle spalle.

La mia casa non ha un giardino come le abitazioni costruite in piano. La mia ha una terrazza a sbalzo sul canyon e un gatto senza nome che morde. Adoro la terrazza e il gatto, e il modo in cui il sole quando è basso tinge le creste e le gole d'oro e porpora. In quanto alle termiti, ne farei volentieri a meno.

Quando svoltai l'ultima curva, vidi la Taurus di Carol Starkey ferma davanti alla porta d'ingresso ma lei non era a bordo. Entrai dalla porta della cucina e da lì andai in soggiorno dove grandi vetrate scorrevoli si aprono sulla terrazza. Starkey era fuori a fumare. Il vento le scompigliava i capelli. Quando mi vide alzò la mano. Starkey non capita mai per caso.

Aprii le porte scorrevoli e uscii in terrazza. «Cosa ci fai qui?»

«Lo dici come se ti stessi perseguitando. Volevo solo vedere com'era andata con Lindo.»

Lanciò il mozzicone oltre la ringhiera. Il vento lo prese e lo portò giù nel canyon.

«Siamo sulle colline, Starkey. È come una polveriera qui.»

Osservai il pendio per accertarmi che non saremmo stati inghiottiti dall'inferno. Quando alzai lo sguardo mi stava studiando.

«Cosa c'è?»

«Com'è andata?»

«La teoria prevalente sembra essere che io abbia male interpretato il lasso di tempo in cui la Bennett è stata uccisa. Non solo io, anche gli investigatori che si sono originariamente occupati del caso.»

«Ah. È possibile?»

«È sempre possibile, ma questi tizi non ritengono la cosa così importante da interrogare nuovamente il testimone chiave. Hanno deciso che non importa.»

«Magari è proprio così. Quello che Lindo mi ha riferito sembra avere basi solide.»

«Questo non giustifica che non vadano fino in fondo. Hanno tanta fretta di chiudere il caso che non aspettano neppure il risultato della Scientifica.»

Restammo in silenzio per un momento, poi Starkey si schiarì la voce.

«Senti, Marx sarà anche un imbecille, ma Lindo è uno in gamba. Un sacco di gente che lavora a questo caso lo è. Comunque sia, quell'uomo aveva l'album e su quell'album le sue impronte sono dappertutto. Non puoi non tenerne conto.»

Aveva ragione. Comunque fosse andata, Lionel Byrd aveva un album di fotografie che potevano essere state scattate soltanto da una o più persone presenti sulla scena nel momento in cui erano stati commessi gli omicidi. Album e foto che Byrd e solo Byrd aveva toccato.

«Starkey, dimmi una cosa... cosa ne pensi delle foto?»

«Nel senso di cosa significano o perché sono convinta che le abbia scattate lui?»

«Tutte e due le cose. Che genere di persona scatta foto come quelle?»

Si appoggiò alla ringhiera e rimase a fissare il canyon. Starkey non era una psicologa, ma aveva passato gran parte della sua carriera nella CCS a tracciare profili psicologici di dinamitardi fuori di testa. Le persone che costruiscono ordigni esplosivi sono spesso criminali seriali. Comprendere le loro pulsioni l'aveva aiutata a risolvere i casi.

«La maggior parte di queste persone asporta dei capelli o un gioiello, o magari un indumento per rivivere l'eccitazione del momento. Le foto, invece, indicano un coinvolgimento più profondo.»

«In che senso?»

«Quelle donne sono state uccise in luoghi semipubblici. Non le ha portate nel deserto o in una cantina isolata acusticamente. Sono state assassinate in un parcheggio o nei pressi di strade frequentate, o in un parco, dove poteva passare chiunque. Asportare un orecchino o una manciata di capelli è facile - li prendi e scappi - lui, invece, è rimasto lì a scattare le foto. Ha scelto luoghi ad alto rischio per uccidere e ha ulteriormente aumentato il rischio fermandosi a scattare una foto dove qualcuno avrebbe potuto vedere il lampo del flash.»

«Forse era solo stupido.»

Starkey scoppiò a ridere.

«Io credo che fosse la complessità a eccitarlo. Scattando quelle foto sfidava la sorte e ogni volta che la faceva franca probabilmente si sentiva onnipotente, proprio come i bombaroli con le loro bombe. L'eccitazione non sta tanto nell'atto dell'uccidere quanto nel farla franca.»

«Okay.»

«Lindo ti ha parlato della composizione dell'immagine?»

Scossi la testa. Lindo non aveva accennato alla composizione, e io non ci avevo pensato. A me le foto sembravano più o meno tutte uguali.

«Una fotografia non è una parte dell'esperienza come un trofeo tradizionale, è una composizione esterna all'esperienza. Il fotografo sceglie l'angolazione. Sceglie cosa deve entrare nella foto e cosa deve restare fuori. Se la foto è un mondo, il fotografo è il dio di quel mondo. Questo tipo si eccitava all'idea di essere Dio. Aveva bisogno di scattare le foto perché aveva bisogno di sentirsi Dio.»

Non ce lo vedevo Lionel Byrd nelle vesti di un dio, ma forse era proprio quello il punto. Mi sforzai di immaginarlo mentre pedinava le vittime con quella macchina fotografica antidiluviana, ma non arrivavo neppure a immaginarlo con una macchina fotografica in mano.

«Non lo so, Starkey. Non mi sembra da lui.»

Starkey si strinse nelle spalle e tornò a osservare il canyon.

«Io ti sto solo dicendo quello che penso. Non sto cercando di convincerti.»

«Lo so. Non l'ho presa in quel senso.»

«Qualunque cosa quello stronzo abbia fatto, o qualunque sia il suo coinvolgimento, tu devi capire che non sei responsabile per i suoi crimini. Tu hai solo fatto il tuo lavoro, con onestà. Smettila di roderti per questo.»

Avevo conosciuto Carol Starkey quando Lou Poitras l'aveva portata a casa mia in occasione della scomparsa di un ragazzino di nome Ben Chenier. Starkey ci aveva dato una mano a trovarlo e l'amicizia nata durante le ricerche era cresciuta. Qualche mese più tardi, un uomo di nome Frederick Reinnike mi aveva sparato e Starkey era venuta a farmi visita in ospedale regolarmente. Sorrisi al pensiero di come era nata la nostra amicizia.

«Ti ho mai ringraziata per essere venuta in ospedale tutte quelle volte?»

Lei arrossì.

«Stavo solo cercando di fare colpo su Pike.»

«Be', comunque grazie.»

Lei continuò a guardare il canyon.

«Notizie dall'avvocato?»

L'avvocato. Mi voltai anch'io verso il canyon. Tempo prima avevo condiviso la mia vita con un avvocato della Louisiana di nome Lucy Chenier. Ben era suo figlio. Lucy e Ben si erano trasferiti a Los Angeles ma, dopo quanto era accaduto a Ben, Lucy aveva deciso di tornare in Louisiana e adesso vivevamo lontani. Mi chiesi cosa avrebbe pensato Lucy di Lionel Byrd e fui felice che non sapesse della vicenda.

«Non molte» risposi. «Vanno avanti con la loro vita.»

«E il ragazzo come sta?»

«Bene. Cresce. Mi scrive delle lettere.»

Starkey si staccò dalla ringhiera.

«Cosa ne dici di andare da qualche parte? Andiamo da Dresden a bere qualcosa.»

«Tu non bevi.»

«Posso sempre stare a guardare te. Io guardo te che bevi e tu guardi me che fumo. Cosa ne dici?»

«Magari un'altra volta. Voglio sentire cosa dicono di Byrd al notiziario.»

Fece un passo indietro e sollevò le mani.

«Okay. Ho capito.»

Restammo così per un istante, poi lei sorrise.

«Tanto dovevo andare. Sai, un appuntamento galante...»

«Certo.»

«Senti...»

La sua espressione si ammorbidì, prese la mia mano e la voltò con il palmo all'insù, poi sfiorò la cicatrice che correva attraverso quattro dita e gran parte del palmo. Me l'ero fatta cercando di salvare la vita a Ben Chenier.

«Tu sei convinto di avere delle cicatrici, Cole» disse Starkey sorridendo e sfiorandomi il fianco dove Reinnike mi aveva scaricato il suo calibro dodici, totale quattro pallettoni e due sale operatorie. «Dovresti vedere le mie, di cicatrici. Guarda che con me non c'è storia.»

La bomba che l'aveva uccisa in quel campeggio.

Lasciò andare la mia mano.

«Non guardare il notiziario. Lascia perdere.»

«Certo.»

«Non hai intenzione di lasciar perdere.»

«No.»

«Forse è per questo che ti amo.»

Mi mollò un pugno in mezzo al petto e se ne andò.

Starkey è unica.

Accesi il televisore e tirai fuori dal congelatore una braciola di maiale. Servizio per uno. Bevvi una birra in piedi in cucina, poi me ne offrii un'altra, tornai al televisore nell'attimo in cui partiva il notiziario. Jerry Ward, il serioso conduttore dell'edizione serale, guardò Los Angeles negli occhi e intonò con il suo miglior tono compassato: "Serie di omicidi risolta da una bizzarra scoperta nel Laurel Canyon".

Poi inarcò le sopracciglia.

Quando Jerry inarca le sopracciglia, sai già che sta per arrivare qualcosa di insolito.

Ebbi tutto il tempo per prendere un'altra birra. Il servizio principale era una visita del presidente, arrivato in città per vedere di persona i danni causati dagli incendi. Il secondo pezzo parlava degli sforzi per la ricostruzione e del diminuito rischio di altri incendi nei giorni a venire. Le notizie degli incendi servirono a introdurre la bizzarra scoperta di Lionel Byrd. A quel punto attaccai la terza birra. O forse era la quarta.

Jerry dedicò alla storia quasi tre minuti, interrotti da un filmato di Marx alla conferenza stampa. Nel servizio Marx sollevava un sacchetto per le prove di plastica trasparente contenente quello che sembrava il vero album e definiva i "ritratti di morte" come "trofei presi da una mente folle". Le uniche vittime nominate furono la più recente, la ventiseienne Debra Repko, originaria di Pasadena, e Yvonne Bennett. Nel sentire il suo nome mi si strinse io stomaco.

Yvonne Bennett era stata citata semplicemente perché a suo tempo Byrd era stato accusato del suo omicidio, ma le accuse erano cadute quando erano emerse altre prove che apparentemente lo scagionavano. Nessun accenno a me o ad Alan Levy. Avrei dovuto sentirmi sollevato, suppongo.

Marx faceva la sua figura in alta uniforme mentre proclamava con il dito levato che adesso la città era più sicura, come se avesse personalmente salvato un'altra vittima anziché trovato un cadavere in decomposizione. Si disse personalmente offeso dal rilascio di Byrd dopo che era stato portato davanti all'altare della giustizia per il caso Bennett e promise che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere perché simili oltraggi non si verificassero mai più.

«Caspita. L'altare della giustizia.»

Accanto a Marx c'era un consigliere municipale di nome Nobel Wilts che si congratulò con lui per l'ottimo lavoro svolto dalla polizia. Nel secondo filmato la donna che avevo visto nella casa di fronte a quella di Byrd diceva che avrebbe dormito più tranquilla quella notte. Poi venne l'intervista alla madre di Chelsea Ann Morrow, la terza vittima, nella sua casa di Compton. Mi chiesi come avessero fatto i giornalisti ad arrivare così in fretta alle due donne, visto che la conferenza stampa si era tenuta soltanto due ore prima. Probabilmente Marx o Wilts avevano passato l'informazione alla stampa in modo che potesse realizzare i servizi da mandare in onda nel prime time.

Quando passarono a parlare del ritiro di un giocattolo dal commercio, uscii in terrazza con quanto restava della mia birra.

Al tramonto il vento prese a soffiare con maggior intensità in un'ultima furiosa corsa verso il mare. Gli alberi che riempivano il canyon sotto di me sbattevano e tremavano. Eucalipti, querce nane e noci, alberi di olivo che sembravano enormi sfere verde scuro. I rami sbattevano rumorosi come corna di cervi, le foglie fragili tremavano come carta di riso. Ascoltai il vento bevendo. Forse Marx e la sua task force avevano ragione a proposito di Tomaso. Aveva dato l'impressione di essere un ragazzo intelligente e a posto che voleva dare una mano ma forse era andato un po' oltre. Uno scostamento di mezz'ora cambiava tutto. Con trenta minuti in più, Lionel Byrd aveva tutto il tempo per uccidere Yvonne Bennett, tornare a Hollywood e fermarsi a bere un bicchiere prima di rientrare a casa. Niente di meglio che un bel Jack Daniel's doppio dopo aver sfondato il cranio a una ragazza.

Stavo ancora ascoltando il fruscio degli alberi quando squillò il telefono e una tranquilla voce di donna disse da tremila chilometri di distanza: «Parlo con il Miglior Detective del Mondo?».

Mi sentii subito meglio. In pace. Al caldo.

«Lo ero. Come ti va?»

«Ero?» disse Lucy.

«È una storia lunga.»

«Credo di sapere di cosa si tratta. Mi ha chiamato Joe.»

«Pike ti ha chiamato?»

«Ha detto che avevi bisogno di una voce amica.»

«Davvero Joe ti ha chiamato?»

«Raccontami di Lionel Byrd.»

Mentre raccontavo, il canyon si fece più buio. Man mano che aumentava l'oscurità, nelle case disseminate sulle sponde e le creste del canyon si accendevano tremule luci.

«E tu cosa ne pensi?» mi chiese quando ebbi finito.

«Sarà un'idea, non lo so. A volte non si riesce a scrollarsi di dosso il senso di colpa anche se si sa di aver fatto tutto in buona fede e secondo le regole.»

«Credi che Byrd abbia ucciso quelle sette donne?»

«Così sembra, ma non lo so. I fatti sembrano dar ragione a loro.»

«Sembrerà anche così, ma tu ci credi?»

Esitai, ripensando a tutto quello che mi avevano detto Lindo e Starkey e a tutto quello che io avevo scoperto due anni prima.

«No. Forse dovrei, ma non ci credo. Conoscevo Byrd. Non benissimo, ma tutto quello che sapevo di lui l'ho messo nella ricostruzione della sera in cui Yvonne Bennett è stata uccisa. Quella sera, della sua vita sapevo tutto. I posti in cui è stato, le persone che ha incontrato, cos'ha detto a quelle persone, e come l'ha detto. Sapevo che parlava a voce alta, che ha lasciato poco di mancia, dove si è seduto, quanto è rimasto. Un vero predatore sarebbe rimasto nell'ombra, e invece Byrd si è fatto notare, parlava a voce alta, era volgare e ubriaco. Quella sera l'ho conosciuto meglio di chiunque altro e non credo che abbia ucciso lui Yvonne Bennett. Forse conosceva l'assassino, questo è possibile, ma non ha ucciso Yvonne Bennett. Io non ci credo. Non posso crederci.»

«Ascoltami. Mi stai ascoltando?»

«Sì.»

«Anche se fosse vero, quanto è successo non è colpa tua. Potrai sentirti addolorato perché è accaduta una cosa terribile, ma tu hai agito in buona fede. E se questa cosa terribile fosse vera, sai cosa farai?»

Annuii ma non dissi nulla.

«Reagirai da uomo e andrai avanti per la tua strada. Io volerò da te con il mio L-jet e ti stringerò tra le braccia. Mi hai sentito?»

L-jet era il nostro scherzo segreto. Se Lucy avesse avuto un jet privato, sarebbe stato un L-jet.

«Mi stai già stringendo» dissi.

«Non ho ancora finito. Hai bevuto?»

«Sì.»

«Ascoltami.»

«Mi manchi.»

«Sta' zitto e ascoltami. Voglio che tu mi ascolti.»

«Ti sto ascoltando.»

«Di' qualcosa di divertente.»

«Su, Lucy...»

«Di' qualcosa di divertente» ripeté lei, alzando la voce.

«Qualcosa di divertente.»

«Non è il massimo, ma sempre meglio che niente. E ora riattacca.»

«Perché?»

«Riattacca. Ti richiamo.»

Riattaccò lei. Rimasi lì, con il telefono in mano, chiedendomi cosa stesse facendo. Qualche secondo dopo il telefono squillò e io risposi.

«Luce?»

«Rispondi come si deve!» urlò lei e riattaccò.

Aspettai. Alla fine il telefono squillò di nuovo e io risposi come voleva lei.

«Agenzia Investigativa Elvis Cole. Scopriamo di più e costiamo di meno. Verificate i nostri prezzi.»

La sua voce mi arrivò come un bacio lieve. «Ecco, questo è il mio detective.»

«Ti voglio bene, Luce.»

«Da amico.»

«Certo. Amici.»

«Anch'io ti voglio bene.»

«Potremmo essere amici con qualche benefit.»

«Non ti arrendi mai.»

«Parte del pacchetto benefit.»

«Sarà meglio che vada. Chiamami.»

«Come devo chiamarti?»

Esitò, ma sapevo che stava sorridendo. Sentivo il suo sorriso anche a tremila chilometri di distanza. Il mio, invece, svanì.

«Pensi che mi stia ingannando?» chiesi.

«Penso che tu voglia essere convinto. In un modo o nell'altro devi convincerti.»

Fissai il canyon sotto di me e il chiarore caldo delle luci sui crinali.

«Se non le ha uccise Byrd, è stato qualcun altro.»

«Lo so.»

Rimase in silenzio per un po', poi disse con tono dolce e comprensivo: «Mi hai detto che i fatti danno ragione a loro. Se i loro fatti non ti convincono, cercane altri. È questo che fai di mestiere, Miglior Detective del Mondo. Nessuno sa farlo meglio di te».

Riattaccò prima che potessi ribattere.

Rimasi con il telefono in mano per un po', poi chiamai Pike. Rispose la segreteria con un bip. Pike non ha un messaggio registrato. Solo il bip.

«Sei un vero amico, Joe. Grazie.»