60.
Trieste, via Biasoletto 26. Una scatola.
«Permesso…»
«Buonasera Gianna, come sta?»
«Ciao Maura. Io e tuo marito l’altra volta abbiamo deciso di darci del tu. Ti proporrei di fare altrettanto».
«Con piacere».
«A proposito, e lui dov’è?»
«Eccomi, ero di là in cucina. Come va?»
«Be’, non mi lamento, ragazzi. Però mi sa che a voi va meglio, avete proprio un aspetto invidiabile».
«Grazie Gianna, abbiamo fatto un po’ di mare a Canovella tutti i giorni. È pazzesco che io abbia questo colore, non ci credo neanch’io. Ma venga avanti… cioè, vieni avanti».
«Ulalà, ma che bello qui! Guarda che luce!»
«Sì, è molto luminoso. È piccolo però c’è molta luce. Aperto sia di qua che a nord. Così Dario può guardare il mare e io di là vedo il boschetto che va su su fino a Basovizza e mi sento… diciamo che mi sento un po’ in montagna».
«Posso vedere il balcone?»
«Ma certo. Dario, porta Gianna sul balcone, che io finisco di preparare in cucina».
«Ah, che meraviglia!»
«Sì, la vista è splendida. Avrei dovuto togliere il tavolinetto, scusami».
«No, non ti preoccupare, ci passo lo stesso. Non sono grassa come sembro».
«No… scusami… è che noi ceniamo spesso qua fuori, anche se quasi non ci si sta».
«Ah, lo farei anch’io. Vedo che avete già messo la rete sulla ringhiera».
«Sì, è stata un’idea di Maura. Tende a prendersi avanti. Tu penserai non sanno neanche se avranno il bambino e già mettono la rete sulla ringhiera del balcone».
«Non essere paranoico, Dario. Penso che Maura abbia fatto bene. E il bambino lo avrete. Per quanto mi riguarda, lo avrete».
«Occazzo, grazie. Grazie davvero».
«Non c’è di che. Anzi, fammelo dire anche a Maura. Mauraaa!»
«Sì, Gianna».
«Ah, sei qui. Stavo dicendo a Dario che io so già quello che scriverò nella mia relazione. Vi ho portato un po’ di associazioni da contattare, così intanto che la scrivo voi vi prendete avanti, come dice Dario».
«Oh, Gianna, grazie. Che bello!»
«Sì sì, lo sposo può baciare la sposa, dai, fatelo pure».
«Dario ha preparato un po’ di cose in cucina. In realtà avevamo pensato a un caffè. Ma adesso ci vorrebbe una bottiglia!»
«Non stappiamo bottiglie prima di avere il Child Study in mano. Sono le quattro, il caffè andrà benissimo. Dai, andiamo in cucina. Dopo dovete mostrarmi tutta la casa, eh. Oh, che bello là in fondo, cos’è?»
«È una specie di… lo abbiamo adattato a studiolo. Ci sono solo il computer e due tre cose di Dario. Finché non sarà la cameretta del bambino».
«E qui? Oh no, non dovevate. Cosa vedo? Le paste, le creme carsoline! È un attentato alla mia ferrea disciplina Weight-Watcher’s».
«Era un tentativo di corruzione. Non sapevamo che avevi già deciso».
«Bene Dario, vuol dire che mi farò corrompere. Tagliamene metà. Anzi no, ne prendo una intera. E quello, Maura, cos’è? E il caffè che compro anch’io, quello del commercio equo e solidale, giusto?»
«Sì, è quello nicaraguense. Dario lo ha temuto a lungo, diceva che ci potevano mettere dentro di tutto, stricnina, di tutto, che lui si fidava solo delle grandi marche. Comunque poi l’ho addomesticato».
«Bene, bene. Sentite ragazzi, intanto che viene su il caffè, un paio di cose. Siamo a buon punto, ma ci vuole ancora tanta pazienza e tanta forza. Dopo che avrò consegnato la relazione, passerà almeno un anno prima che otteniate il Certificato di Idoneità all’Adozione dal Tribunale dei Minori. È un’eternità a cui purtroppo nessuno sa porre rimedio. Nel frattempo voi potrete sentire le associazioni di appoggio. Io vi ho portato quelle diciamo più garantite, ma ve ne procurerò delle altre appena me lo direte. Ognuno di questi vi chiederà di documentare le vostre professioni, i vostri redditi, le vostre proprietà, la vostra eventuale impossibilità biologica alla procreazione, oltre ovviamente al Certificato del Tribunale. Ecco, qui abbiamo, ad esempio, le Missionarie della Carità, quelle di Madre Teresa di Calcutta, per intenderci. Operano a Roma. Sono la prima classe dell’adozione. Loro vi chiederanno anche qualche certificato integrativo diciamo religioso, il parroco, lo zio prete, robe così. Lo so, lo so che voi… ma non ci vuol niente per una lettera del parroco, credetemi. Con le Missionarie bisogna spicciarsi perché il primo appuntamento lo danno dopo circa quindici mesi dall’avvenuto recapito dei documenti. Ovviamente dovrete tradurre il tutto in inglese e autenticare la traduzione, ma questo vi servirà in ogni caso più tardi, per ottenere il Child Study».
«Senti Gianna…»
«No, aspetta aspetta Maura, poi ci sono gli Amici del Bambino, a Bergamo. È un’associazione di genitori adottivi. A differenza delle Missionarie, i loro contatti principali sono in Africa, non in India. Sono volontari, gente in gamba. A dire il vero da quando uno di loro ha ricevuto una bambina sudanese con l’elefantiasi sono un po’ pessimisti. Tendono a scoraggiarti. Ti invitano e poi ti mostrano le gambe di elefante della piccola Mary. Ma voi avete già resistito alle mie novelle sul brasiliano, che tra l’altro sta imparando a parlare l’italiano, e non vi farete scoraggiare. Ottimo il caffè, è proprio quello che compro anch’io».
«Senti Gianna, io e Dario avevamo pensato, nel caso tu ci…»
«Nel caso tu ci promuovessi».
«Dario, lascia parlare me».
«Okay».
«Ecco sì, nel caso tu ci promuovessi, di chiedere una mano ad Alberto».
«Ah, il vostro santone».
«Alberto non è il nostro santone. Alberto è nostro amico, mio e di Maura. E ha già detto che può aiutarci».
«Be’, Dario, purché il bambino entri in Italia legalmente, io non ho certo nulla in contrario se voi riuscite a… diciamo a saltare qualche passaggio. Capisco bene il vostro stato d’animo. Però permettimi di dirti che dalle cose emerse nelle nostre chiacchierate, non so, insomma, non credo che Alberto sia proprio vostro amico».
«Ma che ne sai? Quali cose?»
«No, Dario, non così. Però sì, Gianna, Dario ha ragione: come fai a giudicare Alberto? Manco lo conosci?»
«Ragazzi, ritiro quello che ho detto, scusatemi. Non avevo il diritto, avete ragione. Erano sensazioni, ecco tutto».
«Sì, ma tu non sei qui per…»
«Hai ragione, Dario. Te l’ho detto, scusami».
«Okay, argomento chiuso».
«Quell’uomo voi lo conoscete e io no. Se vi aiuta legalmente, fate bene a mettervi nelle sue mani. È una cosa che capisco».
«Okay, argomento chiuso».
«Sì, Dario, però sottolineo, legalmente. Niente miracoli da santone. Niente clandestini».
«Niente clandestini, okay».
«Bene, ora chiudiamo davvero. Su, Maura, portami a vedere il resto della casa».
«Be’, non c’è molto da vedere. Vieni vieni, qui abbiamo il soggiorno».
«Oh, che bella Tv. Sarebbe questo quello che si dice uno schermo ultrapiatto? Sembra un ufo. Guardate tanto la Tv?»
«Be’, qualche film, qualche documentario sul satellite, non tanto».
«Non è vero. La guardiamo tanto, sì».
«Parla per te».
«Okay, parlo per me. Io la guardo tanto, guardo tutto quello che c’è, mi piace la Tv. Lo so, Gianna, dovrei dirti che non mi piace, ma a me piace da matti».
«Dario, ci risiamo, nessuno pensa che non ti debba piacere la Tv. Sarà sufficiente che non ci metta tuo figlio, lì davanti, per tutte le ore che ci st… oh, ma qui cos’abbiamo, sei tu Dario che leggi l’Allende?»
«No, la leggo io l’Allende».
«Oh Maura, è o non è fantastica?»
«Sì, lo è. È la mia preferita».
«Dio, abbiamo gli stessi gusti. Io, guarda, per La casa degli spiriti non so quanto ho sofferto. Ma tutti i sudamericani in genere mi fanno quest’effetto… struggente».
«Oh sì, anche a me».
«E tu, Dario?»
«Io cosa? Io guardo la Tv».
«Non essere stupido».
«No, lascialo fare, Maura, ormai lo conosco».
«Lui legge in prevalenza cose scientifiche. Comunque dei sudamericani digerisce solo Manuel Puig. Sai, quello del Bacio della donna ragno».
«Mai sentito. Certo che ne avete di libri, guarda che roba».
«Li abbiamo presi ieri un tot al metro perché, te l’ho detto, non sapevamo che avevi già deciso».
«Ha-ha, che ridere, Dario. Proprio divertente. E io che pensavo di averti conquistato».
«Ma tu mi hai conquistato, Gianna. Sei la mia ispettrice preferita».
«Non ero una conduttrice di talk show?»
«Ah già…»
«E quest’innamorati? Che eleganti. Sembrano due attori. Ragazzi, che foto! Posso prenderla un attimo? Sono i tuoi, Maura? Ti assomigliano».
«No, sono i genitori di Dario».
«Oh».
«Questa è una foto del rullino che avevano ancora in macchina quando sono morti, vero Dario?»
«Oh, Dario».
«Te l’avevo detto, no? Dell’incidente».
«Certo che me l’avevi detto. Solo che…»
«La macchina fotografica è schizzata fuori dal finestrino e si è salvata. Con dentro questa fotografia. La terz’ultima. A Rovigno».
«Gesù, sembrano così giovani».
«Be’, lui cinquanta, lei non ne aveva ancora compiuti quarantotto. Parliamo di sedici anni fa».
«E per questo che non guidi? È per questo che non hai la patente?»
«Io ho la patente. Non ho l’auto, ma ho la patente. E poi l’auto ce l’ha Maura. E se serve guido. Lo so che un buon padre è automunito. Guiderò, Gianna, te lo prometto».
«Non intendevo questo. Pensavo che tu, insomma… con dei genitori così sfortunati…»
«Sfortunati? Guardali, a quanti capita di fotografarsi così dodici ore prima di morire?»
«Vabbe’, lasciamo perdere».