XXV.

Moscato si sventolava col cappello, seduto al tavolino del caffè nei paraggi dell’uscita del carcere.

– Commissario, voi credete che sia diventato pazzo? La solitudine, il rimorso… mi dà i brividi ogni volta di piú.

Ricciardi sorseggiava pensoso il denso liquido nero.

– Non saprei. Non ho visto tracce di rimorso, comunque; se è stato lui, allora è ben lieto di averlo fatto.

Moscato rifletteva.

– Non saprei dire. Il suo atteggiamento è stato strano fin dall’inizio. Anzitutto non mi ha chiamato, avrei potuto accompagnarlo, avrei sfruttato il fatto che gli sb… scusate, commissa’, che la polizia, almeno in un primo momento, brancolava un po’ nel buio. Invece è Bianca che mi ha avvertito, quando Romualdo era già stato fermato.

Ricciardi si fece piú attento.

– Mi state dicendo che il conte non avrebbe nemmeno voluto un difensore, all’inizio?

– No. Eppure lo avete sentito, non è certo uno sprovveduto dal punto di vista legale. Sa bene a che cosa va incontro, e non ha nessun timore. Oggi addirittura mi ha minacciato di ricusarmi, non ci manca che questo: sarebbe una pessima figura con tutti, dal tribunale in giú. Voi piuttosto, perché non mi avete detto che lo avevate già conosciuto? Non è stato un gesto intelligente, se qualcuno viene a sapere che siete entrato con me in incognito…

Ricciardi negò col capo.

– Credevo che lo sapeste, in verità. Se no perché avrebbe cercato proprio me, la contessa? D’altra parte sono sorpreso che mi abbia riconosciuto, il nostro era stato un incontro brevissimo e, come ha ricordato il conte, risale a due anni fa.

Moscato annuí, incerto.

– Questa storia è sempre piú strana. Anche il rapporto di Romualdo con Bianca: avrete certamente saputo che di fatto non vivevano piú da marito e moglie; a me lo ha confidato Romualdo molti mesi or sono. Inoltre, lo avete sentito voi stesso, dall’esito di questa vicenda potrebbe dipendere perfino il salvataggio del palazzo e dei pochi beni rimasti.

– Ma i creditori avrebbero il diritto di esigere le somme dalla contessa, no?

L’avvocato sorrise.

– Certo, se fossero creditori normali, ma qui stiamo parlando di un ambiente completamente diverso. Gente che non ha nessun interesse a uscire dalle fogne in cui abita. No, Romualdo ha ragione. Bianca ha solo da guadagnare da una sua eventuale condanna.

– Allora magari è questo il motivo per cui si è accusato del delitto. Per proteggere la moglie dalla rovina e dall’infamia.

– Come siete melodrammatico, commissario. E adesso uno, per sfuggire a un paio di malintenzionati, si accolla un morto che non è suo? Sapete quanti clienti miei ho aiutato a scappare sul primo mercantile in partenza per l’America o l’Australia, o di notte su un treno per il Nord Europa? Molto piú facile, indolore e con gli stessi effetti positivi. E poi, se permettete, rimane un’altra domanda.

– Quale?

L’avvocato assunse un’aria concentrata.

– Mi sono chiesto fin dall’inizio: mettiamo che Bianca abbia ragione, e che per qualche motivo ignoto Romualdo sia impazzito e abbia confessato un assassinio che non ha commesso. Ebbene, come ha fatto a sapere quello che era successo? Non abita vicino alla vittima ed erano le prime ore della mattina, quindi la notizia non era ancora di dominio pubblico. Se non fosse stato lui, come avrebbe saputo dell’omicidio?

Ricciardi dovette ammettere con sé stesso di non aver considerato quell’aspetto.

– Quindi l’unica spiegazione è che sia stato lui, è cosí? O almeno che fosse presente al delitto. Il che farebbe della contessa una bugiarda.

Moscato si strinse nelle spalle, senza smettere di sventolarsi col cappello.

– Magari si è semplicemente addormentata e non ha sentito Romualdo uscire e rientrare. Oppure sbaglia le ore. A volte, commissario, crediamo a quello che vogliamo credere, con tutte le forze.

Ricciardi rimase un attimo a pensare. Poi disse:

– Vedete, avvocato, io ho sempre nutrito la convinzione che tutte le motivazioni che portano a uccidere siano in realtà riconducibili a due, due soltanto. Non credo agli scatti di follia, non credo alla perversione, non credo alle illusioni. Credo che si ammazzi per fame o per amore. Che ad armare una mano sia sempre la volontà di sopravvivenza propria e delle persone che si amano, oppure la passione che agita un cuore.

Moscato fermò il cappello e fissò il commissario come se fosse la prima volta che lo vedeva.

– Interessante teoria. Ma io ho a che fare con tanta gente, sapete, e vedo cose davvero strane. A volte le motivazioni non ci sono affatto. A volte cala un velo rosso davanti agli occhi e non si capisce piú nulla. Avete sentito quello che ha detto Romualdo, no? Un gesto imprevedibile, e per questo imprevisto. Si è ritrovato davanti a un uomo che già il giorno prima lo aveva offeso, insultato, che gli aveva rifiutato una dilazione, che forse addirittura aveva minacciato di svergognarlo. Sono cose in grado di fartela perdere, la ragione.

Ricciardi scosse il capo.

– E di spingerti a prendere qualcuno per il collo, o a tirargli un pugno. Ma possono indurti ad afferrare un oggetto appuntito e a ficcarglielo nel collo? Certo, se sei disperato può succedere. Ma non te ne torni a casa a dormire per poi andare coi tuoi piedi a confessare.

L’avvocato ascoltava, attento.

– E che tipo di fame, secondo voi, può portare a un omicidio come questo? Che tipo di fame può affliggere uno che ha già perso tutto e per propria mano?

Ricciardi non rispose, continuò a seguire il filo dei propri pensieri.

– Avvocato, voi conoscete Roccaspina fin dalle scuole. Siete cresciuti insieme e si vede che avete molta familiarità. Ditemi: è un uomo facile agli scoppi d’ira? È un violento, uno che non riesce a controllarsi? Vi viene in mente qualche episodio in cui lo avete visto reagire in maniera esagerata? Vi prego, sforzatevi di ricordare.

Moscato rimase assorto per un paio di minuti, ripercorrendo a ritroso gli anni della sua amicizia con Romualdo. Alla fine scosse il capo.

– No, commissario. In tutta onestà non mi sento di definire Romualdo un violento. Un istintivo sí, un uomo sentimentale, facile agli slanci di affetto, fin troppo generoso e spontaneo, e queste caratteristiche immagino possano dar luogo anche a qualche violenza in presenza di situazioni disperate. Ma in coscienza non rammento nemmeno un episodio in cui abbia alzato le mani su qualcuno.

Ricciardi annuí gravemente.

– Ditemi ancora una cosa; ve lo chiedo perché magari, anche per la vostra professione, siete a conoscenza di circostanze che dall’esterno non si vedono: nell’ambiente che frequentate, a parte il conte, altri potevano avere motivi di risentimento nei confronti di Piro?

L’avvocato scoppiò a ridere.

– Commissario, state scherzando? Piro era un arrivista, uno strozzino col colletto bianco, un personaggio perlomeno equivoco. Raccoglieva denaro dalle istituzioni che rappresentava, il cui unico interesse era ottenere un guadagno, come non importa, e lo prestava a debosciati schiavi di vizi vari. E per essere sicuro di riscuotere il proprio credito minacciava di mettere in piazza le informazioni che aveva creando uno scandalo.

– Quindi?

– Quindi, mi creda, saranno almeno una dozzina ad aver festeggiato la sua morte. Ma se anche fosse stato uno di loro, la domanda resta: perché Romualdo si sarebbe accusato del delitto?

Era vero, la domanda restava, e Ricciardi non aveva una risposta.

Ogni teoria andava a scontrarsi contro quel muro.