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Sárkány aspetta il collegamento in mezzo a un viavai di persone indifferenti. Guarda in camera, tiene l’espressione, aspetta il segnale. Dietro di lui c’è una ringhiera celeste e un fiume nuovo. Giallo, quasi una miscela di latte e senape. Ancora torbido, meno lento e colloso però. Con qualche sforzo si potrebbe anche definirlo un corso d’acqua.
Mentre Bucarest minaccia l’Ungheria di richiamare in patria il proprio corpo diplomatico, qui a Szeged si può tirare un sospiro di sollievo. Le autorità locali hanno revocato lo stato di emergenza. Come vedete alle mie spalle, anche le navi hanno sciolto il loro sbarramento. Qui ci troviamo sulla vivace via Stefania,quasi una terrazzapanoramica sul Tibisco, e la gente passa dritta verso il proprio ufficio, verso la propria commissione, cercando di non guardare il fiume. Il biondo fiume, come lo chiamano qui, scorre più liscio ora. Grazie alle piogge di questi primi giorni di marzo e all’apporto di acqua pulita da parte del Maros e degli altri affluenti, il cianuro è sceso al di sotto del valore critico di 0,01 milligrammi per litro. È difficile credere, tuttavia, a un rapido ritorno alla normalità. Nonostante questa massiccia trasfusione di sangue nuovo, le devastazioni di quello infetto sui tessuti circostanti potrebbero essere irreparabili o addirittura estendersi surrettiziamente, nel corso del tempo, a tutto l’organismo terrestre. Gli scienziati non possono prevedere le capacità metaboliche del nostro pianeta di fronte a una simile dose di veleno. Resisterà? E qui a Szeged, l’infezione guarirà? Torneranno a volare le aquile retiche sui cieli di Szeged? Si rivedranno le lontre? 'Verranno ancora ad abbeverarsi i caprioli? Sulle rive la vegetazione è stata letteralmente abrasa dall’ondata tossica. Riuscirà a rigenerarsi? Forse nei nostri report non vi abbiamo mai detto che Szeged è nota anche come «città del sole»: i suoi abitanti sperano ora che la primavera la renda degna di questo nome, ovvero che porti un sole buono capace di far dimenticare il sole cattivo di questo inverno. Per il momento possiamo constatare almeno che il terribile fetore di arachidi bruciate che ci ha accompagnato per mesi e mesi ha finalmente abbandonato le nostre narici. In attesa del sole benigno, è già qualcosa.
Béla Sárkány, Szeged, Bbc World.