16.

Se sistemo gli specchi in modo da vedermi di profilo, dal centro del labbro superiore sboccia un piccolo frutto a grappolo, una specie di mora trasparente, incastonata proprio in punta. Di fronte, è semplicemente un pezzo di mucosa scolorato. È domenica e ho l’herpes.

Ieri, dopo la seduta del mattino, le ragazze sono tornate a casa. Grazie alle pressioni della loro sindacalista hanno ottenuto che i week-end contemplino almeno 36 ore di libera uscita. Avrei potuto accompagnare Agota a Budapest, ma lei non me l’ha chiesto e io non l’ho fatto. Così sono rimasto a presidiare lo József Horváth Kollégiuma Atlétika, che nei giorni festivi sarebbe una struttura ottima per girare il remake di Shining.

Agota mi ha detto che ogni tanto deve andare dai suoi per non insospettirli. È giusto. Mi scrive un sacco di Sms:

MI MANCHI

OGNI VOLTA È PIÙ BELLO

COSA PROVI PER ME?

È SOLO SESSO?

E io mi ritrovo chino sui tastini a digitare, in mezzo alla strada, nei bar, nel mio vendéglakás, premurandomi di non lasciarla mai senza risposta. Oggi sono così stremato che per interrompere la catena ho dovuto spegnere il cellulare. E una strana sensazione camminare per la città senza sentirlo trillare.

Nonostante i ripetuti annunci di pioggia di László e di Béla Sárkány, Szeged prolunga il suo periodo sahariano. Sotto il Belvárosi Híd si vede con precisione di quanto si è ristretto il fiume: le palafitte degli stabilimenti balneari, le tribune di pietra, il terrapieno dietro le chiatte, il boschetto della riva destra, ogni pezzo di argine ha una fascia giallastra alta un paio di metri, un tempo immersa, ora asciugata da un sole stacanovista. Le strade sono così deserte che potrei mettermi a fare gincana sul tratteggio della mezzeria. Tutta la gente è raccolta nello Stefánia Várkert, la terrazza-giardino che dalla piazza del museo si affaccia sul Tibisco. Mamme, cani, bambini in bicicletta: non c’è quasi spazio per passare. Chi non ha la mascherina si tiene un fazzoletto premuto sul naso. È incredibile quanto poco rumore produca questa folla. Anche sulla piccola tribuna di pietra, che immagino costruita per il canottaggio, ci sono centinaia di ragazzi seduti in silenzio. Non so se si aspettano davvero che succeda qualcosa davanti ai loro occhi, magari che il fiume si muova, oppure se è solo perché le gare si facevano di domenica - un’abitudine insomma.

Prima dell’ora di cena perlustro lo struscio di Kárász Utca in cerca di Katalin e Magdolna, le due wonderbabies locali. Ieri le ho beccate che si strafogavano di hamburger, insieme a László. Le avevo salutate dopo l’allenamento, consegnando anche a loro l’elenco dei cibi proibiti e le razioni Gensan di aminoacidi, malto-destrine, creatina, e al pomeriggio le vedo nella vetrina di McDonald’s. Ho riconosciuto la coda di cavallo di Katalin. Fosse stato per le facce, erano talmente sformate dai bigbocconi che non mi sarei accorto di niente. Invece, to’, una coda di cavallo biondissima. Sul tavolino c’erano almeno cinque confezioni aperte di polistirolo. Una settimana di lavoro buttata nel cesso. Ce la faranno, queste ragazze? László rideva e masticava, godeva della gioia delle sue bambolone. Sono entrato abbastanza deciso, poi però, passo dopo passo, mentre ormai ero nel loro campo visivo e Magdolna era già arrossita e bigsprofondata nel suo panino, ha preso il sopravvento l’herpes. Ieri non era ancora così maturo ma non era neanche invisibile, anzi. Certo, l’herpes può sbocciare in qualsiasi momento, per mille ragioni, però, però. Ecco, più mi avvicinavo e più c’era questo però che mi frenava: anch’io come loro vedevo perfettamente la bocca che avrebbero messo al posto della mia. Così, ho detto ciao, senza fermarmi, come se fosse la cosa più normale del mondo imbattersi nelle mie allieve stravolte dal piacere di patatine e cheeseburger, e ho ordinato una Coca-Cola media. Ovviamente, l’unico ad avere il coraggio di parlare è stato László. - May-be rain tomorrow. Good Sì László, bravo László, mangia László. Intanto anche oggi c’era il sole e il tuo futuro di meteorologo mi pare abbia le stesse probabilità di successo di quello di istruttore federale.

Comunque questo pomeriggio, sulla Kárász Utca, Katalin e Magdolna non ci sono. Non da McDonald’s, non da Pizza Hut, non all’Internet Pöintz, non da Pannon Gsm, non allo store della Virgin gremito di ragazze attaccate alle colonnine delle cuffie e dove, nello stesso istante, realizzo che nessuna può comprarsi niente e nessuna ha la coda di cavallo. Tornando al mio vendéglakás, pregusto anch’io il momento del Walkman. L’altra notte, mentre era ancora lì sul divano che si rivestiva, Agota ha tirato fuori dalla tasca dei jeans una cassetta e me l’ha data.

«Che cos’è?»

«È Up dei R.E.M. Lo conosci? È il mio album preferito. Te lo presto. Ti terrà compagnia».

Ogni volta che arriva Diminished mi preparo bene, alzo il volume e canto a squarciagola il ritornello. Canto: Sing aloooong, sing aloooong, sing aloooong, finché non comincio a piangere.