Mercoledì 14 agosto 2013 Mattina
Siamo a letto. Lui mi ha messo le mani sui fianchi, mi sussurra sul collo, è madido di sudore. «Dovremmo farlo più spesso.»
«Lo so.»
«Dobbiamo trovare più tempo per noi.»
«Sì.»
«Mi manchi, e mi manca anche questo. Non voglio che sia un’eccezione alla routine.»
Mi rigiro e lo bacio sulla bocca; ho gli occhi chiusi, e cerco di respingere il senso di colpa che mi assale per aver chiamato la polizia senza dirgli nulla.
«Dovremmo andare da qualche parte. Soltanto noi due, una piccola fuga.»
Vorrei chiedergli dove pensa di lasciare Evie. Con i suoi genitori con i quali ha tagliato i ponti? O con mia madre che è così fragile da non riuscire nemmeno a badare a se stessa?
Non dico niente, ma lo bacio con passione. Lui fa scivolare le mani sulle mie cosce e le stringe con forza.
«Che ne pensi? Dove vorresti andare? Alle Mauritius? Oppure a Bali?»
Mi metto a ridere.
«Parlo sul serio.» Si sposta e mi guarda negli occhi. «Anna, ce lo meritiamo. Tu te lo meriti. È stato un anno pesante, non credi?»
«Ma...»
«Ma cosa?» Sorride. «Penseremo a una soluzione per Evie, non ti preoccupare.»
«Tom... e i soldi?»
«Non c’è problema.»
«Ma...» Non vorrei dirlo, però non posso trattenermi. «Non abbiamo abbastanza soldi per traslocare, però ne abbiamo per andare in vacanza alle Mauritius o a Bali?»
Lui sbuffa e si allontana da me, avrei fatto meglio a stare zitta. Il baby monitor si mette a gracchiare: Evie si è svegliata.
«Vado io.» Si alza ed esce dalla camera.
A colazione, Evie fa i capricci, come al solito. Rifiuta il cibo, tiene la bocca chiusa e prende a pugni la ciotola. La pazienza di Tom si esaurisce quasi subito.
«Non ho tempo. Pensaci tu.» Si alza in piedi e mi passa il cucchiaio; ha un’espressione addolorata.
Sospiro. Va tutto bene, è stanco, lavora tantissimo ed è arrabbiato perché non ho assecondato la sua idea del viaggio.
In realtà non va bene per niente: anch’io sono stanca e mi piacerebbe riuscire a discutere della nostra situazione finanziaria senza che lui si alzi e se ne vada. Però non è questo che gli dico: infrango la promessa fatta a me stessa e tiro fuori Rachel.
«È tornata di nuovo. Qualunque cosa tu le abbia detto, non ha funzionato.»
Mi lancia un’occhiata penetrante. «Cosa vuol dire che è tornata di nuovo?»
«Ieri sera era qui, in strada, proprio davanti a casa nostra.»
«Era con qualcuno?»
«No, era sola. Perché me lo chiedi?»
«Cazzo!» esclama. Ha il volto rabbuiato, è davvero furioso. «Le ho detto di stare lontana da noi. Perché non me ne hai parlato ieri sera?»
«Non volevo che ti arrabbiassi» sussurro, e mi pento di aver sollevato l’argomento. «Non volevo farti preoccupare.»
«Cristo!» impreca, poi getta la tazza nel lavandino. Il rumore spaventa Evie, che si mette a piangere. La situazione peggiora. «Non so cosa dirti, davvero. Quando le ho parlato, era tutto a posto. Mi ha ascoltato e ha promesso di non avvicinarsi più. Era in forma, sembrava essere tornata quella di sempre...»
«Era in forma?» gli chiedo, e prima che si volti verso di me capisco di averlo colto in flagrante. «Non avevi detto che vi siete sentiti al telefono?»
Lui sospira, poi mi guarda; il suo viso non tradisce emozioni. «Sì, tesoro, ti ho detto così perché sapevo che ti saresti incazzata se l’avessi incontrata di persona. Ho preferito raccontarti una bugia, per quieto vivere.»
«Mi stai prendendo in giro?»
Lui sorride, poi scuote la testa e si avvicina; tiene le mani giunte, come a implorarmi. «Mi dispiace, davvero. Lei voleva parlare di persona e ho pensato che fosse meglio. Mi dispiace, okay? Ci siamo visti in un locale schifoso, ad Ashbury, e abbiamo chiacchierato per una ventina di minuti, mezz’ora al massimo. Va bene?»
Mi abbraccia e mi attira a sé. Provo a resistere, ma lui è molto più forte e ha un buon odore, e io non voglio litigare. Voglio che stiamo dalla stessa parte. «Mi dispiace» bisbiglia ancora, tra i miei capelli.
«Va tutto bene» replico.
Lascio perdere perché ho altro a cui pensare. Ieri sera ho chiamato il sergente Riley e ho capito subito di aver fatto la cosa giusta. Quando le ho riferito di aver visto Rachel uscire da casa di Scott Hipwell «in numerose occasioni» (è un po’ esagerato, lo so), lei mi è sembrata molto interessata. Ha voluto che le dicessi le date esatte (ne conoscevo due, sono stata vaga sulle altre), ha chiesto se era successo prima della scomparsa di Megan Hipwell e se ritenevo che tra i due ci fosse una relazione. Non ci avevo nemmeno pensato: non riesco a immaginare come si possa passare da Megan a Rachel. E poi ha appena seppellito sua moglie.
Ho ricordato anche l’episodio di Evie, quando Rachel ha tentato di rapirla, nel caso la Riley se ne fosse dimenticata.
«È una squilibrata. Forse lei pensa che io stia esagerando, ma non voglio correre rischi, quando si tratta della mia famiglia.»
«Capisco. Grazie di aver chiamato. Se vede qualcosa di sospetto, mi telefoni subito.»
Non so cosa faranno con lei. Forse un avvertimento? Magari dovremmo iniziare a valutare l’idea di un ordine restrittivo. Spero di non dover arrivare fino a quel punto.
Tom va al lavoro e io al parco con Evie; giochiamo sulle altalene e sui cavallucci a dondolo, poi la metto nel passeggino e lei si addormenta quasi subito, così posso andare a fare la spesa. Taglio per le viuzze secondarie per arrivare da Sainsbury’s. La strada è più lunga ma non c’è traffico e passiamo vicino al 34 di Cranham Street.
Quando mi trovo davanti alla casa, non posso evitare di provare un brivido di eccitazione; sorrido e mi sento arrossire. Ricordo quando salivo le scale di corsa, sperando che i vicini non mi vedessero, poi andavo in bagno a prepararmi; mi spruzzavo il profumo e indossavo biancheria intima provocante. Poi lui mi mandava un sms e si faceva trovare alla porta, quindi salivamo in camera da letto, al piano di sopra, per un’ora o due.
Diceva a Rachel di essere con un cliente, o che si era fermato a bere una birra con gli amici. «Non temi che possa controllarti?» gli chiedevo. Lui scuoteva la testa: «Sono bravo a mentire» aveva replicato una volta, compiaciuto. «E anche se mi controllasse, domani se ne sarebbe già dimenticata» mi aveva confessato in un’altra occasione. Era stato allora che avevo cominciato a capire che la sua vita con lei era un inferno.
Ripensare a quelle conversazioni mi intristisce. Ricordo Tom che sorrideva con aria cospiratrice, mentre mi sfiorava la pancia con le dita e diceva: «Sono bravo a mentire». È davvero un ottimo bugiardo, ha un talento naturale. L’ho visto all’opera: quando ha convinto il portiere di un albergo che eravamo in luna di miele, per esempio, o quando è riuscito a evitare gli straordinari in ufficio accampando un problema familiare. Tutti lo abbiamo fatto, almeno una volta, ma lui è molto credibile.
Ripenso alla colazione: l’ho preso con le mani nel sacco, ma lui ha subito ammesso la bugia, quindi non devo preoccuparmi. Non sta vedendo Rachel di nascosto, è un’idea ridicola. Forse un tempo era carina. A dire il vero, ho visto le foto di qualche anno fa, quando si sono conosciuti: era molto bella, occhioni neri e un gran fisico, pieno di curve, ma adesso è soltanto una cicciona. Lui non tornerà mai da lei, non dopo tutto quello che gli ha fatto: le molestie, le chiamate a notte fonda, gli sms.
Sono nella corsia dello scatolame; Evie dorme ancora, per fortuna, e ripenso a tutte le telefonate, a quella notte (forse più di una?) che mi sono alzata e c’era la luce del bagno accesa. Sentivo la voce di Tom, calma e gentile, dall’altra parte della porta. So che provava a tranquillizzarla. Mi ha detto che a volte lei era così furiosa da minacciare di presentarsi a casa, al lavoro, o di buttarsi sotto un treno.
È bravo a mentire, ma io so quando dice la verità: non mi può ingannare.