XLVIII.

E pazienza, Maione si sarebbe preoccupato non trovandolo in ufficio, ma Ricciardi decise di andare direttamente a casa della contessa di Roccaspina.

Era combattuto. Doveva raccontare a Bianca quanto aveva scoperto, però avrebbe voluto evitarle il dolore di sapere quali erano i veri motivi che avevano spinto il marito a confessare un delitto non commesso.

E c’era dell’altro. Doveva incontrare di nuovo Roccaspina, dirgli che qualcuno aveva capito come erano andate davvero le cose. Aiutarlo a ritrovare il senso della realtà, costringerlo a riflettere su ciò che stava facendo a sé stesso e alla moglie permettendo a quella ragazzina di manovrarlo.

Bianca lo ricevette subito, al solito vestita di scuro. Aveva l’aria stanca, come se non avesse dormito o come dopo un sonno agitato. Guardandole il volto segnato, Ricciardi pensò che sembrava molto piú fragile dell’adolescente con la quale aveva parlato fino a pochi minuti prima, conversando di morte e di omicidi in un caffè del centro come se fossero invenzioni, invece che la realtà.

C’era imbarazzo tra loro.

La carezza del giorno prima in questura aveva lasciato su di lui la memoria della pelle calda, bruciante di lacrime e dolore della donna. E trasmesso a lei, che l’aveva accompagnata con la mano, una vicinanza e un sostegno che non credeva avrebbe piú provato nella sua vita solitaria.

Ora però il commissario doveva dire alla contessa ciò che forse lei non avrebbe mai voluto sentire; e scoprí con meraviglia di temere che quella rivelazione l’avrebbe allontanata da lui.

Il suo dovere, però, era di parlare.

Le disse dell’intuizione al convento, di come avesse passato tutta la serata e buona parte della notte a ordinare gli indizi nel nuovo quadro, e di come avesse trovato una serie di conferme tali da chiudere il cerchio senza molte possibilità di errore.

Le disse di avere incontrato Carlotta, aspettandola allo stesso angolo dove probabilmente la aspettava Romualdo; e la vide trasalire quando le rivelò che quella mattina, alle sette, si trovava sotto al suo portone.

Le disse del colloquio con la ragazza, e della reazione di lei: della freddezza, dell’equilibrio, della capacità di reggere alla ricostruzione della verità.

Le disse che la signorina Piro non aveva manifestato nessuna volontà di confessare, ostentando anzi la sicurezza che il conte non avrebbe ritrattato, continuando a tenerla al sicuro.

Quando finalmente tacque, Bianca fissava il vuoto scuotendo la testa. Ricciardi aveva temuto di sconvolgerla, ma lei sembrava piuttosto sprofondata nel dolore.

– Una bambina. È solo una bambina. L’ho vista da lontano, al funerale del padre: sembrava disperata, forte ma disperata. Sosteneva la madre, teneva per mano il fratello. Come si può fingere cosí? Vi prego, commissario, spiegatemelo. Come si può?

Ricciardi provò a sondare il terreno con cautela, per trarla fuori da quel vortice di sofferenza.

– Ne ho viste tante, signora, credetemi. Davvero tante. E in fondo Carlotta assomiglia al padre, se è vero che era un uomo con cosí pochi scrupoli da volerne fare l’amante di Marangolo.

Bianca si aprí. Sorrise, triste.

– Povero Carlo Maria. È sempre stato vittima della sua fortuna. Il denaro rende soli: sia chi non ce l’ha, sia chi ne ha troppo. Ora che so quello che è successo, commissario, mi sento svuotata. Credevo che avrei provato sollievo, se non altro per la conferma di non essere impazzita. Invece mi sento un fallimento, come donna e come moglie. E anche come amica, avendo causato tanto dolore al duca, che per aiutare me ha dovuto avere a che fare con questa gente.

Ricciardi la fissò con tenerezza.

– Non siete certo voi ad avere fallito. È vostro marito che è caduto in una rete dalla quale non è piú riuscito a venire fuori. E io voglio che almeno lo comprenda.

Bianca lo fissò, smarrita.

– Ma… ma com’è possibile, commissario? Abbiamo la verità, sappiamo quello che è accaduto per filo e per segno: non basta per far liberare Romualdo?

Ricciardi scosse la testa.

– Purtroppo no, contessa. Se vostro marito non ritratta la confessione, non è possibile riaprire l’indagine. Non abbiamo elementi oggettivi di prova, solo una ricostruzione basata su congetture e testimonianze vaghe. Carlotta Piro non ha fatto ammissioni e nemmeno ha intenzione di farne, e di sicuro la sua famiglia farà quadrato attorno a lei. Non penso che dopo tanti mesi otterremo qualcosa in piú. Vi ho detto della reticenza della superiora dell’Incoronata, e credo sarebbe inutile anche la testimonianza del duca Marangolo.

L’unica possibilità è che vostro marito cambi idea.

La donna si passò le mani sul viso.

– Commissario, io… Voglio sappiate che nulla di ciò che farà Romualdo cambierà la mia decisione di vivere senza piú essere sua moglie. Tra noi è finita, e che la consapevolezza di questa sua relazione non mi ferisca è un’altra dimostrazione che non significava piú nulla per me. Ma il pensiero che un innocente, manipolato, si rovini la vita mi pesa enormemente. Anche perché, da come l’ho visto, non sopravvivrà a una lunga detenzione.

Ricciardi annuí.

– Lo penso anch’io, contessa. E intendo andare a parlare subito con lui. Potete per favore contattare l’avvocato Moscato perché ottenga per me un colloquio immediato? Aspetterò notizie in ufficio.

Bianca si alzò, fissando in volto Ricciardi con quei suoi occhi strani e bellissimi.

– Commissario, non so come potrò mai ripagarvi per quello che avete fatto. Mi avete liberato dall’ossessione di qualcosa di incomprensibile che mi avrebbe soffocata. Mi avete ridato la fiducia in me stessa e in chi mi circonda.

Ricciardi non trattenne un mezzo sorriso.

Poi, con un inchino del capo, se ne andò.