Il pick-up nero svoltò verso il Laurel Canyon insieme a me, ma con esso almeno altre cinque o sei auto. Nessuno mi sparò, nessuno dimostrò un atteggiamento aggressivo nei miei confronti, e decisi che stavo diventando paranoico. Se ti distruggono l'ufficio, è facile immaginare che qualcuno ti stia seguendo.
Due isolati più avanti, però, infilai un giallo e il Toyota accelerò, bruciando il rosso, ma appena superato il semaforo rallentò bruscamente. Allora non era la mia immaginazione. Mi sembrava che nella cabina di guida ci fossero due uomini, ma era difficile dirlo con i vetri scuri.
Svoltai improvvisamente a destra senza mettere la freccia e il Toyota girò dietro di me. Quando spuntò oltre la curva, vidi un adesivo sul paraurti anteriore. Era un adesivo pubblicitario di una band formata tutta da ragazze, le Tattooed Beach Sluts.
Svoltai ancora e accostai al marciapiede, ma il pick-up non mi seguì. Quando, cinque minuti dopo, non era ancora comparso, mi inoltrai nel Laurel Canyon. Se non mi davo una regolata, sarei diventato come Chen.
Foglie e rami spezzati ingombravano le strade e si ammucchiavano contro marciapiedi e auto parcheggiate come neve portata dal vento. I grandi cedri e gli eucalipti erano finalmente immobili, curvi, quasi sì stessero riposando dopo la battaglia contro il vento. Si sentiva un forte odore di linfa.
Quando arrivai a casa di Byrd, non trovai più poliziotti né il nastro usato per delimitare la scena del delitto, ma una troupe televisiva e un camion dei traslochi. La troupe era sotto il porticato e stava intervistando un signore anziano con i capelli tinti di nero e il colorito giallastro. Dietro il camion era parcheggiata una Eldorado bianca, probabilmente l'auto dell'intervistato che doveva essere l'ex padrone di casa di Byrd. Mentre parlavano, due ispanici caricavano mobili sul camion.
Stavo aspettando che la giornalista finisse di intervistare l'uomo quando vidi la donna dietro la finestra della casa coperta d'edera sull'altro lato della strada. Guardava gli uomini sotto il porticato. Decisi di cominciare da lei.
Salii i gradini ma, prima ancora che arrivassi in cima, lei aprì la finestra.
«Se ne vada. Ne ho abbastanza di voi.»
«Sono della Easter Seals. Non vuole aiutare i bambini disabili?»
La donna richiuse con forza la finestra.
Proseguii fino alla sua porta e mi attaccai al campanello finché non venne ad aprire. Mi era sembrata più vecchia, vista dall'altra parte della strada, con i capelli grigi e crespi raccolti sulla nuca.
«Non sono della Easter Seals. L'ho detto tanto per dire.»
«Sì, lo so. Lei è della polizia. L'ho vista ieri, e lei ha visto me.»
Si chiamava Tina Isbecki. Mi presentai, lasciando che pensasse quello che voleva. Le persone come me sono addestrate a seguire la corrente. Si chiama "mentire".
Lanciai un'occhiata alle persone sotto il porticato.
«Chi è?»
«Sharia Lee. È quella del telegiornale.»
«Non la giornalista, l'uomo che sta intervistando.»
«Ah, quello è il signor Gladstone, il proprietario della casa.»
La polizia aveva tolto i sigilli alla villetta e il signor Gladstone la stava sgomberando. Voleva farla pulire e tinteggiare, nella speranza di trovare un inquilino cui non importasse vivere in un posto dove un pluriomicida si era fatto saltare le cervella.
Tornai a voltarmi verso Tina Isbecki.
«L'ho vista in televisione ieri sera, mentre diceva che adesso avrebbe dormito meglio. Sembrava molto spontanea.»
Detective che cerca di ingraziarsi soggetto ostile.
La donna si accigliò.
«Non ho detto affatto così. Ho detto che adesso avrei dormito meglio perché i poliziotti se ne sono finalmente andati da qui. E invece loro hanno fatto sembrare che parlassi del signor Byrd.»
«Lo conosceva bene?»
«Lo evitavo, se potevo. Era rozzo e villano. La prima volta che ci siamo incontrati mi ha chiesto se mi piaceva fare sesso anale. Così, di punto in bianco. Che genere di persona può dire una cosa del genere?»
Benvenuti nel mondo di Lionel Byrd.
«Era amico di qualcuno qui nel quartiere?»
«Ne dubito. Molte di queste persone sono in affitto e la maggior parte sono ragazzi. Vanno e vengono.»
Più o meno quello che mi aveva già detto Starkey.
«Devono averle fatto queste domande almeno cento volte.»
«Mille. Passiamo alle altre così risparmiamo tempo tutti e due...»
Spuntò le risposte una a una con le dita, piegandole all'indietro così tanto che temetti potessero spezzarsi.
«No, non ho visto niente di sospetto. No, non mi ha mai minacciata. No, non sapevo che fosse stato arrestato e non ho sentito lo sparo. E sì, sono sorpresa che abbia ucciso tutte quelle donne, ma d'altro canto questo è il Laurel Canyon.»
Incrociò le braccia con aria compiaciuta a indicare che aveva risposto a tutte le domande che potessi farle.
«Riceveva molte visite?» chiesi.
«Io non ho mai visto nessuno.»
«Sa come si procurasse la droga?»
L'aria compiaciuta scomparve.
«In casa è stato trovato dell'oxicodone senza prescrizione. Sa che cos'è?»
«Certo che lo so, ma quell'uomo lo conoscevo appena. Non potevo certo sapere che fosse un drogato.»
«Lo capisco. Ma ci stiamo chiedendo dove prendesse le pastiglie.»
«Da me no di certo.»
Sulla difensiva.
«Il giorno dell'evacuazione, è stata lei a dire agli agenti che era costretto in casa?»
«Esatto. Ero preoccupata. Non guidava più, con il piede conciato in quel modo. Non riusciva a premere il freno.»
«Quand'è stata l'ultima volta che l'ha visto alla guida?»
«Che lei ci creda o no, ho di meglio da fare che osservare i miei vicini.»
«Non è un quiz. Sto cercando di farmi un'idea di quanta difficoltà avesse a muoversi.»
«Be', io non lo so. Qualche settimana, immagino. So che il suo piede stava peggiorando. Certi giorni non riusciva neppure a scendere per ritirare la posta e le lettere si accumulavano nella cassetta.»
Poiché non mi veniva in mente nient'altro da chiederle, la ringraziai e tornai in strada. Gladstone era ancora impegnato con la sua intervistatrice, così bussai alle porte vicine. Nella maggior parte delle case non c'era nessuno e le poche persone che risposero o non avevano mai visto Byrd o lo avevano visto solo di sfuggita. Trovai solo una signora che aveva scambiato qualche parola con lui e che lo descrisse come una persona rozza, volgare e offensiva. Proprio come Tina Isbecki. Nessuno aveva visto persone fargli visita.
Quando finii di bussare alle porte, la troupe televisiva si stava allontanando. Mi infilai dietro il camion dei traslochi e salii i gradini nell'attimo in cui Gladstone usciva di casa.
Stava chiudendo la porta a chiave e, vedendomi, si accigliò.
«Datemi un momento di tregua! Io non sapevo che questo figlio di puttana fosse un maniaco.»
«Non sono un giornalista. Sto indagando sul caso.»
Gli mostrai il tesserino, ma era tutta la settimana che vedeva tesserini e lo allontanò con un gesto della mano.
«Non ho niente da dire. Pagava regolarmente l'affitto e non mi ha mai dato noie. Adesso mi ritrovo con pezzi di cervello sul soffitto e gente come lei tra i piedi a farmi perdere tempo. Devo far svuotare e ripulire questo appartamento entro oggi.»
Si allontanò di corsa per seguire gli uomini dei traslochi.
Tornai alla mia auto ma non me ne andai. Gli operai chiusero il portellone del camion e si allontanarono seguiti da Gladstone. Quando se ne furono andati scesi dall'auto e mi infilai sotto i rami bassi di cedro per imboccare il vialetto accanto al garage. Un grosso bidone dell'immondizia di plastica nera bloccava il passaggio, ma una piccola rampa di scale portava a una porta.
Il bidone era pieno di asciugamani, lenzuola, indumenti vecchi e sacchetti di plastica pieni di avanzi di cibo e generi alimentari. Gladstone aveva gettato via le cose destinate a marcire, mele, arance, un melone, hamburger e pollo, e tutte le solite cose che si accumulano in un frigo. Ero probabilmente la quinta o la sesta persona a frugare tra i rifiuti e non mi aspettavo di trovare qualcosa di utile.
Oltrepassai il secchio della spazzatura, salii i gradini fino alla porta ed entrai in casa. Non restava molto.
In soggiorno c'era qualche piccolo elemento d'arredo, ma divano, televisore e poltrona erano stati portati via. In bagno era anche peggio. Intorno al lavandino non restava più nulla, come pure nei mobiletti sopra e sotto il lavello. E io che volevo controllare le ricette mediche. La stanza e l'armadio erano stati svuotati. Il letto, gli abiti di Byrd e tutto il resto era sparito. Restava solo una scatola di cartone piena di scarpe, cinture e altri effetti personali come vecchi accendini, penne e un orologio rotto. Vi frugai dentro ma non trovai nulla. Mi avrebbe fatto comodo un bel biglietto: "Per consegne gratuite a domicilio, chiama il tuo locale fornitore di droga".
Feci un altro giro per la casa cercando il telefono. Trovai tre prese ma non gli apparecchi. Probabilmente li aveva presi la polizia per controllare i chip della memoria.
Mi ritrovai in cucina. Sopra il bancone c'era un'altra presa con accanto una lavagnetta su cui erano appiccicati biglietti da visita e menu da asporto. In cima a tutto vidi il biglietto da visita di Alan Levy. Era unto e scurito, come se si trovasse lì da tanto tempo. Il resto della lavagnetta era coperto di buoni sconto e volantini.
Nonostante il repulisti di Gladstone, in cucina erano rimasti cartoni e lattine e altro cibo che aspettava di essere buttato via. Ce n'era parecchio per una persona che non poteva uscire di casa, e molto di esso sembrava fresco.
Tornai al bidone e svuotai i sacchetti contenenti la frutta e altre cose. Erano sacchetti di plastica sottile, di quelli che si conservano per metterli nei secchi della spazzatura. Molti arrivano a casa dal supermercato e tirano fuori la spesa ma lasciano la ricevuta dentro il sacchetto.
Byrd aveva conservato molti sacchetti e Gladstone li aveva usati per liberare la casa. Svuotai quattordici sacchetti e trovai cinque ricevute, tutte del Laurel Market, il negozio ai piedi del canyon, e tutte con la data dell'acquisto. Il corpo di Lionel Byrd era stato scoperto otto giorni prima e il medico legale aveva stabilito che era morto già da cinque. Feci due calcoli. La data della ricevuta più recente era antecedente di due giorni la morte di Byrd. Se aveva dolori troppo forti per guidare, come aveva fatto ad andare a fare la spesa?
Rimisi sacchetti e spazzatura dentro il bidone e scesi a valle per scoprirlo. Tina Isbecki mi osservava dalla finestra. La salutai con la mano e lei rispose al mio saluto. Stavamo diventando amici.