LI.

La vista dei nuovi arrivati acuí in Ricciardi la sensazione di essere preda di un incubo o di una molesta illusione. Che ci facevano là Bianca e il duca? Come sapevano che era stato trascinato in quella specie di assurdo processo senza dibattito né prove, con una condanna già confezionata? Chi li aveva avvisati, e perché?

Provò a parlare, ma non gli venne nulla. Lo sguardo della contessa era calmo, come se incontrarlo in quel luogo fosse la cosa piú normale del mondo. Marangolo invece sembrava non averlo nemmeno visto. Teneva gli occhi sull’uomo coi capelli bianchi, che si era alzato per salutarlo. Gli altri rimasero dietro il tavolo: l’uomo con la cicatrice sulla fronte si chinò verso quello col sigaro per sussurrargli qualcosa.

L’uomo coi capelli bianchi disse:

– Caro amico, come vedi siamo un attimo impegnati, ma abbiamo quasi finito e…

Marangolo alzò una mano per interromperlo.

– Sono qui proprio per questo, Iaselli. State commettendo un errore, e voglio evitarvelo.

L’uomo coi capelli bianchi arrossí.

– Niente nomi, ti prego! Questo è un incontro riservato, e…

Marangolo si lasciò andare a una risatina.

– Eh già, i vostri incontri riservati. So bene come funzionano. Allora, dato che non lo fai tu, lo faccio io. Mi presento: sono Carlo Maria Marangolo. Il duca Marangolo. Se sono qui è perché qualcuno di molto importante mi ha autorizzato a esserci, quindi non perderò il vostro e il mio tempo ad accreditarmi; potrete verificare dopo che avremo sbrigato la questione, magari facendo una telefonata a quel numero di Roma che di sicuro conoscete tutti.

Il giovane in camicia nera si alzò, accigliato, e si rivolse a Iaselli.

– Qualcuno mi spiega che cosa sta succedendo? Se il luogo dell’incontro lo conoscono tutti, tanto valeva che andassimo in prefettura! Io non ho tempo da perdere, chi è questa gente?

Marangolo lo fissò duro.

– Giovanotto, io mi sono presentato. E credetemi, non sono uno che si sposta facilmente, tantomeno per venire in posti tipo questo. Ma perché le cose vi siano piú chiare, sappiate che sono uno in grado di disporre la vostra immediata rimozione dall’incarico che vi è stato un po’ troppo frettolosamente conferito, colonnello Sansonetti.

Sentendosi chiamare per nome da quello sconosciuto, e con un tono basso e minaccioso, il giovane si risedette immediatamente, torvo.

Iaselli era incerto.

– Ti prego, Marangolo, niente nomi. E nessuno mette in dubbio la tua autorità, ma…

Senza tener conto dell’interruzione, il duca proseguí, piú conciliante.

– Va bene. Come vi ho detto, sono qui per evitare che venga commesso un errore. E in tal senso vi informo che l’accusa di omosessualità che state discutendo per il barone di Malomonte è…

L’uomo col sigaro chiese a Iaselli:

– Chi sarebbe questo barone di Malomonte? Non stiamo parlando di questo qui, Ricciardi?

Marangolo fece un mezzo sorriso.

– È la stessa persona, complimenti per la completezza delle informazioni assunte, eccellenza Rossini.

Iaselli era sconfortato.

– I nomi no, per cortesia…

L’uomo con la cicatrice arrossí e disse:

– Le informazioni sono complete, signore. Non sono state divulgate integralmente perché non è stato ritenuto necessario.

Marangolo si voltò verso di lui come se si accorgesse della sua presenza soltanto in quel momento.

– Non so voi chi siate, ma posso immaginarlo. E prendo atto adesso del fatto che avete taciuto il nome e l’identità di quest’uomo assurdamente imputato, mentre le altre congetture, lo so da fonte molto autorevole, la stessa che mi permette di essere qui, sono state costruite con cura. Me ne chiedo il motivo.

L’ometto batté la mano sulle carte.

– È tutto documentato, signore, tutto. Noi abbiamo un sistema di sorveglianza accuratissimo, nulla ci può sfuggire e…

– Lo conosco, il vostro sistema. Ero presente quando è stato costruito; è basato sulla delazione, non sulla sorveglianza. Ma lasciamo perdere. Le cose stanno cosí: se vi do la mia parola che il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte, non è colpevole di omosessualità è sufficiente? Mi credete?

L’ometto con la cicatrice protestò.

– No che non vi crediamo! Qui abbiamo prove: rapporti, movimenti, certificazioni!

Anche il giovane colonnello, pur mantenendosi guardingo, scosse il capo.

– Mi pare che il quadro complessivo parli chiaro. Non possiamo lasciare un pederasta a fare quel lavoro, a rappresentare lo Stato. Siamo responsabili, noi.

L’uomo col sigaro soggiunse.

– No, non è sufficiente. Non voglio mettere in dubbio la vostra parola, duca, ma… non potreste esservi sbagliato? Abbiamo… proceduto per molto meno, con altri.

Iaselli, che era rimasto in piedi, sembrava in estremo disagio.

– Vedi, Marangolo, qui sono rappresentate molte… strutture. E ti posso garantire che facciamo un lavoro serio, serissimo, per mantenere pulito il Paese.

Marangolo non sembrò sorpreso.

– Immaginavo che avreste risposto cosí. Peccato. Bene, allora sono costretto a chiedere alla contessa Bianca Palmieri di Roccaspina di dirvi per quale motivo mi ha accompagnato fin qui.

L’attenzione di tutti si spostò su Bianca, che dall’ombra fece un passo avanti, entrando nel cono di luce della lampada che pendeva dal soffitto.

Ricciardi, che aveva assistito allo scambio di battute con crescente speranza e sempre maggiore attenzione, per poi rimanere deluso alla fine, si accorse di una nuova luminosità sul bellissimo volto della contessa. Non indossava il solito vestito scuro, ma un abito azzurro abbottonato davanti con una cintura in vita che le fasciava la figura, conferendole una sensualità profonda e sconosciuta, accentuata dalle scarpe col tacco alto. Il cappellino a cloche blu metteva in risalto i riflessi ramati dei capelli. Sembrava un’altra donna.

La differenza la faceva soprattutto l’espressione, pensò Ricciardi. Sul volto leggermente truccato brillava una nuova sicurezza. Mai il commissario l’aveva veduta cosí consapevole della propria bellezza e della naturale eleganza che portava come una corona.

Sorrise a Marangolo, che la guardava adorante. Poi disse:

– Buongiorno, signori. Sono qui per darvi un’informazione che mi riguarda e che mai avrei creduto di dover rendere pubblica, ma a quanto vedo è necessario, purtroppo. Io e il commissario Ricciardi abbiamo una relazione. Una relazione affettiva.

Aveva pronunciato quelle parole con calma, come se stesse raccontando dell’ultimo concorso di equitazione al quale aveva assistito. Il tono della voce, caldo e basso, non mostrava incertezze o travagli interiori.

Il primo a riscuotersi fu l’ometto con la cicatrice, l’unico, ormai, rimasto senza nome. Scartabellò di nuovo i fogli che aveva davanti e farfugliò:

– Non mi risulta. Non mi risulta. È impossibile, i vostri incontri con Ricciardi sono avvenuti soltanto negli ultimi giorni, e…

Marangolo lo rintuzzò.

– È chiaro che il vostro famoso sistema, la perfetta rete di sorveglianza che vantate, presenta delle falle.

Bianca sorrise e si rivolse a Ricciardi, rimasto a bocca aperta.

– Lo vedi, caro? Siamo stati bravi a nasconderci.

Gli occhi dell’ometto con la cicatrice si strinsero in due fessure. Trasudava diffidenza da tutti i pori.

– E da quanto dura, questa pretesa relazione?

La donna ribatté tranquilla.

– Due anni. Sono due anni ormai, vero, Luigi Alfredo? Confesso che ero stanca di questi sotterfugi, ma non si poteva fare altrimenti, finora.

Rossini, che aveva acceso un altro sigaro, sembrava quasi divertito.

– E l’altra, quella che ha avanzato l’accusa di omosessualità? Quella con cui non ha voluto…

Bianca gli rivolse uno sguardo sdegnato.

– Credo che la spiegazione sia abbastanza facile. Luigi Alfredo sa benissimo che se venissi a sapere di un suo tradimento gli caverei gli occhi con le mie mani.

Ricciardi cercava di pensare velocemente. Quello che Bianca stava compiendo per lui era un sacrificio di proporzioni inimmaginabili. Stava rinunciando all’unica cosa che le rimaneva, a quello su cui avrebbe dovuto fondare tutte le speranze di ricostruirsi un futuro. Per quale motivo lo faceva? E soprattutto: lui poteva consentirlo?

– Bianca, – disse, – non è necessario che voi facciate questo. Lasciate stare.

La contessa si voltò a guardarlo, con un sorriso dolcissimo.

– Luigi Alfredo, grazie perché ti preoccupi per me. Ma non posso consentire che per cautelarmi tu ti sottoponga a questa ingiustizia.

Il giovane colonnello, che ancora non si rassegnava ad aver perso tempo, pensò bene di intervenire.

– Una contessa, addirittura. E se ricordo bene, una contessa col marito in galera per omicidio, è cosí? Bell’esempio della nobiltà debosciata di questo schifo di città. E comunque quello che state dicendo fa di voi un’adultera, ve ne rendete conto? L’adulterio è un’altra vergogna che noi vogliamo ripulire.

Marangolo impallidí, come se avesse ricevuto un ceffone.

– Maledetto idiota, come osate parlare cosí a una donna come la contessa? Intanto dovreste sapere che l’adulterio, nel nostro ordinamento, è punibile solo dietro denuncia del marito, e siamo piú che certi che lui abbia altro di cui occuparsi, adesso. In ogni caso non permetterò che un buffone della vostra fatta si permetta certi insulti. Devo forse ricordarvi quella circostanza in cui vostro padre, non piú di tre anni fa, fu trovato tra gli ospiti di un bordello clandestino durante un’irruzione della polizia. A proposito di vizi e virtú.

La tirata del duca cadde nel silenzio imbarazzato dei presenti. Il giovane colonnello divenne terreo, gli occhi fiammeggianti di rabbia. Poi si alzò rovesciando la sedia e uscí, sbattendosi la porta alle spalle.

Rossini fece un’altra risatina e si rivolse all’uomo con la cicatrice.

– Bene, mi pare che possiamo andare, no? E mi pare anche che il sistema informativo vada un po’ rivisto. Mi sa che ne parlerò con Roma, qualcuno dovrà rendere conto del tempo che abbiamo perso oggi. Buona giornata. Duca…

Uno alla volta tutti i membri di quell’improvvisato tribunale segreto uscirono dalla stanza. L’ultimo fu l’uomo dai capelli bianchi, Iaselli, che allungò la mano per salutare Marangolo. Il duca non gliela strinse.

Quando si ritrovarono da soli, Ricciardi gli si rivolse.

– Marangolo, io non so come ringraziarvi. È incredibile ricevere un’accusa e non poter fare nulla per provare la propria innocenza.

L’uomo sorrise, triste.

– No, commissario. È incredibile che sia considerato un delitto qualcosa di cosí privato e personale, che non nuoce a nessuno. L’amore, sapete, è amore. Non ha bisogno di trovare una realizzazione, una concretezza per rimanere sé stesso. È amore e basta.

Bianca gli accarezzò il braccio.

– Carlo Maria, se non fosse stato per te…

Il duca agitò la mano.

– Lascia stare. Sono degli imbecilli e non valgono il potere che gli è stato dato. Per fortuna ci sono persone a Roma che hanno profondi motivi di gratitudine nei miei riguardi, e non se ne dimenticano. Adesso devo andare, credo che Iaselli mi stia aspettando. Vi lascio l’automobile per fare ritorno.

Salutò con un sorriso e uscí, zoppicando lievemente.