Lunedì 22 luglio 2013 Mattina

Sono confusa. Ho dormito bene, ma ero agitata e stamattina fatico a svegliarmi. Il caldo è tornato e il vagone è soffocante, anche se mezzo vuoto. Ero in ritardo e non ho fatto in tempo a comprare il giornale né ad ascoltare le notizie prima di uscire di casa. Provo a caricare il sito della BBC sul cellulare, ma ci mette un’eternità. A Northcote sale un tizio con l’iPad e si siede vicino a me. Non ha problemi di collegamento e accede subito al sito del «Daily Telegraph», dove campeggia la notizia: Uomo arrestato in relazione alla scomparsa di Megan Hipwell. Dimentico la buona educazione e mi avvicino per leggere meglio. Lui mi guarda infastidito, forse persino spaventato.

«Mi scusi. Il fatto è che... io la conosco. La donna scomparsa... la conosco.»

«Oh, è davvero terribile!» È un signore di mezz’età, istruito ed elegante. «Vuole leggere l’articolo?»

«La ringrazio! Con il mio cellulare non riesco a caricarlo.»

Sorride con gentilezza e mi passa il tablet. Sfioro il titolo e apro la pagina.

Un uomo sulla trentina è stato arrestato in relazione alla scomparsa di Megan Hipwell, ventinove anni, la donna di cui non si hanno notizie da sabato 13 luglio. La polizia non ha confermato l’identità del sospettato; potrebbe trattarsi di Scott Hipwell, il marito di Megan, che era stato interrogato giovedì scorso. Il portavoce della polizia ha dichiarato: «Confermiamo di aver arrestato un uomo collegato alla scomparsa di Megan. Non sono ancora state mosse accuse nei suoi confronti. Le ricerche continuano, stiamo verificando un indirizzo che potrebbe rivelarsi rilevante per le indagini».

Stiamo superando la casa: questa volta il treno non si ferma al semaforo. Mi volto, ma è troppo tardi. Restituisco l’iPad al suo proprietario; mi tremano le mani. Lui scuote la testa. «Mi dispiace molto» commenta.

«Lei non è morta.» Ho la voce roca, ma nemmeno io credo alle mie parole. Sento le lacrime salirmi agli occhi. Io sono stata a casa sua, sono stata là dentro, l’ho guardato negli occhi, ho provato qualcosa. Penso a quelle mani enormi, a quanto male potrebbe farmi, e alla piccola, fragile Megan.

Il treno frena, stiamo entrando nella stazione di Witney. Balzo in piedi.

«Devo andare» spiego al mio vicino di posto, che sembra stupito, ma annuisce.

«Buona fortuna» mi augura.

Corro lungo il binario e giù per le scale; sono investita dal flusso dei pendolari, che avanza in direzione contraria. Quando arrivo in fondo alle scale inciampo e un tizio mi grida di guardare dove metto i piedi. Non lo degno di uno sguardo, perché la mia attenzione è stata attirata dal bordo del penultimo scalino: c’è una macchia di sangue. Da quanto tempo è lì? Da una settimana? Potrebbe essere il mio? O quello di Megan? Hanno trovato tracce di sangue in casa sua, e lo hanno arrestato? Provo a ricordare la cucina, il soggiorno. C’era un forte odore di disinfettante. Era candeggina? Non lo so, ma ho impresso nella mente il sudore sulla maglietta e l’odore di birra del suo alito.

Supero il sottopassaggio di corsa e sbuco in Blenheim Road. Cammino a testa bassa e trattengo il respiro, ho paura di quello che potrei scoprire, ma in realtà non c’è niente da vedere. Non ci sono furgoni parcheggiati davanti a casa di Scott, né auto della polizia. Hanno già finito di perquisire la casa? Se avessero trovato qualcosa, sarebbero ancora lì: ci vogliono ore per controllare tutto e catalogare le prove. Aumento l’andatura e mi fermo davanti al civico 15. Faccio un bel respiro. Le tende sono tirate, ma qualcuno mi spia dalla finestra della casa vicina. Percorro il vialetto e alzo la mano per bussare: non dovrei essere lì, non so perché sono venuta. Volevo vedere, volevo sapere. Per un attimo, sono combattuta: l’istinto mi dice di andarmene, ma una parte di me vorrebbe entrare in quella casa. Mi volto per allontanarmi, ma proprio in quel momento la porta si apre.

Prima che abbia il tempo di reagire, lui allunga la mano, mi afferra per un braccio e mi tira verso di sé. Ha gli occhi sgranati, il volto è un ghigno pauroso. È disperato, fuori di sé. Ho paura e mi aspetto il peggio. Apro la bocca per gridare, ma è troppo tardi: mi trascina in casa e richiude la porta alle mie spalle.

La ragazza del treno
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