2.
Non è che non ce lo aspettassimo: anche Maura sapeva che prima o poi la Federazione mi avrebbe spedito a guadagnarmi lo stipendio. È solo che la convocazione non doveva coincidere con l’arrivo di Fiona, tutto qui. Che nello stesso momento della tua vita ti assegnino un lavoro e una figlia, be’, sembra assurdo a entrambi. Senza contare che, secondo i notiziari, la mia destinazione è stata appena colpita da una non meglio precisata catastrofe naturale, qualcosa che fa schizzare i pesci fuori dai fiumi.
Maura è seduta sul letto con la foto di Fiona in una mano e il Child Study nell’altra. Ha i gomiti sulle ginocchia in una solida posizione a uovo e tiene vicini i due punti fermi del suo futuro proprio come se impugnasse i bastoncini da discesa. Si è riappropriata del suo corpo ora, e non piange. Guarda un po’ i documenti e un po’ la figlia che arriverà. Vede tutto nero, ma la pista è davanti a quei pugni uniti e giù di là bisogna andare. Quante volte me l’ha spiegata l’ombra dopo il sole: «Sparisce tutto, non ci sono più neanche le punte degli sci, non ti resta che tenere gli occhi sui guanti e buttarti. Ma che vuoi capire tu, che vai a venti all’ora». Già, che voglio capire io? Ho mai fatto una discesa libera? Le sue gare non duravano mai più di tre minuti, le mie non sono mai finite prima di due ore e dieci. Metto una mano sulla splendida schiena di mia moglie, non so bene se per accarezzarla o spingerla più velocemente giù per il suo muro ghiacciato. Sono io per primo che dovrei essere consolato, io per primo che non vorrei lasciarla sola adesso, in avanzato delirio premaman. A me chi mi consola? Tutti e due ci rendiamo conto che sul più bello la stanchezza ci ha teso un’imboscata.
Mi allunga la foto senza voltare la testa. Fiona è in piedi dentro il suo grembiulino celeste dentro il suo lettino bianco dentro lo stanzone dell’istituto Holy Cross dentro una città haitiana chiamata Jacmel e dentro mille altre scatole da noi aperte negli ultimi due anni per raggiungere un qualsiasi essere umano adottabile. Solo che Fiona non è più un qualsiasi essere umano adottabile. Anche la scelta del fotografo di ritrarla con i lettini intorno al suo tutti vuoti sembra pensata apposta per aiutarci a isolarla dalla nebulosa multietnica che ha accompagnato la nostra attesa. Ecco vostra figlia, d’ora in poi immaginate lei. Fiona fissa l’obiettivo come si può fissare una pietra. Ha l’aria di una che non batte le palpebre da almeno cinque minuti e che potrebbe non farlo per altri cinque. L’umidità dei suoi occhi immobili è l’unica cosa che brilla nella poca luce di questa foto. Il Child Study, una specie di pedigree vidimato dall’ambasciata haitiana di Milano, fotocopiato e controfirmato da noi davanti a un notaio e subito rispedito all’orfanotrofio, dice che si tratta di una bambina di nove mesi, sana, normodotata. Ormai non dovrebbe mancare tanto perché nasca di nuovo, che nel linguaggio della nostra assistente sociale significa che ci chiamino a prenderla.