XXXI.
Manfred raccontava, e gli occhi di tutta la famiglia erano fissi su di lui.
Quasi tutta.
Giulio Colombo guardava Enrica.
La giornata era stata assai diversa dal solito. L’arrivo a prima mattina dei fiori per Maria, accompagnati da un discreto biglietto in cui l’ufficiale ringraziava per l’invito a cena e lo accettava con gioia, aveva messo in moto una catena di preparativi che aveva del parossistico. Per sua fortuna Giulio, che anche in presenza di eventi straordinari come quello aveva il negozio da portare avanti, era riuscito a scansare il caos familiare alimentato dall’ansia immensa della moglie.
Non era la prima volta che i Colombo ricevevano qualcuno nella prospettiva del matrimonio di una figlia. I genitori di Marco, il marito di Susanna, erano stati piú volte ospiti da loro prima delle nozze, ma in quel caso tutto si era svolto secondo i canoni stabiliti dalla tradizione, e Susanna stessa, pur molto giovane, si era adoperata per il perfetto funzionamento di quella cerimonia laica che era il fidanzamento. Lei sí, ribadiva Maria rivolgendosi a Enrica ogni volta che ne aveva l’occasione, era una figlia che non dava preoccupazioni. Una donna vera fin da ragazzina, che aveva il matrimonio, i figli e una casa come sogno e ambizione di vita.
La casa non proprio, avrebbe risposto Enrica, se non avesse voluto cosí bene alla sorella, visto che abitava ancora con loro né si intravedevano propositi di trasferimento a breve termine. Ma Susanna, in effetti, nonostante fosse piú piccola, aveva già un bambino di due anni ed era sposata da tre dopo un fidanzamento di cinque. Mentre lei aveva passato tutto quel tempo ricamando un corredo che forse non avrebbe mai usato.
Nel tempo Maria aveva provato a organizzare incontri con famiglie di conoscenti che avevano un figlio dell’età giusta, sperando scattasse una scintilla. Con uno di questi, Sebastiano, Enrica aveva perfino accettato di andare a prendere un caffè, ma alla fine, come sempre, la cosa era finita nel nulla.
Ora, però, era tutto diverso. Ora era stata proprio lei, Enrica, a conoscere un uomo, a parlare e a intrattenere una corrispondenza con lui, e a dire alla madre sai, mamma, c’è questa persona che ho incontrato, vive fuori ma viene in città per lavoro, e allora io, se non è di troppo disturbo, be’, credo che dovrei invitarlo qui. Magari a cena. Sai, mamma, lui è solo, abbiamo stretto amicizia a Ischia, era là per le cure termali. E, mamma, è un ufficiale tedesco.
E credo sia interessato a me.
Queste poche frasi, smozzicate da Enrica in rare confidenze nell’arco di un mese, dopo il suo ritorno dalla colonia estiva dove aveva insegnato, avevano provocato un terremoto. Maria, fin dalla prima, cauta ammissione aveva cominciato ad assediarla, e con la sua ansia aveva contagiato tutti. Che la figlia maggiore, la cui discrezione e la cui ritrosia erano proverbiali, avesse incontrato un uomo e volesse invitarlo a cena rappresentava un evento epocale.
Manfred si era presentato in uniforme e con un altro mazzo di fiori, stavolta per Enrica. Bellissimo, biondo, atletico e sorridente, e pure molto comunicativo, aveva mangiato di gusto, mugolando di piacere e facendo i complimenti alla padrona di casa per ogni singolo piatto. Poi aveva tirato fuori da una capace borsa di pelle regali per ogni membro della famiglia, senza dimenticare nessuno: animali intagliati nel legno per i piú piccoli, una pipa elaborata per Giulio, un foulard per Susanna, sigari per Marco. A Enrica aveva portato una collana d’argento con delle figure vestite in costume tipico della Baviera e un libro illustrato a mano.
Si era rivelato un conversatore interessante, e col suo italiano perfetto, reso esotico da quello strano accento un po’ duro, aveva espresso un profondo amore per l’arte e la cultura della città. Siete davvero fortunati, aveva detto, a vivere in un Paese tanto meraviglioso, dal grande passato e dal grande futuro.
Aveva poi spiegato l’estremo favore con cui la nuova Germania guardava al modello italiano; la sua stessa presenza in città ne era la prova, aveva aggiunto. Avrebbe affiancato alcuni archeologi tedeschi impegnati in scavi nell’area del vulcano, ma avrebbe anche trovato il tempo per soddisfare la sua curiosità verso gli altri innumerevoli tesori del territorio, che purtroppo conosceva solo superficialmente. Accompagnava ogni frase con un’occhiata intenzionale a Enrica, e con ciò suscitava l’entusiasmo di Maria, felicemente sorpresa che la figlia, una donna piuttosto ordinaria, doveva riconoscere in cuor suo, fosse oggetto delle attenzioni di un uomo straordinario come quello.
La ragazza, al solito, mostrava una tranquillità assoluta. Sorrideva alle battute, ascoltava, interveniva con qualche rara, appropriata osservazione. Cedendo alle pressioni aveva indossato una blusa di mussola rosa con un motivo floreale da lei stessa ricamato, cosí da consentire alla madre di sottolineare, come per caso, quanto fosse stata brava. Portava anche un filo di perle al collo e due piccoli orecchini a goccia, perché fosse ben chiara, sempre secondo le intenzioni della genitrice, l’importanza di quel nuovo incontro nell’intimità della famiglia, lontano dal luogo dove i due si erano conosciuti.
Enrica si comportava insomma come chiunque si sarebbe aspettato. Non si poteva pretendere da lei un atteggiamento sfacciato, ma Giulio, che ne osservava ogni minima reazione, aveva colto qualche reale manifestazione di interesse nei riguardi dell’ospite.
Era stato attento alla figlia per tutto il tempo cercando di appurare se, e in che misura, quell’uomo potesse rappresentare l’universo futuro dei suoi sentimenti, rendendola una moglie e una madre felice. Non era una cosa semplice da capire, nemmeno per chi, come Giulio, la conosceva alla perfezione e spesso, per via di quanto erano simili, intuiva pure quello che la ragazza non voleva mostrare.
Tutto si era svolto in maniera impeccabile, pensava Giulio. La cena era andata benissimo. Nulla da eccepire. Negli eccitati commenti che sarebbero senz’altro seguiti fino a tarda notte e per i giorni seguenti Maria si sarebbe dichiarata soddisfatta. Anche del comportamento di Enrica, che adesso rideva insieme agli altri mentre il maggiore raccontava delle sue goffe cadute quando, da ragazzino, aveva deciso di diventare un soldato di cavalleria.
C’era stato però un momento, un singolo momento, che a Giulio non era sfuggito.
Era accaduto dopo il dolce, una spettacolare zuppa inglese alla napoletana. Maria stava decantando le capacità culinarie di Enrica, autrice del capolavoro, e aveva cercato di indurla a spiegarne la ricetta. Lei si era schermita, naturalmente, e la madre aveva allora cominciato a illustrare la preparazione del capolavoro mentre Manfred, Marco e lo stesso Giulio si servivano una seconda porzione. Ricotta, scaglie di cioccolato, pan di Spagna bagnato col rum, due bicchierini di liquore Henry da aggiungere al ripieno; Maria descriveva e il tedesco ascoltava attento, masticando con visibile gusto.
Enrica si era alzata per portare via i piatti vuoti e andando in cucina aveva indirizzato un rapido sguardo verso la finestra al di là della strada. Un gesto cosí veloce da essere quasi impercettibile e Giulio era certo che lo avesse fatto senza accorgersene. Lui però se n’era accorto, e aveva visto il leggero sussulto delle spalle quando si era resa conto che, dietro le tende tirate, la finestra era illuminata.
Al suo ritorno la ragazza aveva di nuovo un bel sorriso sulle labbra e si era ridisposta, attenta, ad ascoltare la conversazione, nel frattempo rinvigorita da un compiaciuto commento di Marco secondo cui di sbagliato, quel dolce, aveva solo l’aggettivo «inglese».
Da lí si era passati a discutere di politica internazionale, con il marito di Susanna che sosteneva le solite posizioni estremiste in merito all’Europa soffocata dall’inaccettabile volontà di predominanza albionica e Manfred che, pur in maniera piú morbida, ne condivideva l’opinione. In altre circostanze Giulio sarebbe intervenuto contestando il militarismo di cui il fascismo e il nuovo governo tedesco erano impregnati, ma non quella volta.
Intanto sarebbe stato scortese nei confronti dell’ospite, pur sempre un militare e pur sempre un rappresentante della Germania in Italia, e poi il cavaliere era distratto. Cercava di intuire che cosa si nascondesse nell’anima della figlia. Se fosse già in atto una guerra, in quel cuore cosí tenero e inesperto.
Si chiese cosa avrebbe fatto don Pierino, e si chiese anche quali sentimenti celassero quelle tende chiuse al di là della strada.
Come Dio volle la serata finí, coi bambini che saltellavano attorno a Manfred chiedendogli di non andarsene e di raccontare altre storie sul suo paese in riva al lago, lassú in Baviera, e le sue strane usanze. Il maggiore si scusò per l’invasione e per la prolungata presenza, ma, aggiunse posando gli occhi su Enrica, era stato cosí bene che aveva perso la cognizione del tempo.
Con voce bassa e accorata si rivolse a Maria.
– Sapete, signora: io sono vedovo e senza figli. Sono solo da molti anni, sempre in giro per servizio. A volte mi sento triste. Però sogno ancora di poter avere una mia famiglia, proprio come la vostra. E dei bambini allegri e birbanti come questo qui.
Prese dalle braccia di Susanna il piccolo Corrado, facendogli il solletico e mandandolo in visibilio. Quando lo posò il piccolo si rifugiò dai genitori con un dito in bocca, continuando però a guardarlo senza farsi accorgere.
Lui continuò.
– A volte si pensa ai militari come me con qualche pregiudizio. Li si immagina superficiali, presi dalla carriera e dalla voglia di mettere in gioco la propria vita sul campo di battaglia. Non è vero, credetemi. Un militare è un uomo come un altro, e un uomo ha bisogno di una casa alla quale voler tornare. Altrimenti non è completo.
Con quel breve discorso, pronunciato prima di congedarsi, Manfred dichiarava il vero motivo della sua visita. Ed era, alla lettera, quello che Maria sperava di sentire.
La signora Colombo si aprí in un largo sorriso.
– Maggiore, avrete capito che siete un ospite molto gradito in questa casa. Finché sarete in città, sappiate che potete contare sulla nostra famiglia come se fosse la vostra; se lo desiderate potete tornare qui ogni sera. Ne saremo tutti molto felici: in primis la vostra amica Enrica, che dobbiamo ringraziare per avervi portato qua, e naturalmente mio marito. Vero, Giulio?
Chiamato in causa, il cavaliere confermò, cortese.
– Certo, certo. Venite pure quando volete.
Il sorriso di Enrica era lo stesso di Monna Lisa.
Giulio si chiese per l’ennesima volta a cosa stesse pensando.
E soprattutto a chi.