Sera
La camicia è stretta, i bottoni tirano sul petto; è macchiata e ho le ascelle chiazzate di sudore. Gli occhi e la gola mi bruciano. Stasera vorrei che il viaggio finisse subito; non vedo l’ora di arrivare a casa, svestirmi e fare una doccia, di stare dove nessuno può vedermi.
Guardo il tizio seduto di fronte a me. Ha la mia età, poco più di trent’anni, i capelli scuri che cominciano a ingrigirsi sulle tempie. Ha un colorito giallastro. Si è tolto la giacca del vestito e l’ha stesa sul sedile di fianco. Ha un MacBook, sottile come un foglio di carta, aperto di fronte a lui; è lento a scrivere. Indossa un orologio in acciaio con il quadrante grosso al polso destro; sembra costoso, forse è un Breitling. Si sta mordicchiando l’interno della guancia. Sembra nervoso, oppure assorto nei suoi pensieri. Sta scrivendo un’e-mail importante a un collega della sede di New York, o un messaggio di addio alla sua ragazza, e soppesa ogni parola. Di colpo solleva gli occhi e incrocia il mio sguardo; mi scruta, vede la bottiglietta di vino sul tavolino e torna a concentrarsi sullo schermo. La piega delle sue labbra tradisce una reazione disgustata: gli faccio schifo.
Non sono più la ragazza di una volta: ormai non sono più desiderabile, anzi, sono diventata sgradevole. Non è solo perché sono ingrassata e ho il viso gonfio per l’alcol e la mancanza di sonno: gli altri leggono i segni della devastazione scritti sul mio corpo, sul mio volto, nel mio comportamento, nei miei movimenti.
Una sera della settimana scorsa mi sono alzata per andare a prendere un bicchier d’acqua e ho sentito una conversazione tra Cathy e il suo ragazzo, Damien. Erano in soggiorno e mi sono fermata nel corridoio a origliare. «È così sola. Sono davvero preoccupata per lei. Non le fa bene» diceva Cathy. Poi ha aggiunto: «Non c’è qualcuno dei tuoi colleghi o della squadra di rugby che potremmo presentarle?». «A Rachel?» ha replicato lui. «Stai scherzando, spero. Non credo di conoscere nessuno così disperato.»