Sera
Il treno della sera parte alle 17.56 ed è un po’ più lento di quello del mattino: ci mette un’ora e un minuto, sette minuti in più, anche se si ferma nelle stesse stazioni. A me non importa molto perché, come non ho fretta di arrivare a Londra la mattina, non ne ho nemmeno di tornare ad Ashbury la sera. Per quanto sia brutta, il problema non è Ashbury in sé: è una new town degli anni Sessanta, come tante altre, e si è allargata come un tumore, proprio nel cuore del Buckinghamshire. Non è migliore né peggiore delle altre new town: il centro è pieno di locali, negozi di telefonia e vetrine di JD Sports. Oltre i quartieri periferici si estende il regno dei cinema multisala e degli ipermercati Tesco. Io abito in una zona abbastanza nuova e carina, nel punto di congiunzione tra il centro città e la periferia, ma quella non è casa mia. La mia casa si trova lungo i binari: è la villetta di cui un tempo ero proprietaria. Ad Ashbury non sono proprietaria né inquilina: occupo la camera degli ospiti dell’appartamento di Cathy, grazie alla sua generosità e disponibilità.
Eravamo amiche, ai tempi dell’università. Non proprio amiche intime, a dire il vero. Durante il primo anno di studi, lei era la mia vicina di stanza e seguivamo le stesse lezioni, quindi ci è venuto naturale allearci per superare le difficoltà delle settimane iniziali, finché entrambe non abbiamo conosciuto altre persone, alle quali ci sentivamo più affini. Negli anni successivi, non ci siamo frequentate più di tanto e dopo la laurea ci siamo perse di vista, incontrandoci soltanto in occasione dei matrimoni di amici comuni. Quando mi sono trovata in difficoltà, però, è saltato fuori che lei aveva una stanza libera, e mi è parsa una soluzione ragionevole. Pensavo che sarebbe durata un paio di mesi, sei al massimo, e non c’erano alternative. Non avevo mai vissuto da sola, ero passata dai miei genitori ai compagni di studi, e infine a Tom; mi sembrava un cambiamento troppo faticoso per le mie forze, per cui ho accettato la sua proposta. Sono passati quasi due anni.
In fondo, non è tanto male. Cathy è una persona amabile e ostenta così caparbiamente la sua affabilità, aspettandosi sempre che le sia riconosciuta, che risulta pressoché impossibile non dargliene atto. A volte il suo modo di fare può essere fastidioso, ma poteva capitarmi di peggio. No, il problema non è Cathy, e nemmeno Ashbury: non sono loro a rendere sgradevole la mia nuova situazione (dopo due anni, continuo ancora a pensarla come una novità). La mia vera difficoltà è l’aver perso il controllo. A casa di Cathy mi sento sempre come un’ospite che inizia a diventare inopportuna. Me ne accorgo in cucina, quando sgomitiamo per preparare la cena, oppure quando ci sediamo sul divano e lei tiene saldo in mano il telecomando. L’unico spazio che sento davvero mio è la piccola camera dove il letto matrimoniale e la scrivania sono così vicini che quasi non si riesce a camminare. È abbastanza comoda ma non è molto accogliente, quindi mi capita di passare più tempo in soggiorno o seduta al tavolo della cucina, anche se sono a disagio e mi sento vulnerabile. Ho perso il controllo di tutto. Anche dei luoghi che si trovano dentro la mia testa.