XXVII.

Era ormai tardo pomeriggio quando un ragazzino a piedi nudi e con indosso una canottiera lacera di almeno quattro misure piú grandi della sua entrò di corsa nella stanza delle guardie, al pianterreno della questura.

Aveva il fiatone e precedeva di almeno venti secondi Amitrano, la guardia di servizio al portone. Lo scugnizzo si guardò attorno, fiero. Aveva la pelle bruna come il cuoio vecchio, le ginocchia martoriate dalle sbucciature, i segni di antichi geloni ai piedi, ed era sporchissimo.

– Brigadiere Maione Raffaele! – disse ad alta voce. – Chi è di voi?

Amitrano lo afferrò per la collottola, alzandolo da terra e ansimando.

– Scostumato, animale, mo’ ti faccio vedere io che succede a non fermarsi al portone, bene facevo a spararti nelle cosce…

Maione, che stava compilando l’ordine di servizio per l’indomani, alzò stancamente la mano.

– Amitra’, lascia perdere. Io vorrei tanto vedere che succederebbe se si infilasse un malintenzionato, magari per vendicarsi di un arresto o di un fermo. Alla porta, ci state o non ci state è la stessa cosa.

Il ragazzino, per nulla intimorito, disse con voce roca:

– È vero, qua entriamo quando vogliamo noi. E non ci potete fare proprio niente.

Maione alzò il tono.

– Uè, tu non ti permettere, hai capito? Mo’ ti piglio a calci che non ti faccio sedere mai piú! Amitra’, mollalo un momento e fammi sentire che dice. Poi sbattilo in galera per un mese, cosí vediamo chi mette paura a chi!

Il ragazzino si massaggiò il collo guardando truce la guardia che non lo perdeva d’occhio.

– E già, vi credete che sono fesso? Voi in galera non mi potete mettere perché io non ho fatto niente. Sono venuto solo perché devo dare un messaggio a questo tale brigadiere Maione Raffaele, e mi hanno pagato. Se no mo’ venivo a sentire la puzza che ci sta qua dentro!

Maione avanzò torreggiando sul bambino, che peraltro non diede segni di timore.

– E vuoi vedere che io, invece di metterti in galera, ti faccio nuovo nuovo di mazzate? Poi dico che sei caduto per le scale mentre ti inseguivamo perché ti eri introdotto in questura senza fermarti all’altolà di Amitrano. Su, facciamo una scommessa?

Il tono sommesso e l’espressione decisa, piú che le dimensioni, convinsero il ragazzo a non tirare di piú la corda.

– Insomma, siete voi il brigadiere Maione Raffaele?

Maione assentí, sfiduciato.

– Sí. E secondo me so pure chi mi manda il messaggio. Comunque parla, su.

Il ragazzino tirò il fiato e declamò:

– Caro brigadiere, vi vuole chi sapete voi nel posto che sapete voi. Che sarebbe quel posto non dell’ultima volta, che ci stava un cameriere che mo’ non è di turno, ma quell’altro posto, dove vi vedeste quella volta che pioveva. Chi sapete voi la riconoscerete subito, perché come al solito è la piú bella di tutte. Vi aspetta con ansia. Però mi raccomando, se ci sta qualcuno davanti fate finta di non conoscerla, perché se no siete nei guai tutti e due.

La tiritera era stata recitata come fosse una poesia di Natale, con voce alta e precisa. Il ragazzino era stato ben indottrinato.

Amitrano, valutando l’ipotesi di un appuntamento galante del proprio superiore, fece una faccia furba e ammiccante; poi, di fronte alla chiara determinazione a ucciderlo del brigadiere, deglutí e rivolse lo sguardo alla parete per non distoglierlo piú.

Maione si rimise dalla sorpresa.

– Guaglio’, io non so chi ti manda né perché, e non ho capito niente di quello che hai detto. Quello che ti posso garantire è che Amitrano, qua, ti tratterrà fino al mio ritorno, e che se non mi piace quello che trovo dove vado, e ho idea che sicuramente non mi piacerà, allora passerai un tale brutto quarto d’ora che per tutta la vita, quando capiterai da queste parti, farai il giro largo per non vedere neanche il portone. Mi hai capito bene?

Il ragazzino si produsse in un perfetto saluto militare, battendo sul pavimento la pianta del piede indurita come una suola.

– ’Gnorsí, comandante! – disse e, voltatosi con repentina agilità, uscí dalla stanza passando in pratica tra le gambe di Amitrano, ancora concentrato su un punto del muro in cui non c’era nulla.

– Ma che fai, cretino? – urlò Maione alla guardia. – Prendilo, no?

Quello si riscosse e si lanciò nell’inutile inseguimento rovesciando goffamente il tavolino su cui c’era la brocca del surrogato, che si spaccò imbrattando il pavimento.

Una voce giunse nitida dal cortile.

– Brigadiere Maione Raffaele!

A seguire, un lungo, forte e modulato pernacchio che squarciò l’aria della prima sera.

Maione si passò una mano sul volto e mormorò:

– Madonna santa quanto la odio questa città. Quanto la odio.

Poi, stancamente, si avviò verso il posto che sapeva lui, che non era quello dell’ultima volta.

Il minuscolo caffè all’angolo del vicolo che si inerpicava lungo i Quartieri Spagnoli aveva, come tutti i poliziotti sapevano, una stanzetta sul retro. Lí il proprietario del bar, che tutti chiamavano Peppe ma di cui nessuno conosceva il vero nome e cognome, ospitava qualsiasi attività non si potesse troppo esibire all’esterno.

Qualche volta ci si giocava a carte, altre a dadi; ci dormivano saltuariamente persone che non volevano farsi vedere in giro e vi si incontravano amanti che non potevano, per varie ragioni, usufruire di una delle tante, piccole pensioni in centro. Ci andava chi voleva ubriacarsi in solitudine, per poi vomitare nel cortile interno e addormentarsi sulla branda. Peppe consentiva l’uso promiscuo dell’ambiente perché era una brava persona, e garantiva che lí dentro non accadesse nulla di pericoloso o grave o penalmente rilevante. Il suo caffè era sopraffino e da lui si poteva discutere fino a notte fonda delle gesta e delle imprese della squadra di calcio della città, neonata ma spasmodicamente seguita da sempre piú larghe fasce della popolazione.

Maione aveva subito capito che lo scugnizzo, nella sua oscura filastrocca, si riferiva a quel luogo; era dove il personaggio che riteneva fosse il mittente del messaggio lo aveva incontrato attendendolo sotto la pioggia nell’autunno precedente, quando stava indagando sulla morte di un povero orfanello, subito prima dell’incidente che aveva coinvolto Ricciardi.

Il ricordo gli portò alla mente la signora Rosa. Incredibile come, pur avendola incontrata poche volte, mancasse anche a lui; non osava immaginare che sofferenza quotidiana accompagnasse il superiore, cosí poco incline alla condivisione delle emozioni.

Entrando nel locale lanciò un’occhiata interrogativa al proprietario, impegnato dietro al banco ad asciugare le tazze con uno strofinaccio. L’uomo si strinse nelle spalle con una comica espressione di perplessità e fece un cenno verso la porta che dava sulla famosa stanzetta. Maione si guardò attorno un po’ furtivo e si infilò chiudendo il battente dietro di sé.

L’ambiente era spoglio, con un tavolino, quattro sedie, un pagliericcio e alcune casse di legno vuote ammucchiate vicino alla parete. Al centro, vestito con un lungo abito nero, un cappello dello stesso colore e un velo a coprire il volto, c’era Bambinella. Lo sguardo meravigliato del brigadiere fu catturato da un paio di scarpe di vacchetta, dal tacco vertiginoso, di un rosso talmente vivace che sembrava illuminato dall’interno.

– E io lo sapevo che eri tu. Ma come ti sei combinato?

Bambinella alzò il velo con un gesto aggraziato delle grandi mani guantate.

– Le scarpe, eh, brigadie’? Mi tradiscono, è overo? Lo so, avrei dovuto mettere qualcosa di piú sobrio, ma che devo fare, io scarpe semplici non ne tengo, e poi non ho resistito: il vestito nero con le scarpe rosse è troppo bello! E ci ho messo una biancheria che…

– Io mo’ ti strangolo qua dentro, – lo interruppe Maione, – cosí ci leviamo pure il pensiero di questo posto dove succedono troppe cose strane, lo facciamo chiudere e piantiamo una lapide fuori per ricordare il meraviglioso giorno che quel santo di Maione strozzò Bambinella! Insomma, mi hai preso per uno di quei poliziotti che pigliano la mazzetta per farvi lavorare? Lo sai o no che io tengo una reputazione? Mi mandi a chiamare da un disgraziatello scostumato che mi prende a pernacchi in questura, mi fai venire in questo posto lercio e mi racconti pure dello schifo che ti metti addosso?

Bambinella fece un risolino vezzoso, di gola.

– Uh, Gioacchiniello si è comportato male? Mi dispiace, brigadie’, ma quello il bambino tiene pure le ragioni sue ad avercela un poco con voi, gli avete arrestato il padre, tre fratelli e pure il nonno, capite bene che sono cose che ti fanno mal disporre.

– E allora, quando lo vedi, digli che è mia intenzione riunirlo presto alla famiglia: belli stretti stretti al riparo dalla pioggia e dal sole, a spese dello Stato. E mo’ dimmi che vuoi, velocemente, che qualcuno chissà cosa si pensa a saperci qua dentro da soli.

Bambinella si mise una mano sul petto.

– È vero, che emozione, la nostra prima alcova, brigadie’! Mannaggia, se non mi fossi fidanzata vi proporrei di fare in modo che avessero ragione a…

Maione si lasciò cadere su una sedia, sfiduciato.

– Sai una cosa? Mi hai convinto, Bambine’. Mo’ mi sparo io. Non ce la faccio piú a continuare cosí, e secondo me pure se ti ammazzo vieni a perseguitarmi in qualche modo, magari in sogno.

– Quanto siete romantico, allora mi sognate! Ma che brutti pensieri, brigadie’. La vita è cosí bella, piena d’amore e di felicità, sentite a me, non vi sparate. Piuttosto, vi devo dare qualche notizia interessante, per questo ho pensato di venire io da voi e non farvi fare la salita fino a casa mia, che è pure pericoloso perché il fidanzato mio, non so se ve l’ho detto, è geloso e…

– Per carità, me l’hai detto, sí. Allora che notizie tieni, si può sapere?

Bambinella prese a sua volta una sedia e si sedette di fronte a Maione, accavallando le gambe con un movimento aggraziato.

– Allora, sentitemi bene: questo Roccaspina, il conte che si è accusato del delitto, non è una cattiva persona. Sí, tiene il vizio del gioco e si è mangiato tutto il patrimonio, praticamente ha fatto la fortuna di ogni tenutario di giochi di carte della città e di tutti gli allibratori di scommesse sui cavalli, e deve dare un sacco di soldi a moltissima gente, ma altri vizi non ne ha.

Maione fece una smorfia.

– Mi pare un bel vizio già questo, no? Che altro deve combinare, uno, per sentirsi chiamare vizioso?

– E no, brigadie’, non mi cadete proprio voi su queste cose. Normalmente chi ha un vizio ne tiene pure altri, perché non tiene principî o piú facilmente li ha tolti di mezzo. E allora va a femmine, beve, fuma oppio e cosí via. Io, quando facevo il mestiere, tenevo tanti clienti che venivano da me quando uscivano dalle bische o perché si volevano consolare di aver perduto o per spendersi i soldi che avevano vinto. Questo Roccaspina, invece, una volta finiti i soldi, cosa che succedeva spesso, se ne tornava subito a casa. E qua viene l’interessante.

– Cioè?

– A casa sua ci sta la moglie, una donna bellissima che una volta era famosa in tutta la città per essere, nell’ambiente suo, la piú desiderata. Donna seria però, nessun amante, e credetemi che se ci fosse stato lo avrei saputo. Mo’ una compagna mia che lavora da un dottore là vicino è amica della serva di questa signora, che pure se non la pagano piú da anni è rimasta con loro perché non sa dove andare; è anziana e poi è pure affezionata alla signora perché se l’è cresciuta. Figuratevi che…

Maione emise un sordo rumore che Bambinella interpretò correttamente.

– Insomma, lei tiene un corteggiatore. Uno importante che si fa accompagnare con una macchinona con l’autista, un certo duca Marangolo di Nonsocosa, che ogni tanto arriva, svacanta una tonnellata di fiori e aspetta nell’anticamera finché lei gli fa dire che tiene mal di testa; allora se ne va con la coda in mezzo alle gambe. Pare che era stato là proprio la sera quando è successo il fatto; mo’ non saprei se questa informazione vi può servire, ma è l’unica cosa un po’ strana che ho saputo di quella casa. A parte il fatto che Roccaspina, da qualche tempo, usciva di casa alle sette e mezza ogni mattina; quando la serva sua gli ha chiesto dove andava, ha risposto che si recava a messa a chiedere la grazia di vincere una bella somma per mettere a posto i fatti suoi. La cameriera pensa che è vero, perché dice che lui crede molto al malocchio e alla fortuna, la gente che tiene il vizio del gioco a quello ci crede sempre assai.

Maione ascoltava concentrato.

– E su Piro, hai saputo qualcosa?

Bambinella intrecciò le lunghe dita.

– Là è stato piú semplice, a Santa Lucia ci stanno un sacco di compagne mie a servizio. E poi nel palazzo a fianco a quello di Piro ci sta un casino privato dove ci lavorano sette ragazze e pure un paio di concorrenti: dovete sapere che servono perché ci sta qualche cliente che gli piace mettersi sotto al letto mentre… Va be’, e che maniere però, brigadie’, voi mi spezzate il braccio, io sono delicata! E comunque, quello prestava i soldi. Il suo ufficio era tutto un viavai di gente dell’alta società, uomini insospettabili. Una delle puttane tiene un cliente fra quelli: dice che Piro li minacciava di far sapere in giro che stavano rovinati. Li ricattava, insomma.

– E dal punto di vista personale, si sa qualcosa? Che so, relazioni, amanti…

Bambinella scosse il capo.

– No, no. Quello era uno che pensava solo al denaro, brigadie’. La moglie è una triste, con una faccia appesa che la morte del marito non l’ha cambiata manco un poco, e la figlia è una guagliuncella che sta crescendo, un poco piú vispa della mamma, con la quale ogni tanto litiga, ma sempre una ragazzina di buona famiglia; il figlio invece è un creaturo, un bambino. Una casa tranquilla, ma in giro non ci sta molta gente che ha pianto per la morte di Piro, era proprio un fetente.

Il brigadiere rifletteva. Confrontava le confidenze di Bambinella con le impressioni che aveva ricavato dalla visita in casa della vittima.

– Se è gente tranquilla, com’è che ci sono tutte queste chiacchiere. Chi ti ha detto che carattere tiene la moglie o la figlia o…

– Diciamo che è stata fortuna. Una delle ragazze che lavora nel casino se la intendeva con l’autista. A gratis, ché quello non teneva soldi e non si poteva permettere certe cifre. Insomma, questo autista ci raccontava qualcosa all’amica mia, tutto qua. Mo’, però, non le può piú far sapere niente, perché l’hanno licenziato.

– Come, l’hanno licenziato?

Bambinella si strinse nelle spalle.

– Be’, brigadie’, quello l’avvocato strozzino è morto e l’autista non serve piú tanto. E poi gli hanno detto che invece servono i soldi, adesso, e che non se lo possono permettere, ma secondo lui sono ricchissimi comunque e la macchina non se la sono venduta, quindi per forza hanno bisogno di un autista. Insomma, dice peste e corna di loro, anche perché non ha piú scuse con la moglie e non si può vedere con l’amica mia. Lei è dispiaciuta, perché dice che lui, l’ex autista, tiene un bel…

Maione scattò in piedi.

– Va be’, Bambine’, se non c’è altro me ne vado. Fammi il piacere, continua a tenere le orecchie aperte su questo fatto.

Bambinella si alzò, lisciandosi il vestito.

– Sí, però eventualmente dobbiamo cambiare posto, brigadie’. Il fidanzato mio tiene un sacco di amici, e se mi vedono uscire insieme a voi tutta spiegazzata chissà che gli vanno a dire. Una volta che mi devo far sfregiare, almeno dev’essere per qualcosa che è successo davvero, non vi pare?

E rise col suo solito nitrito.