Carol mi organizzò un incontro con Marcus Lindo, detective della CCS, una delle molte persone richiamate da altre divisioni per dare una mano nella task force. Mi avvertì che non era al corrente di tutto, ma mi disse che mi avrebbe aiutato meglio che poteva. Quando lo chiamai fu subito chiaro che Lindo non era contento di vedermi. Mi disse di farmi trovare in un locale di Chinatown chiamato Hop Louie, ma mi disse anche che se ci fossero stati altri poliziotti presenti, l'incontro sarebbe saltato. Era come se ci stessimo passando segreti militari durante la guerra fredda.
Lindo si presentò alle tre e dieci con un raccoglitore blu ad anelli sotto il braccio. Era più giovane di quanto mi aspettassi, con la pelle color caffè e occhi nervosi dietro gli occhiali. Venne dritto verso di me senza presentarsi.
«Andiamo in un séparé.»
Lindo mise il raccoglitore sul tavolo e vi posò sopra le mani.
«Prima di cominciare chiariamo subito una cosa. Non voglio essere coinvolto. Sono in debito con Starkey, ma se racconta a qualcuno che ci siamo parlati, io dirò che ha mentito e sono tutti cavoli suoi. Intesi?»
«Mi va benissimo. Tutto quello che vuole.»
Lindo aveva paura e non potevo dargli torto. Un vicecapo può stroncarti la carriera.
«Mi sembra di aver capito che vuole vedere l'album. Cosa vuole sapere?»
«Due anni fa io ho dimostrato che Lionel Byrd non ha ucciso Yvonne Bennett. Adesso voi dite che è stato lui.»
«Esatto. L'ha uccisa lui.»
«E come?»
«Non lo so. Non nel senso che intende lei. Ci siamo divisi il caso tra varie squadre. La mia si è occupata dell'album e della casa. Altre delle vittime. Io posso parlare dell'album. E proprio per via dell'album posso dire che è stato lui.»
«Il fatto che fosse in possesso di quelle foto non dimostra che sia stato lui a uccidere quelle donne. Potrebbero essere state scattate da chiunque sulle scene dei delitti.»
«Non foto come queste...»
Lindo aprì il raccoglitore e lo girò in modo che potessi vedere. La prima pagina era un'immagine digitale della copertina che riproduceva una spiaggia al tramonto con palme incurvate. Sulla copertina era impressa a lettere dorate la scritta "I miei ricordi felici". Era il genere di album poco costoso che si può trovare in qualunque emporio, con fogli di cartoncino plastificato coperti da fogli di plastica trasparente che aderivano alla pagina. Si sollevava la plastica per posizionare le foto sulla pagina, quindi la si rimetteva a posto per tenerle ferme. Il solo vedere la copertina mi fece venire i brividi. I miei ricordi felici.
«C'erano dodici fogli in tutto, ma gli ultimi cinque erano vuoti. Abbiamo recuperato campioni di fibre e capelli rimasti intrappolati sotto la plastica, poi passato tutto al laser e messo nella camera di fumigazione con il cianoacrilato.»
Man mano che parlava, Lindo spuntava gli elementi con le dita.
«Copertina anteriore interna ed esterna, retro di copertina interno ed esterno, i sette fogli con le foto più i cinque vuoti, i ventiquattro fogli di plastica, più le sette polarpid. Tutte le impronte complete e quelle parziali corrispondono a quelle di un'unica persona: Lionel Byrd. Le fibre provengono dal divano di Byrd. Adesso stanno facendo l'esame del DNA sui peli, ma sono sicuro che corrisponde. Il tecnico della Scientifica li ha confrontati con i peli delle braccia di Byrd e dice che sono identici.»
«Chi è il tecnico?»
«John Chen.»
«È bravo. Lo conosco.»
Lindo girò la pagina. L'immagine seguente riproduceva una foto di una giovane donna con capelli neri corti e guance scavate. Era sdraiata sul fianco destro su quello che a prima vista sembrava un pavimento di piastrelle in un luogo buio. La parete dietro di lei era sbiancata dal lampo del flash. La guancia sinistra era lacerata come se fosse stata picchiata e un rivolo di sangue le era sceso lungo la faccia fino alla punta del naso da dove era colato sulle piastrelle. Tre gocce, cadute quasi una sull'altra, punteggiavano il pavimento. Intorno al collo le era stato avvolto un cordino o un filo così stretto che quasi scompariva dentro la pelle. Qualcuno aveva messo sotto un'etichetta con il nome della vittima, l'età, la data della morte e il numero che originariamente identificava il caso.
Lindo toccò l'immagine.
«Questa era la prima vittima, Sondra Frostokovich. Vede il taglio, qui, sotto l'occhio? L'ha colpita a freddo per stordirla. È questo l'elemento in comune del suo modus operandi. Per prima cosa le stordiva in modo che non potessero difendersi.»
«È stata violentata?»
«Nessuna di loro è stata violentata, che io sappia. Come le ho già detto, io non ho lavorato ai singoli casi, ma questo tizio non si è divertito con loro... non c'erano segni di violenza sessuale, tortura, mutilazioni, niente di tutto questo. Lo si vede anche dalle foto. Guardi qua...»
Lindo posò il dito sulla pagina in corrispondenza del naso della ragazza.
«Vede le gocce di sangue sotto il naso? Tre gocce, due quasi sovrapposte. Abbiamo confrontato questa foto con quelle scattate a suo tempo dall'investigatore del coroner. Le fotografie prese sulla scena del delitto mostrano una pozza di sangue grande più o meno quanto la testa. È probabile che il suo uomo si trovasse davanti alla vittima quando le ha sferrato il colpo che l'ha ferita alla guancia, e poi l'abbia strangolata da dietro. Il sangue ha cominciato a colare appena lei è caduta. Visto che ci sono solo tre o quattro gocce, lei doveva essere a terra da non più di venti secondi quando ha scattato la fotografia.»
«Non era il mio uomo.»
«Il punto è che in quasi tutte le foto ci sono specifiche indicazioni che fanno ritenere che siano state scattate al momento della morte o immediatamente dopo. Questa è la seconda vittima, Janice Evansfield...»
La seconda immagine ritraeva una donna afroamericana con una pettinatura rasta. Il collo era stato colpito da così tante coltellate che era a brandelli. Lindo indicò una linea rossa sfocata sopra la faccia.
«Vede questo? Non capivamo cosa fosse finché non lo abbiamo ingrandito.»
«Cos'è?»
«È il sangue che spruzza dall'arteria carotidea alla base del collo. Vede com'è arcuato? Non era ancora morta, Cole. Stava morendo. Questa foto è stata presa nel preciso istante in cui il suo cuore faceva un battito. E questo esclude che sia stata scattata più tardi da qualche poliziotto, giusto?»
Distolsi lo sguardo. Mi sentivo intontito e distante, come se quelle foto non fossero lì, come se potessi fingere di non vedere quello che avevo davanti.
Lindo mi mostrò tutte le altre vittime, e poi la foto di un tozzo apparecchio nero con manopole e rotelle come si potrebbe trovare in un vecchio film di fantascienza.
«Bene. Il secondo elemento che collega Byrd agli omicidi è la macchina fotografica. Quando scatti, queste macchine spingono fuori la foto attraverso una fessura. I rulli lasciano impronte evidenti sui bordi della pellicola...»
Guardare l'immagine della macchina fotografica era più facile.
«Come le rigature della canna di una pistola su un bossolo?»
«Esatto. Questo è un modello fuori produzione. Tutte e sette le foto sono state scattate con questo apparecchio, che abbiamo trovato a casa di Byrd. Le uniche impronte digitali sulla macchina fotografica appartengono a Lionel Byrd. Lo stesso dicasi per le cartucce di pellicola che abbiamo trovato nella macchina.»
Mi mostrò una foto di due cartucce, una contrassegnata dalla lettera A, l'altra dalla lettera B.
«Sulla pellicola non sviluppata ci sono impronte parziali di un altro individuo, ma riteniamo che siano del cassiere o del commesso del negozio in cui ha acquistato le pellicole. Il numero di partita indica un punto vendita di Hollywood, non lontano dal Laurel Canyon. Vede che tutto quadra?»
Lindo proseguì nell'esposizione dei fatti con la precisione di un carpentiere che pianta una fila di chiodi.
«Byrd ha acquistato la pellicola. Byrd ha inserito la pellicola nella macchina fotografica. Con quella macchina fotografica Byrd ha scattato sette foto che potevano essere prese soltanto da qualcuno che era presente al momento degli omicidi. Byrd era stato accusato dell'omicidio di una delle donne la cui foto in punto di morte - una foto scattata pochi minuti prima che morisse - è stata trovata in suo possesso. Dopo aver scattato le foto, Byrd le ha sistemate con le sue mani in questo album degli orrori. Poi ha preso una pistola, come evidenziato dalle impronte digitali rilevate sull'arma, sui bossoli e sulla scatola di munizioni trovata in casa sua, e si è fatto saltare le cervella. Quella che abbiamo qui, Cole, è una concatenazione di indizi. Lo so che sperava che non avessimo in mano nessuna prova, ma invece ce le abbiamo e sono solide.»
Sentii un improvviso bisogno di rivedere Yvonne Bennett e tornai alla quinta foto. La donna mi fissava con occhi da manichino. Si vedevano benissimo la materia cerebrale e minuscole schegge d'osso, e pure una sfera brillante che pareva essere stata messa dentro la ferita. Non ricordavo di averla vista nella foto scattata dal coroner che Levy mi aveva mostrato.
«Cos'è questa cosa rotonda?»
«È una bolla. Il medico legale dice che probabilmente le si è formata in un'arteria quando lui l'ha picchiata e che poi è affiorata quando è morta. È una bolla di sangue.»
Avrei voluto distogliere lo sguardo, ma non lo feci. Continuai a fissare la bolla. Nella foto del coroner non c'era. A un certo punto, nell'intervallo di tempo intercorso tra le due foto, era scoppiata. Feci un respiro profondo e staccai gli occhi dalla foto.
«Ha letto il rapporto sulla morte di Yvonne Bennett?»
«Gliel'ho detto, di ogni vittima si è occupata una squadra diversa. Io ho lavorato all'album.»
«Avevamo una finestra temporale ben precisa per l'omicidio. Quando questa donna è stata uccisa, Byrd si trovava a Hollywood. Come poteva essere in due luoghi contemporaneamente?»
Lindo si appoggiò allo schienale della panchetta. Pareva stanco e seccato, come se io fossi troppo lento a capire.
«In due parole: non c'era perché non aveva bisogno di esserci.»
«Non me lo sono inventato, Lindo. A Crimmens e al suo socio risultava lo stesso arco temporale. Byrd non avrebbe avuto il tempo di ucciderla a Silver Lake e poi andare a Hollywood.»
Lindo chiuse il classificatore. Non aveva intenzione di trattenersi oltre.
«Cole, ci pensi. Abbiamo un limite fisso su un lato della finestra, e cioè quando il corpo è stato scoperto. Sull'altro lato, invece, abbiamo questo tizio che è stato l'ultimo a vederla viva... com'è che si chiamava? Thompson?»
«Tomaso.»
«Non sto dicendo che Tomaso abbia mentito, ma le stronzate possono farle tutti. La gente si confonde. Se Tomaso si è sbagliato sull'orario, la sua finestra temporale non regge.»
«Non era solo la mia. Anche Crimmens ha parlato con lui.»
«Lo sappiamo, amico. Marx ha messo Crimmens nella task force proprio per coprire quella sera. Crimmens è convinto che quadri. Se Tomaso si è sbagliato anche solo di venti minuti, Byrd aveva il tempo di ucciderla e tornare al bar.»
«Crimmens ha parlato di questo con Tomaso?»
«E cosa potrebbe dire... che ne è sicuro? Non so se abbiano parlato con lui, ma non ha importanza. Le prove materiali hanno sempre più peso dei testimoni oculari, e noi abbiamo le prove. Non c'è altro, Cole. Adesso devo andare.»
«Un momento. Ho ancora una domanda.»
Lanciò un'occhiata alla porta quasi si aspettasse che tutto il sesto piano di Parker Center stesse per entrare nel locale, ma rimase seduto.
«Cosa c'è?»
«E il suicidio?»
«Non ne so niente. Io mi sono occupato soltanto dell'album.»
«Qualcuno ha collegato Byrd con i tempi e i luoghi degli omicidi?»
«Se ne sono occupate altre persone. Io so solo quello che riguarda l'album.»
«Cristo, ma non ne parlate mai tra di voi? Quando Bastilla e Crimmens sono venuti da me, non mi hanno neppure voluto dire dell'esistenza di queste foto.»
Le sopracciglia di Lindo si sollevarono, nervose, e lui tirò a sé il classificatore.
«Non ne hanno voluto parlare?»
«Non mi hanno voluto dire niente. E adesso parlo con lei, che sa tutto sull'album, ma non sa un accidente di tutto il resto.»
«Magari non è necessario che io lo sappia, Cole.»
Si mise il classificatore sotto il braccio. Finché eravamo persi nei dettagli tecnici andava tutto bene, adesso, però, aveva di nuovo paura.
«Sarà meglio che non parli di questo con nessuno, Cole. Deve restare tra noi.»
«Per me va bene, amico. Non si preoccupi.»
Fece per dire qualcos'altro, poi si alzò e si allontanò senza voltarsi indietro.
Rimasi nel séparé buio, con le foto ancora negli occhi. Li chiusi per scacciarle, ma le immagini presero vita. Il sangue sgorgava dalla gola di Janice Evansfield a ogni battito del suo cuore, il flusso sempre più debole man mano che il cuore lentamente cedeva. La pozza rossa si allargava intorno a Sondra Frostokovich mentre il sangue gocciolava dalla punta del naso, scandendo i secondi che la separavano dal momento della morte. La bolla si gonfiava nella ferita di Yvonne Bennett fino a scoppiare. Vedere le immagini era come essere intrappolati in una galleria con incubi infilzati alla parete, ma non riuscivo a crederci. Dicevo a me stesso di non crederci.
Immaginai Lionel Byrd seduto sulla sua poltrona con l'album in grembo. Nel mio film mentale gira le pagine a una a una, rivivendo ogni omicidio, la pistola posata sulla poltrona accanto alla gamba. Se ha la pistola, significa che ha programmato il suicidio. Si porterà album e pistola alla poltrona. Si abbandonerà ai ricordi. Forse si pentirà di ciò che ha fatto. Poi, quando non ne potrà più, si unirà alle sue vittime nella morte. Mi chiesi se avrebbe pensato a come spararsi. Sotto il mento o alla tempia? Sotto il mento fa accapponare la pelle. Potresti sbagliare e farti saltare la bocca. E ti sveglieresti in ospedale, vivo, accusato di tutti quegli omicidi, ma senza bocca.
Io avrei scelto la tempia. Pensavo che anche Lionel Byrd avrebbe scelto la tempia.