28.

Asl di Trieste. Consultorio Familiare Pubblico. Ufficio Adozioni. Una scatola.

«Bene ragazzi, siete tornati nella tana dell’orchessa. È così che la pensava la volta scorsa, no Dario?»

«Lei non è l’orchessa, lei è Gianna Vodopivez, la nostra esaminatrice».

«Si ricorda anche il mio nome, fantastico! Mi sa che oggi andremo d’accordo. E lei, Maura, la vedo in splendida forma. Dov’è che avete preso tutto quel sole?»

«Be’ lui veramente, perché io, guardi qua, tranne il naso resto sempre come un lenzuolo. Siamo andati in costiera, sia sabato che domenica. Appena possiamo corriamo al mare».

«Avete una barca?»

«No, quale barca? Noi siamo terrestri, poveri terrestri che amano il mare».

«Poveri, Maura?»

«Be’, poveri no. Non possediamo una barca, ma non ci va male».

«Ah questo lo vedo, avete un’aria invidiabile voi sportivi. Anche lei, Maura, è una sportiva, no?»

«Lo sono stata. Adesso lo sport lo insegno, ma non troppo tempo fa, nelle mie stagioni più buone, ho fatto dodici gare di Coppa del Mondo. Discesa libera».

«Discesa libera! Quando la danno in Tv non me la perdo mai. Magari qualche volta avrò visto pure lei».

«Non credo, io scendevo con pettorali sempre piuttosto alti. Ma era ancora più difficile. I muri restavano gli stessi delle prime. E così il ghiaccio. E così i 120 all’ora. Solo che quando toccava a me la pista era diventata tutta una buca, sembrava una trincea bombardata».

«Madonna santa, 120 all’ora. E non aveva paura?»

«Sì, ma avevo più voglia di… diciamo di affermarmi».

«Cioè di vincere?»

«Be’, non così, subito. Affermarmi all’inizio poteva anche solo significare mettere il naso nel secondo gruppo di merito. Cominciare a contare. Scendere prima che la pista si trasformi in trincea. Farmi vedere. Dalle compagne. Dalle avversarie. Dagli sponsor. Anche da lei».

«Da me?»

«Sì, insomma, dalla gente a casa, prima che chiudessero il collegamento. Volevo affermarmi e mi buttavo».

«Che coraggio».

«Be’, anche fortuna. Sono ancora tutta intera».

«E adesso vuole affrontare quest’altra sfida».

«Per carità, di quale sfida sta parlando? Mia moglie vuole semplicemente adottare un bambino».

«Dario, non cominciare, lascia parlare Gianna».

«No, aspetta. Mia moglie non intende ingaggiare nessuna sfida, vuole solo diventare mamma, come tutte le mamme che la circondano. Perché dobbiamo sorbirci questi discorsi sulle sfide?»

«Vuoi rovinare tutto, è questo che vuoi?»

«No, lo sai che non è vero. Voglio un figlio, come lo vuoi tu. E vorrei che la signora ci credesse, visto che siamo venuti noi da lei e non lei da noi, e che lo facesse senza annunciarci nuove sfide. Mi scusi sa, ma cos’è che dovremmo sfidare adesso?»

«Be’ Dario, ce lo siamo detti l’altra volta, anche qui avremo piste piene di buche. Lei preferisce pensare che la mia sia solo retorica, non vuole accettare che la scelta che avete compiuto vi metterà alla prova, anche se lo sta già facendo. L’avversità peggiore sul vostro cammino non sarò io, gliel’assicuro. L’impossibilità di avere un figlio naturale è stato senz’altro un brutto colpo. E poi l’odissea burocratica dalla quale non siete ancora usciti. E poi me. Ma devono ancora arrivare l’assegnazione, l’incontro, le notti davanti al frigorifero, ricordate il bambino brasiliano?, insomma le infinite prove d’amore a cui sarete sottoposti da un piccolo orfano ferito e diffidente. Come la chiama questa?»

«…»

«Maura mi ha parlato di affermazione. Lei, Dario, non crede che voi due avrete modo di affermarvi come genitori? Considera questa forse una scelta di ripiego, una svolta serena del campione sul viale del tramonto? Non crede anche lei come Maura che, per farcela, anche qui dovrà mettercela tutta? Come la chiama questa?»

«Va bene. Sfida. Sfida va bene».