XLIX.

Ricciardi aveva appena finito di raccontare tutto a Maione, che continuava a scuotere il capo perplesso.

– Commissa’, perdonatemi ma io proprio non ci riesco a credere. Quella tiene l’età di Giovanni mio, sedici anni, che gioca a pallone coi compagni, tiene sempre le ginocchia sbucciate e ancora lo devo prendere a paccheri dietro alla testa per fargli lavare le mani prima di sedersi a tavola. Come si può pensare che una guagliuncella cosí intreccia una relazione con uno che, anche se è un fesso, è pur sempre uomo finito, ammazza il padre e tiene pure la lucidità per fregare la polizia, la madre, gli avvocati e i magistrati?

Il commissario fece una smorfia.

– No, Raffaele. Carlotta non ha fregato tutta questa gente. Le è bastato fregare una sola persona, Romualdo Palmieri di Roccaspina. A fregare tutti gli altri ci ha pensato lui. Le donne, sai, crescono prima, quindi stai tranquillo per tuo figlio.

– Eh, commissa’, voi scherzate, ma intanto, come avete detto prima, noi possiamo fare veramente molto poco. L’unica è convincere il conte a cambiare la dichiarazione.

Ricciardi si strinse nelle spalle.

– Proverò a parlargli. La contessa chiederà all’avvocato un colloquio urgente, vediamo che mi dice. Tanto qui è sempre tranquillo, no?

Maione allargò le braccia.

– Tranquillissimo, commissa’. I casi sono due: o i delinquenti stanno ancora in vacanza o tra un po’ ci licenziano tutti e ci mettiamo a fare gli investigatori privati come in America. Tanto ci viene bene, no?

Prima che Ricciardi potesse replicare, si sentí bussare alla porta. Era Amitrano.

– Commissa’, al portone ci sta un certo avvocato Moscato che vi prega di scendere.

Bianca non riusciva a piangere.

Si era chiusa al buio nella sua stanza e aveva convinto Assunta che non aveva fame e non avrebbe mangiato per il mal di testa. Continuava a contemplare la propria vita, i ricordi della passata grandezza e l’attuale miseria, ma non riusciva a piangere.

Avrebbe dovuto, in realtà. Ne aveva tutti i motivi, adesso anche quello di essere stata tradita dal marito.

Tradita?

In coscienza poteva dirsi tradita, lei che moglie non si sentiva piú da anni?

La risposta era no.

Scoprí con un cauto stupore di invidiare un poco Romualdo, che aveva saputo riscoprire la forza di un sentimento, la sua energia. E questa energia era tanto forte da permettergli di fare un sacrificio enorme: rinunciare al sentimento stesso.

A lei sarebbe mai toccata una fortuna cosí?

Si sentiva ancora in grado di provare amore; il suo cuore era voglioso di riempirsi, la sua pelle ansiosa di essere sfiorata, la sua bocca desiderosa di ridere.

Si sentiva ancora viva, ma tumulata in quel palazzo che era il museo della sua memoria.

Chissà, forse avrebbe dovuto venderlo. Dopo averlo salvato dal demone di Romualdo avrebbe dovuto disfarsene e usare i soldi per costruirsi una nuova vita. In fondo la sua reputazione era intatta: aveva ancora il suo nome. Avrebbe potuto riscrivere il proprio destino.

Mentre lo pensava, bussarono alla porta della sua camera da letto. Sentí la voce della cameriera.

– Signo’, ci sta il duca Marangolo. Dice che è urgente.

Lungo il tragitto per Poggioreale Ricciardi informò l’avvocato Moscato di quanto aveva scoperto.

L’uomo si mostrò sconcertato.

– Povero idiota. Ve l’ho detto, commissario, non è mai cresciuto. Non è cattivo, ma nell’anima è rimasto un ragazzo: si crede immortale. Mo’ ha cominciato a non mangiare piú, lo avete visto. Pensa che cosí i giudici si impietosiranno e gli daranno una condanna piú lieve.

– Bisogna fargli capire che tutto questo è assurdo. Che sta compiendo un sacrificio enorme per niente, che la ragazza, data l’età, sconterebbe pochi anni in un carcere minorile.

Moscato storse la bocca in una smorfia.

– Commissa’, quello è pazzo. Non fa che parlare di attenuanti, di cavilli, vuole tornare libero prima possibile. Io credevo fosse per Bianca, anche se ogni volta che accennavo a lei cambiava discorso: non ne voleva sapere niente. Invece è per quella vipera della figlia di Piro. Impressionante: se a sedici anni è cosí, c’è da chiedersi che cosa diventerà da adulta.

Carlo Maria aspettava Bianca in salotto. Aveva un aspetto terribile, il colorito malsano sottolineava i tratti di un volto sofferente. Si reggeva con entrambe le mani a un bastone da passeggio.

– Ciao, Bianca. Mi ricevi, finalmente.

Lei lo fissò, addolorata.

– Lo sai perché non volevo riceverti qui. Perché ho a cuore il tuo bene molto piú di tanti che ti stanno attorno.

L’uomo disse, in un soffio.

– Vederti. Vederti è la differenza tra vivere e morire, per me. Non lo capisci? Solo vederti. Non potrei mai volerti vicino a me, non piú almeno, da quando sono malato. Ma vederti è una tale gioia! Mi sembra che il cuore… mi scoppi.

Per la commozione, la voce gli era venuta meno sul finire della frase.

Bianca sentí gli occhi riempirsi di lacrime.

– Carlo, io…

L’uomo scosse il capo.

– Non ero venuto qui per dirti questo, Bianca. C’è una questione molto grave e urgente da affrontare, e bisogna farlo subito.

La contessa si preoccupò.

– Ma che dici? Che altro è successo? Romualdo…

Marangolo scacciò il nome del conte come una mosca fastidiosa.

– No, quello stupido di tuo marito stavolta non c’entra. Sta accadendo qualcosa di grave, e bisogna decidere se intervenire o no. La decisione però spetta a te.

– Spiegami, allora, – disse Bianca.

Marangolo trasse un profondo respiro.

– Come sai io ho molti amici. Molti anche dove non ci si aspetterebbe; persone il cui nome è meglio che tu non conosca. Gente che ogni tanto mi viene a trovare giú al circolo e mi fa delle confidenze. Cosí vengo a sapere cose che sono molto, molto interessanti; è un modo come un altro per tenersi informati.

– Carlo, io non capisco che cosa…

Il duca la interruppe.

– Ascoltami. Poi sarai tu a stabilire che cosa fare.

Quando Romualdo di Roccaspina vide Ricciardi assunse un’espressione dura e si rivolse al suo avvocato.

– Attilio, francamente non capisco il tuo persistere nel portarmi qui questo individuo. Io non voglio parlargli. Mia moglie e la sua assurda idea di…

Moscato attese che la guardia si allontanasse e gli si rivolse a muso duro.

– Romua’, stai zitto. Basta con queste chiacchiere da folle. Il commissario non è qui per sentir parlare te, ma per dirti alcune cose serie. Quindi siediti e ascolta.

Il tono secco di Moscato era una novità assoluta, che prese in contropiede Roccaspina.

Ricciardi approfittò della situazione e passò all’attacco.

– Conte, io so quello che è successo. Lo so nei minimi particolari, nelle motivazioni e negli sviluppi. Ascoltatemi e ve ne convincerete.

Parlò con freddezza e con precisione. Raccontò tutto, ricostruendo momento per momento il quadro che aveva composto del delitto, delle ore che lo avevano preceduto e di quelle che lo avevano seguito.

Durante il racconto, che durò pochi intensi minuti, il detenuto gli tenne gli occhi fissi in volto senza mostrare alcun segno di cambiamento nei tratti patiti e scavati, a parte un silenzioso tremolio delle labbra. Moscato, invece, aveva alzato lo sguardo e sembrava interessato a leggere le scritte sul muro della sala. Proprio sulla testa di Roccaspina c’era scritto: «Bisogna essere disciplinati sopra tutto quando la disciplina costa sacrificio e rinunzia».

Quando Ricciardi tacque intervenne l’avvocato.

– Non ha senso continuare a mantenere questa posizione, Romualdo. È una ragazzina che non sa nemmeno cosa vuole dal domani, figurarsi se è possibile immaginare che sia là fuori ad aspettarti tra vent’anni. Non avrà grandi punizioni, essendo minorenne e donna. Sconterà una pena minima, si potrà sostenere che il padre era un uomo abituato a plagiare chi gli stava attorno. Ritratta, Romua’. Oggi stesso farò istanza per riaprire l’indagine.

Romualdo stette in silenzio per un po’, continuando a fissare Ricciardi. Poi rispose, risoluto:

– Se tutto questo fosse vero, e se io davvero ritrattassi, mi sapete dire che ne sarebbe di lei? Una ragazza marchiata dall’avere ucciso il padre. Una donna rovinata, senza possibilità di amicizie, di vita sociale. Che per di piú si è legata a uno spiantato, un uomo in bolletta e tanto piú vecchio di lei. Uno che ha voluto andare in galera per amore, pensate che follia. La metterebbero in carcere, lei, delicata quanto una farfalla, lei, che è libera piú dell’aria. Lei che è il sorriso in persona, non sorriderebbe mai piú. Avendo ucciso solo per amore mio e perché volevano chiuderla in un convento. Se tutto questo fosse vero, e se io accettassi la tua proposta, Atti’, che vita sarebbe la mia? Vicino a una donna che odio e che ogni istante mi giudica in silenzio. Ora che ho conosciuto l’amore e che ho avuto la forza di rinunciare a viverlo con l’unico atto di coraggio di una vita inutile. Se tutto questo fosse vero.

Si alzò con sorprendente energia, facendo segno alla guardia in fondo alla stanza perché venisse a prenderlo.

– Ma per fortuna di tutti, in primis della mia cara moglie, che potrà vivere una nuova vita senza il fardello dei miei debiti, tutto questo non è vero. Io sono l’assassino di Ludovico Piro, lo strozzino infame, e sconterò la mia pena. E vi dico un’ultima cosa, commissario: io so benissimo che non mi aspetterà. Non voglio che lo faccia. Voglio che viva libera e felice, perché io l’amo.

Uscí dalla stanza al braccio della guardia.

In qualche strano modo, nei vestiti troppo larghi che gli ballavano addosso, sembrò perfino regale.

Quando arrivò nei paraggi della questura Ricciardi si sentiva confuso. Sacrificio e rinunzia, c’era scritto sul muro del parlatorio. Era mai possibile che per amare si dovesse essere disponibili a soffrire cosí tanto?

Mentre pensava a questo gli vennero in mente Enrica, Livia, Bianca e le loro tante lacrime. E anche Rosa, la sua preoccupazione per lui.

Chissà se ne vale la pena, si disse.

Concentrato sui suoi pensieri non si accorse della macchina scura ferma nell’ombra all’angolo della strada, né dei due uomini che, appena comparve, ne uscirono per affiancarlo.

Il piú anziano dei due disse, a bassa voce:

– Il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, vero? Devo chiedervi di venire con noi.