6. Natale in Virginia
Prima di Natale aveva nevicato e poi era arrivato il freddo. Il cielo era pallido. La terra dormiva nei campi spruzzati di bianco, tra i solchi profondi lasciati dall'aratro. Tutto era immobile. Le volpi nelle loro tane, i cervi nelle zone di svernamento. La Route 50 da Washington, tracciata come una linea retta dallo stesso George Washington quando lavorava come ispettore della contea, era deserta. Un'automobile mattiniera si avvicinava da una strada secondaria con le luci accese. Prima gli alberi, semigelati, poi la strada, furono illuminati dai fanali, e infine si percepì un rumore ovattato, quando la vettura li superò.
Avevano trascorso il Natale a casa di George Amussen - Beverly e Bryan non erano venuti perché erano andati a trovare i genitori di lui - e l'indomani era prevista una cena a Longtree, a Longtree Farm, la proprietà di oltre quattrocento ettari che arrivava fino al Blue Ridge. Quando Liz Bohannon aveva divorziato, Longtree era toccata a lei. La casa, che era bruciata in un incendio ed era stata ricostruita, veniva chiamata Ha Ha.
Nel tardo pomeriggio attraversarono i cancelli di ferro, sui quali era affisso un cartello che consentiva il passaggio di una sola automobile per volta. Il lungo viale era fiancheggiato da alberi disposti a intervalli regolari. In cima alla salita compariva la casa, un'ampia facciata con molte finestre, tutte illuminate come se fosse un enorme giocattolo. Quando Amussen bussò si sentirono immediatamente abbaiare i cani.
«Rollo! Slipper! » gridò una voce dall'interno, e poi partirono le imprecazioni.
Avvolta in una vestaglia a fiori color malva, che le scopriva una spalla rotondetta, Liz Bohannon aprì la porta cercando nervosamente di allontanare i cani. Era stata una dea pagana ed era ancora bellissima. Mentre riceveva il bacio di Amussen disse: «Caro, lo sapevo che eri tu». A Vivian e al suo novello marito: «Sono così contenta che siate venuti».
Tese a Bowman una mano di una piccolezza sorprendente, ornata da un anello con uno smeraldo enorme.
«Ero nello studio a controllare i conti. Nevicherà? È nell'aria. Come hai passato il Natale? » chiese a Amussen.
Continuava ad allontanare i cani importuni, uno piccolo e bianco, l'altro un dalmata.
«Il nostro è stato tranquillo» proseguì. «Non eri mai stato qui, vero?» chiese a Bowman. «La casa è stata costruita nel 1838 ma è bruciata due volte, la seconda nel cuore della notte, mentre dormivo. » Stava trattenendo la mano di Bowman, procurandogli un piccolo brivido. «Come ti devo chiamare? Philip? Phil? » I tratti del suo viso erano bellissimi, ormai un po' rattrappiti rispetto a quelli che per anni le avevano permesso di dire e fare qualsiasi cosa volesse, potere della bellezza e dei soldi. Era una donna amata, derisa, e famosa per essere la più disonesta allevatrice di cavalli del giro, bandita dalle corse di Saratoga perché una volta aveva ricomprato all'asta due dei suoi cavalli, cosa severamente proibita. Trattenendo la mano di Bowman nella sua, li precedette in casa, mentre continuava a parlare con Amussen.
«Stavo controllando i conti. Mio dio, la gestione di questo posto costa un occhio. Ed è ancor più costosa quando non ci sono, ci credereste? Perché non c'è nessuno a controllare. Ho appena deciso di vendere. » «Vendi la casa? » domandò Amussen.
« Me ne vado in Florida a vivere con gli ebrei. Vivian, sei così bella. »
Entrarono nello studio, con le pareti verde scuro coperte di ritratti, quadri e fotografie di cavalli.
« Questa è la mia stanza preferita » disse. « Non vi piacciono i ritratti? Quello laggiù » disse indicando un quadro « è Khar-toum. Come amavo quel cavallo... non me ne sarei separata per niente al mondo. Quando la casa è bruciata, nel 1944, sono corsa fuori con la pelliccia di visone e quel quadro. Nient'altro. » « Woody non mangia! » gridò una voce dall'altra stanza.
«Chi?» «Woody.» Comparve sulla soglia un uomo con i capelli ondulati pettinati accuratamente. Indossava un maglione con lo scollo a V e un paio di scarpe di lucertola. Ostentava un'aria preoccupata.
«Vai a dirlo a Willa» replicò Liz.
«È stata lei a dirlo a me. » «Travis, tu non conosci queste persone. Vi presento Travis, mio marito» disse Liz. «Ho sposato un uomo al di sotto della mia classe. Lo sanno tutti che non si deve fare, però lo si fa lo stesso, non è così, tesoro? » chiese in tono affettuoso.
«Vuoi dire che non vengo da una famiglia ricca? » «Come minimo.» «La perfezione compensa la mancanza di denaro» ribatté lui con un sorriso smaliziato.
Travis Gates era un tenente colonnello dell'Aeronautica con un'aria vagamente losca. Aveva combattuto in Cina e gli piaceva usare espressioni cinesi: Dmg hao, diceva. Era il terzo marito di Liz. Ted Bohannon, il primo, era ricco, veniva da una famiglia che possedeva quotidiani e miniere di rame. Liz allora aveva vent'anni, era spensierata e sicura di sé, il loro matrimonio era stato l'evento dell'anno. Erano già stati a letto insieme nella casa di un amico a Georgetown ed erano follemente innamorati- Venivano invitati ovunque e viaggiavano dalla California all'Europa all'Estremo Oriente. Era l'epoca della Depressione e le loro fotografie a bordo di un transatlantico o alle corse avevano un effetto tranquillizzante, ricordavano com'era stata la vita o come avrebbe potuto essere. Andavano spesso a Silver Hill a trovare Laura, la sorella minore di Liz, che faceva la cantante in un night club, dove si esibiva su un piccolo palcoscenico, di solito con un vestito bianco o coperto di perline. Laura era un'alcolista. Periodicamente veniva ricoverata a Silver Hill per una cura disintossicante.
Una notte, durante la guerra, rimasero tutti e tre bloccati a New York per un guasto all'automobile. Gli alberghi erano pieni, ma siccome Ted conosceva il direttore del Westbury riuscirono a ottenere una stanza. Dovettero dormire in tre nello stesso letto, e svegliatasi durante la notte Liz scoprì che il marito stava facendo qualcosa con sua sorella, che aveva la camicia da notte alzata fin sotto le ascelle. Erano sposati da dieci anni e il matrimonio dava segni di stanchezza, quella notte ne segnò la fine.
Nel frattempo cominciò a squillare il telefono.
«Devo rispondere, Bun?» chiese Travis.
« Ci pensa Willa. Io non voglio parlare con nessuno. » Aveva preso in braccio Slipper e se lo stringeva al petto mentre mostrava a Bowman la vista dalla finestra, le Blue Ridge Mountains in lontananza, su cui si scorgevano a malapena un paio di case.
«Riprende a nevicare» osservò. «Willa! Chi era? » «Willa! » « Sììì. » «Chi era al telefono? Cosa fai, stai diventando sorda? » Una donna nera molto magra comparve sulla soglia.
« Non sto diventando sorda » dichiarò. « Era la signora Pry. » «P-R-Y?» « Pry. » «Che cosa ha detto? Vengono?» «Dice che lei e il signor Pry hanno paura a mettersi in strada con questo tempo. » «Monroe è in cucina? Digli di portarci del ghiaccio. »
«Venite» disse rivolgendosi a Bowman e Vivian, «vi mostro una parte della casa. » In cucina indugiò nel tentativo di far parlare una taccola indiana con la coda spennacchiata. L'uccello, dentro una grande gabbia di bambù, si era fatto una specie di amaca. Monroe lavorava senza fretta. Liz prese un giaccone impermeabile appeso a un gancio.
«Non fa tanto freddo» disse. «Vi faccio vedere le scuderie. » Amussen era seduto in salotto, su un grosso divano imbottito, e sfogliava una copia del «National Geographic», leggendo una didascalia ogni tanto. Entrò una ragazza con i calzoni da cavallerizza e un maglione, che andò a sedersi all'estremità opposta del divano.
«Ciao, Darrin» disse Amussen.
Doveva il suo nome a uno zio ma non le piaceva e preferiva essere chiamata Dare.
«Salve» disse.
« Come stai? » Lei lo guardò e fu quasi sul punto di sorridere.
« Fottuta » rispose distendendo pigramente le braccia.
« Ti esprimi sempre in questo modo? » «No! » rispose lei. «Lo faccio per te. Perché so che ti piace. Mio padre ha chiamato? » «Non saprei. Ha telefonato Anne Pry. » «La signora Emmett Pry? Di Graywillow Farm? Andavo a scuola con sua figlia Sally. » «Immagino.» «Io cavalcavo tutti i suoi cavalli e gli stallieri cavalcavano lei. » «La mamma come sta?» cambiò argomento Amussen. «È una cara persona. Non la vedo da anni. » « Sta meglio. »
«Molto bene» disse Amussen, posando la rivista. «Vedo che anche tu sei in forma. » «Sveglia presto ogni mattina, con il bello e con il brutto tempo. » « Quanti anni hai, Darrin? » «Perché mi chiami Darrin? » «D'accordo. Dare. Quanti anni hai?» « Diciotto » disse lei.
Lui si alzò e prese un bicchiere dal mobile bar sistemato fra gli scaffali della libreria.
Stava visibilmente cercando qualcosa.
«Nell'armadietto sotto» gli suggerì Dare.
«Papà come sta?» chiese Amussen quando trovò la bottiglia.
«Sta bene. Ne prepari uno anche a me, per favore? » «Non sapevo che bevessi. » «Con un po' d'acqua. » «Acqua e basta? » «Sì. » Lui versò i due whisky.
«Ecco qua. » «C'è anche Peter Connors. Lo conosci, vero? » «Non saprei proprio. » « È il mio ragazzo. » «Ah, bene.» «Mi segue dappertutto. Vuole sposarmi. Non so cosa si immagini. » «L'età ce l'hai.» «Lo pensano anche i miei. Probabilmente finirò per sposare uno stalliere di quarantanni. » «È possibile. Non penso che durerebbe, però. » «No, ma in compenso mi sarebbe grato per sempre» rispose lei.
Amussen non fece commenti.
«Che bel maglione» disse poi.
Non era proprio aderente ma quasi.
« Grazie » disse lei.
« È di seta? Assomiglia a quelle cose che vendevano in quel negozietto di Middleburg. Sai, quel negozio gestito da Peggy Court, come si chiamava? » «Patio. Probabilmente ci hai comprato un sacco di roba. » «Io? No. Comunque il tuo maglioncino me lo ricorda.» «Infatti viene da lì. Me l'hanno regalato. » «Davvero?» «Però io preferisco Garfinkle's» disse lei.
« Be', non sempre si può scegliere un regalo. » «In genere ci riesco.» «Dare, comportati bene. » Rimasero seduti a bere. Amussen guardava il bicchiere ma sentiva di avere ancora gli occhi di lei puntati addosso.
«Sai, mia figlia Vivian ha qualche anno più di te» osservò.
«Lo so. E mio padre con ogni probabilità telefonerà e mi ordinerà di rientrare. » «Immagino che dovrai obbedire. » «Preferirei che fosse il padre di Peter a chiamare per far tornare a casa lui. » Amussen la guardò, con i suoi pantaloni da cavallerizza, l'espressione calma.
«Che scuola frequenti, adesso? » « Ho smesso di andare a scuola » rispose lei.
Lui fece un breve cenno di assenso come se convenisse con lei.
« Lo sapevi? » «No, non lo sapevo» rispose Amussen.
«Papà mi ossessiona per farmi riprendere gli studi ma io non voglio. È una perdita di tempo, non trovi? » «Io non ho ricavato granché dalla scuola, suppongo. Vuoi un rabbocco? » le chiese.
« Stai cercando di farmi ubriacare? » «Non lo farei mai» disse Amussen.
« Perché no? » Il ragazzo di Dare, Peter, che aveva le labbra rosse e i capelli biondi e crespi, entrò nella stanza mentre lei stava parlando e sorrise, come per scusarsi di averli interrotti. Studiava al Lafa-yette e voleva iscriversi a giurisprudenza. Sembrò accorgersi che Dare era irritata. Di lei non sapeva molto, a parte che era una ragazza difficile.
«Ehm, sono Peter Connors, signore» si presentò.
«Lieto di conoscerti, Peter. Io sono George Amussen. » «Sì, signore, lo so.» Si rivolse a Dare: «Ciao» disse, sedendosi con aria sicura accanto a lei. « Si direbbe che nevichi. » Adesso in effetti la neve scendeva più intensamente, soffiando contro la palizzata della recinzione, e la luce cominciava ad affievolirsi.
Nella camera padronale con il suo letto gigante, medicinali e gioielli sul comodino e abiti drappeggiati sugli schienali delle sedie, Liz stava parlando con suo fratello Eddie. La radio e tutte le luci, comprese quelle del bagno, erano accese. Sulla tappezzeria dietro il tavolino c'erano diversi nomi e numeri di telefono scritti a matita, nomi di battesimo, per lo più, ma anche i recapiti di alcuni medici nonché quello di Clark Gable. Eddie viveva in Florida, ed era la prima volta che si rivedevano dal matrimonio di Liz con Travis. Aveva tre anni più di lei e la bellezza di chi nella vita non ha mai. dovuto faticare. Si occupava di compravendite di automobili.
«I tuoi capelli stanno diventando grigi» gli disse Liz.
« Ti ringrazio per l'informazione. » «Ti stanno bene.» Le lanciò un'occhiata senza dire niente. Lei allungò una mano e glieli arruffò affettuosamente. Lui non reagì.
«Oh, sei ancora bellissimo. Sei bello come quella sera che ti sei messo in tiro con lo smoking per la festa dai DeVore, ti ricordi? Te ne stavi sui gradini a fumarti una sigaretta, pronto a nasconderla nel caso papà ti guardasse. Eri uno spettacolo. E quella grossa automobile. » « George Stuver con la LaSalle del padre. » « Ero terribilmente gelosa. » «La LaSalle degli Stuver. Quella sera sono finito sul sedile posteriore con Lee Donaldson. » «Che ne è stato di lei? » «Ha subito un'isterectomia. » «Oh, Cristo. Io li odio i dottori.» «Da fuori non si vede nessuna differenza. Non hai qualcosa da bere in camera? » «No, cerco di non tenere niente in giro. Non voglio che diventi un problema. » «A proposito, dov'è il pilota? E come sei finita con lui? » «Tesoro, non cominciare.» «È un gioiello. Dove l'hai incontrato? » A Eddie piaceva Ted Bohannon, che riconosceva come suo simile.
«Ci siamo incontrati a Buenos Aires» disse Liz. «All'ambasciata. Era un attaché. È stato per caso. Mi sentivo sola, lo sai che stare sola non mi piace. Ci sono rimasta tre mesi. » «Buenos Aires.» «Ero talmente stufa del Sudamerica» disse. «Ovunque tu vada è sporco. Sono un popolo così pigro. Mi fa stare male vedere quanti soldi buttiamo via in quel posto. I soldi ce li hanno. Mio dio, se li hanno. Dovresti vedere i ranch, con migliaia di braccianti. Dovresti andare a vedere di persona. Ci hanno raccontato che Perón se l'è battuta con più di sessanta milioni. E poi vengono a chiedere i soldi a noi. » Liz tacque per un momento.
« In realtà io avrei voluto sposare Aly Khan » disse, « ma non sono mai riuscita ad avvicinarlo. Sarei stata perfetta per lui, invece ha sposato quella zoccola di Hollywood. Promettimi una cosa, comunque. Prometti che cercherai di conoscere Travis. Melo prometti?»
Oltre la finestra, nella fioca luce del crepuscolo, la neve scendeva fitta. La stanza era confortevole e sicura. Liz riviveva sensazioni che risalivano all'infanzia, l'eccitazione delle tormente di neve e la gioia del Natale e delle vacanze. Si vedeva nello specchio della camera illuminata. Era come una stella del cinema. Disse proprio così.
«Sì, un po' invecchiata» disse Eddie.
« Promettimi per Travis » si raccomandò lei.
« Sì, ma c'è qualcosa che tu potresti fare per me. » Era un po' in bolletta, e con il Natale e il resto... Aveva bisogno di qualcosa per tenersi a galla.
«Quanto?» « Fai tu » le rispose in tono amabile.
A cena, dove tutti sedevano lontani uno dall'altro intorno al grande tavolo, non si parlò che della tempesta di neve e delle strade interrotte. Se volevano fermarsi a dormire, c'era spazio in abbondanza per tutti, disse Liz. E diede per scontato che tutti avrebbero accettato l'invito.
« Abbiamo scorte di bacon e uova. » Eddie stava conversando con Travis.
« Sì, desideravo molto conoscerti. » «Anch'io.» «Di dove sei?» «California» disse Travis. «Sono cresciuto in California. Ma poi la guerra, sai com'è. L'esercito. Sono stato oltreoceano a lungo, quasi due anni, a volare sulla Gobba. » «Facevi la rotta himalayana? Com'era?» «Parecchio accidentata.» Travis sorrise come in un manifesto pubblicitario. «Montagne alte ottomila metri che dovevamo sorvolare alla cieca. Ho perso un sacco di buoni amici. » Willa serviva a tavola. Monroe era stato mandato di sopra a preparare i letti.
«Voli ancora? » chiese Eddie.
«Sì, certo. Sono arrivato qui dalla base di Andrews. » « Ho sentito che nell'Air Corps adesso avete un generale negro» disse Eddie.
« Oggi si chiama Air Force » rispose Travis.
«Io ho sempre sentito dire Air Corps. » «Il nome è cambiato. Adesso è così. » «C'è veramente un negro che fa il generale? » «Caro, smettila» disse Liz. «Smettila subito.» Willa era tornata in cucina, chiudendosi la porta alle spalle.
«E già abbastanza difficile tenersi del personale decente» disse Liz.
«Ti preoccupi per Willa? Willa mi conosce» ribatté Eddie. «Lo sa che non mi riferisco a lei.» «Tu, Eddie, in che corpo eri? » gli chiese Travis.
«Io? In nessuno. L'esercito non mi ha voluto.» « Come mai? » «Problemi fisici. » «Ah.» «Però ho fatto la Gold Cup, questo sì» disse Eddie.
Terminata la cena andarono a prendere il caffè intorno al camino. Liz si sedette sul divano, con le braccia nude allungate sulla spalliera, e si liberò delle scarpe.
«Le pantofole, caro» disse a Travis. Lui si alzò senza dire una parola e andò a prenderle le pantofole, trattenendosi per un soffio dall'infilargliele. Lei si chinò con un piccolo gemito a farlo da sola.
«Sei incredibile» disse a Eddie.
« Cosa vuoi dire? » «Incredibile.» Peter Connors, che per tutta la durata della cena aveva parlato pochissimo, adesso riuscì a scambiare qualche parola con Amussen. Era stato in dubbio se confidarsi o no, aveva bisogno di un consiglio. Si trattava di Dare, ne era innamorato ma non sapeva a che punto stessero esattamente le cose.
«Stavate parlando, oggi pomeriggio, cioè quando sono entrato nella stanza lei ha smesso. Mi chiedo se le stesse parlando di me. So che la ammira. » « Non stavamo parlando di te. È una ragazza bizzosa » disse Amussen, « domarla può risultare difficile. » «E come si può fare? » « Immagino che se non ti volesse intorno te lo farebbe capire. Suggerirei di essere pazienti. » « Non voglio fare la parte di quello senza spina dorsale. » «Certo che no.» Era proprio l'impressione che aveva paura di dare, contro ogni sua speranza e desiderio. E i suoi sogni. Immaginava che nessuno avesse sogni come i suoi. Lei era sempre presente, ne era la protagonista. Nuda e seduta in poltrona, una gamba appoggiata scompostamente sul bracciolo. Lui è in piedi lì accanto con una vestaglia di cotone che si è aperta. Lei sembra indifferente ma consenziente, e lui si inginocchia e le avvicina le labbra. La solleva e reggendola per la vita, come un vaso, la avvicina alla bocca. Vede se stesso mentre passano davanti a uno specchio argenteo e scuro, lei con le gambe penzoloni che cominciano a scalciare mentre la lingua di Peter si indurisce. Lei si abbandona all'indietro quando con un movimento fluido, nel sogno e fino a un certo punto nella vita reale, lui se l'appoggia su quella profana erezione e contemporaneamente viene come un'inondazione.
Dopo un po' erano andati tutti a dormire eccetto Liz e Tra-vis, impegnati a giocare a carte. La neve non smise di scendere fino a notte fonda, quando nel cielo nero comparvero le stelle. La temperatura si era abbassata.
Al mattino, dalle finestre parzialmente coperte di brina si vedevano le bianche distese dei campi, senza un'impronta, immacolati. Il candore arrivava lontano, fino al cielo. Due dei cani erano usciti e correvano volteggiando sulla neve, sollevando bianche comete di spruzzi.
Scesero in sala da pranzo per la colazione uno alla volta. Liz e Dare arrivarono per ultime. Bowman e Vivian stavano finendo. Amussen era ancora seduto.
« Buongiorno » disse.
« Buongiorno. » La voce di Liz era leggermente roca. « Quanta neve» disse.
«Finalmente ha smesso. È stata una vera tormenta. Non so se le strade saranno già percorribili. Buongiorno » disse rivolto a Dare.
«Ciao. » Quasi un sussurro.
« Suo papà ha già telefonato » disse Willa servendo il caffè. Mangiarono uova e pancetta. Travis li raggiunse. Peter fu l'unico a non presentarsi.
Durante la notte era successa una cosa tremenda. Quando furono tutti a letto e la casa era finalmente tranquilla, Peter, che aveva aspettato il più a lungo possibile, si affacciò in corridoio in mutande e maglietta chiudendosi piano la porta alle spalle. C'era una luce fioca. Tutto taceva. In silenzio raggiunse la camera dove Dare dormiva e avvicinò la faccia allo stipite. Sussurrò il suo nome.
« Dare. » Aspettò e mormorò di nuovo, con più convinzione: «Dare! » Aveva paura che lei dormisse. La chiamò ancora, e poi, vincendo la paura, bussò leggermente.
«Dare.» Non riusciva a scollarsi.
«Ti voglio soltanto parlare» intendeva dirle.
Bussò di nuovo. Immediatamente dopo ebbe un tuffo al cuore quando la porta venne socchiusa e George Amussen disse a voce bassa ma in tono autoritario: «Tornatene a letto».
Liz aveva passato la mattina al telefono tentando di decidere se andare o no in California. Voleva andare a Santa Anita e chiedeva informazioni sul tempo e se il suo cavallo avrebbe corso. Infine prese la sua decisione.
«Andiamo.» « Sei sicura, Bun? » « Sì. » Eddie aveva assistito alla scena senza fare commenti. Più tardi disse: «Non durerà a lungo. Mia sorella si risposerà con qualcun altro».
Non sarebbe stato Aly Khan, che era divorziato e aveva in programma di sposare una modella francese quando rimase ucciso in un incidente automobilistico. Liz lo venne a sapere dai giornali. Immaginava ancora di sposarlo. Un sogno accarezzato da sempre. Al mattino sarebbero andati a Neuilly a guardare gli allenamenti dei cavalli, con la foschia che indugiava fra gli alberi. Lui avrebbe indossato un paio di Levi's e una giacca e poi sarebbero tornati a casa a piedi per fare colazione. Lei sarebbe stata la moglie di un principe, convertita all'Islam. Invece Aly era morto, Ted era andato a sposarsi con chissà chi e il suo secondo marito si era trasferito in New Jersey. Aveva ancora molti amici, chi fatto in un modo, chi nell'altro, e cavalcava.
A Vivian erano piaciuti il Natale e il fatto di essere tornata a casa. Si era accorta che Liz aveva trovato simpatico Philip, e persino suo padre, che quella mattina era di ottimo umore, sembrava più disponibile nei suoi confronti. Si salutarono tutti, Amussen salutò prima Liz e poi Dare, il cui ragazzo non si sentiva bene, e durante il breve scambio le pulì un angolo della bocca sporco d'uovo. Lo pulì con il tovagliolo, in un gesto paterno.
«Liz Bohannon e tuo padre sono davvero cugini?» chiese Bowman quando rimasero soli.
«Tra di loro si chiamano cugini, non so perché» rispose Vivian.
Il mondo era ancora bianco mentre tornavano a Washington, la neve attraversava la strada come fumo. Il termometro segnava ventidue gradi Fahrenheit nel centro di Washington, dicevano alla radio. L'autostrada stava scomparendo sotto le raffiche di vento. Il collo della pelliccia era alzato per proteggere il volto di Vivian dal freddo, la strada scivolava, chilometro dopo chilometro, sotto di loro, silenziosa. Addio alla Virginia e ai suoi campi e alla strana sensazione di isolamento. Si stava riportando Vivian a casa... in realtà non era proprio così, ma si sentiva felice lo stesso.