Sera
Sono al pronto soccorso dell’ospedale universitario. Un taxi mi ha investita mentre attraversavo Gray’s Inn Road. Ero perfettamente sobria, ci tengo a sottolinearlo, anche se mi sentivo piuttosto confusa, distratta, quasi spaventata. Ho un taglio di qualche centimetro sopra l’occhio destro; lo ha ricucito un giovane dottore, tanto bello quanto sgarbato e freddamente professionale. Vede il bernoccolo sulla testa.
«Non è recente» spiego.
«Lo sembra, invece» replica lui.
«Be’, non me lo sono fatto oggi.»
«È stata in guerra, per caso?»
«Ho sbattuto la testa, mentre entravo in macchina.»
Lui esamina il bozzo per qualche secondo. «Ne è sicura?» Mi guarda negli occhi. «A me non pare proprio. È come se qualcuno l’avesse colpita.» Sudo freddo. Ricordo di essermi abbassata per schivare un colpo e di aver sollevato le braccia: ma è un ricordo “vero”? Il medico scruta di nuovo la ferita. «Con un oggetto appuntito, forse dentellato...»
«No, ho sbattuto la testa contro il tettuccio della macchina.» Cerco di convincere anche me stessa.
«Okay.» Mi sorride e si allontana di un passo, poi si china per guardarmi dritto negli occhi. «Rachel... si sente bene?»
«Sì, certo.»
Mi fissa a lungo: non mi crede. È preoccupato per me: forse pensa che sia vittima di violenze domestiche. «Va bene. Medicherò la ferita, perché è piuttosto brutta. Posso avvertire qualcuno? Suo marito?»
«Sono divorziata.»
«Allora qualcun altro?» La notizia del mio divorzio non gli ha fatto alcun effetto.
«Sì, la mia amica, sarà in pensiero.» Gli passo il nome e il numero di Cathy. In realtà non ha alcuna ragione di essere in pena per me, visto che non sono ancora in ritardo, ma magari le farò pietà e mi perdonerà per quello che è successo ieri appena saprà che sono stata investita da un taxi. O invece penserà che mi è capitato perché ero ubriaca. Potrei chiedere al dottore di farmi le analisi del sangue o l’esame tossicologico, per dimostrarle che non ho bevuto. Gli sorrido, ma lui non mi guarda: sta scrivendo qualcosa. E comunque, è un’idea davvero stupida.
Non è stata colpa del taxista: gli sono sbucata davanti quasi di corsa, anche se non stavo andando da nessuna parte. Non pensavo a niente, men che meno a me stessa. Avevo in testa solo Jess. Che non si chiama Jess, ma Megan Hipwell, ed è scomparsa.
Ero andata alla biblioteca di Theobalds Road; avevo appena inviato un’e-mail a mia madre, niente di specifico, un messaggio interlocutorio per valutare la sua disposizione nei miei confronti. Nella home page del mio account di Yahoo! ci sono le notizie locali. Non so come facciano a sapere dove abito, ma lo sanno. E c’era una fotografia di lei, di Jess, la “mia” Jess, la bionda perfetta. Il titolo diceva: Preoccupazione per la donna scomparsa a Witney.
All’inizio non ne ero sicura, o meglio, sembrava proprio lei, era identica all’immagine che di lei ho nella mente, ma dubitavo della mia memoria. Poi ho letto la storia, ho visto il nome della strada e ho capito tutto.
La polizia del Buckinghamshire è sempre più preoccupata per la sorte della ventinovenne Megan Hipwell, residente a Witney, in Blenheim Road. L’ultimo a vederla è stato il marito, Scott Hipwell: la donna è uscita di casa alle sette di sabato sera per recarsi da un’amica. Secondo l’uomo, la scomparsa è «del tutto inspiegabile». La Hipwell indossava un paio di jeans e una maglietta rossa; è alta un metro e sessanta, magra, bionda, con gli occhi azzurri. Chiunque abbia informazioni su di lei è pregato di mettersi in contatto con la polizia locale.
È scomparsa! Jess è scomparsa! Megan è scomparsa, da sabato. Ho fatto una ricerca su Google: la notizia era stata pubblicata soltanto dal «Witney Argus», ma senza ulteriori dettagli. Ho ripensato a Jason/Scott, che stamattina era sulla terrazza, mi guardava e mi sorrideva. Ho afferrato la borsa e sono corsa fuori dalla biblioteca, parandomi proprio davanti al taxi nero.
«Rachel? Rachel?» Il bel dottore cerca di attirare la mia attenzione. «La sua amica è venuta a prenderla.»